Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-05-17, n. 201202878

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-05-17, n. 201202878
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201202878
Data del deposito : 17 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04597/2000 REG.RIC.

N. 02878/2012REG.PROV.COLL.

N. 04597/2000 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4597 del 2000, proposto da E P, rappresentato e difeso dagli avv. U F e L D, con domicilio eletto presso U F in Roma, piazza dei Prati degli Strozzi N 21;

contro

U.L.S.S./10 Veneto Orientale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. P Z, con domicilio eletto presso Giovanna Fiore in Roma, via degli Scipioni N.94;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO – Venezia - sezione I n. 228/2000, resa tra le parti, concernente il provvedimento di destituzione del dipendente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2012 il Cons. Vincenzo Neri e uditi per le parti gli avvocati Ierardi, su delega di Flamini, e Zanardi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza 26 gennaio 2000 n.228 il TAR per il Veneto rigettava il ricorso avverso la deliberazione del direttore generale 31 luglio 1996 n. 967 con la quale era stata irrogata all’odierno appellante la sanzione disciplinare della destituzione.

Il TAR tra l’altro rilevava:

- che il ricorrente era stato sottoposto a procedimento disciplinare per appropriazione di somme riscosse a titolo di diritti sanitari ed era già stato destituito con provvedimento del 14 febbraio 1989;

- che con sentenza n. 988/1996 l'atto da ultimo citato era stato annullato perché l'amministrazione non aveva sospeso il procedimento disciplinare nelle more della definizione del procedimento penale;

- che, conclusosi il procedimento penale con sentenza di patteggiamento ai sensi dell'articolo 444 codice di procedura penale, l'amministrazione aveva nuovamente destituito l'odierno appellante;

- che dovevano considerarsi infondate le censure incentrate sulla violazione delle norme procedimentali in materia disciplinare, sulla mancata comunicazione dell'avvio del procedimento ex articolo 7 legge 241 / 1990, sulla tardività dell'avvio del procedimento nonché sul mancato rispetto del termine di 180 giorni, ai sensi della legge 19/1990 dalla sentenza penale di patteggiamento.

Nei confronti della decisione di primo grado il dipendente proponeva appello e successivamente, con ulteriore ricorso, avanzava motivi aggiunti insistendo per la riforma della decisione di primo grado.

Con memoria del 19 giugno 2000 si costituiva l'amministrazione eccependo la tardività dell'appello in considerazione del fatto che la sentenza era stata notificata al procuratore costituito nel domicilio eletto in data 25 febbraio 2000 e che l’atto di impugnazione era stato notificato all'amministrazione in data 28 aprile 2000 e, dunque, oltre il termine di 60 giorni previsto dalla legge.

L'amministrazione sanitaria, con successiva memoria del 27 febbraio 2012, pur insistendo per il rigetto dell'impugnazione predetta, rinunciava all’eccezione di irricevibilità nei confronti del solo appello principale.

Indi, sulle memorie e sulle conclusioni delle parti, all'udienza pubblica del 30 marzo 2012 l'appello passava in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente rilevato che l'amministrazione ha rinunciato all'eccezione di irricevibilità dell'appello principale proposta con la memoria del 19 giugno 2000;
deve tuttavia precisarsi che il ricorso è ricevibile perché dalla documentazione emerge che la sentenza è stata notificata al ricorrente in primo grado in data 25 febbraio 2000 e che l'appello è stato consegnato all'ufficiale giudiziario per la notifica alla controparte in data 26 aprile 2000 e, dunque, entro il termine di sessanta giorni previsto per la notifica degli atti di impugnazione.

2. Sempre in via preliminare occorre esaminare la tempestività dei motivi aggiunti di appello proposti con notifica alla controparte il 18 luglio 2000. Si tratta di atto con il quale l’odierno appellante deduce ulteriori censure nei confronti della sentenza già impugnata e, per tale ragione, risultando dal fascicolo che la sentenza di primo grado -- su richiesta del difensore dell'amministrazione interessata -- è stata notificata al difensore del Pto, come già detto, in data 25 febbraio 2000 non v'è dubbio che i predetti motivi aggiunti devono essere dichiarati irricevibili per tardività risultando decorso il termine di sessanta giorni previsto dalla legge dal momento della notifica della sentenza di primo grado.

3. L’interessato censura la sentenza del Tar perché avrebbe ritenuto applicabile il d.p.r. 3/1957, laddove, a suo giudizio, ciò sarebbe sbagliato " dal momento che il procedimento disciplinare venne rifatto ex novo dopo l'entrata in vigore delle norme transitorie del CCNL del comparto Sanità del 1985 atteso che il precedente provvedimento di destituzione era stato annullato dal Tar del Veneto con sentenza 15. 5. 96 n. 988/96. Andava perciò rispettata la norma procedimentale in materia disciplinare entrata in vigore dopo il 1985 ”.

3.1. Tale doglianza viene riproposta anche nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica del 30 marzo 2012 e, in particolare, alle pagine 6-9.

In via generale occorre ricordare che per la giurisprudenza del Consiglio di Stato sono inammissibili le censure dedotte in memoria non notificata alla controparte sia nell’ipotesi in cui risultino completamente nuove e non ricollegabili ad argomentazioni espresse nel ricorso introduttivo sia quando, pur richiamandosi ad un motivo già ritualmente dedotto, introducano elementi sostanzialmente nuovi, ovvero in origine non indicati, con conseguente violazione del termine decadenziale e del principio del contraddittorio, essendo affidato alla memoria difensiva il solo compito di una mera illustrazione esplicativa dei precedenti motivi di gravame senza possibilità di ampliare il thema decidendum (Cons. St., V, 12 maggio 2011 n. 2825). Conseguentemente la censura relativa al fatto che occorresse la contestazione scritta entro venti giorni dalla conoscenza del fatto, quella concernente il soggetto competente ad adottare l’atto di licenziamento e in generale le violazioni asseritamente riscontrate e proposte con la predetta memoria del 28 febbraio 2012 devono essere dichiarate inammissibili sia perché non è possibile considerarle come mera esplicazione dei motivi di appello – essendosi limitato quest’ultimo a dedurre genericamente l’applicazione di un contratto collettivo del 1985 – sia perché non erano state proposte nel ricorso di primo grado (in tale ultimo atto, a pagina tre, il ricorrente si era limitato a dedurre che il provvedimento impugnato non rispettava la procedura prevista dal “Provvedimento Presidente Consiglio dei Ministri 4/8/95”).

3.2. Nel merito, e riferendosi a quanto dedotto in appello, come esattamente rilevato dall'amministrazione, il contratto collettivo di cui era stata invocata la violazione non risale al 1985 bensì al 1995;
tale circostanza emerge per tabulas dal ricorso proposto in primo grado ove si fa riferimento al "regolamento di disciplina voluto dal Provvedimento Presidente Consiglio dei Ministri del 4/8/95" (si veda pagina tre del ricorso proposto avanti al Tar) e dunque proprio al D.P.C.M. 4 agosto 1995 adottato a seguito della registrazione in data 23 agosto 1995 da parte della Corte dei Conti del testo concordato del CCNL del comparto Sanità.

Per altro verso occorre rilevare che deve condividersi l'affermazione per cui al procedimento disciplinare che ha interessato l'odierno appellante andavano applicate le norme vigenti prima dell'entrata in vigore del contratto collettivo in questione perché gli addebiti risalgono agli anni ‘80 ed il procedimento disciplinare era stato intrapreso il 19 agosto 1988 con la contestazione degli addebiti e, dunque, doveva essere portato a termine con le procedure vigenti alla data del suo inizio;
né in senso diverso può rilevare l’annullamento del precedente provvedimento (finale) di destituzione.

4. Sempre a pagina sei dell'atto appello si trova affermato che il Tar del Veneto " sottolinea infatti che nel telegramma del 16.7.96 difetterebbe l'indicazione dell'ufficio ove è possibile prendere visione degli atti, ricollegandola ad una semplice irregolarità ".

La tesi seguita dal Giudice di primo grado non appare erronea perché si deve tenere conto dell'esigenza di un'interpretazione ed applicazione non meccanica né formalistica delle norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo di cui agli artt. 7 e 10, l. n. 241 del 1990.

Il raggiungimento della finalità partecipativa o l'impossibilità di incidere — con la partecipazione — sul contenuto del procedimento, sono stati considerati esimenti sufficienti ai fini della validità del provvedimento adottato senza la pedissequa osservanza delle norme citate o anche in totale assenza della comunicazione (Cons. St., VI, 24 settembre 2010, n. 7123).

5. Passando ora ad esaminare le affermazioni contenute nei successivi tre capoversi della pagina sei dell'atto d'appello, l’interessato rileva che il TAR non ha considerato tardivo l'avvio del procedimento, ha affrontato "in modo erroneo il mancato rispetto del termine di 180 giorni ex Legge 19/90" e ha considerato l’annullamento dell’atto di destituzione “quale sospensione del procedimento e non di annullamento di tutto quanto vi era a monte”. Tuttavia nell’impugnazione non si spiega adeguatamente sulla base di quali argomenti la decisione sarebbe erronea e conseguentemente deve essere dichiarata l’inammissibilità di tali censure. Le ulteriori deduzioni proposte al riguardo con la memoria del 28 febbraio 2012 sono inammissibili perché tendenti a proporre nuove doglianze e non già ad ampliare censure già proposte.

Solo incidentalmente – e sempre al fine di dare una compiuta definizione della fattispecie – va rilevato che non sussiste la violazione dell’articolo 9 l. 19/1990 sia perché oggetto dell’impugnazione in primo grado era l’atto di destituzione e non quello di sospensione cautelare dal servizio sia perché il termine di centottanta giorni decorre dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e non già dal momento in cui l’amministrazione ha conoscenza dell’esistenza del procedimento penale. Quanto infine alla natura della sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, occorre ricordare che il c.d. patteggiamento, di cui agli artt. 444 e 445 c.p.p., non prescinde dall'accertamento della responsabilità penale dell'imputato, in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la pronuncia di patteggiamento se ritiene ricorrano le condizioni per il proscioglimento perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non lo ha commesso ovvero perché il fatto non costituisce reato;
pertanto, se è vero che ai fini del giudizio disciplinare il patteggiamento non è da solo sufficiente per affermare la responsabilità dell'incolpato, è anche vero che si può fare legittimo riferimento alla condanna patteggiata per ritenere accertati, in sede disciplinare, i fatti emersi nel corso del procedimento penale, i quali appaiano fondatamente ascrivibili al dipendente, in base ad un ragionevole apprezzamento delle altre risultanze del procedimento, con la conseguenza che, nel caso in cui la sentenza penale di condanna segue alla richiesta delle parti, non è applicabile il termine di 90 giorni posto dell'art. 9 comma 2 l. 7 febbraio 1990 n. 19 per la conclusione del procedimento penale, ma la disciplina generale prevista dal t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 (Cons. St., IV, 12 aprile 2011, n. 2272).

6. In conclusione l’appello principale deve essere respinto mentre quello per motivi aggiunti va dichiarato irricevibile. Alla soccombenza segue la condanna di parte appellante al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi € 2.000 (€ duemila /00) oltre IVA e CP se dovute.

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