Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-12-20, n. 201908633

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-12-20, n. 201908633
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908633
Data del deposito : 20 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/12/2019

N. 08633/2019REG.PROV.COLL.

N. 04588/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4588 del 2008, proposto dal dottor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato S C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F B in Roma, viale Angelico, 45,

contro

il Ministero della Giustizia, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il -OMISSIS- n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019, il Cons. G O;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il dott. -OMISSIS-, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, ha svolto le funzioni di reggente dell’ufficio dal 7 luglio 1992 al 13 settembre 1993 e dal 26 luglio 1994 al 15 settembre 1995 a causa del trasferimento ad altro incarico del Procuratore titolare.

Il ricorrente ha chiesto con istanza al Ministero della Giustizia che gli fossero corrisposte le differenze retributive per lo svolgimento in tali periodi, quale magistrato di Tribunale, di funzioni corrispondenti alla qualifica superiore di consigliere di Corte d’appello.

La domanda è rimasta inevasa e il ricorrente, in data 25 marzo 2006, ha notificato diffida al Ministero ad adempiere entro 60 giorni.

Rimanendo anche la diffida inevasa, il -OMISSIS- ha proposto ricorso al T del -OMISSIS- per l’annullamento del silenzio-rifiuto.

Il T ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato.

2. L’appellante chiede l’annullamento della sentenza del T censurando il comportamento del Ministero per la violazione degli articoli 3, 36, 97 e 101 della Costituzione nonché degli articoli 2126, 2041 e 2042 del codice civile, del r.d. n. 12 del 30 gennaio 1941 e della legge n. 392 del 1951.

Sottolinea, in particolare, che il r.d. n. 12 del 30 gennaio 1941 dispone all’art. 109 che “ in caso di mancanza o impedimento…del procuratore della Repubblica, regge l’ufficio il procuratore aggiunto o il sostituto procuratore più anziano ”.

Nel caso di specie, essendo il posto vacante, non era necessaria, a suo avviso, la nomina da parte del CSM, dato che l’art. 70 del citato r.d. dispone che “ i titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l’ufficio cui sono preposti, ne organizzano l’attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designano altri magistrati addetti all’ufficio ”.

Contesta inoltre, richiamando l’art. 5 della legge n. 392 del 1951, quanto affermato dal T in ordine al fatto che a capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- non debba “ sempre, comunque, necessariamente essere preposto un consigliere di corte d’appello ”.

3. L’Amministrazione appellata non si è costituita.

4. Nella seduta del 15 ottobre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L’appello è infondato.

5.1. Occorre ribadire in primo luogo quanto ripetutamente affermato da questo Consiglio in ordine alla non sussistenza del diritto del dipendente pubblico non contrattualizzato, nella specie un magistrato, a percepire le differenze retributive derivanti dall’avvenuto espletamento di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica rivestita. Sin del 1999 l’Adunanza Plenaria ha precisato, in termini generali, che “ nessuna norma o principio generale desumibile dall’ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego ” (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 22 del 18 novembre 1999;
cfr. anche, id., Ad. Plen., n. 10 del 28 gennaio 2000).

Con riferimento ai dipendenti pubblici non contrattualizzati e in particolare ai magistrati è stato ampiamente chiarito dalla giurisprudenza che non vi è alcuna disposizione di legge che legittimi il riconoscimento delle mansioni superiori svolte di fatto. In proposito è stato sottolineato che anche qualora si tratti di funzioni dirigenziali “ si tratterebbe pur sempre di funzioni inscindibilmente connesse con quelle magistratuali, rientrando anch’esse nel fine costituzionalmente indeclinabile della necessità di dare risposta alla domanda di giustizia ” (Cons. Stato, sez, IV, 10 aprile 2009, n. 2232).

5.2. Anche in relazione alla asserita violazione dell’articolo 36 della Costituzione si deve confermare che il principio della corrispondenza della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro prestato concorre, nel rapporto di pubblico impiego, con altri principi costituzionali quali quelli previsti dagli articoli 97 e 98 (Cons. Stato, sez. VI, 19 settembre 2000, n. 4871). Inoltre, l’art. 36 Cost. non costituisce fonte diretta di integrazione del rapporto di pubblico impiego, per quanto concerne la determinazione dei compensi da corrispondere al dipendente, ma un criterio di valutazione della legittimità degli atti autoritativi adottati dall’Amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 22 gennaio 2001, n. 177).

5.3. Né valgono i richiami agli artt. 2126 c.c. (concernente l’ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato) e 2041 c.c. stante, per un verso, la natura sussidiaria dell’azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l’ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che ha comunque percepito la retribuzione prevista per la qualifica rivestita;
nel pubblico impiego, peraltro, presupposto indefettibile per la stessa configurabilità dell’esercizio di mansioni superiori è, oltre all’esistenza di un posto vacante in pianta organica, anche un atto formale d’incarico o investitura di dette funzioni, proveniente dall’organo amministrativo a tanto legittimato, non potendo l’attribuzione delle mansioni e il relativo trattamento economico essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2012, n. 5852).

Deve quindi essere considerato improprio il riferimento dell’appellante all’articolo 70 del r.d. n. 12/1941;
l’articolo 109, d’altra parte, non disciplina una modalità di assunzione sia pure temporanea di un incarico superiore, ma il rimedio ordinamentale ad una situazione di fatto (la vacanza del posto apicale dell’ufficio giudiziario) venutasi a determinare.

6. Sulla base delle suddette considerazioni l’appello deve essere respinto.

Non essendosi costituita la parte appellata non devono essere adottate decisioni sulle spese di giudizio.

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