Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-11-14, n. 202209965

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-11-14, n. 202209965
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202209965
Data del deposito : 14 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/11/2022

N. 09965/2022REG.PROV.COLL.

N. 00034/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 34 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato G N, con domicilio eletto come da pec da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell’Interno, l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Bari, in persona dei rispettivi legali rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata, in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12,
la Legione Carabinieri Puglia Stazione -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tar Puglia, Bari, Sezione Seconda, -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura UTG di Bari;

Vista la memoria difensiva depositata dall’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 10 novembre 2022 il Consigliere Giulia Ferrari;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

1. L’odierno appellante, esercente l’attività di imprenditore, in qualità di Amministratore e legale rappresentante di una società edile, sita in -OMISSIS-, era in possesso di regolare licenza di porto d’armi per difesa personale, rilasciata dalla Prefettura di Bari -OMISSIS-.

In ragione della summenzionata licenza, il privato deteneva, originariamente presso la propria abitazione, tre armi – tipo pistola – regolarmente acquistate e denunciate.

In seguito allo spostamento della residenza del titolare, -OMISSIS-, la domiciliazione delle predette armi è stata modificata.

-OMISSIS-, il ricorrente ha trasferito anche la sede legale dell’impresa di cui è Amministratore, portando presso l’Azienda una delle armi, senza però provvedere a dichiararne la nuova domiciliazione.

-OMISSIS-, la pistola in questione è stata sottratta in occasione di un furto presso i locali della Società e, dalla denuncia sporta dal titolare della licenza, è emerso che l’arma si trovava in un luogo diverso da quello dichiarato dal medesimo.

In data -OMISSIS-, la Prefettura di Bari ha comunicato all’interessato l’avvio del procedimento finalizzato a vietargli la detenzione di armi e munizioni, nonché il deferimento all’Autorità giudiziaria, a norma dell’art. 58 del Regolamento esecutivo del T.U.L.P.S. (R.D. n. 635/1940).

Con raccomandata -OMISSIS-, il ricorrente ha formulato una richiesta di chiarimenti alla Prefettura, per essergli stato successivamente imposto anche di consegnare ai Carabinieri il libretto di porto d’armi, a cui ha fatto seguito un’ulteriore missiva -OMISSIS-, con la quale il medesimo ha chiesto che non venisse adottata nei suoi confronti alcuna misura cautelare.

Con nota prot. -OMISSIS-, la Prefettura ha invitato il Comando dei Carabinieri competente a provvedere al ritiro del libretto di porto d’armi.

Successivamente, l’interessato ha presentato una nuova istanza per ottenere il rinnovo della licenza del porto d’armi, respinta dalla Prefettura con provvedimento -OMISSIS-, non essendo ancora stato concluso il procedimento volto a disporre l’eventuale divieto di detenzione di armi e munizioni.

In data -OMISSIS-, il Prefetto di Bari, con decreto -OMISSIS-, ha disposto il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S., nei confronti del privato.

Quest’ultimo, pertanto, -OMISSIS- ha nuovamente presentato alla Prefettura le istanze per il rinnovo della licenza di porto d’armi per difesa personale e del libretto di porto d’armi.

Con nota prot. -OMISSIS-, la Prefettura di Bari ha rigettato le suddette istanze.

2. Avverso il suddetto provvedimento di diniego, nonché contro gli atti anche istruttori connessi, l’interessato ha proposto ricorso innanzi al Tar Puglia, lamentando la scorretta applicazione della legislazione di pubblica sicurezza in materia, nonché vizi di eccesso di potere circa la sproporzione dei provvedimenti sfavorevoli adottati in relazione alla riscontrata violazione commessa in ordine alla regolare tenuta delle armi.

3. Con la sentenza oggetto del presente gravame, il Giudice di prime cure ha respinto il ricorso, rilevando che:

- i provvedimenti sfavorevoli adottati dalla Prefettura trovano il loro fondamento nell’inaffidabilità dimostrata dal ricorrente, che non ha custodito in modo adeguato l’arma né ha comunicato il luogo in cui la stessa è stata conservata, violando in tal modo gli obblighi imposti dal T.U.L.P.S. in materia, volti a salvaguardare in via preventiva la pubblica sicurezza e ad assicurare un pronto controllo sulla detenzione delle armi;

- la denuncia di detenzione di armi deve essere necessariamente presentata ogni qual volta il detentore trasferisca le sue armi in una diversa abitazione o luogo, proprio per consentire un controllo costante e tempestivo da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza sulle armi e sulle munizioni circolanti in una determinata località;

- la mancata denuncia del trasferimento delle armi presso altro luogo costituisce una violazione grave dell’art. 38, commi 5 e 6, del T.U.L.P.S., secondo cui “La denuncia della detenzione […] deve essere ripresentata ogni qual volta il possessore trasferisca l’arma in un luogo diverso da quello indicato nella precedente denuncia. Il detentore delle armi deve assicurare che il luogo di custodia offra adeguate garanzie di sicurezza”;

- nel caso di specie, il ricorrente non solo ha omesso di dichiarare lo spostamento dell’arma presso altro luogo rispetto a quello originariamente comunicato, ma non ha neanche provveduto ad assicurarne un’appropriata custodia, vista la sottrazione della pistola in occasione del furto presso l’Azienda;

- il trasferimento della sede aziendale, contrariamente a quanto asserito dal detentore dell’arma, è indicativo della sua negligenza, in quanto la consapevolezza delle mutate esigenze avrebbe dovuto indurlo a provvedere alla denuncia.

4. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, l’istante ha proposto appello, notificato in data -OMISSIS- al Ministero dell’interno, all’U.T.G. della Prefettura di Bari ed alla Legione Carabinieri Puglia, Stazione -OMISSIS-, e depositato il medesimo giorno, chiedendone la riforma per error in procedendo et in iudicando e lamentando la violazione dell’art. 97 Cost., degli artt. 43 T.U.L.P.S. e 58 del relativo Regolamento esecutivo, degli artt. 3, 7 ed 8, l. n. 241 del 1990, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, assoluta carenza dei presupposti, travisamento dei fatti e carenza di istruttoria, violazione dei principi generali dell’ordinamento, difetto di ragionevolezza e proporzionalità.

5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura UTG di bari, senza depositare scritti difensivi.

6. La Legione Carabinieri Puglia Stazione -OMISSIS- non si è costituita in giudizio.

7. All’udienza pubblica del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

Ai fini del decidere, giova innanzitutto ribadire i principi affermati in ordine alla delicata materia della detenzione di armi e munizioni dalla consolidata giurisprudenza di questa Sezione, dai quali il Collegio non ritiene di discostarsi.

La materia del rilascio del porto d’armi è disciplinata dagli artt. 11 e 43 di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773. Il legislatore nella materia de qua affida all’Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all’affidamento che il soggetto richiedente può dare.

Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti».

Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che «deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi».

La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972;
id. 7 giugno 2018, n. 3435).

Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici.

È in questa prospettiva, anticipatoria della difesa della legalità, che si collocano i provvedimenti con cui l’Autorità di pubblica sicurezza vieta la detenzione di armi, ai quali infatti viene riconosciuta natura cautelare e preventiva (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 2 dicembre 2021, n. 8041). Ne è prova il costante orientamento di questa Sezione, secondo cui l’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, addirittura senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814).

Tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell’art. 39, r.d. 18 giugno 1931, n. 773, laddove, nel prevedere che «il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne», considera sufficiente l’esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato.

Alla luce di quanto fin qui esposto e dei fatti valorizzati dal provvedimento gravato in primo grado, ritiene il Collegio che la prognosi inferenziale compiuta dall’Amministrazione resista al vaglio di questo giudice.

Secondo la ricostruzione fornita dall’appellante, il Giudice di prime cure avrebbe errato nel decidere, non avendo tenuto in considerazione il fatto che l’arma in questione non era custodita in “località” diversa da quella denunciata, bensì in un “domicilio” diverso, ma pur sempre nell’ambito della medesima località indicata nell’originaria denuncia.

Il privato evidenzia, a tal proposito, che la summenzionata circostanza sarebbe connotata da un minor disvalore rispetto a quella in cui l’arma venga spostata e detenuta in una località diversa da quella dichiarata, con la conseguenza che l’Amministrazione avrebbe dovuto compiere un’istruttoria più approfondita, ponendo una motivazione articolata a sostegno dei provvedimenti sfavorevoli adottati nei confronti del privato.

Inoltre, l’appellante sostiene che la Prefettura avrebbe dovuto valutare complessivamente la sua personalità, in quanto la mancata denuncia di detenzione dell’arma presso un altro luogo, di per sé sola, non sarebbe sufficiente per dedurre l’inaffidabilità del soggetto e, quindi, per giustificare il divieto ex art. 39 T.U.L.P.S. e il ritiro del libretto di porto d’armi.

Tali contestazioni non possono tuttavia essere condivise.

Dall’esame della vicenda concreta, per come esposta in narrativa, emerge come l’appellante abbia omesso di denunciare il trasferimento di arma detenuta in un luogo diverso dal domicilio dichiarato. Per consolidata giurisprudenza tale omissione configura un reato contravvenzionale ai sensi dell’art. 38 T.U.L.P.S., sanzionato ai sensi dell’art. 17 T.U.L.P.S. (Cass. pen., sez. I, 16 novembre 2017, n. 10197;
id. 25 maggio 2017, n. 50442) e ciò anche qualora il trasferimento avvenga nell’ambito della circoscrizione territoriale del medesimo ufficio locale di P.S. (Cass. pen., sez. I, 15 aprile 2016, n. 27985).

La ratio sottesa a tale previsione è quella di consentire all’autorità abbia in qualsiasi momento certezza del luogo in cui l’arma è detenuta al fine di poter effettuare tutti gli eventuali necessari controlli. L’imposizione di tale obbligo in capo al detentore dell’arma si configura pertanto, a differenza di quanto prospettato dall’appellante, non come una mera formalità, bensì come un adempimento cui è sottesa una precipua e rilevante esigenza di ordine sostanziale.

Ciò chiarito dal punto di vista penale, occorre ribadire che anche l’autorità amministrativa ben può, nell’ambito delle proprie valutazioni discrezionali, disporre la revoca e/o il diniego della licenza, così come il divieto della detenzione delle armi, proprio alla luce della riscontrata omissione della predetta denuncia del trasferimento delle armi, posto che questa, di per sé, evidenzia un comportamento superficiale indicativo di scarsa affidabilità nella custodia delle stesse, come tale sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ex art. 39 T.U.L.P.S. che, come sopra chiarito, si fonda su di una logica precauzionale e non sanzionatoria.

Pertanto, contrariamente a quanto asserito dall’appellante, la condotta da questi complessivamente assunta denota una negligenza grave, poiché, come correttamente statuito dal Tar, il titolare della licenza avrebbe dovuto denunciare lo spostamento della pistola in altro luogo, non assumendo alcuna rilevanza, come pure chiarito dalla giurisprudenza penale ai fini della configurazione del reato, il fatto che si tratti di una località all’interno della medesima provincia rispetto al domicilio inizialmente dichiarato.

Nel caso di specie, la valutazione di negligenza, superficialità ed inaffidabilità sottesa al provvedimento impugnato risulta altresì avvalorata dalla circostanza emersa in fatto per cui l’interessato, pur avvedutosi dell’intervenuta scadenza della propria licenza, non si sia attivato prontamente per porvi rimedio, ma si sia limitato, viceversa, a conservare l’arma, peraltro, come visto, in un luogo diverso da quello originariamente denunciato.

Alla luce di queste considerazioni il divieto di detenzione emanato dalla Prefettura di Bari e qui impugnato si rivela legittimo e le valutazioni ivi contenute appaiono esenti da profili di irragionevolezza e/o travisamento dei fatti posti a fondamento delle stesse.

Da ciò discende altresì la correttezza del successivo diniego del rinnovo (o qui più correttamente rilascio di una nuova) della licenza d’armi per difesa personale, dal momento che, come pure la giurisprudenza ha già avuto modo di stabilire, nel momento in cui è legittimamente operante il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S., non può essere rilasciato alcun tipo di licenza, né si può procedere al rinnovo di quelle eventualmente esistenti (Cons. St., sez. III, 23 agosto 2022, n. 7381).

2. Per le ragioni che precedono l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma delle statuizioni del giudice di primo grado.

La mancanza di difese scritte da parte del Ministero dell’interno e della Prefettura di Bari giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio;
nulla per le spese nei confronti della Legione Carabinieri Puglia Stazione -OMISSIS-, non costituita in giudizio.

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