Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-04-13, n. 201002036

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-04-13, n. 201002036
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201002036
Data del deposito : 13 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02408/2005 REG.RIC.

N. 02036/2010 REG.DEC.

N. 02408/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 2408 del 2005, proposto da T S, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso A C in Roma, viale Regina Margherita 290;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di Roma, Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato;
rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del TAR LAZIO -

ROMA :

Sezione I TER n. 13744/2003, resa tra le parti, concernente DINIEGO PERMESSO DI SOGGIORNO PER ASILO POLITICO.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Roma e di Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2010 il Cons. D C e uditi per le parti gli avvocati Casellato e l'avvocato dello stato Basilica.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza specificata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione I - ter, ha respinto il ricorso proposto dal sig. Sira Tapti, cittadino turco di etnia curda, moldavo, avverso il decreto del Questore di Roma in data 13.1. 2003, con il quale era stata respinta l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per asilo politico, dal medesimo presentata.

Tale provvedimento era stato adottato sulla base della determinazione assunta dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato in data 4.12,2002, la quale aveva ritenuto che non sussistessero i presupposti per attribuire lo status richiesto dall’interessato.

Il T.a.r. adito, nel respingere il gravame ha ritenuto nella sostanza che il provvedimento impugnato in prime cure costituiva atto dovuto strettamente esecutivo delle decisioni della Commissione predetta e privo quindi di qualsiasi discrezionalità.

2. Avverso tale sentenza viene interposto l’odierno appello, con il quale parte ricorrente, dopo avere premesso di avere impugnato innanzi al giudice ordinario il menzionato provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato politico e di avere impugnato innanzi al T.a.r. del Lazio il decreto di rifiuto del richiesto permesso di soggiorno, ha dedotto, a sostegno del gravame, che, ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 25.7.1998 n. 286, il questore non avrebbe potuto esimersi dal verificare “se, in relazione alla motivazione del non riconoscimento dello status di rifugiato”, sussistesse comunque il rischio ipotetico previsto dall’art. D.Lgs. n.286/98;
e se pertanto non potesse comunque essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 28 D.P.R. n.394/99”.

Ad avviso dell’appellante, quindi, diversamente da quanto ritenuto dal T.a.r. il provvedimento del questore, in quanto adottato sul presupposto della decisione negativa della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, non costituiva “un vero e proprio atto dovuto”, essendoci invece “un margine di discrezionalità” che nella specie sarebbe stato mal esercitato.

In subordine, l‘appellante ha sollevato, inoltre, la questione di costituzionalità dell’art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286/1998 in relazione agli artt. 13 e 24, Cost., che prevede il diritto di difesa in relazione a “tutti” e non ai soli “cittadini”.

Nel giudizio si è costituito il Ministero dell’interno che si è opposto all’accoglimento dell’appello

Con ordinanza in data 19 aprile 2005 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare.

In prossimità dell’esame nel merito del ricorso, l’appellante ha depositato memoria con cui ha ulteriormente illustrato le proprie difese introducendo profili non dedotti precedentemente, ed ha concluso, quindi, per l’accoglimento del gravame

3. La causa, infine, su richiesta delle parti, è stata assunta in decisione nella pubblica udienza del 16 febbraio 2010

DIRITTO

1.Ritiene preliminarmente il Collegio di non potersi pronunciare sulla questione di giurisdizione (in tal senso cfr. Cons. St., sez. VI, 21.5. 2007 n. 2550;
29.9.2009 n.5619);
e ciò in quanto nel caso in esame deve ritenersi formato il giudicato interno, giacché i primi giudici, decidendo nel merito, hanno implicitamente ritenuto sussistente la propria giurisdizione, e tale implicita statuizione deve ritenersi passata in giudicato, in mancanza di espresso appello sulla questione di giurisdizione da parte dell’interessato. Peraltro, sulla base di quanto recentemente statuito dalla Corte di Cassazione (cfr. Sez. un., 9.10. 2008 n. 24883), il principio di ragionevole durata del processo e l’affermato principio della “translatio judicii” nei rapporti tra diverse giurisdizioni esigono – come osservato anche nella citata decisione n.5619/09 della Sezione - un ridimensionamento delle modalità di eccezione e rilievo del difetto di giurisdizione, che non può essere dichiarato se il giudice di primo grado, pronunciandosi nel merito, ha implicitamente esaminato anche la presupposta questione di giurisdizione .

2. Nel merito, il ricorso in appello non è fondato.

2.1. Ed invero, quanto al quadro normativo di riferimento, giova rilevare che, ai sensi dell'art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 286/1998, non può disporsi in nessun caso “l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”;
che, peraltro, l'art. 28, comma 1, lett. d), del D.P.R.. n. 394/1999 prevede che, "quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno...per motivi umanitari, negli altri casi, salvo che possa disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare, una protezione analoga contro le persecuzioni di cui all'articolo 19, comma 1, del testo unico";
che, infine, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286/1998, "il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano".

Tale essendo il quadro normativo riferito alla questione oggetto della controversia, ritiene il Collegio, condividendo al riguardo la giurisprudenza più recente della Sezione, che sia dirimente nella specie la considerazione della tipicità dei titoli di permesso di soggiorno e dell’onere per chi lo chiede di indicare con chiarezza il tipo di permesso richiesto;
sicché, una volta chiesto il permesso di soggiorno per asilo politico e negato quest’ultimo, il diniego di tale tipo di permesso è un atto dovuto e consequenziale;
dal che la conseguenza che l’Amministrazione non può indagare di ufficio, in difetto di domanda di parte, se sussiste la possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno ad altro titolo;
e questo sulla base della considerazione che soltanto l’interessato è in grado di indicare quali sono i titoli di legittimazione a conseguire un diverso tipo di permesso di soggiorno (cfr., in tal senso, Cons. St. Sez. VI, n.5619/09 cit.).

2.2. In proposito, il precedente, apparentemente contrario, della Sezione (Cons. St., Sez. VI, 17.5. 2006 n. 2868) - richiamato anche dalla parte appellante nella propria memoria - è stato già interpretato in altra successiva pronuncia di questa stessa Sezione nel senso che la p.a. è tenuta a verificare la possibilità di rilascio del permesso di soggiorno ad altro titolo (es. per motivi umanitari) purché espressamente richiesta a tali fini, non potendo addebitare alla p.a. la ricerca dei dati fattuali e delle condizioni che consentono il rilascio di titoli abilitativi a permanere nel territorio nazionale (Cons. St., Sez. VI, 24.2.2009 n. 1083).

Siffatta valutazione va condivisa dal Collegio.

Ed invero, nel caso in esame, non risulta che il permesso di soggiorno sia stato chiesto ad altro titolo;
a ciò deve aggiungersi, peraltro, che nemmeno nel corso del giudizio attuale sono stati prospettati dall’interessato elementi idonei a comprovare la tesi della sussistenza di particolari di ragioni umanitarie.

2.3. La correttezza della soluzione a cui perviene ora il Collegio, sulla base della considerazioni che precedono e alla stregua della normativa vigente al momento della emissione del provvedimento impugnato in prime cure, sembra trovare conferma peraltro nello “jus superveniens”

Come evidenziato nella già richiamata decisione della Sezione n.5619/09, l’art. 32, comma 4, D.Lgs. n. 25/2008, nel testo ora vigente, dispone, infatti, che in caso di rigetto della domanda di asilo politico da parte della competente Commissione, sorge l'obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo;
spetta, inoltre, alla Commissione stessa, e non al Questore, valutare, qualora rigetti la domanda di protezione internazionale, se possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario: in tal caso la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 6, D. Lgs. n. 286/1998 (art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 25/2008).

Disciplina questa la quale conferma che, da una parte, il Questore, secondo la normativa applicabile al caso di specie “ratione temporis”, non ha il potere-dovere di accertare di ufficio la sussistenza di altri titoli di permesso di soggiorno, in difetto di motivata istanza di parte;
dall’altra, che, secondo la disciplina oggi vigente, il Questore stesso continua a non avere un potere di ufficio, una volta negato il diritto di asilo da parte della competente Commissione, di accertare un pericolo di persecuzione nello Stato di provenienza, o la sussistenza dei motivi umanitari (condizioni che vengono valutate dalla competente Commissione, per accordare, ove sussista il primo presupposto, la c.d. protezione sussidiaria (art. 17, d.lgs. n. 251/2007), e per segnalare, ove sussista il secondo presupposto, i motivi umanitari al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.4. Il Collegio, nel ribadire le statuizioni della pronuncia della Sezione da ultimo citata, deve disattendere quindi le argomentazioni, svolte per la prima volta in memoria, dall’appellante volte a criticare la formulazione dell’impostazione sopra accennata, perché, da una parte, sarebbe stato omesso il riferimento all’art.5 D.P.R. n.136 del 15.6.1990 e, dall’altra, perché la citata decisione n.5619/2009 non avrebbe tenuto conto di quanto la Corte di cassazione, statuendo sulla giurisdizione in materia, ha chiarito con ordinanza SS.UU. 19.5.2009 n.11535.

Ritiene, infatti, il Collegio che laddove, come nel caso in esame, vi sia una pronuncia della Commissione centrale, il ruolo e il rapporto del Questore nei confronti di tale Commissione non comportava, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, “precisi profili di valutazione politico- amministrativa che aprivano un margine di discrezionalità amministrativa”;
e ciò sulla base delle considerazioni sopra svolte, tenuto conto anche del fatto che nessuna domanda specifica era stata proposta dall’interessato, volta ad indicare eventuali titoli di legittimazione per conseguire un diverso tipo di permesso di soggiorno.

3. Per le considerazioni che precedono – disattesa, alla luce delle stesse, la richiesta di declaratoria, sollevata dall’interessato, di non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale dell’art.5, comma 6, D.Lgs. n.286 del 1998, in relazione agli artt. 13 e 24 Cost., con conseguente rimessione degli atti alla Corte Costituzionale – l’appello in esame deve essere dunque respinto.

Le oscillazioni della giurisprudenza, divenuta univoca solo recentemente, giustificano la compensazione, tra le parti, delle spese giudiziali.

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