Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-09-15, n. 200905526

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-09-15, n. 200905526
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200905526
Data del deposito : 15 settembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00380/2001 REG.RIC.

N. 05526/2009 REG.DEC.

N. 00380/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso in appello nr. 380 del 2001, proposto dal signor R R, rappresentato e difeso dall’avv. R I, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Lungotevere Marzio, 3,

contro

MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro “pro tempore”, rappresentato e difeso “ope legis” dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per l’annullamento e la riforma

della sentenza nr. 552, pubblicata l’8 luglio 2000 e notificata il 24 ottobre 2000, con cui il T.A.R. del Friuli – Venezia Giulia ha respinto il ricorso iscritto al nr. 310/93 di R.G. contro il provvedimento di cessazione per il ricorrente dal servizio per perdita del grado per rimozione.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione dell’Amministrazione appellata;

Vista la memoria prodotta dall’appellante in data 17 giugno 2009 a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 30 giugno 2009, il Cons. Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Izzo per l’appellante e l’avv. dello Stato Fabrizio Fedeli per l’Amministrazione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Il signor Roberto Rubini ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la sentenza con la quale il T.A.R. del Friuli – Venezia Giulia ha respinto il ricorso da lui proposto contro il provvedimento con il quale era stata disposta la sua cessazione dal servizio continuativo della Guardia di Finanza per perdita del grado per rimozione.

A sostegno dell’appello, egli ha dedotto:

1) l’erronea interpretazione e applicazione dell’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, nr. 19, con riguardo alla decorrenza del termine di 180 giorni ivi previsto per l’inizio del procedimento disciplinare nell’ipotesi in cui, come avvenuto nella specie, l’interessato sia stato già sottoposto, a seguito di condanna penale, alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici;

2) l’erroneità della sentenza impugnata anche con riguardo al mancato rispetto dell’ulteriore termine di 90 giorni, previsto dalla stessa norma per la conclusione del procedimento disciplinare.

Resiste il Ministero delle Finanze, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 30 giugno 2009, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

1. Viene all’attenzione della Sezione l’appello proposto dal signor Rob. R, già in servizio presso la Guardia di Finanza, avverso la sentenza del T.A.R. del Friuli – Venezia Giulia di reiezione del ricorso da lui proposto avverso il provvedimento con il quale il Comandante Generale della Guardia di Finanza ne ha disposto la cessazione dal servizio a seguito di perdita del grado per rimozione.

Tale provvedimento segue alla sentenza penale con la quale il signor R è stato condannato definitivamente a due anni e quattro mesi di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena principale;
il relativo procedimento amministrativo è stato avviato dall’Amministrazione, per vero, solo dopo le ulteriori pronunce con le quali, in applicazione di indulto, le pene principale e accessoria irrogate al signor R sono state condonate.

2. Con un primo motivo d’impugnazione, parte appellante reitera la doglianza, già articolata in primo grado, in ordine all’affermata erroneità dell’interpretazione dell’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, nr. 19 (ancorché, invero, nel ricorso introduttivo vi fosse un inesatto richiamo alla disciplina, non applicabile al caso di specie, del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, nr. 3), sulla cui base è stato avviato e portato a compimento il procedimento disciplinare poi sfociato nella sanzione impugnata.

In particolare, l’appellante si duole del mancato avvio del predetto procedimento nel termine perentorio di 180 giorni dal giorno in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza della sentenza definitiva di condanna, come disposto dal citato art. 9.

La doglianza è infondata.

Infatti, come già affermato da questo Consiglio di Stato, la disciplina di cui agli artt. 9 e 10 della legge nr. 19 del 1990 (e, pertanto, i termini ivi previsti) non viene in rilievo con riguardo all’ipotesi in cui, come nel caso di specie, la sentenza penale di condanna abbia inflitto anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, in virtù della fondamentale considerazione che, a fronte di una determinazione giudiziale che recide in modo radicale il rapporto di servizio, non è coerente che all’Amministrazione venga dato il potere di adottare una autonoma misura disciplinare che, se non coincidente con la destituzione, sarebbe “inutiliter data”;
di conseguenza, deve ritenersi che - laddove la pena accessoria venga meno (per riabilitazione, ovvero a seguito di indulto come nella presente fattispecie) - rivive il potere disciplinare, e i termini di cui al citato art. 9 cominciano a decorrere dalla data in cui l’Amministrazione viene a conoscenza del provvedimento giudiziale che fa venir meno la destituzione “ex lege” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 giugno 2003, nr. 3675).

In tal senso ha correttamente argomentato anche il giudice di prime cure, affermando il legittimo avvio del procedimento disciplinare nei confronti dell’odierno appellante a seguito dell’applicazione dell’indulto e del conseguente venir meno della pena accessoria che aveva interrotto il suo rapporto di servizio.

3. Con ulteriore censura, l’appellante lamenta che il primo giudice non avrebbe tenuto conto, al di là degli inesatti richiami normativi contenuti nel ricorso, dell’ulteriore profilo di illegittimità – comunque ravvisabile – consistente nel mancato rispetto del diverso termine di novanta giorni previsto dallo stesso art. 9 della legge nr. 19 del 1990 per la conclusione del procedimento disciplinare.

Il motivo è inammissibile, essendo stato articolato per la prima volta nel presente grado di appello.

Ed invero, dalla lettura del ricorso di primo grado è agevole evincere che le uniche doglianze in tale sede articolate dal signor R afferivano al mancato rispetto del termine di legge per l’avvio del procedimento, mentre nessun rilievo veniva svolto in ordine al diverso termine previsto per la sua conclusione: tale dato emerge con chiarezza, e non è inficiato dagli impropri richiami normativi contenuti nel ricorso (improprietà che – lo si ribadisce – riguardavano sempre e comunque, ed esclusivamente, il termine di inizio del procedimento, cui le censure erano riferite).

4. Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.

5. Sussistono comunque giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

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