Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-07-18, n. 202406464

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-07-18, n. 202406464
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202406464
Data del deposito : 18 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2024

N. 06464/2024REG.PROV.COLL.

N. 03667/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3667 del 2020, proposto da Uliu S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Generale Gonzaga del Vodice 4;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Soprintendenza Speciale Archeologia e Belle Arti per il Comune di Roma, non costituito in giudizio;
Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 3778/2020, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Sergio Zeuli

Nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams".;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante aveva chiesto l’annullamento della nota comunale del 16 novembre del 2018 che ha disdetto, a decorrere dall’1 gennaio del 2019, la concessione demaniale n. 638/2001, intestata alla parte appellante, che consentiva l’occupazione di parte del suolo pubblico sito in Roma alla Via della Pace n. 11 a servizio dell’esercizio commerciale per la somministrazione di generi alimentari dalla stessa gestito.

Avverso di essa sono dedotti i seguenti motivi di appello:

1)ERRONEITA' ED OMESSA PRONUNCIA: VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 45, 46 E 47 DEL D.LGS. 42/04;
VIOLAZIONE DELL'ART. 64 DEL C.P.A.;
VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 1 DEL DECRETO LIBERALIZZAZIONI;
ECCESSO DI POTERE: SVIAMENTO DI POTERE, DIFETTO DI ATTRIBUZIONE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DIFETTO DI MOTIVAZIONE, TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI IN FATTO E DIRITTO, ARBITRARIETA'

2)ERRONEITA' ED OMESSA PRONUNCIA;
VIOLAZIONE DELL'ART. 64 C.P.A.;
ECCESSO DI POTERE: DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DIFETTO DI MOTIVAZIONE, TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI IN FATTO E DIRITTO, DISPARITA' DI TRATTAMENTO.

2. Si sono costituiti in giudizio Roma Capitale e il Ministero per i Beni Culturali e le Attività Culturali, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

3. In diritto si osserva che la parte ha impugnato la nota comunale del 16 novembre del 2018 che ha disdetto, a decorrere dall’1 gennaio del 2019, la concessione demaniale n. 638/2001, intestata alla parte appellante, che consentiva l’occupazione di parte del suolo pubblico sito in Roma alla Via della Pace n. 11 ritenuta incompatibile con la regolazione della cd. “massima occupabilità”.

L’amministrazione comunale, secondo la ricostruzione data dalla parte appellante alla nota impugnata, ha disposto la disdetta sulla base di tre ragioni, ossia perché l’occupazione di suolo pubblico incide sul "cono visivo" della chiesa di S. Maria dell'Anima, crea problemi ai posti riservati ai portatori di handicap presenti sulla via e infine contrasta con il divieto di fermata/sosta di auto asseritamente vigente in loco.

4. Il primo motivo di appello contesta la violazione degli artt. 45, 46 e 47 del d.lgs. 42/04 e il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, e per travisamento dei presupposti, negli atti impugnati.

L’appellante sostiene che il Primo Giudice non avrebbe considerato che non esisteva alcun decreto ministeriale che imponeva la tutela indiretta del cono visivo della Chiesa di S. Maria dell’Anima, per prescrivere la quale sarebbe stato peraltro necessario seguire la procedura prevista dal Codice dei Beni Culturali, che viceversa non risultava essere stata adottata nell’occorso. “Cono visivo”, peraltro, che non risulterebbe da alcuna previsione normativa e rappresenterebbe un’inedita ideazione della Soprintendenza e che per di più comunque non potrebbe essere disturbato dalla presenza dei tavolini, posti ad altezza del bacino di un individuo/parametro, fruitore del bene.

In ogni caso, aggiunge la doglianza in esame, la perizia giurata da lei esibita, e non contestata dalla parte resistente, avrebbe dimostrato che non vi sarebbe nessuna interferenza tra la occupazione di suolo pubblico e il suddetto cono visivo.

4.1. Il motivo è infondato.

Il caso in esame non è infatti regolato dalla procedura di cui agli articoli 45, 46 e 47 del Codice dei Beni Culturali, che disciplinano i profili connessi alla tutela indiretta dei beni immobili, indicando le prescrizioni da seguire a salvaguardia degli immobili vincolati vicini.

In questo caso ad operare non è il vincolo derivante all’immobile di via della Pace 11, dalla vicina chiesa di Santa Maria dell’Anima, ma, come spiegato chiaramente dalla relazione redatta dalla competente Soprintendenza per il giudizio di primo grado, è la totalità degli immobili presenti in via della Pace, e proprio in quanto ivi insistenti, ad essere sottoposta a vincolo di tutela monumentale.

In altre parole è la suddetta via, che, in quanto tale, si configura quale “bene culturale” ai sensi di quanto previsto dall’art.10 comma 4, lett. g), del d. lgs. n. 42 del 2004.

Dunque le prescrizioni previste nel decreto impugnato tutelano direttamente quest’ultimo, nella sua interezza.

Come sottolineato dalla relazione del Ministero dei beni culturali, la cui partecipazione al procedimento di autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico era necessaria ex art. 52 del d. lgs. n.42 del 2004, su detta via esiste un significativo interesse pubblico culturale, il che è del resto logicamente spiegabile, dal momento che si tratta di una strada collocata all’interno del centro storico di Roma, dichiarato patrimonio UNESCO.

Valenza culturale che si concentra particolarmente, senza tuttavia esaurirsi in essa, sulla chiesa di Santa Maria dell’Anima, che affaccia sulla strada. Come puntualmente rilevato dalla detta relazione l’attuale forma della facciata ha fatto divenire la piazza antistante “una sorta di teatro barocco, con la chiesa a fare da palcoscenico.”

4.2. Quanto precede spiega, in modo evidente ed intellegibile, in cosa consista la segnalata esigenza di salvaguardare il cono visivo, e cioè il corridoio visivo che deve essere lasciato libero o non influenzato da ostacoli di qualsiasi natura che disturbano la visione del fulcro o sfondo e che serve a valorizzare il carattere emergente, cioè appunto la ridetta chiesa, rispetto a tutto quello che esiste intorno.

Il carattere emergente può essere dato da fattori quali altezza, sagoma, posizione, caratteristiche architettoniche o tipologiche. In particolare le prescrizioni adottate tendono ad evitare l'occultamento anche parziale, che finirebbe per incidere sulla cd. "fascia di rispetto della fruibilità visiva", necessaria alla corretta percezione del bene e che condiziona, inevitabilmente, le trasformazioni, limitandole fino ad imporre il divieto di posizionare qualunque ostacolo che impedisca la suddetta fruizione.

Una volta definito il concetto di influenza visiva, la Soprintendenza, con una valutazione tecnico-discrezionale che non apparendo palesemente irragionevole e/o disfunzionale si sottrae al sindacato di legittimità, ha ritenuto incompatibile l’utilizzo di suolo pubblico da parte dell’esercizio commerciale gestito dalla parte appellante. La qual cosa dequota evidentemente l’obiezione della parte che, evidenziando la non eccessiva altezza dei tavoli coi quali intendeva occupare detto suolo, vorrebbe segnalarne la mancanza di incidenza sulla complessiva percezione visiva del bene. L’obiezione non è corretta perché a dover essere tutelata, com’è evidente, è la prospettiva visiva nella sua massima ampiezza, comprensiva dello stesso tessuto stradale, che sarebbe indebitamente limitata laddove si consentisse la pretesa occupazione.

4.3. Del resto, la disdetta è stata emessa in conformità al Piano di massima occupabilità (PMO) delle vie e piazze, che trova giustificazione e fondamento nell'esigenza di garantire appunto forme omogenee di fruizione di spazi pubblici da parte degli operatori commerciali nei luoghi di notevole interesse pubblico, contemperando le esigenze di tutela del patrimonio storico, culturale, artistico ed ambientale, quelle connesse alla circolazione urbana ed alla tutela dei residenti, anche sotto il profilo del diritto alla salute, con quelle connesse all’esercizio di attività di ristorazione e di somministrazione di generi alimentari, anche all’aperto.

Detto Piano rappresenta un atto amministrativo pianificatorio a carattere generale, come tale sottratto agli obblighi partecipativi previsti dalla legge n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, V, 12 aprile 2021, n. 2930;
cfr. anche Id., 23 maggio 2017, n. 2403), e caratterizzato, conseguentemente, da una tendenziale ampia discrezionalità, che deve necessariamente prevedere la partecipazione dell’Autorità preposta alla tutela degli interessi storici e artistici, come esplicitamente indicato dal Regolamento del Comune di Roma in materia di occupazioni di suolo pubblico (OSP), adottato ai sensi del d. lgs. 446/1997, Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 39 del 2014.

Non a caso, quest’ultimo prevede due diverse procedure, a seconda dell’area di riferimento e cioè una disciplina “ordinaria” per tutto il territorio ed una “straordinaria” riferibile all’area della “Città Storica” all’interno della quale i Municipi interessati possono adottare misure più stringenti.

Il Regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico (OSP) approvato con la delibera C.C. 119/2005, e successivamente modificato con la deliberazione C.C. n.75/2010 e C.C. 39/2014, all’art. 4 bis, comma 4, prevede, in attuazione di questa previsione, che “nell’ambito della città storica, i Municipi possono subordinare il rilascio di concessioni di suolo pubblico alle prescrizioni di appositi piani che individuino le aree di massima occupabilità (PMO) nelle aree di rispettiva competenza. Tali piani sono approvati dal Consiglio del Municipio acquisito il parere obbligatorio della Polizia Municipale, dell’Ufficio Città Storica, della Sovrintendenza del Comune di Roma, tenendo conto degli interessi pubblici relativi alla circolazione, igiene, sicurezza, estetica, ambiente e tutela del patrimonio culturale”.

Lo stesso art. 4 bis, comma 3 (pareri preventivi obbligatori), che riguarda il rilascio in generale delle concessioni, precisa poi che: “per il rilascio di concessioni per occupazione di suolo pubblico, sia permanente che temporanea, ricadenti nel territorio della Città Storica, deve essere acquisito il parere preventivo e obbligatorio della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.”

Dunque il provvedimento impugnato, richiamandosi a questa normativa comunale, e rispettando la procedura ivi prevista, ha ritenuto, per quanto riguarda la via della Pace, individuata come area di particolare pregio, di limitare l’occupazione di suolo pubblico, ritenendo prevalenti queste esigenze su quelle di carattere commerciale con motivazione che appare congrua e coerente con le suddette previsioni generali.

5. Il secondo motivo di appello lamenta che l’amministrazione sarebbe incorsa in travisamento dei presupposti, non rilevato dal giudice di prime cure, nella parte in cui la nota afferma che l’occupazione di suolo pubblico richiesta non è compatibile con la presenza di posti auto riservati ai portatori di h andicap e comunque con i divieti di sosta e fermata ivi vigenti.

Entrambi questi presupposti di fatto, richiamati dal provvedimento a fondamento della disdetta, sarebbero inesistenti per la parte appellante.

5.1. Il motivo è prima che infondato, irrilevante, dal momento che il provvedimento resterebbe in piedi anche solo fondandosi sulla prima ragione che, come detto, non presenta i denunciati vizi di illegittimità. Dunque dal suo accoglimento la parte non trarrebbe alcuna utilità.

5.2. In ogni caso il motivo è anche infondato perché, quale seconda ragione a fondamento della disdetta, il provvedimento impugnato ha indicato l’impossibilità del permanere dell’occupazione di suolo pubblico per la necessità di mantenere la strada a doppio senso di marcia, a sua volta dovuta alla presenza di posti auto riservati ai portatori di handicap.

Questo, richiedendo inevitabilmente una maggiore ampiezza della carreggiata per consentire all’auto del disabile di percorrerla nel doppio senso, evidentemente, rappresenta un’ulteriore ragione ostativa all’occupazione di suolo pubblico che non si presenta né illogica né infondata.

E rispetto alla quale, peraltro, non paiono cogliere nel segno le obiezioni sollevate dalla parte appellante.

6. L’appello, in definitiva, è dunque infondato.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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