Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-04-20, n. 201802396

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-04-20, n. 201802396
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802396
Data del deposito : 20 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/04/2018

N. 02396/2018REG.PROV.COLL.

N. 05942/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 5942 del 2016, proposto dal signor F T P, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Regina Margherita, 290;

contro

Comune di Monterotondo, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato R V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via C. Fracassini,18;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione II Bis , n. 5898 del 19 maggio 2016, resa tra le parti, concernente mancata conclusione procedimento espropriativo e adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art.42 bis d.P.R. n. 327/2001.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Monterotondo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il consigliere D D C e uditi per le parti gli avvocati Corrado Orienti (su delega dell’avvocato A C) e Giuseppe Misserini (su delega dell’avvocato R V);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia riguarda il ricorso, proposto dal signor F T P, per l’annullamento della determinazione del direttore generale del comune di Monterotondo n. 15799 del 16 aprile 2013, nonché (mediante ricorso per motivi aggiunti) della presupposta (all’epoca, non conosciuta) determinazione del responsabile del Servizio Entrate – Patrimonio e Casa n. 72 del 17 gennaio 2007.

1.1. In particolare, la prima determinazione aveva ad oggetto il diniego dell’istanza, presentata dal signor Tedeschi, volta a sollecitare la restituzione delle aree di sua proprietà (censite in Catasto al foglio 41, particelle 136 e 548), ovvero, in alternativa, l’adozione del provvedimento di acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001, con correlativa corresponsione dell’indennità per il danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

1.1.1. Il comune motivava il diniego sul rilievo dell’intervenuta formazione, tra le parti, di un giudicato (la sentenza della Corte di Cassazione n. 3909 del 17 dicembre 2011, che confermava la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 4467 del 18 ottobre 2004, che a sua volta riformava la sentenza del Tribunale civile di Roma n. 11730 del 26 marzo 2001) riguardante l’acquisizione, in capo al comune, per accessione invertita, delle dette aree.

1.2. La seconda determinazione impugnata, invece, concerneva la formale acquisizione, al patrimonio indisponibile comunale, delle aree in questione ex art. 43 t.u. espr.

2. Il T.a.r. per il Lazio, Roma, Sezione II bis, alla camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare, pronunciava la sentenza n. 5898 del 19 maggio 2016, definendo il merito della controversia ai sensi dell’art. 60 c.p.a.:

a) respingeva il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti sul rilievo dell’intervenuta formazione del giudicato civile sulla vicenda, ostativo all’applicazione della nuova disciplina legislativa, per essersi, definitivamente esaurito, il relativo rapporto giuridico;

b) condannava il ricorrente alla refusione, in favore del comune, delle spese di lite liquidate in euro 1.500,00.

2. Il signor P appellava la sentenza, deducendo le seguenti censure:

2.1. “ Violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. – Travisamento – Difetto di motivazione ”. Assumeva che nessun giudicato, nemmeno implicito, fosse intervenuto sulla presunta “accessione invertita”, giacché tutte le sentenze pronunciate sulla vicenda (Tribunale di Roma n. 11730 del 26 marzo 2001;
Corte di Appello di Roma n. 4467 del 18 ottobre 2004;
Cassazione civile n. 3909 del 17 febbraio 2011) riguardavano la condanna dell’amministrazione comunale alla corresponsione, in suo favore, del risarcimento del danno per l’occupazione illegittima delle aree, a far data dal 15 giugno 1993 (data di scadenza dell’occupazione legittima disposta con delibera comunale n. 52 del 18 marzo 1983, poi prorogata trattandosi di opere di edilizia residenziale pubblica) e fino all’effettivo soddisfo.

2.2. “ Violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la legge 4 agosto 1955, n. 848 e s.m.i. – Violazione dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 – Erroneità dei presupposti – Difetto di motivazione ”.

Assumeva che, in ogni caso, l’eventuale statuizione sull’avvenuta formazione della “accessione invertita” sarebbe stata tamquam non esset , per le seguenti ragioni:

a) l’art. 1 del Protocollo addizionale alla C.e.d.u. qualifica come fatto illecito, e dunque, vietata, ogni forma di acquisizione della proprietà privata, anche comportante irreversibile trasformazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, al di fuori di un procedimento amministrativo esitante in un provvedimento formale ( cd. buona e debita forma);

b) l’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001, introdotto a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del medesimo d.P.R. (Corte costituzionale n. 293/2010), trova applicazione (anche) ai fatti accaduti anteriormente alla riforma, e dunque anche con riferimento all’occupazione de qua ;

c) la sostanziale equiparazione della C.e.d.u. ai Trattati istitutivi dell’Unione Europea, sicché ogni violazione dei diritti fondamentali della Carta obbligherebbe il giudice interno, allo stesso modo del caso in cui vi fosse violazione del diritto dell’Unione, a disapplicare la norma interna incompatibile, ivi compresa quella concernente l’(eventuale) passaggio in cosa giudicata della sentenza resa tra le parti (art. 2909 c.c.);

2.3. “ Violazione degli artt. 324 e 327 c.p.c.;
dell’art. 58 della legge n. 69 del 18 giugno 2009 – Travisamento ed erroneità della motivazione
”.

Assumeva che, in ogni caso, al momento della novella introdotta con l’art. 42 bis cit., nessun giudicato si era formato, per le seguenti ragioni:

a) la sentenza della Cassazione n. 3909 è stata pubblicata il 17 febbraio 2011;

b) trattandosi di giudizio instaurato prima del 18 giugno 2009 (art. 58, legge n. 69/2009), il termine per il passaggio della sentenza in cosa giudicata formale sarebbe venuto a scadere dopo un anno dalla pubblicazione della pronuncia, ossia – computato anche il periodo di sospensione feriale dei termini – il 2 aprile 2012;

c) il decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011 è entrato in vigore, pertanto, ben prima che la sentenza civile passasse in giudicato.

3. Il comune di Monterotondo si costituiva chiedendo il rigetto dell’avverso gravame, vinte le spese di lite.

4. Il solo appellante depositava in data 19 gennaio 2018 la memoria difensiva integrativa.

5. All’udienza camerale del 15 settembre 2016, fissata per la discussione dell’incidente cautelare, le parti concordemente rinunciavano alla trattazione della stessa in vista della sollecita fissazione dell’udienza di merito.

6. All’udienza pubblica del 22 febbraio 2018 la causa veniva discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.

7. L’appello è infondato e non merita accoglimento per i seguenti motivi.

7.1. In via del tutto preliminare, ai fini di un migliore inquadramento giuridico dei fatti processuali occorsi, va brevemente ricostruita la vicenda giudiziaria svoltasi, attraverso tre gradi di giudizio, dinanzi all’autorità giurisdizionale ordinaria, come risultante dalle sentenze civili versate agli di causa:

a) il Tribunale civile di Roma, Sezione III ter, con la sentenza n. 11730 del 26 marzo 2001 ha:

a.1) accolto la domanda proposta dal signor P nei confronti del comune di Monterotondo per il risarcimento del danno da accessione invertita;

a.2) liquidato il danno per la definitiva perdita delle aree e per la mancata disponibilità delle stesse durante il periodo dell’illegittima occupazione, secondo il valore venale ai prezzi di mercato;

a.3) stimato detto valore, previo esperimento di c.t.u., in lire 90.435 al mq, e così per un totale complessivo di lire 190.638.395;

a.4) liquidato sulla detta somma, altresì, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dal 1 gennaio 1998 e fino al soddisfo.

b) La Corte di Appello di Roma, Sezione I, con la sentenza n. 4467 del 18 ottobre 2004 ha riformato l’anzidetta pronuncia statuendo che:

b.1) tra le parti era stata pronunciata, dal Tribunale civile di Roma in data 10 luglio 1991, una sentenza sulla domanda azionata dal signor P per la liquidazione, a carico del comune di Monterotondo, dell’indennità per il periodo di legittima occupazione;

b.2) detta pronuncia, nel liquidare la somma dovuta a tale titolo, aveva accertato anche il valore venale delle aree al prezzo di mercato, stabilito in lire 6.085 al mq, e così per un totale complessivo di lire 14.569.200;

b.3) in forza del passaggio in cosa giudicata dell’anzidetta sentenza, avente efficacia di cd. giudicato esterno, l’accertamento ivi contenuto in relazione al valore venale delle aree, non avrebbe potuto essere negato dal Tribunale di Roma, a motivo del fatto che la prima stima si configurava come presupposto logico-giuridico indefettibile non solo della statuizione sull’indennità, ma anche di quella del danno, siccome fatto essenziale comune ad entrambe le domande;
né erano intervenute, successivamente al periodo oggetto della prima stima (1983-1988) variazioni nei fattori di stima alla data dell’ottobre 1993, quando si era verificata l’accessione invertita;

b.4) ricalcolato l’importo dovuto secondo i parametri di stima contenuti nella sentenza del luglio 1991, passata in giudicato;

b.5) per l’effetto, condannato il comune al pagamento della minore somma di complessive lire 14.569.200, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal 15 giugno 1988.

c) La Corte di cassazione, Sezione I, con la sentenza n. 3909 del 17 febbraio 2011 ha rigettato il ricorso, ritenendo correttamente pronunciata la sentenza resa dalla Corte di Appello.

8. Ciò premesso, giova ora ricordare il fondamentale arresto cui è pervenuto, in materia di occupazione sine titulo , il Consiglio di Stato.

8.1. L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 2 del 2016, ha ricostruito in termini chiarissimi il quadro dei principi che, successivamente all’ordinanza di rimessione di questa Sezione, sono stati elaborati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 71 del 2015), dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (decisioni n. 735 del 19 gennaio 2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato stesso (sentenze Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015;
n. 4403 del 21 settembre 2015;
n. 3988 del 26 agosto 2015;
n. 2126 del 27 aprile 2015;
n. 3346 del 3 luglio 2014), all’interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ( ex plurimis e da ultimo, con riferimento all’ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, 3 giugno 2014, Rossi e Variale;
Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci;
Sez. II, 5 giugno 2012, Immobiliare Cerro;
Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso;
Sez. II, 6 marzo 2007, Scordino;
Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta;
Sez. II, 17 maggio 2005, Scordino;
Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera;
Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura).

8.2. La Plenaria, in particolare, dopo avere ricordato che la condotta illecita dell’amministrazione, quale che sia stata la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), non può comportare l’acquisizione del bene medesimo, giacché essa configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c., ha precisato che la suddetta condizione di illiceità può cessare solo in conseguenza:

a) della restituzione del fondo;

b) di un accordo transattivo;

c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;

d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014);

e) di un provvedimento emanato ex art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001, solo impropriamente definito “acquisizione sanante”.

8.3. Nel caso di specie, per tutto quanto sopra esposto in relazione al contenuto delle sentenze rese dal giudice civile, deve essere affermata la pacifica ed indiscussa ricorrenza dell’ipotesi delineate sub c).

8.4. E invero:

a) fin dal primo grado del giudizio il signor P ha agito per il risarcimento del danno (per equivalente monetario) patito per la perdita delle aree, secondo il loro valore venale al prezzo di mercato;

b) ha qualificato egli stesso, la propria domanda, come volta alla dichiarazione dell’avvenuta accessione invertita in favore del comune per effetto dell’irreversibile trasformazione del bene a seguito della costruzione dell’opera pubblica;

c) in grado di appello, la controversia ha riguardato il solo aspetto concernente il quantum del risarcimento del danno per la perdita definitiva delle aree, e non già (o non anche) quello afferente all’ an dell’acquisto in capo al comune;

d) la riforma della sentenza di primo grado, infatti, è dipesa unicamente dalla circostanza che il valore venale delle aree era stato già accertato, in altra sentenza resa tra le parti, sulla quale era oramai calato il giudicato, sicché nessun ulteriore accertamento al riguardo avrebbe potuto essere compiuto da altro giudice;

e) la c.t.u. espletata (in disparte, ora, le sopra illustrate ragioni della riduzione del quantum del risarcimento del danno, per effetto del pregresso giudicato esterno) ha pacificamente stimato la misura del danno sulla base di due componenti specifiche: 1) il valore delle aree definitivamente acquisite alla mano pubblica, secondo il prezzo di mercato;
2) il (contro)valore per la loro temporanea indisponibilità per il periodo dell’illegittima occupazione;

f) finanche la Corte di cassazione ha dato per assodato l’intervenuto acquisto, in capo al comune, della proprietà delle aree, titolo per il correlativo diritto, in capo al privato, ad ottenere l’integrale ristoro per equivalente monetario.

9. Pertanto, si appalesa del tutto destituita di fondamento la tesi – oggi propugnata dalla Difesa del signor P – secondo cui il giudicato sarebbe calato sul (solo) aspetto del risarcimento del danno per il periodo dell’illegittima occupazione, quando invece tutti i fatti processuali militano nel senso dell’(avvenuto) integrale ristoro per la perdita definitiva delle aree, in dipendenza dell’effetto abdicativo al diritto di proprietà prodotto dalla domanda giurisdizionale di risarcimento del danno.

Come recentemente precisato da questa Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 30 giugno 2017, n. 3234, cui si rinvia anche ai sensi del disposto di cui agli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a.), ai fini dell’affermazione dell’(avvenuta) produzione dell’effetto abdicativo al diritto di proprietà, restano irrilevanti perfino le seguenti circostanze:

a) che la suddetta statuizione sia evincibile dalla parte motiva delle pronunce civili, ma non anche dal loro formale dispositivo: secondo giurisprudenza costante, il giudicato - come suole affermarsi - copre il dedotto e il deducibile e fa stato rispetto a tutte le questioni che costituiscano (o abbiano costituito) un presupposto logico e indefettibile della decisione stessa, persino se non dedotte in giudizio (fra le tante, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1405;
Id., sez. IV, 11 marzo 2913, n. 1473;
Id., sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 722;
Id., sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2674;
Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2015, n. 25214;
Id., sez. lav., 23 febbraio 2016, n. 3488;
Id., sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9398);

b) che, eventualmente, non si sia formato il giudicato: se anche, infatti, non si ritenesse formato il giudicato sulla sentenza della Corte di cassazione resa nel 2011, varrebbe comunque il principio secondo cui l'illecito permanente, costituito dall'occupazione di un suolo da parte della P.A., cessa con la rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo (così da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636, sulla scorta di Corte costituzionale, 30 aprile 2015 n. 71;
Sezioni unite civili della Corte di cassazione 19 gennaio 2015, n. 735, 29 ottobre 2015, n. 22096 e 25 luglio 2016, n. 15283;
Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 9 febbraio 2016 n. 2);

c) che non sia stato adottato il provvedimento (impropriamente detto, di cd. acquisizione sanante) ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001: l’operatività di tale meccanismo postula, sul piano logico-giuridico, che la formale titolarità della proprietà risulti ancora in capo al privato, sicché l’adozione dell’atto, unitamente alla liquidazione dell’indennità, rappresentano il necessario presupposto per il trasferimento del diritto di proprietà in favore dell’amministrazione. Quando invece, come nel caso all’esame, si è realizzato già un acquisto di tipo abdicativo e non traslativo, in virtù dell'atto (implicito) di rinuncia al diritto stesso, per avere il privato, nel libero esercizio del proprio potere di autodeterminazione, azionato una domanda giurisdizionale volta ad ottenere il solo risarcimento del danno, abdicando alla proprietà delle aree, nessun senso logico ha (prima ancora che giuridico) continuare a sostenere la tesi secondo cui la teorica della cd. occupazione acquisitiva non farebbe più parte del nostro diritto vivente. Come sottolineato anche di recente da questa Sezione (Consiglio di Stato, n. 4808/2017) almeno a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione n. 735 del 19 gennaio 2015, per un verso, il nuovo indirizzo della giurisprudenza non pregiudica il valore dei giudicati che in precedenza hanno affermato tale vicenda traslativa della proprietà (Cass. civ. 9 novembre 2016, n. 22844;
16 agosto 2016, n. 17147);
per altro verso, anche a prescindere dalla intervenuta formazione di un giudicato, l’effetto abdicativo al diritto di proprietà è immediato, sicché non essendoci più nessuna proprietà privata da espropriare, l’acquisizione sanante di cui all’art. 42- bis cit.;

d) che, eventualmente, non sia ancora stato definitivamente accertato il quantum risarcitorio. Nel caso all’esame, addirittura, detta misura è stata già definitivamente accertata e sulla stessa è calato il giudicato, tanto che anche il Tribunale civile di Roma, Sezione II, con la sentenza n. 16358 del 24 luglio 2013, emessa in sede di opposizione a decreto ingiuntivo azionato dal comune di Monterotondo, ha dichiarato il signor P tenuto a corrispondere la somma consistente nella differenza tra quanto percepito (euro 124.215,47) sulla base della sentenza di primo grado, poi riformata, e quanto effettivamente da percepire (euro 7.524,36) sulla base della sentenza della Corte di Appello e, poi, della Cassazione.

10. Pertanto, sulla base delle suesposte considerazioni, vanno respinti tutti e tre i motivi di appello:

a) il primo motivo, per le ragioni esposte al punto 9, sub a), essendo - l’affermazione dell’(avvenuta) produzione dell’effetto abdicativo al diritto di proprietà – chiaramente evincibile dal contenuto della parte motiva di tutte e tre le sentenze civili citate;

b) il secondo motivo, per le ragioni esposte al punto 9, sub c), restando del tutto irrilevante, dinanzi all’abdicazione al diritto da parte del privato, la teorica dell’illiceità permanente dell’occupazione sine titulo elaborata da giurisprudenza europea e interna;

c) il terzo motivo, per le ragioni esposte al punto 9, sub b), restando parimenti irrilevante il formale passaggio in giudicato, elemento che al – più – potrebbe rilevare rispetto ad un’ipotesi in cui il provvedimento di cui all’art. 42 bis cit. sia ancora astrattamente adottabile, e non – come nel caso all’esame – logicamente e giuridicamente impossibile per essersi già verificato l’effetto abdicativo in favore della mano pubblica.

11. L’infondatezza, nel merito, degli anzidetti motivi, esime il Collegio dalla verifica (officiosa, anche per la prima volta in grado di appello: Consiglio di Stato sez. IV 25 gennaio 2013 n. 489;
Id. sez. IV 08 giugno 1982 n. 332) circa la sussistenza del difetto di legittimazione e di interesse del signor P a ricorrere avverso la determinazione del 16 aprile 2013, giacché – all’epoca – nemmeno più proprietario del bene. Alcuna legittimazione o interesse egli avrebbe potuto vantare rispetto all’adozione di un provvedimento ai sensi dell’art. 42, bis cit., essendo l’amministrazione già divenuta proprietaria a tutti gli effetti del bene, e avendo già corrisposto un risarcimento del danno più che integrale, invero indebito: nella determina n. 72 del 17 gennaio 2007 (impugnata con atto di motivi aggiunti) si dà atto del pagamento della somma di euro 124.215,47 (giusta determinazione dirigenziale n. 735 dell’8 maggio 2002 e relativo atto di quietanza n. 1949 del 28 maggio 2002), somma poi – come sopra detto – ridotta dalla Corte di Appello e divenuta oggetto di recupero coattivo dal comune in sede monitoria.

12. La regolazione delle spese di lite del presente grado, liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014, segue il principio della soccombenza.

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