Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-04-13, n. 202303738

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-04-13, n. 202303738
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303738
Data del deposito : 13 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2023

N. 03738/2023REG.PROV.COLL.

N. 07738/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7738 del 2021, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato L S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Ministero dell’Interno e la Questura di Milano, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata a Roma, in via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tar Lombardia, sede di Milano, sez. I, n. -OMISSIS-, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso i provvedimenti della Questura di Milano concernenti la sospensione e la successiva revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il signor -OMISSIS- è stato denunciato dai Carabinieri di -OMISSIS- (GE) per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, ex art. 186, co. 2, Codice della Strada, perché in data 10 giugno 2018 è stato fermato mentre era alla guida del proprio ciclomotore e, sottoposto ad alcol test, ha dato esito positivo con tasso di 1,40 g/l 1^ e 1,47 g/l 2^ prova.

Per tale accadimento, con provvedimento della Questura di Milano del 21 agosto 2018, è stata sospesa all’interessato la licenza di porto di fucile in attesa dell’esito del procedimento penale. In particolare, l’Amministrazione ha ritenuto i fatti comportamentali ascritti al signor -OMISSIS- sintomatici di scarso senso di responsabilità e prudenza, esponendo se stesso e soprattutto la collettività ai pericoli di una guida in stato di alterazione e tale da indurre l’Amministrazione a nutrire forti dubbi circa il possesso in capo allo stesso dei necessari requisiti di completa affidabilità, indispensabili per essere titolare di autorizzazioni di polizia in materia di armi.

2. Con atto introduttivo del giudizio proposto dinanzi al Tar Milano, l’interessato ha impugnato tale provvedimento, deducendo il difetto di motivazione e di istruttoria e la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento del danno ingiusto subito.

3. Con provvedimento del 16 settembre 2019, la Questura di Milano ha revocato il proprio precedente provvedimento del 21 agosto 2018 ed ha contestualmente revocato la licenza di porto di fucile. In particolare, la decisione ha tratto fondamento dalla circostanza che il procedimento penale a carico dell’interessato è stato definito con sentenza di patteggiamento della pena su richiesta delle parti, consistente nell’arresto di venti giorni, sostituiti con lavori di pubblica utilità.

4. Con successivo atto per motivi aggiunti, il signor -OMISSIS- ha avversato anche tale ultimo provvedimento deducendo che il reato addebitato allo stesso non sarebbe di per sé significativo del pericolo di abuso delle armi e che la condotta tenuta in oltre dieci anni di regolare possesso di porto d’armi sarebbe stata irreprensibile, non avendo mai denotato atteggiamenti e condotte che potessero far ritenere sussistente l’abuso delle armi.

5. Con sentenza n. -OMISSIS- il Tar Milano ha respinto il ricorso ritenendo il provvedimento basato su puntuali elementi istruttori e recante una motivazione che, anche mediante il rinvio alle decisioni penali, consente di percepire le ragioni fattuali e giuridiche della determinazione assunta, in coerenza con l’art. 3 della l. n. 241 del 1990.

6. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 2 settembre 2021 e depositato il successivo 7 settembre contestando che il giudice di prime cure si sarebbe sostituito all’Amministrazione nell’integrare la motivazione provvedimentale e, altresì, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata. Non è stata, invece, riproposta la richiesta di risarcimento del danno.

7. Con ordinanza n. -OMISSIS-, rilevata l’erronea notifica del ricorso in appello all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, anziché alla Avvocatura Generale dello Stato, la Sezione ha assegnato all’appellante un termine di venti giorni per procedere al rinnovo della notifica all’Avvocatura Generale dello Stato.

8. In data 28 novembre 2022 l’appellante ha ritualmente notificato il ricorso, depositando la prova dell’avvenuto adempimento.

9. A seguito del rinnovo della notifica, in data 5 dicembre 2022, il Ministero dell’Interno e la Questura di Milano si sono costituiti in giudizio senza espletare difese scritte.

10. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, oggetto della controversia è il provvedimento del Questore di Milano che ha revocato al signor -OMISSIS- la licenza di porto di fucile per uso caccia in considerazione della circostanza che lo stesso è stato condannato con sentenza di patteggiamento della pena su richiesta delle parti per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, ex art. 186, co. 2, Codice della Strada. Tale provvedimento, impugnato con l’atto di motivi aggiunti in prime cure, ha integralmente sostituito il precedente provvedimento di sospensione della licenza in parola in attesa della definizione del procedimento penale, sicché è su tale atto che deve incentrarsi il presente giudizio.

2. Con il primo motivo di ricorso, l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza del primo giudice atteso che quest’ultimo si sarebbe sostituito all’Amministrazione integrando la motivazione provvedimentale ed estendendola sino alla valutazione del comportamento dell’interessato e della sua rilevanza rispetto all’esercizio del potere esercitato dalla Questura.

La doglianza è infondata.

Invero, il provvedimento questorile del 16 settembre 2019, dopo aver ripercorso le tappe del procedimento penale a carico del signor -OMISSIS-, ha esplicitamente esternato che “i fatti comportamentali posti in essere dall’interessato nella vicenda di cui sopra, denotano scarso senso di responsabilità, avendo esposto se stesso e soprattutto la collettività ai pericoli di una guida in stato di alterazione, e sono tali da indurre a ritenere che il predetto non sia in possesso dei requisiti di assoluta affidabilità e buona condotta, indispensabili per essere titolare di autorizzazioni di polizia in materia di armi”.

Pertanto, dopo aver fondato il provvedimento sulla condanna riportata dall’appellante, è lo stesso Questore che ha indagato la condotta dell’interessato, evidenziando che la stessa ha dimostrato scarso senso civico e rispetto per la legalità.

Il giudice di prime cure si è, invece, limitato ad analizzare compiutamente i fatti posti a fondamento del decreto al fine di verificare se il potere attribuito all’Autorità amministrativa fosse stato correttamente esercitato o presentasse elementi di irragionevolezza o di erronea assunzione dei fatti, giungendo alla conclusione che “il provvedimento impugnato dà atto in maniera corretta dell’esito penale della complessiva vicenda e, lungi dall’introdurre meccanismi automatici in dipendenza delle decisioni penali, considera i fatti nella loro oggettiva materialità, evidenziandone, per la loro concreta consistenza, il carattere sintomatico dell’inaffidabilità del ricorrente”.

Siffatta valutazione rientra pienamente nei margini in cui può estendersi il sindacato giurisdizionale che, ai fini di una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, è chiamato a vagliare in maniera approfondita l’esistenza dei fatti al fine di apprezzare o meno la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale compiuta dall’Amministrazione.

Con gli ulteriori motivi di gravame – che possono esaminarsi congiuntamente data la comunanza delle questioni – l’appellante ha riproposto i motivi introdotti in prime cure con l’atto di motivi aggiunti, deducendo in particolare il difetto di motivazione e di istruttoria, l’occasionalità dell’episodio su cui si è basata la revoca, la mancata valorizzazione dell’estinzione del reato e della condotta di vita tenuta dall’interessato nel corso degli anni di regolare possesso del porto d’armi e la non pertinenza della normativa richiamata nel provvedimento.

Principiando da tale ultimo profilo, va premesso che la materia del rilascio del porto d’armi è disciplinata dagli artt. 11 e 43 di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, espressamente richiamati nel provvedimento per cui è causa.

Il legislatore nella materia de qua affida all’Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all’affidamento che il soggetto richiedente può dare.

Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti».

Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che «deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi».

La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972;
7 giugno 2018, n. 3435).

Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici.

Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l’Amministrazione compie nell’adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso. La peculiarità deriva dal fatto che, stante l’assenza di un diritto assoluto al porto d’armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell’arma per attività di diporto o sportiva.

L’apprezzamento discrezionale rimesso all’Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene o aspira a ottenere il porto d’armi. A tal fine, l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo di abuso delle armi, che deve essere desunta da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di abuso delle armi è valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di abuso delle armi.

È in questa prospettiva, anticipatoria della difesa della legalità, che si collocano i provvedimenti con cui l’Autorità di pubblica sicurezza vieta la detenzione di armi, ai quali infatti viene riconosciuta natura cautelare e preventiva (ex multis, Cons. St., sez. III, 2 dicembre 2021, n. 8041). Ne è prova il costante orientamento di questa Sezione, secondo cui l’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, addirittura senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814).

Così ricostruita la normativa di riferimento e il tipo di valutazione cui è chiamata l’Autorità competente, ritiene il Collegio che la prognosi inferenziale compiuta dalla Questura di Milano resista al vaglio di questo Giudice. Infatti, nel caso in esame, la valutazione negativa di affidabilità del soggetto circa l’uso corretto delle armi e la conseguente revoca della licenza di porto di fucile è stata legittimamente ancorata a fatti che giustificano la prognosi di possibile abuso dell’arma.

Come già affermato dalla Sezione in analogo caso (cfr. 20 gennaio 2023, n. 733) assume rilievo dirimente, ai fini del sindacato di legittimità del decreto questorile, la circostanza che l’appellante si sia messo alla guida in stato di ebbrezza, così denotando una scarsa capacità di autodominio, nonché esponendo sé stesso e gli altri consociati incolpevoli utenti della strada a pericoli considerevoli. Siffatto accadimento supporta adeguatamente il giudizio di pericolosità sociale nei confronti dell’interessato per l’ordine e la sicurezza pubblica, avendo l’Amministrazione la possibilità di trarre argomenti prognostici di segno negativo anche da reati che, per la loro consumazione, non richiedono necessariamente l’uso delle armi, denotando la guida in stato di ebbrezza la carenza dell’autocontrollo necessario per maneggiare con sicurezza armi.

Pertanto, ben può la motivazione provvedimentale fondarsi solo su un singolo episodio di guida in stato di ebbrezza, atteso che la stessa costituisce condotta in sé potenzialmente non poco pericolosa per la sicurezza pubblica, un parametro di certo particolarmente pertinente ai fini della valutazione di affidabilità del richiedente, affidabilità intesa principalmente come autocontrollo e senso di responsabilità, cioè come capacità di governare le proprie azioni e di prevederne ogni possibile conseguenza.

Né può rilevare l’assenza della prova di un abuso nell’utilizzo delle sostanze alcoliche, atteso che il giudizio di affidabilità nell’uso delle armi di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza non è assorbito nel preliminare accertamento dell’idoneità psico-fisica effettuato a cura delle strutture sanitarie, ma comprende le più ampie valutazioni discrezionali, sopra evidenziate, dell’amministrazione (Cons. St., sez. III, 29 dicembre 2022, n. 11540).

Inoltre, correttamente il Tar Milano ha ritenuto che l’intervenuta estinzione del reato per lo svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità – circostanza espressamente presa in considerazione nel decreto impugnato – ottenuta con ordinanza del Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale di Genova del 31 maggio 2019, non sia idonea a scalfire le valutazioni effettuate dalla Questura, potendo l’autorità amministrativa comunque valorizzare, nella loro oggettività, i fatti di reato concretamente avvenuti per desumerne la pericolosità o, comunque, la non completa affidabilità di colui che li ha commessi, come ha avuto luogo nel caso di specie.

In definitiva, nell’esercizio della ampia discrezionalità di cui è titolare, l’autorità di sicurezza pubblica ha ampiamente valutato la possibile inaffidabilità all’uso delle armi di chi – come l’appellante – è stato sorpreso e sanzionato per guida in stato di ebrezza, comportamento che sempre più viene considerato dall’ordinamento possibile causa di gravi eventi lesivi per l’intera collettività, dinanzi al quale l’interesse ad ottenere il porto d’armi è stato ragionevolmente ritenuto comprimibile.

3. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

L’assenza di difese scritte da parte delle Amministrazioni appellate giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

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