Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-01-05, n. 202100151

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-01-05, n. 202100151
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100151
Data del deposito : 5 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/01/2021

N. 00151/2021REG.PROV.COLL.

N. 02503/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2503 del 2014, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato G C, con domicilio eletto presso lo studio Grez &
Associati S.r.l. in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 18,

contro

il Comune di Como, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M A M e C P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5, nonché dall’avvocato M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Confalonieri, n. 5,

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano, (Sezione IV), n. -OMISSIS- del 2013, resa tra le parti, concernente “ripresa di efficacia” di un’ordinanza di demolizione di un abuso edilizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Como;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 27 novembre 2020, il Cons. Antonella Manzione.

L’udienza si svolge, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla l. 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25, commi 1 e 2, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”, come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il T.A.R. per la Lombardia con la sentenza indicata in epigrafe, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’odierno appellante avverso la comunicazione in data 15 marzo 2000, avente ad oggetto “ripresa di efficacia” dell’ordinanza di demolizione n. 724 del 29 luglio 1993, inerente la parte di un edificio adibito a officina, oggetto di ristrutturazione sine titulo , insistente in area di rispetto fluviale in quanto a distanza inferiore a m. 10 da un corso d’acqua denominato Aperto. Ciò in quanto non erano stati previamente impugnati né il provvedimento n. 557 del 22 giugno 1999, di rigetto, sulla base del parere negativo per contrarietà all’art. 96, lett. f), del r.d. n. 523 del 1904 del Magistrato per il Po, dell’istanza di condono avanzata ai sensi dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724;
né, appunto, la precedente ingiunzione a demolire n. 724 del 29 luglio 1993, la cui efficacia era da considerare certa quanto meno fino alla richiesta, avanzata all’interessato dall’assessore comunale in data 11 ottobre 1994, se intendesse usufruire del c.d. “secondo condono”, nel frattempo sopravvenuto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’originario ricorrente, lamentando in primo luogo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, da lui stesso adito. Nel caso di specie, a suo dire, sussisterebbero le ragioni per ritenere ammissibile il ravvedimento sulla giurisdizione, essendo egli stato indotto in errore dalla circostanza che il Comune di Como ha trattato da sempre la vicenda quale mera pratica edilizia, dequotando finanche il parere del Magistrato per il Po a integrazione istruttoria endoprocedimentale della stessa. L’interesse ad un pronunciamento sarebbe da correlare alla necessità di evitare un giudicato implicito sul punto, potenzialmente pregiudiziale degli esiti del procedimento nel frattempo instaurato presso il Tribunale Superiore delle acque pubbliche avverso il presunto silenzio inadempimento sull’istanza di riesame della reiezione del condono, nel frattempo avanzata.

Nel merito, contesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso: la mancata impugnativa del diniego di condono del 22 giugno 1999, infatti, non sarebbe rilevante, in quanto in realtà non ne era affatto chiara la natura di decisione definitiva, stante la contestuale richiesta da parte del Comune, con nota avente pari data ed identico numero di protocollo, di fornire una perizia giurata “indicante l’esatta misura della distanza della tettoia in lamiera e del vano antistante il magazzino dalla roggia”. Né assumerebbe rilievo il non aver gravato l’ingiunzione a demolire del 29 luglio 1993, perché “superata” dall’avvenuta presentazione di una nuova e diversa domanda di condono, ai sensi della l. 23 dicembre 1994, n. 724, con nota protocollo 557 del 28 febbraio 1995. Ad ogni buon conto, il diniego si paleserebbe anche illegittimo, in quanto basato su una disciplina vincolistica inapplicabile avuto riguardo ai risalenti tempi di costruzione del manufatto, come documentato dalla dichiarazione sostitutiva di atto notorio versata in atti del giudizio di primo grado, e dunque “tollerabile” in forza del Regolamento di Polizia idraulica del Comune di Como.

3. Si è costituito in giudizio il Comune di Como il quale, con memoria depositata in data 8 maggio 2014, oltre a contestare nel merito l’appello, chiedendone la reiezione, ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza dell’eccezione di giurisdizione, in quanto proveniente dalla stessa parte che ha incardinato il giudizio di primo grado innanzi al giudice amministrativo. Ciò anche in ragione dei principi sull’“abuso del diritto” che non consentono di venire contra factum proprium strumentalmente. Ha evidenziato altresì come tra gli atti non impugnati dalla parte, sì da rafforzare l’inammissibilità del ricorso di primo grado, vada richiamato anche il provvedimento del Magistrato del Po del 7 aprile 1999, direttamente notificato all’interessato, sulla cui base è motivato il diniego di condono.

4. Con memoria depositata in data 7 febbraio 2020, l’appellante ribadiva la propria prospettazione, a suo dire anche alla luce della sentenza del Tribunale Superiore delle acque pubbliche del 12 ottobre 2015: il giudice delle acque, infatti, si è limitato a dichiarare a sua volta inammissibile il ricorso per la mancata impugnativa dei medesimi atti ritenuti pregiudiziali, ovvero l’ordinanza di demolizione n. 724 del 29 luglio 1993, il parere negativo del Magistrato del Po del 7 aprile 1999 e il diniego di sanatoria del 22 giugno 1999.

5. In vista dell’odierna udienza, le parti si sono scambiate ulteriori memorie e memorie di replica per ribadire le proprie contrapposte tesi. L’appellante, oltre a invocare “un giudizio sul rapporto tra il privato e la P.A.” che trascenda dalla tematica della giurisdizione, ha chiesto infine disporsi consulenza tecnica d’ufficio per accertare l’effettiva distanza del manufatto di cui è causa dal reticolo idrico principale, del quale il fiume “Aperto” non farebbe a suo dire parte.

6. Alla pubblica udienza del 27 novembre 2020, a seguito di apposita richiesta scritta depositata da entrambe le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Il motivo con cui l’appellante ha dedotto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo non può essere accolto, in quanto, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale dal quale non è motivo per discostarsi (Cons. Stato, sez. II, 14 novembre 2019, n. 7811; id. , 14 novembre 2019, n. 7813;
sez. V, 19 settembre 2019, n. 6247;
sez. IV, 22 maggio 2017, n. 2367;
Cass., sez. un., 20 ottobre 2016, n. 21260;
sez. V, 29 luglio 2016, n. 3437; id ., 27 aprile 2015, n. 2064;
27 marzo 2015, n. 1605;
9 marzo 2015, n. 1192;
7 febbraio 2012, n. 656), è inammissibile per difetto di legittimazione e abuso del processo l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata in appello dalla stessa parte che aveva adito la medesima giurisdizione con l’atto introduttivo del giudizio. Va, inoltre, rilevato, con riferimento al caso di specie, che non può ritenersi condivisibile la suggestiva prospettazione secondo cui sarebbe stato lo stesso Comune di Como ad insinuare il dubbio sulla giurisdizione, per il semplice fatto di avere istruito la pratica per la parte di propria competenza.

8. E’ altresì infondato il motivo di gravame volto a contestare la dichiarata inammissibilità del ricorso di primo grado. L’atto impugnato, infatti, costituisce una mera esplicitazione della volontà di non rieditare il proprio potere sanzionatorio, dando atto della “ripresa efficacia” dell’ordinanza n. 724 del 29 luglio 1993, mai revocata. A tutto concedere alla tesi dell’appellante, quand’anche ridetta ordinanza avesse effettivamente perso temporaneamente tale efficacia in ragione dell’avvenuta presentazione della domanda di condono - piuttosto che a seguito del sollecito della stessa da parte dell’Assessore comunale, siccome ipotizzato dal primo giudice - la sua reiezione in data 22 giugno 1999 ha confermato la natura abusiva dell’intervento, a nulla rilevando il fatto che contestualmente sia stata richiesta documentazione integrativa, al dichiarato scopo peraltro di renderne edotta anche la Procura della Repubblica. Eventuali contraddittorietà intrinseche all’atto, infatti - recte , derivanti dal suo essere “accompagnato” da ridetta richiesta di integrazione istruttoria - avrebbero dovuto a maggior ragione essere dedotte in sede di impugnativa di tale provvedimento. La mancata impugnazione del diniego di condono (intervenuto nel 1999 e notificato a parte appellante, per come emerge anche dal corpus motivazionale della nota impugnata), rileva in senso preclusivo all’accoglimento della domanda di annullamento della stessa, considerandosi che ne costituisce il presupposto fondante e che risulta evidente che, attesa l’efficacia dello stesso, l’opera non condonata era abusiva, con conseguente legittima applicazione della sanzione demolitoria, peraltro mai venuta meno perché a sua volta non impugnata (sul punto cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2018, n. 1795). Per consolidata giurisprudenza amministrativa, « L’autore di un abuso edilizio, che abbia prestato acquiescenza al diniego di concessione di costruzione in sanatoria, decade dalla possibilità di rimettere in discussione l’abuso accertato in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione, atteso che quest’ultimo rinviene nel diniego di sanatoria il suo presupposto » (Cons. Stato, Sez. V, 17 settembre 2008, n. 4446;
T.A.R. per la Sicilia, 27 maggio 2016, n. 1134).

9. Per quanto sopra detto, il Collegio ritiene pertanto che l’appello debba essere dichiarato in parte inammissibile e in parte respinto.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi