Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-06-20, n. 201904200

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-06-20, n. 201904200
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904200
Data del deposito : 20 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/06/2019

N. 04200/2019REG.PROV.COLL.

N. 06739/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6739 del 2014, proposto da
B C s.p.a,, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M E V, F B C e V R, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Barnaba Tortolini 13;

contro

Comune di Prato, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M C e P T, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Liegi 32;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. 112/2014, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Prato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati M E V e M C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società B C s.p.a., che gestisce una stazione di servizio in fregio alla via Pistoiese in una frazione del Comune di Prato, presentò una domanda di autorizzazione all’apertura di un locale per la somministrazione di bevande e alimenti nel fabbricato a destinazione commerciale realizzato nell’area di servizio.

Il Comune di Prato respinse la domanda con provvedimento in data 26 novembre 1996, successivamente annullato dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana con sentenza del 20 dicembre 2008, n. 4453.

1.1. Nelle more del giudizio la ricorrente stipulò due atti di acquisto di rami d’azienda, a seguito dei quali conseguì, in data 20 novembre 2000, le licenze necessarie per l’esercizio dell’attività di somministrazione e bevande.

1.2. Col ricorso introduttivo del presente giudizio la società B C ha chiesto il risarcimento dei danni sofferti per aver iniziato tale attività con circa quattro anni di ritardo, essendo tale il periodo decorso tra il provvedimento di diniego del 26 novembre 1996 ed i provvedimenti di autorizzazione del 20 novembre 2000.

1.3. Si è costituito in giudizio il Comune di Prato, chiedendo il rigetto del ricorso ed eccependo preliminarmente la prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

2. Il ricorso è stato respinto, affermandosi nella motivazione della sentenza che:

- il “ danno da ritardo propriamente detto ” (così identificato dal primo giudice il danno sofferto dalla società per il ritardo seguito agli atti di acquisito delle aziende del 10 marzo 1998 e del 27 dicembre 1999, prima delle volture ottenute il 20 novembre 2000) non era riconoscibile perché prescritto, in quanto il termine quinquennale di prescrizione era iniziato a decorrere dal 20 novembre 2000;

- il “ danno derivante dall’illegittimità del provvedimento annullato ” (nel quale il primo giudice ha compreso il danno emergente costituito dagli “ ulteriori oneri finanziari sostenuti dalla società per il fatto che l’investimento aveva cominciato ad essere redditizio solo quattro anni dopo l’epoca in cui era prevedibile che potesse cominciare a produrre utili ”) non era risarcibile perché si sarebbe dovuto ritenere “ se non certo almeno altamente probabile che la società non avrebbe ottenuto il bene della vita ”, vale a dire l’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande. Infatti, il rilascio di quest’ultima non era “ una conseguenza automatica ” dell’annullamento disposto in sede giurisdizionale ed il Comune avrebbe dovuto riesercitare la propria discrezionalità;
in tale eventualità, secondo il primo giudice, l’ente non avrebbe comunque potuto concedere l’autorizzazione perché l’art. 7 del “ piano carburanti ” consentiva la dotazione di locali destinati a detta attività (ampliando la deroga dell’art. 3, comma 6, lett. C, della legge n. 287 del 1991) solo se ubicati in aree poste in fregio “ alle principali arterie di comunicazione ” e tale non sarebbe stata la via provinciale Pistoiese in quanto classificata nel piano strutturale del Comune di Prato come “ strada secondaria extraurbana minore ”.

2.1. Ne è seguito, come detto, il rigetto del ricorso, con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

3. Per la riforma della sentenza la s.p.a. B C ha avanzato appello, basato su quattro motivi.

Il Comune di Prato si è costituito per resistere al gravame.

Le parti hanno depositato memorie difensive;
l’appellante anche memoria di replica.

All’esito dell’udienza pubblica del 21 maggio 2019 è stata riservata la decisione.

4. Col primo motivo ( Error in iudicando: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 l. 104/2010. Spettanza del “bene della vita”: natura ex ante del giudizio prognostico in ipotesi di residua discrezionalità tecnica della p.a. ) l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha subordinato l’accoglimento della domanda risarcitoria avanzata dalla società ad un giudizio a posteriori circa le probabilità di accoglimento dell’istanza di autorizzazione presentata dalla ricorrente. In particolare, critica la decisione che ha basato il giudizio prognostico su un piano regolatore approvato nel 2013, laddove la domanda di autorizzazione era stata avanzata nel 1996, sicché a tale momento avrebbe dovuto essere riferita la valutazione circa la probabilità di rilascio della licenza.

4.1. All’epoca, secondo l’appellante, la via provinciale Pistoiese aveva le medesime caratteristiche e la medesima funzione di “ principale arteria di collegamento ” rivestite dalla via Roma, che l’art. 7 del “ piano carburanti ” indicava a titolo di esempio di strada in fregio alla quale sarebbe stato possibile avviare attività accessorie a quella di distribuzione di carburante.

4.2. L’appellante aggiunge che con l’estratto cartografico allegato alle controdeduzioni istruttorie depositate in primo grado il 12 novembre 2013 era stato dimostrato che la via Pistoiese – strada provinciale (Prato-Pistoia) aveva la medesima destinazione urbanistica della via Roma (strada provinciale: Prato – Poggio a Caiano);
ripropone comunque le istanze istruttorie (verificazione o CTU) sulla conformazione della via e sulla funzione della stessa di “ principale arteria di collegamento ”, già avanzate in primo grado;
nel merito, evidenzia come la condotta dell’autorità comunale - che in data 29 giugno 1996 aveva rilasciato alla società concessione edilizia n. 32929 avente ad oggetto l’adeguamento dell’impianto de quo mediante “ ampliamento e realizzazione di nuovo edificio ad uso commerciale ”- avesse ingenerato nella ricorrente un legittimo affidamento sull’esito favorevole della propria istanza.

4.3. Col secondo motivo ( Error in procedendo. Violazione del c.d. principio dispositivo […] illegittima e/o errata pronuncia per “omessa istruttoria”;
omessa motivazione sui mezzi di prova
) l’appellante censura la sentenza per omessa valutazione delle richieste istruttorie (verificazione o CTU e testimonianza scritta), avanzate ai sensi degli artt. 63, 66 e 67 cod. proc. amm., che -testualmente riportate alle pagine 12-15 del ricorso in appello- vengono riproposte nel presente giudizio di gravame.

5. Così sintetizzati i motivi d’appello, il primo è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo, per le ragioni di cui appresso.

Occorre prendere le mosse dalla motivazione della sentenza del T.a.r. per la Toscana del 30 dicembre 2008, n. 4453, che ha annullato il provvedimento di diniego del 26 novembre 1996, riscontrando il “ vizio di violazione ed erronea applicazione di legge in riferimento all’art. 7 del piano carburanti e … quello di eccesso di potere …, in quanto il Comune si è determinato negativamente sulla base del mero richiamo dell’art. 3 della legge 287/1991, senza neppure prendere in considerazione il disposto dell’art. 7 del piano che imponeva all’Amministrazione una valutazione di compatibilità anche in aree poste in fregio a principali arterie di comunicazione. L’esercizio del ricorrente si trova collocato sulla provinciale via Pistoiese e quindi in area astrattamente valutabile ai sensi dell’art. 7 del piano ”.

Pertanto, costituisce statuizione passata in giudicato quella, in diritto, per la quale detta disposizione del “piano carburanti” (vale a dire del “ Piano comunale della rete dei distributori di carburanti ” adottato con D.C.C. 21 marzo 1990 n. 579) fissa una deroga in ampliamento della deroga già prevista dall’art. 3, comma 6, lett. c, della legge n. 287 del 1991 (per la quale i limiti numerici stabiliti per il rilascio di autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande non si applicano ai soli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade), consentendo l’apertura di nuovi esercizi non solo nelle aree di servizio delle autostrade ma anche in quelle delle principali arterie di comunicazione nei tratti ricadenti nell’ambito del territorio comunale.

Dato ciò, il Comune avrebbe dovuto effettuare la propria valutazione discrezionale in base a quanto disposto, appunto, dall’art. 7 del “ piano carburanti ” (“ Tenuto conto della particolare ubicazione e dimensione di alcune aree destinate ad impianti per la distribuzione di carburanti per autotrazione (poste in fregio alle principali arterie di comunicazione come Viale Leonardo da Vinci, Tangenziale Ovest, Nuova Via Roma, Viale Marconi etc.) viene consentita la dotazione di eventuali servizi quali: Bar, Tabacchi, Tavole calde […]. Tali dotazioni saranno comunque ammesse ad insindacabile giudizio di compatibilità dell’A.C. su proposta degli operatori ”) e dello stato dei luoghi.

5.1. Nel giudizio risarcitorio per lesione di interesse legittimo pretensivo a causa di atto amministrativo illegittimo, laddove permanga il potere discrezionale dell’amministrazione di riesaminare la fattispecie, va effettuato un giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita preteso dal privato, secondo un criterio di normalità applicato ex ante , da riferirsi perciò alle norme vigenti ed allo stato di fatto esistenti alla data della domanda.

Nel caso di specie l’autorità comunale avrebbe dovuto effettuare la propria valutazione discrezionale in base alle norme vigenti nel periodo ottobre-novembre 1996, in particolare, come statuito con efficacia di giudicato, in base all’art. 7 del “ piano carburanti ”, e tenendo conto dello stato dei luoghi dell’epoca.

5.2. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di appello, va sgomberato il campo dal dato sopravvenuto, su cui è basata la sentenza appellata, costituito dalla classificazione del tratto di strada in contestazione come “ strada extraurbana secondaria minore ” riconducibile alla categoria C di cui all’art. 2, comma 2, lett. c, del Codice della Strada. Si tratta infatti di classificazione ricavata dal piano strutturale del Comune di Prato, che è stato approvato quasi sedici anni dopo il detto provvedimento, con d.c.c. n. 19 del 21 marzo 2013 (cfr. classificazione ed allegata cartografia prodotte dal Comune di Prato in data 8 novembre 2013, come all.6 del fascicolo di primo grado).

5.3. Piuttosto è significativo che già la sentenza n. 4453 del 2008, che ha annullato il provvedimento di diniego, abbia riconosciuto come astrattamente valutabile ai sensi dell’art. 7 del “ piano carburanti ” l’area destinata all’impianto di distribuzione di carburante collocata in fregio alla via Pistoiese, così non escludendone la destinazione a “ principale arteria di comunicazione ” dell’epoca e demandando al Comune la valutazione di compatibilità in concreto e l’apprezzamento sulla “ particolare ubicazione e dimensione ” dell’area medesima.

5.4. Risulta dalla classificazione e dalla cartografia prodotte in primo grado dal Comune di Prato, su menzionate, che la via Pistoiese, in particolare nel tratto nel quale (al numero civico 833) è ubicato il distributore di carburanti della società ricorrente con l’annesso edificio per cui è giudizio, è una strada provinciale (classificata come “SP 5 Lucchese per Prato”).

5.5. L’accertamento da compiersi in concreto, pertanto, riguarda la funzione di collegamento svolta negli anni ’90, al fine di verificare se, per tipologia, destinazione e volume di traffico, fosse qualificabile come “ principale arteria di comunicazione ”.

Allo scopo, l’appellante ha chiesto disporsi verificazione o consulenza tecnica d’ufficio e/o assumersi prova testimoniale.

Si ritiene che la documentazione prodotta in primo grado come allegato alla memoria di parte ricorrente depositata il 12 novembre 2013, considerata unitamente all’esemplificazione contenuta nell’art. 7 del piano carburanti, consenta di prescindere dall’attività istruttoria richiesta col secondo motivo di gravame.

Decisiva risulta l’equiparabilità tra la via Pistoiese e la via Roma, quest’ultima espressamente menzionata nel citato art. 7 a mo’ di esempio di “ principale arteria di comunicazione ”, in fregio alla quale gli impianti di distribuzione avrebbero potuto essere dotati di servizi accessori in deroga alla disciplina dei limiti numerici delle autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande dei commi 1 e 4 dell’art. 3 della legge n. 287 del 1991 (il cui rilascio era stato totalmente bloccato dal Comune di Prato, fino all’entrata in vigore del regolamento di esecuzione di tale legge, con ordinanza n. 23200 del 12 maggio 1993, prodotta in primo grado).

Orbene, dall’estratto cartografico allegato alla memoria del 12 novembre 2013 si evince che la via Roma ha la destinazione “ M5 – strade di penetrazione e di collegamento ” sostanzialmente coincidente con quella della via Pistoiese, entrambe strade a carreggiata unica, a doppio senso di marcia e senza spartitraffico.

Risulta così indirettamente individuata la funzione della via Pistoiese come strada di collegamento tra diversi comuni della provincia, alla stessa stregua della via Roma. In particolare, si tratta di strada extraurbana di comunicazione, che, per le caratteristiche e l’utilizzazione dell’epoca, avrebbe dovuto indurre il Comune di Prato a valutare, in concreto, la spettanza dell’autorizzazione in deroga al contingente fissato a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 287 del 1991.

5.6. Non si può argomentare in senso contrario, come continua a fare la difesa comunale nella memoria in appello, basandosi soltanto sul fatto che il piano strutturale del Comune di Prato classifichi la strada come “ strada extraurbana secondaria minore ”. Infatti, anche a voler ammettere, come pure si sostiene, che la classificazione abbia una carattere ricognitivo della situazione di fatto, si tratterebbe comunque della situazione esistente diversi anni dopo il periodo di riferimento, laddove, per il tempo trascorso, è più che ragionevole ritenere che il sistema viario interprovinciale si sia evoluto, rispetto all’epoca in cui era vigente il diverso PRG “Sozzi-Somigli”, approvato il 15 aprile 1985, n. 3826, del quale il “piano carburanti” costituiva elaborato allegato.

5.7. Va parimenti confutato l’argomento difensivo del Comune basato sull’irrilevanza del rilascio (in data 29 giugno 1996, di pochi mesi precedente il diniego del novembre 1996) della concessione edilizia per la ristrutturazione dell’impianto in oggetto, considerato che, se è scontato che la concessione edilizia per la costruzione di un edificio a destinazione commerciale non possa comportare “ automaticamente ” il rilascio dell’autorizzazione per l’apertura di un esercizio di somministrazione al pubblico bar-tavola calda nello stesso edificio, essa è significativa della compatibilità dell’intervento con le norme urbanistiche e dell’idoneità dell’area di distribuzione carburante, per ubicazione e dimensione, ad essere dotata di servizi accessori commerciali.

5.8. Il giudizio probabilistico negativo espresso nella sentenza appellata va ribaltato.

Considerato altresì -a definitivo di riscontro dell’idoneità dell’area- che il 20 novembre 2000 il Comune di Prato ha autorizzato l’apertura dell’esercizio bar- tavola calda, sia pure a seguito del trasferimento delle licenze già in capo a terzi acquistate dalla società (secondo quanto appresso), non può che concludersi nel senso della prognosi favorevole al rilascio dell’autorizzazione sin dal novembre 1996, quando invece venne adottato il provvedimento amministrativo di diniego giudicato illegittimo e perciò annullato con la sentenza n. 4453/2008 del 30 dicembre 2008.

6. La lesione dell’interesse legittimo pretensivo al rilascio dell’autorizzazione come appena riconosciuto in capo alla società ricorrente integra l’elemento oggettivo della responsabilità del Comune di Prato per illegittimo esercizio dell’attività amministrativa.

6.1. Quanto all’elemento soggettivo, è sufficiente osservare che se è vero che la norma del “ piano carburanti ”, in combinato disposto con la legislazione nazionale di riferimento, non pone(va) alcun obbligo in capo all’amministrazione in punto di rilascio dell’autorizzazione, essa tuttavia imponeva all’autorità comunale di esercitare l’attività amministrativa discrezionale secondo i parametri di valutazione chiaramente dettati dalla norma medesima. Come già sottolineato nella sentenza che ha annullato il provvedimento di diniego, “ si tratta(va) di una valutazione discrezionale soggetta ai principi di corretta amministrazione ”, che, oltre a dover essere riscontrata nella motivazione del provvedimento, andava compiuta prendendo concretamente in esame le circostanze di fatto rilevanti, quali le caratteristiche della strada e lo stato dei luoghi, e riferendo le stesse alle finalità perseguite dall’amministrazione comunale nel limitare, per un verso ed in via generale, l’apertura di nuovi esercizi (con l’ordinanza di “contingentamento” delle nuove licenze su menzionata), ma, per altro verso, nel consentire un’ampia deroga, in ragione delle esigenze degli utenti delle aree di servizio poste, non solo in fregio alle autostrade, ma anche alle arterie stradali a queste equiparate (con la norma pianificatoria contestualmente vigente).

L’avere totalmente trascurato le circostanze di fatto rilevanti e l’avere seguito un’interpretazione dell’art. 7 del “piano carburanti” completamente avulsa dal testo e dalla ratio della norma regolamentare -addirittura senza nemmeno richiamare la disposizione nel provvedimento di diniego, malgrado la società avesse fatto esplicito riferimento nella propria istanza al “ piano comunale carburanti ”- sono condotte che, oltre a viziare l’atto amministrativo, palesano la negligenza e l’imperizia dell’organo preposto al rilascio delle autorizzazioni.

6.1.1. Non è poi ravvisabile l’errore scusabile invocato dal Comune di Prato.

La disposizione regolamentare violata è stata approvata dallo stesso ente territoriale poco tempo prima della richiesta avanzata dalla società (con D.C.C. 21 marzo 1990 n. 579 e 19 dicembre 1991 n. 399);
era assolutamente chiara nel dettare, come detto, i parametri di riferimento dell’azione amministrativa;
sebbene il dato testuale facesse riferimento ad “ insindacabile giudizio dell’A.C. su proposta degli operatori ”, non avrebbe certo potuto essere inteso come riferito ad un giudizio svincolato dall’osservanza dei principi generali che regolano l’attività amministrativa.

Nemmeno decisivo in senso favorevole all’amministrazione comunale risulta il riferimento, su cui insiste la difesa dell’ente appellato, all’ordinanza n. 23200 del 1093 di invarianza del numero degli esercizi esistente al momento della sua adozione ed alla conseguente delibera n. 94 del 1996, poiché - per la coesistente previsione del “ piano carburanti ” ed in coerenza con le deroghe consentite dalla normativa nazionale - l’autorizzazione richiesta non avrebbe dovuto essere ritenuta “ soggiacente alle strette maglie del contingentamento ”, con applicazione de plano delle citate deliberazioni, senza alcuna preventiva comparazione dei contrapposti interessi, consistendo proprio in tale erroneo convincimento l’aspetto di più pregnante colpevolezza dell’apparato amministrativo comunale.

6.1.2. Riguardo all’elemento soggettivo della responsabilità da attività amministrativa illegittima non può che essere ribadito che spetta alla pubblica amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile, dovendo essere negata la responsabilità quando l'indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto (così, tra le tante, Cons. Stato, IV, 12 aprile 2018, n. 2197).

Il contesto delle circostanze di fatto del caso di specie e l’evidenziato quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale palesano, invece, nell’assunzione del provvedimento viziato, la negligenza e l'imperizia del Comune di Prato, sì da doversi concludere per l’affermazione della responsabilità di quest’ultimo.

7. Così accertato l’ an debeatur , il quantum debeatur va determinato tenendo conto del danno emergente e del lucro cessante dei quali la società ricorrente, gravata del relativo onere probatorio, abbia dimostrato in giudizio la sussistenza e la derivazione immediata e diretta ex artt. 1223 e 2056 cod. civ. dal provvedimento di diniego.

7.1. Riguardo alla prova della c.d. causalità giuridica, che attiene, come appena detto, alla riconducibilità all’evento lesivo ( id est , il diniego di autorizzazione) dei soli danni che ne siano conseguenza immediata e diretta, s’impone l’individuazione dei fatti in concreto rilevanti, quali risultano, nel seguente ordine cronologico, dagli atti prodotti in giudizio:

- il 23 ottobre 1996 la B C s.p.a. presentava istanza per la licenza di somministrazione di alimenti e bevande (tipologia A e B);

- con provvedimento del 26 novembre 1996 l’autorizzazione era negata “ per mancanza di disponibilità di contingente ”, fissato a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 287 del 1991;

- nelle more del giudizio di annullamento di tale diniego, la B C acquistava, a titolo oneroso, due aziende, con le relative licenze di somministrazione al pubblico, e precisamente:

- in data 10 marzo 1998 acquistava il ramo d’azienda della “SO.GE.B.A.R. snc di Campani Anna Lucia e C.” (titolare della licenza n. 1409 tipologia B, rilasciata dal Sindaco di Prato in data 25 marzo 1996), con atto autenticato nelle firme dal notaio Giancarlo Lo Schiavo, per il prezzo di lire 36.100.000, pari ad € 18.644,00 (doc. 9 prodotto in primo grado);

- in data 27 dicembre 1999 acquistava il ramo d’azienda di Maria Teresa Sproviero (titolare di licenza di pubblico esercizio di tipologia “A” n. 1679, rilasciata dal Sindaco del Comune di Prato in data 23 ottobre 1998), con atto autenticato nelle firme dal notaio Lo Schiavo, per il costo di avviamento di lire 44.000.000, pari ad € 22.724,00 (doc. 10 prodotto in primo grado);

- in data 20 novembre 2000 le licenze come sopra acquistate venivano trasferite presso i locali della società B C siti in via Pistoiese 833 (doc. 10 e 11 prodotti in primo grado).

7.2. Incontestate tali circostanze, è danno emergente risarcibile la spesa sostenuta dalla società per procurarsi presso i terzi quelle licenze per l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande illegittimamente negate dall’amministrazione comunale. Tale spesa corrisponde al prezzo di cessione dell’avviamento commerciale, risultante dagli atti di cui sopra, complessivamente pari all’importo di € 41.368,00.

Sebbene in primo grado sia stato allegato il costo ulteriore di € 2.691,00 per spese notarili, non vi è prova di tale esborso, che avrebbe potuto essere agevolmente documentato mediante fattura o altro documento contabile.

Il Comune di Prato va perciò condannato a corrispondere la somma complessiva di € 56.591,42 (corrispondente all’originario esborso di € 41.368,00, rivalutato, secondo gli indici ISTAT, dal dicembre 1999 fino alla data di deliberazione della presente decisione). Sulla somma complessiva di € 41.368,00, via via rivalutata anno per anno, dal dicembre 1999, decorrono altresì gli interessi legali fino al soddisfo.

7.3. Non vi è prova, invece, del danno da lucro cessante.

La società ne ha chiesto il risarcimento, commisurando il mancato guadagno al canone asseritamente percepito a seguito della locazione dell’azienda bar-ristorante a far data dal 1° dicembre 2000, che si assume essere stato perso nel periodo compreso tra il novembre 1996 e tale ultima data, detratti i costi, come da relazione prodotta in primo grado (all. 13).

Tale ultima relazione è tuttavia priva di efficacia probatoria, in quanto completamente mancante di riscontri documentali: non si rinvengono in atti né il contratto di locazione, al quale è fatto riferimento nella relazione, né i bilanci dei due esercizi precedenti e successivi di cui è detto nel ricorso in primo grado.

La lacuna probatoria non può essere colmata mediante ricorso a consulenza tecnica d’ufficio contabile, come pure richiesto dall’appellante, poiché questo è mezzo istruttorio volto alla valutazione degli elementi di fatto che la parte, gravata del relativo onere - come è il danneggiato che agisca per il risarcimento (cfr., da ultimo, Cons. Stato, VI, 19 novembre 2018, n. 6506) - deve autonomamente introdurre in giudizio, tanto più in casi quale quello di specie in cui non vi è alcuna impossibilità o estrema difficoltà della relativa prova, consistente in risultanze meramente documentali.

Per la medesima ragione nemmeno è possibile fare ricorso alla liquidazione equitativa del danno ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.

7.4. Giova aggiungere che parimenti inutilizzabile al fine della liquidazione del danno da lucro cessante è la perizia giurata di stima dei danni in data 25 ottobre 2010, depositata in primo grado il 30 ottobre 2013, in quanto, a sua volta, basata sull’asserita percezione di un canone mensile di affitto dell’intera azienda pari ad € 3.615,00, priva, come detto, di qualsivoglia riscontro documentale.

7.5. In punto di prova del quantum debeatur , va ribadito che se il danneggiato non adempie all’obbligo di allegare e provare, quanto meno le circostanze e i dati di fatto che concorrono a formare i fatti costitutivi di danno emergente e lucro cessante, non si può fare ricorso alla liquidazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., perché questa presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare del pregiudizio subito, né può essere invocata la consulenza tecnica d’ufficio che supplisca al mancato assolvimento degli oneri di allegazione e di prova (cfr. , tra le tante, Cons. Stato, IV, 22 ottobre 2015, n. 4823;
id., V, 10 febbraio 2015, n. 675).

8. Col terzo motivo ( Error in iudicando. Errata e/o illogica pronuncia su capo determinante delle controversia – qualificazione del c.d. danno da ritardo. Motivazione errata, illogica e contraddittoria su punto decisivo della controversia ), l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha escluso che possa essere riconosciuto come danno ulteriore risarcibile (in aggiunta al danno emergente) il danno da ritardo, che sarebbe conseguito al tardivo rilascio delle licenze di somministrazione occorso soltanto il 20 novembre 2000 (e che sarebbe consistito negli “ oneri finanziari che la s.p.a. B C è stata costretta a sostenere, a causa dell’improduttività dell’investimento operato durante i quattro anni in cui l’A.C. di Prato ha omesso di rilasciare le necessarie licenze di somministrazione (1996-2000) ”). Secondo l’appellante, si tratterebbe di una fattispecie di rilascio tardivo di provvedimento favorevole, “ occorso a seguito dell’annullamento giurisdizionale del precedente diniego ”, che avrebbe originato un danno risarcibile in termini di tempo perduto (nel presupposto che la certezza ed il rispetto dei tempi dell’azione amministrativa costituiscano un autonomo bene della vita, sul quale il privato, tanto più se operatore economico, deve poter fare ragionevole affidamento, al fine di autodeterminarsi ed orientare la propria libertà economica, come da orientamento giurisprudenziale espresso dai precedenti richiamati in ricorso: Cons. Stato, III, 31 gennaio 2014, n. 468;
id., IV, 4 settembre 2013, n. 4452;
id., V, 21 giugno 2013, n. 3405).

8.1. Il motivo è infondato.

Giova premettere - onde chiarire aspetti che in parte si sovrappongono e in parte si confondono negli scritti della ricorrente via via depositati nel corso dei due gradi di giudizio - che il danno di cui è detto nel terzo motivo di appello è configurato come il danno costituito dall’improduttività degli investimenti ingenti effettuati e dai corrispondenti costi sopportati dall’imprenditore, per l’impossibilità di avviare l’attività commerciale per la quale gli investimenti sono stati compiuti ed i costi affrontati, a causa del “ ritardo ” nel conseguimento delle licenze per l’apertura dell’esercizio bar-tavola calda.

8.2. Orbene, tale tipologia di danno può in astratto conseguire ad una fattispecie di illecito che si usa definire come produttiva di danno c.d. da ritardo. Si tratta della mancata o ritardata adozione del provvedimento preteso dal privato, a causa di un comportamento colpevolmente inerte dell’apparato amministrativo.

A tale fattispecie si riferisce il dibattito dottrinale e giurisprudenziale del quale è detto nell’illustrazione del terzo motivo, animato dalla contrapposizione tra diverse ipotesi ricostruttive dell’evento lesivo, essendo attualmente seguite in giurisprudenza sia l’impostazione che lo individua nella lesione dello stesso interesse legittimo pretensivo (cfr. già Cons. Stato, Ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7, e la prevalente giurisprudenza successiva, tra cui, ancora di recente, Cons. Stato, IV, 12 luglio 2018, n. 4260 ed altre, per la quale, pertanto, il relativo risarcimento deve essere subordinato alla dimostrazione della spettanza del provvedimento favorevole), sia l’impostazione che facendo leva sul disposto dell’art. 2- bis della legge n. 241 del 1990 lo individua nella lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale (così Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5), essendo quest’ultima una variante della ricostruzione che individua direttamente nella lesione del c.d. bene tempo l’elemento oggettivo dell’illecito. A tale ultima ricostruzione si riferiscono i precedenti giurisprudenziali richiamati nell’atto di appello, sopra trascritti (cui adde Cons. Stato, V, 10 febbraio 2015, n. 675).

8.3. Però, nel caso di specie, e con riferimento al danno il cui risarcimento è preteso col terzo motivo di appello, non si è avuto un fatto illecito consistente nel mancato rispetto da parte della pubblica amministrazione dei termini procedimentali, cioè una condotta inerte dell’autorità comunale (salvo che per quanto si dirà a proposito del quarto motivo), ma un provvedimento amministrativo di diniego dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato.

Né si potrebbe sostenere, come fa l’appellante, l’equiparabilità delle due differenti situazioni, solo perché si usa distinguere - da parte della dottrina che si è occupata del danno c.d. da ritardo - l’ipotesi della mancata adozione del provvedimento da quella in cui, sia pure in ritardo, il provvedimento (positivo o negativo) sopravvenga. Non è questa la fattispecie configurabile in riferimento al danno il cui risarcimento viene chiesto col terzo motivo.

Il Comune di Prato ha tempestivamente risposto all’istanza, che la società B C aveva avanzato il 23 ottobre 1996, con il provvedimento di diniego del 26 novembre 1996.

Come correttamente osservato nella sentenza di primo grado, il danno per l’improduttività ed i costi degli investimenti affrontati per avviare l’attività commerciale consegue ad un provvedimento di diniego illegittimo, non ad una situazione di incertezza della società determinata dall’inerzia della pubblica amministrazione.

Si tratta di un danno per la cui risarcibilità in astratto non occorre affatto prendere posizione sulla questione controversa sopra cennata a proposito del danno c.d. da ritardo. Esso, in quanto conseguente alla lesione dell’interesse legittimo pretensivo al rilascio di un provvedimento favorevole che è stato illegittimamente e colpevolmente negato, è astrattamente risarcibile.

8.4. In ossequio al criterio della domanda ed ai criteri di riparto dell’onere della prova, spetta al danneggiato, in primo luogo, tempestivamente allegare i fatti costitutivi della domanda risarcitoria e specificare i danni conseguenti e tempestivamente chiedere il risarcimento di tali danni, col ricorso introduttivo del giudizio, ove questo contenga, come nel caso di specie, la domanda risarcitoria per fatti illeciti che si assumono oramai compiutamente verificatisi al momento della sua proposizione;
successivamente, nel giudizio, spetta al danneggiato fornire la prova dei fatti costitutivi e delle conseguenze pregiudizievoli allegati (nel caso di specie, degli investimenti effettuati e dei costi sopportati nel quadriennio di riferimento).

8.5. Come eccepito dalla difesa comunale, la società ricorrente non ha compiutamente ottemperato agli oneri di allegazione e di prova di cui si è appena detto. Nel ricorso introduttivo del giudizio non vi è cenno né agli investimenti né ai costi relativi, pur essendo state le voci di danno ivi dettagliate in danno emergente (quantificato in € 44.059,00, pari ai costi di acquisto delle licenze, di cui sopra) ed in lucro cessante (quantificato in € 59.320,00, mediante riferimento alla mancata percezione del canone di affitto, di cui sopra).

Soltanto nella memoria conclusiva depositata in primo grado il 15 novembre 2013 è detto - peraltro sotto la voce parzialmente errata di “danno da ritardo” - dell’investimento e dei relativi costi per contributo di costruzione, oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e oneri finanziari per la fideiussione a garanzia dell’adempimento di quanto prescritto nella concessione edilizia, ma, pur essendovi il riscontro documentale costituito dalla produzione di quest’ultima (all. 6), il danno da lucro cessante continua ad essere parametrato alla mancata redditività dell’investimento, per l’importo corrispondente alla perdita del canone di locazione, di cui sopra. Analogamente è a dirsi per il contenuto della memoria di replica in primo grado.

Ancor più stringato è il riferimento alle voci di danno delle quali è chiesto il risarcimento con l’atto di appello, le cui conclusioni riproducono quelle della perizia giurata di parte, di cui si è detto sopra (all.14 del fascicolo di primo grado).

8.6. La pretesa risarcitoria di ulteriori voci di danno oltre quelle su-esaminate a seguito dell’accoglimento del primo motivo di gravame è, per un verso, inammissibile poiché nuova, come eccepito dalla difesa comunale, in quanto non trova riscontro nella domanda contenuta nel ricorso introduttivo;
per altro verso, infondata, poiché mancante di adeguato supporto probatorio.

8.7. Il terzo motivo di gravame va perciò respinto.

9. Col quarto motivo ( Error in iudicando. Violazione e/o errata applicazione di norma di legge (artt. 2935 e 2947 c.c.). Errata e/o carente e/o illogica pronuncia su capo determinante della controversia –prescrizione della richiesta risarcitoria. Motivazione carente, illogica ed inintelligibile su punto decisivo della controversia ) l’appellante censura il capo di sentenza col quale è stato ritenuto prescritto il diritto al risarcimento del danno da ritardo, facendo decorrere il termine di prescrizione dal 20 novembre 2000.

Secondo l’appellante il provvedimento illegittimo “ che ha originato la domanda risarcitoria avanzata dalla s.p.a. B C ” andrebbe identificato nel diniego di licenza di somministrazione del 26 novembre 1996, sicché la domanda risarcitoria medesima non avrebbe potuto essere avanzata se non dopo aver ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo, come sancito dall’art. 13 della legge n. 142 del 1992, all’epoca vigente, e ribadito dalla giurisprudenza amministrativa fino all’entrata in vigore dell’art. 30 del codice del processo amministrativo.

L’appellante conclude osservando che il diritto al risarcimento del danno da ritardo sarebbe sorto in capo alla società soltanto al momento del passaggio in giudicato della sentenza del T.a.r. della Toscana 30 dicembre 2008, n. 4453, sicché il termine di prescrizione di cui all’art. 2947 cod. civ. sarebbe iniziato a decorrere, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., dal 13 febbraio 2010.

9.1. Il motivo è infondato.

Va chiarito che il danno il cui risarcimento è rivendicato col quarto motivo è effettivamente un danno c.d. da ritardo.

Il comportamento antigiuridico dedotto come elemento oggettivo dell’illecito consiste infatti nell’inerzia dell’amministrazione comunale protrattasi tra le date di acquisto delle licenze da parte della società B C s.p.a. (con gli atti di cessione di rami d’azienda del 10 marzo 1998 e del 27 dicembre 1999) e la loro voltura (con i provvedimenti del 20 novembre 2000).

9.2. Il danno di che trattasi non è conseguenza immediata e diretta del provvedimento illegittimo di diniego oggetto del ricorso che ha avviato il presente giudizio.

La fattispecie di illecito si configura come da ritardo proprio perché -nella stessa prospettazione della parte ricorrente- il danno è causato dal colpevole ritardo del Comune di Prato nel trasferire le licenze dalle ditte cedenti i rami di azienda, che ne erano precedenti titolari, alla cessionaria B C s.p.a.

In disparte la mancata dimostrazione da parte della società ricorrente della data in cui richiese la voltura (come da lacuna probatoria giustamente evidenziata dalla difesa comunale), e quindi in disparte la mancata dimostrazione della colpa del Comune nell’aver adottato i provvedimenti di voltura a distanza di più di due anni dal primo acquisto e di quasi un anno dal secondo, ciò che rileva è la diversità del fatto illecito ( id est , della condotta –omissiva- dell’amministrazione comunale) produttiva del danno.

9.3. E’ vero che, come osserva la difesa dell’appellante nella memoria di replica, l’acquisto delle licenze già possedute da terzi è conseguenza immediata e diretta del provvedimento illegittimo di diniego dell’autorizzazione e per tale ragione si è sopra riconosciuto il diritto al rimborso del costo di cessione dell’avviamento, a titolo risarcitorio.

Tuttavia, tale acquisto ha definitivamente interrotto la vicenda originatasi dalla pretesa della società di conseguire una propria autorizzazione ed ha comportato l’avvio di un diverso procedimento amministrativo, finalizzato al conseguimento delle volture, concluso con i provvedimenti del 20 novembre 1996.

9.4. Poiché non vi era alcun provvedimento illegittimo da caducare, non sono pertinenti le argomentazioni svolte nell’illustrare il quarto motivo di gravame in punto di c.d. pregiudiziale amministrativa.

La domanda di risarcimento del danno c.d. da ritardo avrebbe dovuto essere avanzata fintantoché era perdurante l’inadempimento dell’amministrazione e comunque non oltre cinque anni dopo l’adozione ritardata dei provvedimenti di voltura (20 novembre 2000), trattandosi di fatti anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che ha diversamente regolato i termini per la proposizione dell’azione risarcitoria.

Dal momento che il ricorso è stato notificato nel 2010, è corretta la sentenza di primo grado che, accogliendo la corrispondente eccezione del Comune di Prato, ha ritenuto la prescrizione.

9.5. Il quarto motivo di appello va respinto.

10. In riferimento alla memoria depositata dal Comune di Prato il 19 aprile 2019, la quale contiene nella sua parte finale l’asserzione secondo cui “ in ogni caso, come già rilevato, la domanda di risarcimento avanzata da controparte deve ritenersi prescritta ”, si osserva quanto segue.

10.1. Il primo giudice, come detto, ha accolto l’eccezione di prescrizione relativamente alla pretesa risarcitoria del danno c.d. da ritardo.

Non si è invece espressamente pronunciato sull’eccezione di prescrizione concernente la pretesa risarcitoria del danno da lesione di interesse legittimo pretensivo provocato dal provvedimento di diniego illegittimo. Avendo respinto nel merito siffatta pretesa, l’eccezione di prescrizione non è stata infatti esaminata.

10.2. Poiché l’atto di appello introduttivo del presente grado di giudizio è stato depositato dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, in forza della norma transitoria di cui all’art. 3 disp. trans. Cod. proc. amm. trova applicazione la disciplina limitativa dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

Ne consegue che il Comune di Prato, parte appellata, avrebbe dovuto “espressamente” riproporre l’eccezione di prescrizione con la memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio.

10.3. Siffatta memoria è stata depositata dal Comune di Prato il 16 ottobre 2014 e si riporta “ espressamente a tutte le eccezioni formulate negli atti difensivi di primo grado, che in questa sede devono intendersi integralmente ritrascritte ”. Si tratta di una formula di stile che non risponde alla previsione del citato art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., la cui ratio è quella di esplicitamente delimitare il thema decidendum del secondo grado, contenendo l’effetto devolutivo dell’appello;
ciò, richiede che le eccezioni riservate alla parte, come è l’eccezione di prescrizione, vengano esplicitate, appunto, nella memoria di costituzione.

10.4. In mancanza di siffatta espressa tempestiva riproposizione dell’eccezione di prescrizione da parte del Comune di Prato, se ne deve ritenere la decadenza, ai sensi della norma di rito suddetta, con conferma della statuizione di condanna di cui sopra.

11. L’appello va perciò accolto limitatamente al primo motivo, con assorbimento del secondo, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolta la domanda risarcitoria della società B C s.p.a. nei limiti sopra specificati, e riportati in dispositivo.

Vanno invece respinti i motivi terzo e quarto.

11.1. Le spese processuali dei due gradi di giudizio vanno compensate per soccombenza reciproca, atteso l’accoglimento parziale dei motivi di appello e della domanda risarcitoria della società.

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