Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-02-13, n. 201300878

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-02-13, n. 201300878
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300878
Data del deposito : 13 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01097/2012 REG.RIC.

N. 00878/2013REG.PROV.COLL.

N. 01097/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1097 del 2012, proposto da:
Regione Lazio, rappresentato e difeso per dall'avv. R M P, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;

contro

Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Fondazione Santa Lucia, rappresentato e difeso dall'avv. G P, con domicilio eletto presso G P in Roma, corso Rinascimento n.11;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III QUA n. 07742/2011, resa tra le parti, concernente finanziamento e definizione del sistema di remunerazione delle prestazioni erogate dagli IRCCS privati accredati Santa Lucia e San Raffaele Pisana anno 2010


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Fondazione Santa Lucia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2012 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti gli avvocati Privitera e Pellegrino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il presente giudizio fa parte di un più ampio contenzioso fra l’I.R.C.C.S. Fondazione Santa Lucia e la Regione Lazio concernente gli atti programmatici adottati dalla Regione (e per essa dal Commissario ad acta per il settore sanitario) relativamente ai rapporti contrattuali con gli istituti privati classificati o accreditati, per l’anno 2010.

Con il ricorso proposto in primo grado al T.A.R. del Lazio (R.G. 11203/2010) la Fondazione ha impugnato il decreto commissariale n. 85 del 30 settembre 2010, avente per oggetto “Finanziamento e definizione del sistema di remunerazione delle prestazioni erogate dagli IRCCS privati accreditati Santa Lucia e (...) per l’attività erogata nell’anno 2010”. Ha impugnato altresì la nota 22 ottobre 2010, contenente alcune precisazioni in merito al predetto decreto.

Il T.A.R. Lazio, con sentenza n. 7742/2011, ha accolto il ricorso.

La Regione ha proposto appello davanti a questo Consiglio. Resiste all’appello la Fondazione già ricorrente in primo grado.

2. Il primo e principale punto in contestazione nel giudizio di primo grado riguardava il “tetto di spesa” relativo all’esercizio 2010, che il decreto n. 85 commisurava a quello dell’esercizio 2009. Peraltro – così ha dedotto la Fondazione ricorrente – il budget stabilito per l’anno 2009 non poteva essere assunto come valido riferimento, perché basato a sua volta su atti (programmatici e regolamentari) già riconosciuti illegittimi ed annullati in sede giurisdizionale.

In sostanza, tutti i provvedimenti in questione erano viziati perché basati sulle tariffe determinate con decreto ministeriale 12 settembre 1996, peraltro annullato (quanto meno relativamente alle prestazioni di interesse della ricorrente Fondazione) con sentenze passate in giudicato.

La sentenza ora oggetto di appello ha accolto questo punto del ricorso della Fondazione, dando atto del pregresso annullamento del d.m. 12 settembre 1996 e aggiungendo che una volta annullate le tariffe non è consentito fissare i tetti di spesa senza che le tariffe vengano nuovamente determinate – neppure facendo rinvio ai tetti di spesa fissati per esercizi precedenti, ove questi ultimi fossero basati a loro volta sulle tariffe annullate.

3. La Regione, appellando questo capo della sentenza, non sostiene in realtà che essa contenga alcunché di errato, ma si limita ad esporre le ragioni (a suo avviso giustificate) che sinora hanno impedito la formulazioni di nuove tariffe in sostituzione di quelle annullate con sentenze passate in giudicato. Tali ragioni consistono essenzialmente nel fatto che per effetto dei pregressi giudicati di annullamento, a monte dell’attività (obbligatoria) della Regione si pone quella (altrettanto obbligatoria, ma propedeutica) del Ministero della Salute;
e quest’ultimo ha ottenuto dal giudice amministrativo una proroga dei termini per la definizione del procedimento.

Il Collegio osserva che queste argomentazioni sono inconferenti: anche volendo supporre che siano interamente da condividere, non per questo la sentenza ora appellata ne risulterebbe in qualche modo inficiata.

Ed invero, non è smentito il fatto storico che le tariffe determinate con d.m. 12 settembre 1996 sono annullate con sentenza passata in giudicato;
di conseguenza i successivi atti programmatici, che assumono come base quelle tariffe, sono a loro volta illegittimi.

Le circostanze dedotte dalla Regione nell’atto di appello potranno venire in rilievo, semmai, nella fase dell’ottemperanza, ma non toccano la questione della legittimità degli atti impugnati in primo grado;
d’altronde neppure la Regione appellante lo prospetta.

Per questa parte, dunque, l’appello va dichiarato inammissibile per inesistenza di veri e propri motivi d’impugnazione.

4. Il punto successivo della sentenza del T.A.R. (punto 3, nella numerazione adottata in quel testo) contiene quello che a ben vedere non è altro che un obiter dictum . Questa parte infatti si apre con l’esplicita affermazione che le considerazioni già svolte sono sufficienti per l’accoglimento del ricorso in parte qua ;
segue, tuttavia quella che lo stesso T.A.R. chiama “precisazione” (non, dunque, un complemento necessario) relativa alla circostanza che il decreto impugnato (il decreto commissariale n. 85) si era basato, fra l’altro, sui precedenti decreti commissariali, n. 41/2009 e n. 56/2009, che peraltro risultavano sospesi in via cautelare, sempre dal T.A.R..

L’appello della Regione si sofferma su questo punto, deducendo fra l’altro che il decreto n. 85 richiama, bensì, i precedenti n. 41 e n. 56, ma dà atto della loro intervenuta sospensione;
e contestando nel merito che il contenuto di quei due decreti abbia avuto rilevanza sulle scelte effettuate con il decreto n. 85. Ma si tratta di argomentazioni ininfluenti, visto che nell’economia della sentenza appellata il punto in questione non ha un ruolo decisivo.

Anche per questa parte, dunque, l’appello risulta inammissibile.

5. Il punto 4 della sentenza appellata non contiene vere e proprie statuizioni, ma richiama giurisprudenza recente del Consiglio di Stato (sez. V, 16 marzo 2010, n. 1514) sulla peculiarità del ruolo degli I.R.C.C.S. (istituti di ricovero e cura di carattere scientifico) nell’ambito del servizio sanitario pubblico;
dal che derivano criteri altrettanto peculiari ai fini della determinazione dei “tetti di spesa”.

Da queste considerazioni, in sé condivisibili (anche se suscettibili di talune precisazioni alla luce della più recente normativa) tuttavia, a quanto pare, il T.A.R. non ha fatto discendere uno specifico vizio degli atti impugnati in quella sede. Mentre da parte sua la Regione, nell’atto d’appello, protesta che l’amministrazione regionale «non disattende in alcun modo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1514/2010» - ma con ciò mostra di aderire a quanto osservato dal T.A.R., piuttosto che di censurarlo. Le ulteriori considerazioni sviluppate nel punto 3 dell’atto di appello non sono correlate ad alcuna affermazione o statuizione della sentenza appellata.

Anche questo punto dell’appello risulta dunque inammissibile, per mancanza di oggetto e per difetto d’interesse.

6. Infine, nella sentenza appellata si legge: «Da ultimo, deve trovare condivisione la censura formulata nel sesto motivo di gravame, poiché lo schema contrattuale si manifesta, per quanto espressamente previsto dalla clausola di rinuncia alle azioni intraprese e future, palesemente in contrasto con i principi posti dalla Costituzione a tutela del diritto di difesa» .

Su questo punto non si rinvengono nell’atto di appello contestazioni o censure.

7. Conclusivamente, questo Collegio non può che dichiarare inammissibile l’appello della Regione.

Quanto alle argomentazioni difensive della parte appellata, che sembrano potersi interpretare come un tentativo di attribuire alla sentenza del T.A.R. contenuti che non le sono propri (forse in ragione della laconicità di quella decisione), si deve prendere atto che non è stato proposto un appello incidentale, e pertanto non vi è luogo a pronunciarsi in merito.

Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese.

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