Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-03-01, n. 201001156

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-03-01, n. 201001156
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201001156
Data del deposito : 1 marzo 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04472/2007 REG.RIC.

N. 01156/2010 REG.DEC.

N. 04472/2007 REG.RIC.

N. 08595/2007 REG.RIC.

N. 09727/2007 REG.RIC.

N. 09818/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 4472 del 2007, proposto da:
A Fattoria Latte Sano Spa, rappresentata e difesa dagli avv. R A, F L B, M S, con domicilio eletto presso Avv. Sanino in Roma, viale Parioli N.180;

contro

Comune di Roma, rappresentato e difeso dall'N S, domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove 21;
A.T.I.R. Ass. Tutela delle Istit. Citta' di Roma e Romani, rappresentato e difeso dall'avv. G L M, con domicilio eletto presso G L M in Roma, via Lucrezio Caro,38;
Jp Morgan Morgan Guarantee Trust Company Of New York;



Sul ricorso numero di registro generale 8595 del 2007, proposto da:
Comune di Roma, rappresentato e difeso dagli avv. G L M, E L, N S, domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove,21;

contro

Parmalat Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Franco Bassi, Vincenzo Cerulli Irelli, con domicilio eletto presso Avv.Vincenzo Cerulli Irelli in Roma, via Dora,1;
C Spa, Granarolo Spa, Eurolat Spa, Parmalat S.p.A. in Amministrazione Strordinaria, C S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, Eurolat S.p.A. in Amministrazione Straordinaria;
C Finanziaria Spa, rappresentata e difesa dagli avv. A C, Luigi Farenga, Lucio Francario, Attilio Zimatore, con domicilio eletto presso Avv.A C in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
Comitato Difesa Diritti Lavoratori Centrale del Latte, rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Peraino, con domicilio eletto presso Antonino Peraino in Roma, via Lucrezio Caro, 38;

nei confronti di

A Fattoria Latte Sano Spa, rappresentata e difesa dagli avv. R A, F B, M S, con domicilio eletto presso Avv. Sanino in Roma, viale Parioli N.180;



Sul ricorso numero di registro generale 9727 del 2007, proposto da:
Parmalat Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Franco Bassi, Vincenzo Cerulli Irelli, Stefano D'Ercole, Carlo Malinconico, con domicilio eletto presso Avv.Vincenzo Cerulli Irelli in Roma, via Dora,1;

contro

A Fattoria Latte Sano Spa, rappresentata e difesa dagli avv. R A, F B, M S, con domicilio eletto presso Avv.Sanino in Roma, viale Parioli N.180;
Comune di Roma, rappresentato e difeso dall'N S, domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove,21;
C Spa, rappresentata e difesa dall'avv. A C, con domicilio eletto presso Avv.A C in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
C Finanziaria Spa, Granarolo Felsinea Spa, Eurolat Spa;



Sul ricorso numero di registro generale 9818 del 2007, proposto da:
C Finanziaria S.p.A. in Ammistrazione Straordinaria, rappresentata e difesa dall'avv. A C, con domicilio eletto presso Avv.A C in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

Comune di Roma, rappresentato e difeso dagli avv. G L M, E L, N S, domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove 21;
A Fattoria Latte Sano S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. R A, F B, M S, con domicilio eletto presso Avv.Sanino in Roma, viale Parioli N.180;
C S.p.A., Parmalat S.p.A., Granarolo Felsinea S.p.A., Eurolat S.p.A., Comitato Difesa Diritti Lavoratori della Centr.Latte di Roma;

per la riforma

quanto al ricorso n. 4472 del 2007:

della sentenza del T Lazio - Roma :sezione Ii n. 03347/2007, resa tra le parti, concernente ESCLUSIONE DALLA FASE NEGOZIALE PER PRIVATIZZAZIONE CENTRALE DEL LATTE.

quanto al ricorso n. 8595 del 2007:

della sentenza del T Lazio - Roma :sezione Ii Ter n. 07119/2007, resa tra le parti, concernente RISOLUZIONE CONTRATTO VENDITA CENTRALE DEL LATTE.

quanto al ricorso n. 9727 del 2007:

della sentenza del T Lazio - Roma :sezione Ii Ter n. 07119/2007, resa tra le parti, concernente RISOLUZIONE CONTRATTO VENDITA CENTRALE DEL LATTE.

quanto al ricorso n. 9818 del 2007:

della sentenza del T Lazio - Roma :sezione Ii Ter n. 07119/2007, resa tra le parti, concernente RISOLUZIONE CONTRATTO VENDITA CENTRALE DEL LATTE.


Visti gli atti di riassunzione;

Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2009 il Cons. Francesca Quadri e uditi per le parti gli avvocati Arbib, Braschi, Sanino, Sabato e Lo Mastro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con ricorso notificato il 27 ottobre 2000, la spa A Fattoria Latte Sano proponeva innanzi al T del Lazio impugnazione del silenzio-rifiuto, in ordine all'atto in data 18 luglio 2000 con il quale essa aveva diffidato e messo in mora il Comune di Roma ad attivarsi in sede di autotutela a risolvere il contratto di vendita stipulato a conclusione della gara indetta con avviso in data 2 ottobre 1996 con la spa C, avente ad oggetto il 75% della quota azionaria della spa Centrale del latte di Roma, ed altresì ad indire una nuova gara per la corretta cessione della quota stessa ed a risarcire i danni ad essa istante. Affermava di avere partecipato al procedimento di selezione del contraente di tale vendita, conclusa poi a trattativa diretta;
che la C s.p.a. presentava un'offerta di L. 80 miliardi (a fronte di quella di L. 37,5 miliardi della spa A Fattoria Latte Sano) e si aggiudicava la gara;
che la C, in violazione di apposita pattuizione che prevedeva il divieto di cessione ulteriore del bene in questione per cinque anni, aveva conferito il pacchetto azionario appena acquistato alla spa Eurolat da essa interamente controllata, al fine di cedere quest'ultima conclusivamente alla Parmalat spa.

Con motivi aggiunti, notificati in data 14 febbraio 2001, a seguito del deposito di documentazione da parte del Comune di Roma e della C, la ricorrente proponeva ulteriori censure, in particolare volte a sostenere l’illiceità ed illegittimità della transazione intervenuta tra il Comune , la C , Parmalat ed Eurolat in data 7 luglio 1999 , con cui , a novazione del contratto di compravendita, la Parmalat faceva proprie le obbligazioni assunte dalla C nei confronti del Comune a decorrere dalla data del trasferimento a suo favore della partecipazione nella società cessionaria, la C si obbligava a corrispondere al Comune alla data del trasferimento delle azioni a Parmalat l’importo complessivo di lire 15.000.000.000 ed il Comune rinunciava ad ogni pretesa o diritto ai sensi del contratto di compravendita, del contratto parasociale e degli art. 7 e 25 dello Statuto della Centrale del Latte.

Il T, con sentenza del 28 gennaio 2003, n. 506, declinava la propria giurisdizione, ritenendo estranea a quella amministrativa ogni vicenda successiva alla stipulazione del contratto ed alla procedura di selezione del contraente e dichiarava pertanto inammissibile il ricorso. Il T peraltro rilevava che, ove mai si fosse ritenuta superabile la predetta inammissibilità, l'ipotetico accoglimento del gravame avrebbe potuto comportare solo l'ordine alla Amministrazione di rispondere alla intimazione, ma non certo la determinazione del contenuto sostanziale di tale ordine.

Sull'appello della spa A, il Consiglio di Stato con sentenza del 14 luglio 2003, n. 4167, dichiarava la giurisdizione del G.A. e rinviava la causa ad altra sezione del T originariamente adito.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Comune di Roma. La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza del 03.05.2005, n. 9103, rigettava il ricorso affermando la giurisdizione del G.A.

Il giudizio veniva riassunto davanti al TAR, che accoglieva in parte il ricorso della società A, con sentenza 16.4.2006, n. 2883, sul presupposto dell'operatività della clausola risolutiva espressa.

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 247/2006 annullava la sentenza per difetto di contraddittorio, rinviando la causa al primo giudice.

Il tribunale amministrativo con sentenza del 27.7.2007, n. 7119, accoglieva il ricorso affermando che vi era stata un'indebita rinegoziazione delle clausole contrattuali, che tale rinegoziazione aveva determinato la nullità degli atti di gara e di quelli contrattuali.

Avverso questa sentenza hanno proposto appello la Parmalat, il Comune di Roma, e la C.

I motivi d’appello, che presentano affinità tra i diversi ricorsi, possono così sinteticamente esporsi.

In rito, gli appellanti obiettano che A difetterebbe di interesse e di legittimazione al ricorso, in quanto la posizione fatta valere sarebbe di mero fatto e si orienterebbe ad un controllo diffuso o generalizzato dell’azione amministrativa. Peraltro, tutti gli atti della procedura precedenti la transazione nonché la transazione stessa , anche a voler prescindere dalla loro natura negoziale, non sarebbero stati oggetto di impugnazione e nei loro confronti A avrebbe pertanto prestato acquiescenza. Inoltre il TAR avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il richiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., poiché l’azione di A tendeva a far valere l’esistenza di una clausola risolutiva espressa giudicata insussistente dallo stesso giudice di primo grado che, per questo, avrebbe dovuto pronunciare inammissibile o infondata la domanda.

Erroneamente il TAR avrebbe respinto la richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti della Azienda Centrale del Latte di Roma s.p.a., essendo questa società , costituita nell’ambito della procedura di privatizzazione, legittimata a contraddire, attesi gli effetti della nullità della vendita del pacchetto azionario nella vita della società.

Ancora, erroneamente il TAR , pur assumendo una prospettiva impugnatoria del giudizio, avrebbe omesso di considerare l’intempestività del ricorso per non avere A impugnato gli atti nel termine decadenziale.

Ulteriormente viziata sarebbe la sentenza per essersi il TAR pronunciato sulla fondatezza dell’istanza, per di più sulla richiesta di A al Comune di provvedere in sede di autotutela di un precedente provvedimento, ipotesi esclusa dal procedimento di cui all’art. 21 bis. Tra l’altro, il comportamento del Comune non avrebbe potuto essere configurato come inerte, avendo il Comune proceduto alla stipula della transazione così reagendo all’inadempimento contrattuale dell’acquirente.

Nel merito, il TAR avrebbe fatto cattiva applicazione del divieto di rinegoziazione e dell’istituto della nullità, omettendo di considerare :

i) che la procedura di alienazione si era svolta secondo le regole della trattativa diretta;

ii) che non era possibile individuare una cristallizzazione endoprocedimentale, ma doveva considerarsi il particolare procedimento seguito di formazione progressiva del vincolo negoziale che presupponeva la continua modificabilità delle clausole contrattuali;
peraltro la modifica al patto era stata introdotta prima della scelta di C come acquirente finale, quando erano ancora in lizza quattro soggetti che ne avevano quindi avuto conoscenza;

iii) che l’ordinamento non ammette nullità atipiche quale quella individuata dal TAR;

iv) che il TAR avrebbe frainteso il peso attribuito alla clausola comportante il divieto di alienazione infraquinquennale omettendo di considerare che essa sarebbe rimasta inalterata nel contratto stipulato e che essa non ha comunque avuto incidenza sulla partecipazione delle imprese alla gara;

v) che,comunque, la nullità della clausola non avrebbe potuto comportare la nullità dell’intero contratto se non in violazione dell’art. 1419 c.c.;

vi) che la tesi accolta dal TAR della mancanza di capacità negoziale della p.a. avrebbe dovuto condurre all’individuazione del vizio di annullabilità e non di nullità, ai sensi dell’art.1425 c.c.;

vii) che l’art. 24 del contratto di alienazione della partecipazione azionaria espressamente ammetteva il consenso da parte del Comune alla cessione, il che rendeva pienamente legittima la transazione;

viii) che la pronuncia di risarcimento del danno sarebbe incompatibile con il rito dell’art. 21 bis e mancherebbe inoltre la dimostrazione sia nell’an sia in ordine alla colpa dell’ente .

Ha altresì proposto appello la s.p.a. A avverso la sentenza del TAR Lazio n. 3347/2007 che aveva rigettato il ricorso contro la sua esclusione dalla trattativa diretta.

Il Consiglio di Stato, Sez. 5, con sentenza n. 5845 depositata il 28.11.2008, riuniti i quattro appelli, dichiarava improcedibile l'appello della s.p.a. A avverso la sentenza n. 3347/2007 per carenza di interesse dal momento che l'appellante non aveva mai contestato l'esito della trattativa diretta. Accoglieva,invece, gli altri tre appelli e, per l’effetto, respingeva il ricorso di primo grado della s.p.a. A.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto, contrariamente al T, che non vi fosse stata nella fattispecie una cristallizzazione della clausola contrattuale che prevedeva nel caso di rivendita infraquinquennale la risoluzione di diritto del contratto di cessione ordinaria;
che, essendo avvenuta la cessione attraverso la trattativa diretta, non poteva sussistere la cristallizzazione di clausole antecedenti alla strutturazione del contratto;
che, essendo stata prevista nel contratto una penale di un miliardo di lire in caso di violazione del patto di inalienabilità infraquinquennale, era solo dovuto il pagamento di un congruo ristoro in favore del Comune, purché questi avesse dato, come appunto era avvenuto, il suo consenso alla cessione.

Riteneva, inoltre, il Consiglio di Stato che la negoziazione era avvenuta nei modi e con le forme tipiche previste dalla legge, che non vi era stata alcuna rinegoziazione di clausole contrattuali e che il T aveva operato un'inammissibile mutatio libelli pretendendo di avere titolo, sulla base delle sentenze della Cassazione e del Consiglio di Stato, per valutare il complessivo operato dell'Amministrazione, segnatamente passando alla declaratoria della nullità dei contratti di diritto privato. Rilevava il Consiglio di Stato che "gli atti di diritto privato posti in essere non sono nulli e, alla stregua di quanto rilevato, neppure annullabili: in ogni caso la relativa declaratoria di tali effetti non compete al giudice amministrativo, bensì all'Autorità giudiziaria ordinaria così che la pronunzia in esame ha violato in modo consistente i canoni del riparto di giurisdizione".

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la spa A Fattoria Latte Sano.

La Corte di Cassazione, con sentenza resa a Sezioni Unite n. 17349 in data 24.7.2009, ha respinto il primo motivo di ricorso rivolto contro la pronuncia di improcedibilità del ricorso n. 4472/2007, relativo alla impugnazione della esclusione della A dalla procedura di gara, ed ha accolto il secondo motivo, con cui era censurata la dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla richiesta di declaratoria di nullità del contratto di compravendita e della successiva transazione, per essersi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione del giudice amministrativo , per effetto sia della sentenza della stessa Corte di Cassazione del 3.5.2005, n. 9103, sia per effetto della sentenza del TAR 27.7.2007, n. 7119, oggetto dell’appello deciso dal Consiglio di Stato con la sentenza impugnata per motivi diversi dal difetto di giurisdizione. Ha ritenuto la Corte che il petitum sostanziale nella presente controversia era volto a censurare l’esercizio illegittimo dei poteri della Pubblica Amministrazione, e che l’impugnazione del silenzio-rifiuto su di un atto di diffida, da parte di un partecipante alla gara in una procedura di privatizzazione, ad attivarsi a risolvere il contratto e ad indire una nuova gara a seguito dell’inadempimento del privato, era principalmente diretto ad accertare la illegittimità del comportamento dell’Amministrazione. In questo contesto rientrava anche la domanda di reintegrazione in forma specifica dell’interesse leso, mediante dichiarazione dell’obbligo del Comune di risolvere il contratto precedentemente stipulato.

Hanno pertanto provveduto alla riassunzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato tutte le originarie appellanti – compresa A in relazione all’appello avverso la sentenza del TAR n. 3347/2007 - chiedendo l’accoglimento dei propri motivi di censura e sostenendo, in particolare, A la necessità per questo Consiglio di Stato di ripronunciarsi , in conseguenza della pronuncia cassatoria, su tutto l’operato dell’Amministrazione municipale, dal suo avvio sino alla sottoscrizione dell’atto transattivo, e Parmalat l’avvenuta formazione del giudicato sui fatti ricostruiti dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5845/2008, cassata dalla Suprema Corte esclusivamente per motivi attinenti alla giurisdizione.

In prossimità dell’udienza di discussione , le parti hanno depositato memorie ad ulteriore illustrazione delle proprie difese.

All’udienza dell’11 dicembre 2009, dopo ampia discussione, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1.Va, anzitutto , confermata la disposta riunione di tutti gli appelli per ragioni di connessione.


2.Effetti della sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 17349 in data 24.7.2009.

2.1 In relazione alle eccezioni sollevate in ordine agli effetti della pronuncia della Corte di Cassazione del 24.7.2009, n. 17349, sulla sentenza del Consiglio di Stato del 26.11.2008, n. 5845 , il Collegio ritiene ormai precluso ogni sindacato in ordine all’appello della A Fattoria Latte Sano avverso la sentenza del TAR n. 3347/2007 (giudizio R.G. n. 4472/2007) avente ad oggetto l’esclusione della medesima impresa dalla procedura di gara. La Corte di Cassazione ha infatti rigettato il primo motivo di ricorso, contro la pronuncia di improcedibilità dell’appello per carenza di interesse, non avendo l’appellante mai contestato l’esito della trattativa diretta e la conseguente individuazione di C s.p.a. come cessionario del pacchetto azionario offerto mediante la procedura svolta.

Il relativo atto di riassunzione di A Latte Sano ex art.392 c.p.c. deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

2.2 Quanto, invece , agli appelli proposti dal Comune di Roma, da C Finanziaria s.p.a. e da Parmalat s.p.a avverso la sentenza del TAR Lazio n.7119/2007, la Corte di Cassazione ha rilevato che il Consiglio di Stato , attesa l’avvenuta formazione del giudicato sul punto della giurisdizione del giudice amministrativo per effetto della sentenza della stessa Corte di Cassazione, resa a Sezioni Unite, n. 9103/2005, e della decisione del TAR Lazio n. 7119/2007, non impugnata per difetto di giurisdizione, non poteva affermare la giurisdizione del giudice ordinario relativamente alla dichiarazione di nullità o di annullamento del contratto di cessione della partecipazione azionaria e della successiva transazione intervenuta tra il Comune di Roma, la C, la Parmalat e l’Eurolat. Conseguentemente, la Corte ha statuito che di nessun rilievo è la circostanza che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5845/2008, si sia pronunciato sulla nullità e sull’annullabilità dei contratti , valutando il complessivo operato dell’amministrazione, dovendosi considerare tali parti della motivazione svolte “ad abundantiam” (“Infatti, qualora il giudice abbia declinato la propria giurisdizione, spogliandosi della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia e, ciononostante, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere di impugnare. Conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è conseguentemente inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata. (Cass. Civ., Sez. Un. 20.2.2007, n. 3840;
Cass. 5.7.2007, n. 15234). Con la declaratoria di difetto di giurisdizione, che in particolare qui viene in rilievo, il giudice definisce e chiude il giudizio. Da ciò consegue che in questo caso le considerazioni di merito ovvero quelle attinenti ad altre questioni pregiudiziali, ma logicamente posposte a quelle della giurisdizione, che comunque egli abbia svolto, restano irrimediabilmente fuori , appunto, dalla decisione, non tanto perché esse non trovano sbocco, nel dispositivo (che potrebbe al limite considerarsi integrabile con la motivazione) e non solo perché formulate in via ipotetica e in modo per lo più sommario e approssimativo, quanto soprattutto per l’assorbente ed insuperabile ragione che dette valutazioni provengono da un giudice che, con la declaratoria (pregiudiziale sotto il profilo logico) di difetto di giurisdizione, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione alla fattispecie controversa.”).

Di conseguenza , le considerazioni sul merito della controversia, così come il dispositivo di accoglimento degli appelli, contenuti nella pronuncia del Consiglio di Stato cassata in ordine ai profili inerenti la giurisdizione , pregiudicati dalla decisione sul difetto di giurisdizione del G.A.,devono ritenersi inutiliter dati e non comportano per l’odierno giudice alcun limite a pronunciarsi sull’intera vicenda.


3.Oggetto e tipologia del giudizio.

3.1 In ordine ai motivi di appello incentrati sulla supposta trasformazione da parte del giudice di primo grado della causa petendi e del petitum del giudizio che lo avrebbe condotto erroneamente a rilevare d’ufficio cause di nullità degli atti di cessione della partecipazione azionaria e del successivo accordo transattivo, rileva il Collegio che dalle pronunce intervenute nel corso del processo, sia del Consiglio di Stato che della Corte di Cassazione, che hanno statuito sulla domanda ed in relazione alle quali si è, sotto tale profilo, formato il giudicato, emerge che la società A Latte Sano ricorrente “nonostante la formale qualificazione dell’atto introduttivo come proposto ai sensi dell’art. 21 bis della legge n. 1034/71, ha inteso non solo, o, meglio , non tanto, conseguire una pronuncia declaratoria dell’obbligo del Comune di provvedere sulla propria istanza rimasta inevasa, quanto denunciare l’illegittimità (o, meglio, l’illiceità) della condotta, non solo omissiva, dell’Ente nell’aver prestato il proprio consenso ad un’operazione fraudolenta e nell’essersi astenuto dall’esercitare i poteri-doveri assegnatigli dal contratto nell’ipotesi di violazione di una clausola essenziale dell’aggiudicazione;
e ciò al fine di ottenere l’accertamento dell’antigiuridicità del complesso di atti e comportamenti ascrivibili al Comune nella vicenda controversa e la sua condanna al risarcimento dei danni, anche in forma specifica (mediante l’indizione di nuova gara, previa risoluzione del contratto con la C) ovvero, ove impossibile, per equivalente, sopportati dalla ricorrente in conseguenza dell’invalida cessione delle quote della Centrale del Latte”(Cons. St. Sez. V, sent. n. 4167/2003).

La Corte di Cassazione , con la prima sentenza n. 9103/2005 ha chiarito che il petitum di A Latte Sano è basato letteralmente sull’art. 21 bis della legge n. 1034/71 e “mira alla declaratoria dell’obbligo del Comune di rispondere , positivamente, alla sua diffida e messa in mora con la quale lo sollecita all’esercizio dell’autotutela utile a riparare un comportamento dello stesso ente illecito, oltre che omissivo……chiede esplicitamente che il giudice ordini che tale inerzia cessi e dichiari l’obbligo della P.A. di provvedere sulla sua istanza e, quindi, quello di operare in autotutela rimuovendo le allegate illegittimità. L’atto giudiziario del privato mira pertanto a rimuovere non tanto e non solo l’inerzia della P.A. sulla quale gravava il dovere di rispondere , ma la illegittimità derivata a suo avviso dalla mancata valutazione dell’interesse pubblico all’autotutela, che pertanto, a suo avviso, era da esercitarsi provvedendo positivamente in un certo modo. La allegazione al TAR riguarda dunque l’esercizio illegittimo, quanto al rapporto sostanziale fatto valere, dei poteri della Pubblica Amministrazione con conseguente lesione del suo interesse legittimo allo svolgimento della gara per la dismissione della Centrale del Latte di Roma e dunque quello alla sua ripetizione. Il petitum quindi è di annullamento di tutta la complessa operazione a partire dalla aggiudicazione che è stata posta in essere dal Comune per la dismissione in questione.”

E’ dunque sulla scorta di tale qualificazione della domanda e dell’oggetto del giudizio che il T , con l’impugnata sentenza n. 7119/2007, ha correttamente giudicato sulla validità dell’atto di cessione della partecipazione azionaria a C e del successivo atto di transazione tra Comune di Roma, C , Parmalat ed Eurolat, allo scopo di pronunciarsi sull’obbligo del Comune di provvedere in ordine all’atto di diffida e messa in mora con cui A Latte Sano chiedeva all’Ente di risolvere il contratto di cessione e contestualmente di indire una nuova gara.

Anche la sentenza della Cassazione da ultimo resa (S.U. sent. n. 17349/2009) ha affermato che il petitum sostanziale nella presente controversia è volto a censurare l’esercizio illegittimo dei poteri della p.a. e che l’impugnazione del silenzio – rifiuto su un atto di diffida da parte di un partecipante alla gara in una procedura di privatizzazione ad attivarsi a risolvere il contratto ed indire una nuova gara a seguito dell’inadempimento del privato è diretta ad accertare la legittimità del comportamento della P.A. In questo contesto rientra anche la domanda di reintegrazione in forma specifica dell’interesse leso, mediante dichiarazione dell’obbligo della P.A. di risolvere il contratto precedentemente stipulato.

Su queste statuizioni si è dunque formato giudicato ed in questa sede non è più possibile ritornarvi, né metterle in discussione.

Da tali statuizione consegue la necessità di accertare se il Comune avesse o meno l’obbligo di provvedere sulla diffida, e quindi se il silenzio sia legittimo o meno, ed a tal fine è necessario verificare se il Comune avesse o meno correttamente stipulato il contratto di alienazione in conformità ai criteri-obbiettivo che si era imposto di conseguire, e se, a seguito dell’inadempimento della C dell’obbligo di non cedere le quote acquisite per cinque anni, avesse o meno il dovere di provvedere alla risoluzione del contratto con la riacquisizione delle quote cedute, ovvero se avesse o meno il potere di disporre in via transattiva delle conseguenze dell’inadempimento.

3.2 A nulla vale, in merito, affermare che le richiamate sentenze hanno statuito sulla giurisdizione e non sul merito del giudizio. Invero, costituisce questione nota in dottrina quella del difficile discrimine nelle pronunce della Corte di Cassazione rese in materia di giurisdizione tra affermazione dell’esistenza in astratto od in concreto della situazione soggettiva tutelata. Rileva il Collegio che, con le sentenze in esame, la Suprema Corte ha svolto un compiuto accertamento in ordine al petitum sostanziale, individuando un interesse legittimo, in concreto, di A Latte Sano al corretto svolgimento della gara e riconoscendo in capo al G.A. il sindacato sulla domanda di annullamento di tutti gli atti ed i comportamenti posti in essere, ivi compresa la stessa declaratoria dell’obbligo della p.a. di annullamento dei contratti, quale forma di reintegrazione specifica.

3.3 Peraltro, quanto alla sussistenza dell’interesse di A, giova richiamare l’ormai consolidato orientamento del Consiglio di Stato (a partire dall’Ad. Pl. n. 1 del 2003 nel cui solco si muove l’Ad. Pl. n.11 del 2008) nel riconoscere all’impresa che opera nel settore di riferimento, pur se esclusa, l’interesse strumentale al rinnovo delle operazioni di gara ( o al loro svolgimento, ove illegittimamente pretermesse, pur mancando in questo caso un atto di gara da impugnare (cfr. CGCE, 11.1.2005, in causa C-26/03), dal quale derivi una (nuova) chance di partecipazione ed aggiudicazione,quest’ultima da considerarsi come bene della vita che l’interessato intende conseguire. Anche l’interesse strumentale a che il procedimento di gara si svolga nel rispetto delle norme imposte all’amministrazione può essere fatto valere solo al verificarsi dell’effetto lesivo (cfr. Cons. St. Sez. IV, 19.2.2008, n. 532, Sez. V, 11.5.2007, n.2334). Nella specie, la lesione si è in concreto prodotta e l’interesse di A è sorto al momento in cui l’amministrazione comunale, con l’atto transattivo, la cui illiceità ed illegittimità è stata denunciata con motivi aggiunti all’originario ricorso, ha autorizzato la cessione della partecipazione azionaria nella Centrale del Latte da C a Parmalat, in virtù di una clausola contrattuale secondo la ricorrente illegittimamente rinegoziata, ma fino a quel momento non applicata.

Sotto tale profilo, dunque, i motivi di appello in ordine al vizio di ultrapetizione del giudice di primo grado vanno respinti.

3.4 Fuori luogo è anche l’asserita illegittima estensione, in un giudizio instaurato ai sensi dell’art. 21 bis della L. n. 1034/1971 , del sindacato del TAR dal solo accertamento della violazione dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere sull’istanza tendente a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere alla fondatezza dell’istanza, per di più in un giudizio instaurato anteriormente alla riforma del 2005.

In disparte l’immediata applicabilità ai giudizi in corso, in quanto norma processuale, dell’art. 2, comma 5, della legge n.241/1990 nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, e dal D.L. n. 35/2005 (sull’applicabilità delle norme processuali sopravvenute ai giudizi in corso cfr. CdS Sez. VI n. 6192/2006,n. 2763/2006;
Cass. Sez. III n. 3533/2008), occorre considerare che la pronuncia non ha oltrepassato i limiti dell’oggetto del giudizio, così come indicati nelle citate sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione , essendosi limitato il TAR a giudicare sulla domanda di accertamento della legittimità di tutto il complessivo operato dell’amministrazione funzionalmente orientato all’accertamento dell’obbligo della P.A. di pronunciarsi sull’istanza.

Dall’accertamento di tale illegittimità deriva quale conseguenza diretta ed immediata l’obbligo dell’amministrazione , nel suo concreto atteggiarsi, senza che ciò comporti alcun ulteriore apprezzamento inteso ad invadere il campo dell’esercizio della discrezionalità della pubblica amministrazione.

3.5 Altrettanto può affermarsi in relazione al motivo di gravame concernente l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno in un giudizio volto al riconoscimento dell’obbligo della p.a. di provvedere a seguito di un’istanza.

Come visto, sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione hanno riconosciuto la domanda di risarcimento del danno come strettamente collegata alla denuncia di illegittimità ed illiceità della condotta del Comune di Roma, per avere questo esercitato i propri poteri in violazione delle regole poste a base della procedura di privatizzazione, ed hanno stabilito che al giudice amministrativo adito spetta conoscere ai sensi della L. 21.7.2000, n. 205, art. 7, lett. c), anche della domanda di risarcimento del danno inteso quale diritto patrimoniale consequenziale, secondo l’assetto disciplinato dalla legge n. 2005 del 2000.

3.6 Alla luce di quanto statuito nelle citate sentenze della Suprema Corte di Cassazione, deve poi escludersi ogni effetto estintivo dell’interesse di A ad ottenere la richiesta pronuncia sull’obbligo del Comune ad opera della intervenuta dichiarazione di improcedibilità del suo ricorso contro l’esclusione dalla gara per carenza di interesse , attesa la mancata contestazione del suo esito. Invero, come sopra chiarito, l’interesse di A non discende dalla scelta di C come acquirente da parte del Comune, mai contestata, bensì dagli atti successivi, ed in particolare dalla violazione di una delle condizioni cui era stata subordinata la scelta del contraente e da una transazione conclusa sulla base di clausole contenute nella cessione diverse da quelle cui l’amministrazione si era all’origine vincolata. E’ evidentemente per tali ragioni che, pur respingendo il primo motivo di ricorso, la Cassazione ha annullato, in accoglimento del secondo motivo , la sentenza del Consiglio di Stato, affermandone la giurisdizione e rinviandovi la causa per la decisione.


4.Sull’integrità del contraddittorio.

4.1 Gli appellanti hanno sostenuto che erroneamente il TAR avrebbe omesso di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Centrale del Latte s.p.a., assumendone la natura di contraddittore necessario nei cui confronti si esplicano gli effetti della sentenza.

Il Collegio condivide quanto stabilito dal primo giudice, sia in riferimento al già compiuto esame di ogni profilo attinente l’integrità del contraddittorio nei gradi precedenti di giudizio (e specificamente in sede di decisione di questo Consiglio di Stato n. 287/2007 che rinviava il processo al giudice di prime cure proprio sul presupposto della necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di Eurolat), sia sotto il profilo dell’assenza da parte della Centrale del Latte s.p.a. della veste di contraddittore necessario, dovendosi considerare indifferente per l’interesse della società partecipata la composizione della partecipazione al suo azionariato , ai cui titolari soltanto va riconosciuto un interesse a prendere parte al giudizio.

Non può, in proposito, che richiamarsi il principio, stabilito dalla Corte di Cassazione (Cass. Sez.I 11.1.2005, n. 339) in merito a controversia riguardante la validità della cessione di quote sociali , ma estensibile logicamente anche ad una controversia attinente la validità della cessione di partecipazione azionaria, secondo cui la posizione della società deve considerarsi del tutto riflessa, dovendo la stessa limitarsi a prendere atto della titolarità delle quote senza poter assumere nel processo la veste di contraddittore necessario.


5. Nel merito

5.1 Allo scopo di esaminare i motivi di appello, occorre preliminarmente ripercorrere le fasi salienti della vicenda oggetto del processo, più volte – e dettagliatamente – descritte nelle ben nove sentenze che precedono la presente decisione:

- con delibera 8 luglio 1996, n. 132, il Consiglio Comunale di Roma deliberava : di revocare l’assunzione come servizio pubblico dell’attività della Centrale del Latte;
di trasformare la stessa in società per azioni di diritto comune;
di dare atto che la Giunta avrebbe posto in essere gli atti necessari per verificare l’interesse degli operatori economici interessati all’acquisto secondo le procedure di cui al decreto-legge 31 maggio 1994, n.332, convertito , con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474;
di assegnare alla Giunta un termine di sei mesi per presentare i risultati di detta verifica prospettando definite ipotesi dell’assetto azionario della società, del prezzo minimo di cessione delle quote, dei programmi di sviluppo industriale e delle garanzie di mantenimento dei rapporti di lavoro, imponendo , altresì, alcune condizioni tra cui (p.11, lett. b) della delibera) “ di inserire clausole statutarie che prevedano maggioranze qualificate sulle scelte strategiche della S.p.a. e nell’atto costitutivo accordi parasociali (fornitura del latte fresco, scelte industriali, atto costitutivo ecc.) e vincoli alla cessione delle azioni per un periodo non inferiore a cinque anni. In caso di vendita successiva ai cinque anni i soggetti di cui al punto a) avranno comunque il diritto di prelazione”;

- a seguito della pubblicazione dell’avviso per la manifestazione di interesse,che conteneva puntuale richiamo alla delibera 132/96, pervenivano all’advisor n. 25 manifestazioni di interesse, tra cui quelle di A Latte Sano, C s.p.a. e Parmalat s.p.a . Alle 23 imprese che avevano effettuato la due diligence veniva comunicata il 30 dicembre 1996 la richiesta di offerta vincolante per l’acquisto del 75% del capitale sociale, precisando che essa avrebbe dovuto contenere gli impegni corrispondenti alle condizioni poste dal Consiglio Comunale con la deliberazione n. 132/96, tra i quali “vincoli alla cessione delle azioni per un periodo non inferiore a 5 anni” ed essere corredata , tra l’altro, dai patti parasociali , il cui schema predefinito prevedeva, all’art. 7, il divieto di alienazione per un periodo non inferiore a 5 anni e , all’art.9, la sanzione per la violazione, consistente nel versamento al Comune di Roma di una penale pari al prezzo offerto in sede di compravendita;

- solo cinque imprese, tra cui A, C e Parmalat, trasmettevano l’offerta, imprese ridotte ad una short list di tre (banca Commerciale italiana ed altri;
C S.pa;
Parmalat) dall’advisor a seguito dell’esclusione di A, poi riammessa a seguito di accoglimento di istanza cautelare del TAR Lazio, e di Foodinvest Group, nei confronti delle quali la Giunta autorizzava lo svolgimento di trattativa diretta;

- con deliberazione di Giunta Comunale 16.5.1997, n. 1799, venivano approvati nuovi schemi negoziali. In particolare, i patti parasociali, all’art. 8, continuavano a prevedere, in considerazione di quanto stabilito nella delibera del Consiglio Comunale n. 132/96, l’impegno da parte dell’acquirente a non cedere le proprie azioni per un periodo di 5 anni, ma all’art. 10 la penale per la violazione dell’art. 8 veniva quantificata in lire un miliardo;
detti atti venivano comunicati con la richiesta di offerta vincolante ai soggetti della short list il 19 giugno 1997;

- sulla scorta del rapporto conclusivo dell’advisor e del giudizio positivo del Comitato di consulenza e di garanzia, il Consiglio Comunale con delibera n.145 del 28 luglio 1997 approvava la cessione del 75% del capitale sociale della Centrale del Latte di Roma s.p.a. alla C s.p.a. Il contratto di compravendita di azioni al prezzo di lire 80 miliardi unitamente ai patti parasociali venivano stipulati in data 26 gennaio 1998;

- successivamente, a poco più di un anno dalla cessione, C manifestava al Comune di Roma la volontà di conferire l’intera sua divisione latte , compresa la partecipazione nella Centrale del Latte, ad Eurolat s.p.a. al fine di cedere la stessa a Parmalat ed il Consiglio Comunale, con deliberazione n. 80 del 31 maggio 1999 , approvava ed autorizzava a sottoscrivere un atto aggiuntivo e di transazione da sottoscriversi tra il Comune di Roma, C, Parmalat ed Eurolat con cui, a novazione del contratto di compravendita, Eurolat e Parmalat si assumevano tutti gli obblighi assunti da C con il contratto di cessione ed i patti parasociali e quest’ultima si impegnava a corrispondere al Comune all’atto di cessione a Parmalat l’importo ,comprensivo della penale ,di lire 15 miliardi. L’atto aggiuntivo transattivo veniva stipulato in data 7 luglio 1999.


6.1 Preliminarmente all’esame dei singoli motivi d’appello, occorre soffermarsi sulla procedura seguita dal Comune di Roma per l’alienazione del pacchetto azionario relativo al 75% del capitale azionario della Centrale del Latte s.p.a.

L’alienazione delle partecipazioni azionarie dello Stato e degli enti pubblici sono disciplinate dal D.L. 31.5.1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.7.1994, n. 474.

L’art. 1, comma 1, stabilisce che alle suddette alienazioni non si applicano le norme di legge e di regolamento sulla contabilità generale dello Stato.

Il comma 2, nel testo anteriore alla modifica intervenuta con legge 24. 12.2003, n. 350, prevede che l’alienazione avvenga mediante offerta pubblica di vendita disciplinata dalla L. n. 149/1992 o mediante cessione delle azioni sulla base di trattative dirette con i potenziali acquirenti o mediante il ricorso ad entrambe le procedure e che la scelta circa la modalità da seguire venga effettuata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il comma 3 stabilisce che per la cessione a trattativa diretta della partecipazione in società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, specificamente individuate, il D.P.C.M. (per le società controllate direttamente) o la delibera dell’organo assembleare competente (per le società controllate indirettamente) possano prevedere, allo scopo di costituire un nucleo stabile di azionisti di riferimento , che la cessione sia effettuata invitando potenziali acquirenti ,dotati di idonea capacità imprenditoriale , ad avanzare , di concerto, offerte comprensive dell’impegno , da inserire nel contratto di cessione, di garantire determinate condizioni finanziarie, economiche e gestionali e che lo stesso contratto di cessione preveda, per un tempo determinato, il divieto di cessione della partecipazione, il divieto di cessione dell’azienda e la determinazione del risarcimento in caso di inadempimento ai sensi dell’art. 1382 del codice civile.

La Legge 15 maggio 1997, n. 127 (c.d. B – bis) ha previsto , all’art. 17 comma 51, la possibilità di trasformazione da parte dei Comuni , delle Province e degli altri enti locali delle aziende speciali in società per azioni con azionista unico, per un periodo massimo di due anni, specificamente allo scopo di procedere alla successiva alienazione della partecipazione azionaria ai sensi della L. n. 474/94 (comma 54) ovvero dell’art. 12 L. n. 498/1992 (comma 55).

6.2 Il Consiglio Comunale del Comune di Roma , con delibera n. 132/96, ha seguito le predette disposizioni, deliberando dapprima la trasformazione della Centrale del Latte in s.p.a. (c.d. privatizzazione formale) e, poi, scegliendo di procedere alla successiva alienazione del pacchetto azionario di maggioranza (c.d. privatizzazione sostanziale) con le modalità dettate dalla L. n. 474/94 ed, in particolare, attraverso la trattativa diretta.

Ha quindi fissato i vincoli- obiettivi consistenti nel:

- attribuire al Comune efficaci poteri di controllo e di indirizzo sull’attuazione del piano industriale;

- richiedere l’inserimento di clausole statutarie che prevedano maggioranze qualificate sulle scelte strategiche della s.p.a. e vincoli alla cessione delle azioni per un periodo non inferiore a cinque anni;

- impegnare l’amministrazione nell’individuazione di soggetti idonei e credibili per la creazione di un terzo polo agro alimentare legato alla zootecnia e al latte fresco locale con particolare attenzione alle Centrali del latte pubbliche.


6.3 Occorre, a questo punto, stabilire se tale modalità di cessione sia sottoposta alle regole dell’evidenza pubblica e ciò al precipuo scopo di giudicare sui motivi di appello che si incentrano sulla inapplicabilità del divieto di rinegoziazione alle procedure negoziali, proprio perché sottratte alle regole della selezione competitiva.

In merito, non può essere accolta la tesi secondo cui la trattativa diretta in questione sarebbe regolata alla stregua del diritto comune.

In favore della applicabilità della disciplina dell’evidenza pubblica militano, invero, numerosi argomenti.

6.3.1 Anche se l’art. 1, c.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi