Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-02-20, n. 201700740

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-02-20, n. 201700740
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201700740
Data del deposito : 20 febbraio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/02/2017

N. 00740/2017REG.PROV.COLL.

N. 09104/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9104 del 2016, proposto da:
C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati A P, F C e G R N, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - AGCM, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati - ANIP, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Anglani, Claudio Tesauro, Luca Raffaello Perfetti e Mariangela Di Giandomenico, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, via Salaria, n. 259;
CONSIP s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Alberto Bianchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marco Selvaggi, in Roma, via Nomentana, n. 76;
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Associazione Nazionale delle Cooperative di Servizi Legacoop Servizi, non costituita in giudizio nel presente grado;
Exitone s.p.a., non costituita in giudizio nel presente grado;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Manutencoop Facility Management s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Siragusa, Andrea Zoppini, Piero Fattori, Marco Annoni, Antonio Lirosi, Claudio Vinci, Giulio Cesare Rizza, con domicilio eletto presso lo studio legale Gianni Origoni Grippo Cappelli &
Partners, in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 20;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I, n. 10303/2016, resa tra le parti e concernente: illecito antitrust , sanzione amministrativa pecuniaria - mcp;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Visto l’appello incidentale proposto dall’AGCM;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017, il consigliere B L e uditi, per le parti, gli avvocati Police, Notarnicola, Cintioli, Siragusa, Annoni, Fattori, Lirosi, Zoppini, Vinci, Rizza, Bianchi e Perfetti, nonché l’avvocato dello Stato Del Gaizo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio accoglieva parzialmente, limitatamente ai motivi che investivano la determinazione dell’ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria, il ricorso n. 3542 del 2016, proposto dalla Società Cooperativa Consorzio Nazionale Servizi (CNS) avverso il provvedimento n. 25802 del 22 dicembre 2015 (e gli atti presupposti e consequenziali), con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) aveva ritenuto accertato, alla luce degli acquisiti elementi di prova ‘esogeni’ ed ‘endogeni’, che CNS, Manutencoop Facility Management S.p.A. (MFM), Roma Multiservizi S.p.A. (RM) e K S.p.A. (K), in occasione di una gara d’appalto indetta dalla CONSIP s.p.a. per l’affidamento, mediante stipula di convenzioni, dei servizi di pulizia e di altri servizi funzionali al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili di istituti scolastici di ogni ordine e grado e dei centri di formazione della p.a. (per una durata di due anni, rinnovabili per un altro anno), avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’articolo 101 TFUE, consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis , irrogando alle predette imprese le sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente di euro 56.190.090,00 (nei confronti di CNS), di euro 48.510.000,00 (nei confronti di MFM), di euro 3.377.910,00 (nei confronti di RM) e di euro 5.763.882,00 (nei confronti di K).

1.1. La gara, indetta dalla CONSIP s.p.a. per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze con bando pubblicato sulla G.U.U.E. del 14 luglio 2012 e sulla G.U.R.I. del 16 luglio 2012, si era svolta secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (con un punteggio massimo di 60 per l’offerta tecnica e di 40 per l’offerta economica), al prezzo base d’asta di complessivi euro 1,63 miliardi, ed era suddivisa in 13 lotti definiti con un criterio geografico, e precisamente nei lotti 1 Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria (del valore di euro 110,6 mln), 2 Emilia-Romagna (del valore di euro 92,2 mln), 3 Toscana (del valore di euro 83,8 mln), 4 Sardegna e parte della Regione Lazio (del valore di 192,2 mln), 5 Lazio (del valore di 95,1 mln), 6 Campania - Province di Napoli e Salerno (del valore di 196,8 mln), 7 Campania - Province di Caserta, Benevento e Avellino (del valore di 91,2 mln), 8 Lombardia e Trentino (del valore di 105 mln), 9 Friuli Venezia Giulia e Veneto (del valore di euro 93,8 mln), 10 Umbria, Marche, Abruzzo e Molise (del valore di euro 112,5 mln), 11 Puglia (del valore di euro 194,3 mln), 12 Calabria e Basilicata (del valore di euro 89,8 mln) e 13 Sicilia (del valore di euro 172,3 mln).

Secondo le previsioni del bando, ogni concorrente avrebbe potuto aggiudicarsi fino a un massimo di tre lotti, individuati a cominciare da quello di maggiore rilevanza economica e procedendo in ordine decrescente di valore, mentre i restanti lotti sarebbero stati assegnati al secondo classificato.

Il bando aveva fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in forma individuale e contemporaneamente in forma associata (r.t.i., consorzi), oppure di partecipare in più di un r.t.i. o consorzio, a pena di esclusione.

Il bando aveva altresì previsto a pena di esclusione che, in caso di partecipazione a più lotti, il concorrente, singolo o associato (r.t.i. o consorzio), doveva presentarsi sempre nella medesima forma (singola o associata) e, se associato, sempre nella medesima composizione.

L’originario termine per la presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte, fissato nel bando al 26 settembre 2012, era stato successivamente prorogato dalla CONSIP al 15 ottobre 2012.

1.2. Il consorzio CNS – società cooperativa senza fine di lucro, la quale conta 209 associate dislocate sull’intero nazionale e, nel 2014, aveva realizzato un fatturato pari ad euro 744.315.174,00 –, in raggruppamento temporaneo con le imprese mandanti K ed Exitone (ATI 1), presentava offerta per i lotti 1, 3, 4, 5, 9 e 10, risultando prima in graduatoria per i lotti 1, 4, 10 e 5 in ordine di rilevanza economica. Il lotto 5 veniva aggiudicato al concorrente che lo seguiva in graduatoria.

La società MFM, la quale, sebbene impresa consorziata di CNS – peraltro, come una delle imprese più importanti, con un fatturato che nel 2014 era pari ad euro 731.142.493 –, aveva partecipato individualmente e separatamente alla gara per i lotti 2, 3, 8 e 9, risultava vincitrice di tali lotti, con la conseguente assegnazione del lotto 3 al concorrente che la seguiva in graduatoria.

Quindi, otto dei tredici lotti in cui si è articolata la gara CONSIP sono stati vinti dall’ATI 1 (di cui fa parte il CNS) e da Manutencoop, soggetti che, in particolare, sono risultati vincitori di quattro lotti ciascuno. Tali otto lotti corrispondono, in termini geografici, alla totalità dell'Italia centro-settentrionale. Degli otto lotti complessivamente vinti da tali due soggetti, tre sono stati assegnati all’ATI 1 e tre a MFM, per via del limite massimo di lotti aggiudicabili previsto dal disciplinare di gara.

La società Roma Multiservizi (RM), partecipata per la quota del 51% del capitale da AMA S.p.A., per la quota del 45,47% da MFM e per la quota restante del 3,53% da La Veneta Servizi S.p.A., con il controllo sostanziale della partecipazione privata da parte del socio industriale MFM, non aveva partecipato alla gara e, in virtù di un accordo stipulato con CNS, sarebbe divenuta assegnataria in subappalto di una serie di servizi aggiudicati al Consorzio nell’ambito del lotto 4.

1.3. In seguito all’analisi delle risultanze della gara, l’AGCM rilevava alcune anomalie e, in data 8 ottobre 2014, avviava un procedimento orientato a constatare un’eventuale violazione della normativa a tutela della concorrenza.

Il procedimento, originariamente avviato nei confronti di CNS, MFN, K ed Exitone, è poi stato esteso con decisione del 1° aprile 2015 a RM.

Al procedimento hanno partecipato l’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia - ANIP e l’Associazione Nazionale delle Cooperative di servizi - Legacoop servizi, che ne avevano fatto richiesta.

1.4. Richiamando le risultanze istruttorie, la tipologia di gara e i relativi risultati, le modalità e le strategie partecipative alla gara delle parti, i rapporti tra queste ultime nonché le argomentazioni rese dalle interessate a seguito della comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI), l’AGCM perveniva alla conclusione che le imprese sopra richiamate – ad eccezione di Exitone – avevano dato luogo ad un’intesa volta a condizionare l’esito della gara, eliminando il reciproco confronto concorrenziale mediante l’utilizzo distorto dello strumento consortile: ciò, al fine di garantire a CNS e MFM il numero massimo di lotti maggiormente appetibili, sul presupposto che entrambe avrebbero complessivamente beneficiato dei risultati singolarmente conseguiti. L’AGCM individuava un ruolo nell’intesa anche a carico di RM e K, secondo la puntuale e articolata evidenziazione degli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria.

In sostanza, l’Autorità illustrava nelle relative conclusioni che gli acquisiti elementi di prova avevano fatto emergere incontrovertibilmente che, in occasione della procedura di gara in questione, le quattro imprese sopra richiamate avevano posto in essere un’intesa anticoncorrenziale per il suo stesso oggetto ( sub specie di pratica concordata), con la finalità di condizionare gli esiti della gara attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti, così da aggiudicarsi i più appetibili nel limite massimo fissato dalla lex specialis . La condivisione della scelta degli otto lotti su cui presentare l’offerta e la conseguente decisione di non partecipare ai residui cinque messi a gara avevano inoltre, secondo la ricostruzione dell’AGCM, influenzato gli esiti della procedura con riguardo a tutti i tredici lotti oggetto della procedura.

In particolare, secondo l’assunto dell’AGCM, risultava che CNS e la sua principale consorziata MFM avevano deciso di partecipare separatamente alla gara, laddove, se quest’ultima avesse partecipato in qualità di impresa indicata dal consorzio, il numero massimo di lotti che si sarebbero potute aggiudicare congiuntamente, sarebbe stato pari a tre, mentre, partecipando separatamente, avevano potuto contare sull’aggiudicazione di sei lotti. Inoltre, le due imprese, una volta decisa la partecipazione autonoma, avrebbero dovuto concorrere come soggetti assolutamente indipendenti, del tutto prescindendo dai legami consortili, mentre risultava che avevano individuato i lotti su cui avrebbero rispettivamente concentrato i propri ‘sforzi’ tramite scambi indiretti di informazioni al fine di perseguire un comune disegno, per il quale risultava essenzialmente che CNS aveva partecipato alla gara avendo tra i propri principali obiettivi quello di tutelare i contratti storici e il portafoglio della propria consorziata di maggior peso quale era MFM, curandone gli interessi in via principale e maggiore rispetto a quelli delle consorziate per conto delle quali pure aveva presentato le sue offerte.

Per l’AGCM, quindi, risultava un utilizzo distorto dello strumento consortile da parte di CNS, il quale aveva principalmente avuto riguardo alle consorziate di maggior peso rispetto a quelle di più ridotte dimensioni. La strategia di gara di CNS era risultata del tutto irrazionale – se non nell’ottica della concertazione con la concorrente MFM e le imprese RM e K –, oltre che incoerente con i principi che lo stesso consorzio aveva riferito essere alla base delle proprie scelte partecipative, presentandosi esso solo in alcuni lotti e non in altri, e coincideva unicamente con l’obiettivo collusivo condiviso con MFM di aggiudicarsi complessivamente sei lotti in luogo di tre, come emergeva dalla scelta – estranea a una sana logica imprenditoriale – di non presentare offerta per i lotti comprendenti l’Emilia-Romagna e la Lombardia (lotti 2 e 8), poi aggiudicati a MFM, e di presentare offerte decisamente non competitive per i lotti relativi alla Toscana e al Veneto (lotti 3 e 9), entrambi pure aggiudicati a MFM.

Analogamente, nel presentare offerta per il lotto comprendente il Lazio e la Sardegna (lotto 4), CNS aveva inteso garantire a una società non consorziata quale RM, ma riconducibile a MFM in virtù della partecipazione societaria di quest’ultima, il pieno mantenimento del portafoglio storico nella città di Roma, nel rispetto di un accordo compensativo nel frattempo stipulato tra CSN e RM.

D’altro canto, a fronte dell’operato di CNS, risultava che MFM aveva rinunciato a presentare offerta per il lotto 4, nonostante il cospicuo portafoglio ivi detenuto da RM sua partecipata, e si era impegnata, tramite lo strumento del subappalto, ad aiutare CNS affinché anche ad altre consorziate detentrici di appalti storici fosse garantito il mantenimento di tali appalti o perlomeno il valore del portafoglio a questi riconducibile.

Quanto alla posizione di K, l’AGCM concludeva nel senso che la stessa tipologia di affidamenti al quadro collusivo era stata garantita in ragione di un credito pregresso vantato nei confronti di CNS, che aveva indotto l’interessata a partecipare al fianco del Consorzio alla gara nell’ambito di un’a.t.i. (ATI 1), accettando nel contempo però di concedere subappalti a consorziate di rilievo di CNS, a cui il consorzio stesso intendeva garantire il mantenimento del portafoglio.

Secondo l’Autorità, l’intesa si era potuta pienamente realizzare e aveva trovato attuazione anche per effetto degli scambi di informazioni sensibili che si erano realizzati nel contesto dei rapporti di governance esistenti tra MFM e RM, laddove, in particolare, quest’ultima aveva svolto un ruolo cruciale di veicolo di informazioni tra la prima e lo stesso CNS.

In sintesi, gli elementi posti dall’AGCM a base dell’accertamento dell’illecito antitrust nei confronti delle quattro imprese sanzionate, sono stati i seguenti:

- l’ATI 1, cui partecipavano CNS quale mandataria e K e Exitone quali mandanti, e MFM si erano aggiudicate quattro lotti ciascuna, tutti ricadenti nell’area geografica centro-settentrionale;

- sui lotti in cui l’ATI 1 era vincitrice, MFM non aveva presentato offerta, mentre sui lotti 3 e 9 – unici in cui vi era sovrapposizione di offerte ed era risultata vincitrice MFM – l’ATI 1 aveva presentato un ribasso decisamente meno aggressivo rispetto a quello formulato sugli altri lotti;

- RM non aveva partecipato alla gara nonostante fosse interessata quantomeno ai lotti 4 (Sardegna con alcune province del Lazio) e 5 (restanti province del Lazio), quale gestore ‘uscente’ dei servizi di pulizia;

- tra la pubblicazione del bando di gara e la scadenza del termine per presentare le offerte era intervenuto un accordo scritto tra CNS e RM avente ad oggetto l’impegno di quest’ultima di non partecipare alla gara e l’obbligo di CNS di richiedere l’autorizzazione al subappalto della ‘quota-parte’ comprendente il pregresso portafoglio di RM, una volta aggiudicatosi il lotto 4;

- CNS e MFM, pur formalmente concorrendo in autonomia, hanno perseguito obiettivi condivisi, consistenti nella tutela del portafoglio della principale consorziata MFM, nella tutela del posizionamento di CNS sui lotti 1, 4 e 10 (Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, Sardegna-Lazio e Umbria-Marche-Abruzzo-Molise), nella tutela del portafoglio di RM relativamente al lotto 4, nella tutela del portafoglio delle altre consorziate di maggior rilievo, anche grazie a subappalti concessi da K, nonché nella volontà di compensare un debito pregresso di CNS verso la stessa K, consentendo a quest’ultima di partecipare all’ATI 1, pur possedendo CNS per intero i prescritti requisiti di partecipazione;

- la condotta era identificabile quale anticompetitiva ‘per oggetto’, con conseguente mancata necessità di comprovare in concreto eventuali effetti restrittivi, peraltro realizzatisi con l’eliminazione del rischio del confronto concorrenziale reciproco tra i due maggiori players del mercato, quali CNS e MFM;

- CNS aveva individuato con precisione i lotti che si sarebbe aggiudicata già prima dell’esito di gara, pur mantenendo aperte soluzioni alternative sino alla presentazione delle offerte;

- la strategia partecipativa era contraddistinta da scelte irrazionali spiegabili solo con l’intento collusivo, quali: la mancata sovrapposizione sui lotti appetibili per CNS e MFM, il mancato rispetto della procedura di preassegnazione prevista dal regolamento consortile di CNS, l’irragionevole traslazione del portafoglio di talune consorziate in regioni diverse da quelle di radicamento, la mancata tutela del portafoglio di altre consorziate;

- le tesi difensive delle parti si erano fondate su una parcellizzazione delle evidenze agli atti, non idonea a fornire una spiegazione alternativa delle condotte tenute in occasione della gara;

- nessuna offerta risultava presentata per i lotti riguardanti l’Italia meridionale, pur avendo alcune consorziate di CNS manifestato interesse a partecipare, e illogica appariva la scelta di CNS di non presentare offerta per il lotto 2 (Emilia-Romagna) poi aggiudicato a MFM, ove storicamente aveva la sua operatività, con la conseguenza di dover riallocare artificiosamente in altre regioni il portafoglio di consorziate ivi operanti, non risultando idonea la giustificazione per la quale le consorziate stesse avevano chiesto di operare al di fuori della Regione essendo aggiudicatarie di altra specifica commessa sul territorio, in quanto anche MFM aveva acquisito quest’ultima e aveva poi concesso subappalti a consorziate non riallocatesi altrove;

- non idonea era anche la giustificazione in ordine alla mancata partecipazione di CNS al lotto 8 (Lombardia), fondata sull’assenza di consorziate con portafoglio storico di rilievo, laddove in Lombardia esistevano due consorziate e lo stesso CNS aveva presentato offerta per il lotto 3 (Toscana), sebbene privo di ‘portafoglio consortile storico’;

- sui due lotti in cui vi era stata sovrapposizione (3 e 9), CNS aveva formulato un’offerta economica non concorrenziale, sebbene l’offerta tecnica fosse simile a quella per gli altri lotti;

- RM poteva partecipare alla gara disponendo dei requisiti, ma aveva preferito rinunciare a fronte dell’impegno sul lotto 4, come desumibile da e-mail interne acquisite e, inoltre, aveva svolto un ruolo di raccordo tra CNS e K d’un lato, e MFM dall’altro;

- risultavano numerosi scambi di informazioni tra le parti, giustificati in istruttoria con tesi contraddittorie.

2. Contro tale provvedimento le quattro imprese sanzionate hanno proposto separati ricorsi dinanzi al T.a.r. per il Lazio, il quale pronunciava quattro distinte sentenze (tutte pubblicate il 14 ottobre 2016), con le quali confermava l’impugnato provvedimento nei confronti dei ricorrenti CNS (sentenza n. 10303/2016), MFM (sentenza n. 10309/2016) e RM (sentenza n. 10307/2016) in punto di an debeatur , riformandolo parzialmente con riferimento alla quantificazione della sanzione pecuniaria, mentre lo annullava con riguardo alla posizione di K (sentenza n. 10305/2016), ritenendo carente di prova (e di adeguata motivazione provvedimentale) la partecipazione di K all’intesa sanzionata dall’Autorità.

2.1. Per quanto qui interessa, il T.a.r. adìto con la sentenza in epigrafe, pronunciata sul ricorso proposto da CNS avverso il provvedimento sanzionatorio, provvedeva come segue.

2.1.1. Previa ricostruzione del quadro giurisprudenziale, nazionale e comunitario, relativo all’istituto dell’intesa restrittiva della concorrenza di cui all’art. 101, comma 1, TFUE ( ex -art. 81 TCE) e previa affermazione del principio che « le fattispecie dell’“accordo” e quella della “pratica concordata”, pur presentando elementi costitutivi differenti, non sono mutualmente incompatibili e possono quindi coesistere », rilevava che, nel caso sub iudice , « l’AGCM ha sostanzialmente contestato alle parti una concertazione “complessa”, definendone con chiarezza – secondo la sua ricostruzione – il plurimo oggetto anticompetitivo, vale a dire la volontà di condizionare gli esiti della gara Consip attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili nei limiti di quanto prescritto dalla “lex specialis”, con valorizzazione economica dei rapporti di portafoglio ».

Respingeva di conseguenza le censure variamente vòlte a contestare l’inammissibilità della ricostruzione operata dall’Autorità sotto il profilo dell’incertezza o indeterminatezza del provvedimento sanzionatorio in merito alla identificazione dei comportamenti contestati per la mancata riconduzione degli stessi all’accordo o alla pratica concordata, osservando altresì come dal tenore del gravato provvedimento non risultava che alle imprese sanzionate fosse stato addebitato il ricorso a forme di aggregazione partecipativa a pubbliche gare in sé considerato, quali associazioni temporanee di imprese, subappalti o partecipazioni consortili, ma l’uso distorto del coordinamento che ne era derivato nella specifica gara esaminata, con conseguente sufficiente grado di dannosità e idoneità degli elementi indiziari individuati.

2.1.2. Il T.a.r. respingeva l’ulteriore motivo di ricorso – vòlto a contestare la valenza probatoria degli elementi ‘endogeni’ ed ‘esogeni’ posti a base dell’accertamento della sussistenza della pratica concordata –, ritenendo la congruenza narrativa nella ricostruzione dell’Autorità sulla base dei seguenti rilievi:

- quanto all’assunto di CNS, secondo cui uno degli elementi che avrebbe indotto alla scelta di non partecipare ai lotti per le regioni meridionali sarebbe stato quello legato alla presenza di lavoratori « ex-LSU » (lavoratori socialmente utili), il T.a.r. rilevava che tale tipologia di lavoratori era presente anche nei lotti centro-settentrionali e anzi, secondo quanto dichiarato nel procedimento da MFM, era stata per quest’ultima una delle ragioni per non presentare offerta nei relativi lotti invece individuati da CNS;

- non è spiegata quindi da CNS perché la presenza di « ex-LSU » era « dissuasiva » nei soli lotti meridionali e non anche in quelli centro-settentrionali (considerando che CNS ha partecipato, in ATI 1, al lotto per la Toscana ove erano presenti « ex-LSU »), tenuto anche conto della struttura consortile che avrebbe potuto ben assorbire il ritenuto impatto antieconomico della c.d. clausola sociale;

- sull’assenza di stanziamento integrale di fondi per il relativo assorbimento da parte del MIUR, il T.a.r. osservava che tale elemento valeva per tutti i concorrenti e, se altre imprese hanno invece ritenuto di partecipare ugualmente alla gara con conseguente aggiudicazione, non poteva che stare a significare che comunque sussisteva un rapporto costi/beneficio economicamente apprezzabile;

- generico poi era il riferimento a « tensioni sociali » che avrebbero sconsigliato la presentazione di offerte per i predetti lotti, tenendo conto che lo stesso CNS in una e-mail interna del 7 febbraio 2014 aveva prefigurato l’opportunità di concedere subappalti in alcune scuole di Torino a cooperative aderenti a Confcooperative, in quanto tale circostanza era collegata alla protesta in atto di un comitato, confermando con ciò che le « tensioni sociali » potevano non essere considerate determinati per la propria strategia di partecipazione;

- né appariva convincente la ricostruzione di CNS – con conseguenza assenza di illogicità nelle opposte conclusioni dell’AGCM – in ordine alla mancata partecipazione al lotto riguardante l’Emilia-Romagna (poi aggiudicato a MFM), fondata sulla circostanza che le strutture coincidevano con un precedente servizio già aggiudicato nell’interesse delle cooperative indicate in occasione della relativa gara, in quanto risultava poi la concessione di alcuni subappalti di rilievo da parte della vincitrice MFM proprio ad alcune cooperative consorziate di CNS che detenevano in detta regione « appalti storici » e non risultavano ricollocate, pur avendo la stessa MFM sede in Emilia-Romagna ed essendo anch’essa titolare di contratti di cui all’appalto « Intercent.er »;

- se (come affermato da CNS) l’eventuale partecipazione a tale lotto 2 avesse costituito una duplicazione di offerte senza convenienza economica, non era comprensibile per quale ragione – se non nell’ottica « compensativa » individuata dall’AGCM – la sua maggiore consorziata avrebbe invece optato per tale scelta, concedendo poi subappalti di rilievo ad altre consorziate non riallocate;

- a ciò si aggiungeva che sussisteva, in realtà, uno ‘sfasamento temporale’ tra i due appalti, in quanto le fasi di convenzionamento ed esecuzione dell’appalto « Intercent.er » sarebbero scadute ben prima di quelle CONSIP (rispettivamente: convenzionamento al 2013, proroga al 2014 ed esecuzione al giugno 2017 per « Intercent.er »;
convenzionamento al 2015 ed esecuzione al novembre 2019 per CONSIP);

- era dunque priva di contraddittorietà la ricostruzione dell’AGCM secondo cui la mancata partecipazione non era frutto di libera scelta riconducibile a logica imprenditoriale, ma si inseriva nel più generale quadro in cui le parti principali (MFM e CNS) eliminavano il reciproco confronto concorrenziale ‘a monte’, usufruendo in tal guisa di benefici diretti e indiretti;

- quanto alla mancata partecipazione al lotto 8 (Lombardia-Trentino, pure aggiudicato a MFM), ugualmente le tesi di CNS non apparivano idonee a fornire una spiegazione alternativa convincente e a scardinare l’univocità della ricostruzione dell’AGCM, sotto il profilo indicato;

- infatti, proprio perché CNS nelle sue difese sosteneva di essere stato esso Consorzio a valutare autonomamente l’opportunità di partecipare alle singole gare, mentre la richiesta di preassegnazione delle consorziate costituiva solo un presupposto minimo, appariva ancor più necessaria un’articolazione logica dei motivi che lo avevano indotto alla specifica scelta, a fronte delle circostanze di fatto per cui la sua principale consorziata non aveva partecipato ai medesimi lotti dell’ATI 1 e negli unici due lotti, ove ATI 1 si era « scontrata » con MFM, era stata presentata un’offerta meno competitiva, non potendo essere sufficiente a tale scopo il generico richiamo all’autonomia decisionale di CNS;

- non appariva giustificata, nell’ottica richiamata, la scelta di non privilegiare, sia pure con la mera partecipazione competitiva, le consorziate titolari di portafoglio rilevante in Lombardia, ove peraltro, come osservato nelle difese dell’AGCM, non erano neanche presenti « ex-LSU »;

- il richiamo di CNS alla libera scelta di espansione territoriale, peraltro sollecitata da alcune consorziate di rilievo, appariva contraddittorio e avulso dal contesto preso a riferimento dall’AGCM, tant’è che CNS affermava di aver escluso a priori la partecipazione ai lotti meridionali per assenza di portafogli e presenza di « ex-LSU », quando risultava poi la partecipazione al lotto per la Toscana, ove pure vi era assenza di ‘portafoglio’ e presenza di « ex-LSU »;

- la tesi dell’Autorità doveva essere verificata nella sua globalità, laddove censurava la condotta orientata ad escludere ‘a monte’ il confronto competitivo su lotti particolarmente appetibili a fronte di vantaggi che le imprese coinvolte assumevano dalla condotta stessa;

- nel caso di specie, era la certezza di non avere concorrenzialità da parte del maggior competitor ad essere stata stigmatizzata, non l’esito di ciascuna gara per lotti;

- ciò valeva anche a confutare la tesi di CNS in ordine alla valutazione di competitività dell’offerta per i lotti 3 e 9 in considerazione della specificità della legge di gara, in quanto il concreto esito – in disparte quanto in prosieguo specificato sull’entità della sanzione – non incideva sulla fattispecie illecita sanzionata;

- ad ogni modo, illogica appariva la identità di offerte economiche, pur in riferimento a territori diversi, dato che era su questo profilo che la gara si poteva concentrare nella sua consistenza concorrenziale, essendo le offerte tecniche riconducibili ai due principali players , MFM e CNS, sostanzialmente paragonabili in virtù della consistente struttura di impresa che li contraddistingueva;

- il quadro così ricomposto trovava poi sostegno indiziario, nei sensi sopra rappresentati, anche con riguardo agli elementi ‘esogeni’, da considerare sempre nella loro globalità;

- quanto ai rapporti CNS/MFM/RM, risulta infatti una e-mail in cui, nel quadro dell’accordo RM/CNS, era stato trasmesso il regolamento interno dell’ATI 1 con indicazione dei lotti in cui presentare offerta, e ciò non avrebbe avuto ragione di essere se non nell’ottica compensativa/collaborativa identificata dall’Autorità, dato che l’ATI 1 non comprendeva RM;

-né risultava che RM non possedesse i requisiti per partecipare singolarmente alla gara, in quanto non avrebbe avuto senso logico la clausola del relativo accordo in cui RM aveva dichiarato di rinunciare a partecipare alla medesima, se essa ab origine non avesse posseduto i requisiti;

- risultava inoltre una delibera del 2 agosto 2012, in cui il consiglio di amministrazione di RM aveva in realtà deciso di partecipare alla gara, evidentemente con la consapevolezza di detenere i requisiti richiesti, anche se per soli due lotti;

- così pure irrilevante era l’osservazione secondo cui RM avrebbe potuto decidere, in piena autonomia e sulla base delle proprie valutazioni di opportunità, di accordarsi con CNS anche in caso di partecipazione alla gara di MFM, non essendovi alcuna certezza di aggiudicazione a favore di quest’ultima, dato che tale conclusione era meramente ipotetica e l’eliminazione del confronto concorrenziale era stato il fulcro della condotta sanzionata, non l’intervenuta aggiudicazione o una ragionevole previsione di questa, e ciò valeva anche con riguardo alla consistenza probatoria del documento interno a CNS contenente i nominativi dei partecipanti alla gara e una valutazione prognostica sugli esiti;

- risultavano poi una e-mail inviata da RM a MFM, contenente il testo dell’accordo con CNS prima della sua sottoscrizione – e ciò appariva plausibile solo nell’ottica di una condivisione di informazioni sulla gara e sulla partecipazione al lotto 4 –, nonché una precedente e-mail in cui invece RM aveva comunicato a MFM di voler partecipare, tra altre, anche alla gara CONSIP in questione;

- erano seguite anche varie comunicazioni con cui MFM aveva inviato a RM il testo di una bozza di accordo di subappalto da lei utilizzata e da considerare nella trattativa con CNS, e MFM aveva ricevuto a sua volta da RM il testo definitivo dell’accordo RM/CNS prima della sottoscrizione, poi successivamente attuato mediante affidamento di subappalti anche ulteriori rispetto a quello originario;

- in sostanza, il quadro indiziario complessivo faceva emergere la plausibilità dell’unica interpretazione data dall’Autorità, legata all’esistenza di una strategia a valenza anticoncorrenziale orientata a eliminare il rischio del confronto in gara dei due principali competitors su determinati lotti, con conseguente mantenimento di quote di portafoglio di MFM anche attraverso la società controllata e mediante subappalto.

2.1.3. Il T.a.r. respingeva, altresì, il terzo motivo – con cui CNS aveva censurato il provvedimento nella parte in cui il gravato provvedimento aveva affermato l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale ‘per oggetto’, in violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e della giurisprudenza, nazionale e comunitaria, formatasi in materia, e con travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto d’istruttoria e illogicità manifesta –, rilevando che:

- l’intesa correttamente era stata ritenuta anticoncorrenziale ‘per oggetto’, avendo le parti CNS e MFM, quali maggiori players del settore, eliminato con l’intesa ‘a monte’ il rischio del reciproco confronto concorrenziale, così condizionando lo svolgimento della gara;

- tale intesa si era, peraltro, anche compiutamente realizzata, in virtù dell’aggiudicazione del numero massimo di lotti a ciascuno dei due operatori, sicché era ravvisabile anche una connotazione dell’intesa ‘per effetto’, già prospettata nella comunicazione delle risultanze istruttori (CRI).

2.1.4. Infine il T.a.r., in parziale accoglimento dell’ultimo, complesso motivo di ricorso – con cui CNS aveva dedotto l’illegittima determinazione dell’ammontare della sanzione nella misura di euro 56.190.090,00, sotto vari profili – statuiva come segue:

- affermava l’applicabilità, alla fattispecie sub iudice , delle Linee guida adottate dall’Autorità il 22 ottobre 2014 (dunque prima della notificazione della CRI avvenuta il 16 ottobre 2015), escludendone il contrasto con il diritto comunitario, con gli artt. 6 e 7 CEDU e 47 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e con il principio di irretroattività;

- affermava la corretta assunzione, a base di calcolo della sanzione, del valore delle vendite direttamente o indirettamente interessate dall’illecito, e dunque degli importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in assenza di aggiudicazione, a prescindere dalla « successiva effettiva misura di realizzazione del ricavato “in concreto” »;

- riteneva, invece, illegittima l’inclusione, nella base di calcolo della sanzione, anche del valore massimo del plafond aggiuntivo previsto per ciascun lotto, trattandosi di valore di natura meramente eventuale, perché preso in considerazione nella sola ipotesi in cui l’aggiudicatario avesse ricevuto ordinativi nonostante l’intervenuto esaurimento del massimale di fornitura;

- riteneva, altresì, illegittima l’applicazione della maggiorazione della sanzione nella percentuale minima del 15% – prevista dai paragrafi 11 e 12 delle Linee guida (con un range fino al 30%) per le infrazioni ‘gravi’ degli artt. 101 e 102 TFUE e 2 e 3 l. n. 287 del 1990, ed applicata dall’Autorità nel caso di specie in ragione della « segretezza » dell’intesa anticoncorrenziale –, affermando, per un verso, che « la “percentuale minima per segretezza”, di cui all’art. 12 delle Linee guida, possa rilevarsi solo allorché si riscontrino – e se ne dia atto con congrua motivazione e allegazione di un certo numero di chiari elementi indiziari – ulteriori circostanze idonee a far ritenere la precisa e determinata volontà delle parti non di dare luogo alla specifica condotta poi valutata sotto il profilo “antitrust” ma di occultare ogni contatto avvenuto per dare luogo all’intesa sanzionata, con artifici particolari e indirizzati esclusivamente a tale scopo », e negando, per altro verso, che il gravato provvedimento avesse motivato in modo specifico e congruo attorno ai presupposti di applicabilità della maggiorazione in questione;

- nell’esplicazione della giurisdizione di merito ex art. 134, comma 1, lettera c), cod. proc. amm., fissava i parametri per la concreta determinazione della sanzione da irrogare a CNS, indicando come congrua la percentuale di un terzo della percentuale minima del 15% di cui all’art. 12 delle Linee guida e, dunque, la percentuale del 5%, « in considerazione della circostanza per la quale la condotta ha riguardato una sola gara e non sono stati dimostrati impatti economici tali da dare luogo ad effetti pregiudizievoli stabili per il mercato e/o i consumatori » (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).

2.1.5. Il T.a.r. annullava dunque il provvedimento impugnato nella sola parte relativa alla determinazione dell’entità della sanzione, rinviando all’Autorità per la nuova, concreta quantificazione di essa alla luce delle indicazioni date nella parte-motiva della sentenza, e respingeva il ricorso nel resto, a spese compensate tra le parti.

3. Avverso tale sentenza interponeva appello principale l’originario ricorrente CNS, deducendo i seguenti motivi:

a) l’erronea (ri)qualificazione dell’illecito in termini di ‘concertazione complessa’, mai avendo l’AGCM contestato alle parti di aver posto in essere una siffatta fattispecie, ossia una forma di illecito che, in materia antitrust , si definisce ‘intesa complessa e continuata’, presupponente una pluralità di comportamenti che integrino, ciascuna, altrettanti illeciti antitrust sotto forma di accordi o pratiche concordate autonomamente accertati, la loro reiterazione nel tempo e il medesimo scopo economico anticoncorrenziale, avendo l’AGCM per contro contestato alle quattro imprese sanzionate la realizzazione di una sola e unica ‘pratica concordata’, con conseguente violazione, oltre che dei principi di tipicità dell’illecito antitrust , anche dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché l’erronea applicazione dell’istituto della ‘pratica concordata’, la quale si compone di due elementi, costituiti (i) da un parallelismo di condotte sul mercato e (ii) dalla concertazione tra le imprese, entrambi da provare in modo rigoroso dall’Autorità, la quale è tenuta a fornire elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che non rendano possibile alcuna spiegazione alternativa plausibile al comportamento parallelo, mentre nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., tali elementi costitutivi dell’illecito contestato alle imprese non sono rimasti minimamente provati;

b) « Error in iudicando. Erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene sussistenti gli elementi di prova endogeni della pratica concordata. Carenza di motivazione della sentenza e omessa pronuncia in relazione alle numerose giustificazioni offerte dal CNS a dimostrazione della legittimità e razionalità del comportamento tenuto in sede di gara » (v. così, testualmente, la rubrica del secondo motivo d’appello);

c) « Error in iudicando. Erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene sussistenti gli elementi di prova esogeni della pratica concordata. Carenza di motivazione della sentenza e omessa pronuncia in relazione alle numerose giustificazioni offerte dal CNS a dimostrazione dell’assenza di una concertazione tra i partecipanti alla gara » (v. così, testualmente, la rubrica del terzo motivo d’appello);

d) « Violazione dell’art. 2 legge n. 287/1990. Violazione dell’art. 101 TFUE. Violazione del principio di legalità e tipicità della fattispecie. Violazione dell’art. 6 CEDU. Violazione degli artt. 70 e 134 c.p.a.. Violazione dei limiti della giurisdizione del G.A. » (v. così, testualmente, la rubrica del quarto motivo d’appello, dedotto espressamente in via subordinata rispetto a ai primi tre motivi), in quanto:

- il provvedimento sanzionatorio aveva affermato che tutte e quattro le imprese interessate dal procedimento (CNS, K, MFM e RM), avrebbero posto in essere, tutte insieme, la contestata ‘pratica concordata’ avente finalità di condizionare gli esiti della gara, così configurando un illecito anche soggettivamente unitario realizzatosi anche grazie alla partecipazione di K;

- il T.a.r., il quale ha deciso i quattro ricorsi (proposti dalle quattro imprese) separatamente e senza procedere alla relativa riunione, con la sentenza pronunciata sul ricorso di K (sentenza n. 10305/2016) lo ha accolto ritenendo che, alla luce della plausibilità delle spiegazioni alternative fornite da detta ricorrente e della genericità e frammentarietà della ricostruzione dell’AGCM, doveva escludersi la sua partecipazione all’intesa sanzionata;

- a questo punto, venuto a cadere l’apporto partecipativo di una delle quattro imprese che, secondo l’assunto dell’Autorità, avrebbero perpetrato l’unitaria intesa a quattro, il T.a.r. sarebbe stato tenuto ad annullare il provvedimento nella sua interezza, anche con riguardo alle altre imprese ricorrenti, a pena di sostituirsi all’AGCM nella configurazione di un nuovo illecito (intesa restrittiva a tre, anziché a quattro), diverso da quello sanzionato che aveva formato oggetto di contestazione nell’ambito del procedimento sanzionatorio, con conseguente indebita sostituzione all’Autorità nella riconfigurazione di un nuovo illecito ed inammissibile invasione del merito amministrativo, nonché eccesso di potere giurisdizionale oltre che violazione dei diritti di difesa delle altre tre imprese, tra cui CNS;

e) « In via subordinata, error in procedendo ed omessa pronuncia sui motivi volti a censurare l’illegittimità della quantificazione della sanzione » (v. così, testualmente, il quinto motivo d’appello), sotto vari profili;

f) « In via ulteriormente subordinata, illegittimità delle Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie adottate da AGCM con delibera del 22 ottobre 2014. Illegittimità diretta e derivata » (v. così, testualmente, il sesto motivo d’appello).

L’appellante CNS chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza (e degli atti consequenziali) e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento del gravato provvedimento.

4. Si costituiva in giudizio l’AGCM, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione, nonché proponendo appello incidentale avverso le statuizioni sub 2.1.4. e 2.1.5., nella parte in cui era stato ridotto l’ammontare della sanzione irrogata a CNS, affidato ai motivi come di seguito rubricati:

a) « Primo motivo: difetto di motivazione ed errore di fatto e di diritto nell’iter di quantificazione della sanzione da irrogare a CNS »;

b) « Secondo motivo: difetto di motivazione ed erronea individuazione della gravità dell’infrazione e proporzionalità della sanzione »;

c) « Terzo motivo: difetto di motivazione ed errore di diritto in merito alla pretesa insussistenza della segretezza dell’intesa e minore gravità dell’infrazione ».

5. Si costituivano, altresì, in giudizio la CONSIP s.p.a. e l’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati - ANIP, opponendosi all’accoglimento dell’appello di CNS.

Nella fase cautelare interveniva, altresì, in giudizio MFM, preannunciando la proposizione di separato appello.

6. All’udienza cautelare del 20 dicembre 2016 la difesa erariale dava atto che era in corso di notifica l’appello incidentale (di cui sopra sub 4.), al che tutti i difensori presenti dichiaravano concordemente di rinunciare alle istanze cautelari ed ai termini per la trattazione del merito, ed il Presidente disponeva il rinvio al merito, ad un’udienza in cui sarebbero stati chiamati anche gli appelli nelle more interposti da MFM e RM, con termine fino a cinque giorni prima dell’udienza per il deposito e lo scambio di memorie difensive.

7. Nella memoria difensiva del 19 gennaio 2017, la difesa di CNS sollevava, in gradato subordine, le seguenti questioni di compatibilità comunitaria.

7.1. « Se l’art. 101 TFUE, in relazione ad un’intesa come quella in discussione, osti a che l’Autorità nazionale di concorrenza e/o il giudice nazionale possano risolvere il problema dell’onere della prova mediante il riferimento ad una figura generica di concertazione complessa, senza dimostrare puntualmente gli elementi della pratica concordata e dell’accordo.

Se l’art. 101 TFUE, in relazione ad un’intesa come quella in discussione, espressamente qualificata come pratica concordata dall’Autorità nazionale di concorrenza, osti a che l’Autorità nazionale di concorrenza stessa e/o il giudice nazionale possano risolvere ed esaurire il problema dell’onere della prova, di fronte a spiegazioni alternative ragionevoli dei comportamenti posti in essere, mediante ulteriori confutazioni e altrettanto ragionevoli presunzioni ».

7.2. « Se l’art. 101 TFUE e gli articoli del Regolamento n. 1 del 2003 ostino a che, dopo che sia stata accertata da AGCM (quale unica Autorità nazionale di concorrenza sottoposta al coordinamento della Commissione UE) una pratica concordata commessa da quattro parti, con ruoli di disomogeneo contenuto anche oggettivo, sia sostituita ad essa una differente intesa a tre parti per effetto diretto della decisione del giudice nazionale e senza un nuovo e apposito accertamento di AGCM ».

8. All’udienza pubblica del 26 gennaio 2017 la causa veniva chiamata ed ampiamente discussa unitamente a quelle parallele intentate da MFM e RM.

In tale udienza, il difensore dell’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati - ANIP richiedeva la pubblicazione del dispositivo della sentenza, ai sensi del quinto comma dell’art.119, comma 5, cod. proc. amm.. La difesa di CNS si opponeva a tale istanza, in quanto presentata da un interveniente, da ritenersi come tale parte non necessaria del giudizio, dovendosi la facoltà ex art. 119, comma 5, cod. proc. amm. ritenere riservata alle parti necessarie, legittimate a proporre impugnazione contro il dispositivo della sentenza.

Indi la causa veniva trattenuta in decisione su tutte le richieste delle parti.

DIRITTO

9. Preliminarmente, in accoglimento della correlativa eccezione sollevata dalla difesa di CNS, deve essere dichiarata inammissibile la richiesta di pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza ai sensi dell’art. 119 comma 5 (applicabile anche ai giudizi di impugnazione in virtù del richiamo contenuto nel comma 7), formulata dalla difesa dell’ANIP, essendo tale associazione intervenuta in sede procedimentale (e, poi, in sede processuale) per sostenere le ragioni dell’Autorità, titolare della pretesa punitiva azionata con il provvedimento sanzionatorio oggetto d’impugnativa, e quindi assumendo la stessa, in qualità di titolare di un interesse derivato o riflesso da quello delle parti necessarie o litisconsortili, la veste di interveniente adesivo dipendente, al quale devono ritenersi riservati poteri processuali limitati ad un’attività accessoria e subordinata a quella della svolta dalla parte adiuvata, la quale ultima (ossia l’AGCM) nel caso di specie non si è avvalsa della facoltà di chiedere la pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza (peraltro, come fondatamente eccepito dalla difesa di CNS, all’ANIP, quale parte non necessaria del processo, sarebbe preclusa l’impugnazione autonoma del dispositivo ai sensi dell’art. 119, comma 6, cod. proc. amm., da ritenersi applicabile anche ad eventuali giudizi di revocazione, opposizione di terzo e, mutatis mutandis , al ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione).

10. Giova, altresì, premettere che non si ravvisano i presupposti per la riunione dei tre ricorsi in appello, proposti separatamente da CNS, MFM e RM avverso le correlative tre distinte sentenze pronunciate dal T.a.r. per il Lazio e tutti chiamati all’odierna udienza, in quanto, d’un lato, non si verte in un’ipotesi di riunione necessaria ai sensi dell’art. 96, comma 1, cod. proc. amm. e, d’altro lato, le varie imprese appellanti hanno dedotto motivi d’appello tra di loro in parte non coincidenti, talché appare preferibile una trattazione separata dei ricorsi medesimi.

11. Affrontando in ordine logicamente prioritario l’appello principale, si osserva che lo stesso è infondato.

11.1. Premesso che il provvedimento sanzionatorio qui impugnato applica dichiaratamente, in via diretta, l’art. 101 TFUE (ponendo in rilievo la rilevanza comunitaria della gara, la circostanza che i servizi oggetto della gara interessavano l’intero territorio nazionale, la partecipazione alla gara di imprese aventi vocazione internazionale e la conseguente potenziale incidenza pregiudizievole del comportamento delle imprese sanzionate sul mercato comune europeo), si osserva che l’art. 101 TFUE vieta « […] tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: […] c) ripartire i mercati […] ».

11.1.1. Giova, al riguardo, svolgere alcune considerazioni preliminari in diritto rilevanti ai fini della decisione dei primi quattro motivi d’appello, tenuto conto del quadro giurisprudenziale comunitario e nazionale formatosi in materia di intese restrittive della concorrenza vietate dal diritto antitrust :

(i) l’intesa restrittiva vietata dall’art. 101, paragrafo 1, TFUE può realizzarsi sia mediante un ‘accordo’ – che, in materia antitrust , non si esaurisce nell’istituto civilistico del contratto, ma comprende anche le fattispecie che, senza poter essere qualificate ‘contratti’, non si risolvono neanche in mere ‘pratiche’, sia pure concordate, ma si presentano come manifestazioni di volontà impegnative (sul piano sociale, e non necessariamente anche sul piano giuridico) di due o più soggetti, nelle quali resta irrilevante la forma, così come non rileva che l’accordo sia stato concluso, o meno, da soggetti muniti di potere di rappresentanza delle imprese partecipanti (v. Corte Giust. UE, 7 febbraio 2013, C-68/12;
Trib. I° grado CE, 24 ottobre 1991, T-1/89), essendo sufficiente che esponenti aziendali abbiano, di fatto, impegnato le rispettive imprese all’attuazione dell’intesa –, sia mediante una ‘pratica concordata’;

- storicamente, le ‘pratiche concordate’ emergono, come concetto del diritto antitrust , in qualità di prove indirette indicative dell’esistenza di un accordo, rappresentando dunque non tanto un’autonoma fattispecie di diritto sostanziale rigorosamente definita nei suoi elementi costitutivi, quanto una fattispecie strumentale operante sul piano probatorio in funzione dell’accertamento di una intesa restrittiva vietata dal diritto antitrust , indicativa dell’esistenza di una concertazione tra imprese concorrenti, le quali, invece, dovrebbero agire autonomamente sul mercato;

- infatti, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza, con la precisazione che i criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei princìpi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato: pur non escludendo la suddetta esigenza di autonomia il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (v. sul punto, per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123);

- da una giurisprudenza ben consolidata risulta che, se l’art. 101 TFUE ( ex -art. 81 TCE) distingue il concetto di ‘pratica concordata’ da quello di ‘accordi fra imprese’ o di ‘decisioni di associazioni di imprese’, ciò è dovuto all’intenzione di comprendere fra i comportamenti vietati da questo articolo forme diverse di coordinamento tra imprese del loro comportamento sul mercato (v., in particolare, Corte Giust. CE, 14 luglio 1972, 48/69;
Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C 49/92 P;
Corte Giust., 23 novembre 2006, C-238/05: quest’ultima, al punto 31 esclude la necessità di qualificare esattamente la forma di cooperazione tra imprese contestata alle parti) e di evitare così che le imprese possano sfuggire alle regole di concorrenza in base alla sola forma con la quale coordinano il loro comportamento;

- in particolare, secondo la giurisprudenza comunitaria, ‘accordi’ e ‘pratiche concordate’ sono forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano (v., ex plurimis , Corte Giust. UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P), e possono coesistere anche nell’ambito di una stessa intesa, corrispondendo, in particolare, le ‘pratiche concordate’ a una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza;

- ne consegue che l’eventuale qualificazione, da parte dell’Autorità antitrust , di una determinata situazione di fatto come ‘accordo’, anziché come ‘pratica concordata’, non vale ad immutare la sostanza dei fatti materiali addebitati alle imprese sanzionate per un’intesa restrittiva della concorrenza, rilevando la distinzione tra le diverse forme di manifestazione dell’intesa vietata primariamente sul piano del regime probatorio [su cui v. infra, sub (vi)];

(ii) parimenti, la distinzione tra intese anticoncorrenziali ‘per oggetto’ e intese anticoncorrenziali ‘per effetto’, contenuta nell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, non può essere ricostruita attraverso i concetti civilistici della disciplina generale del contratto (artt. 1346 ss, 1372 ss., cod. civ.), in quanto, per un verso, gli ‘accordi’ non sono necessariamente (e neanche prevalentemente) ‘contratti’ in senso negoziale-civilistico, e, per altro verso, le ‘pratiche concordate’, consistenti in meri comportamenti di fatto (sintomatici di una concertazione sottostante), giammai potrebbero avere un oggetto negoziale, mentre la giurisprudenza comunitaria ha affermato la possibilità di pratiche concordate condannabili ‘per oggetto’ pur in mancanza di effetti concreti (v. Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C-49/92;
Trib. I° grado CE, 8 luglio 2004, T-50/00), con ciò riferendosi a ‘pratiche facilitanti’ atte a favorire il coordinamento dei comportamenti concorrenziali delle imprese coinvolte, per quanto non ancora produttive di concreti effetti anticoncorrenziali (infatti, una tale affermazione sarebbe priva di senso, se il termine ‘oggetto’ e il termine ‘effetto’ fossero intesi in senso giuridico-negoziale, anziché con riferimento alla concreta portata dell’operazione economica oggetto di contestazione);

- peraltro, il testo normativo (anche argomentando dal successivo paragrafo 3), parlando di ‘effetti’, non si riferisce agli effetti giuridici, bensì a quelli economici dei comportamento presi in considerazione, così come anche l’‘oggetto’ di cui parla l’art. 101 TFUE deve essere inteso in senso economico (e non come ‘prestazione giuridicamente dovuta’ dedotta in contratto) (v. Corte Giust. CE, 30 giugno 1966, C-56/64);

- l’affermazione ormai consolidata (v., per tutte, Corte Giust. CE, 11 gennaio 1990, C-277/87;
Trib. I° grado UE, 24 maggio 2012, T-111/08) per cui ‘oggetto’ ed ‘effetto’ sono condizioni alternative e non cumulative deve, pertanto, essere intesa non nel senso che si tratta di termini realmente alternativi (di modo che la presenza dell’uno determina l’esclusione dell’altro), ma nel senso che, se un’intesa ha già un oggetto potenzialmente anticoncorrenziale, è irrilevante il fatto che abbia prodotto o meno effetti concreti, mentre, se ha un oggetto non direttamente anticoncorrenziale, occorre passare all’esame degli effetti prodotti;

- pertanto, i termini ‘oggetto’ ed ‘effetto’ costituiscono semplicemente diverse prospettive di uno stesso fenomeno, che passa da un effetto anticoncorrenziale potenziale (‘oggetto’) a un effetto anticoncorrenziale effettivamente prodotto (‘effetto’), con i seguenti corollari sul piano del regime probatorio: per un verso, la prova dell’effetto concreto è sufficiente ai fini dell’accertamento della violazione del divieto e, per altro verso, il divieto può applicarsi anche in caso di effetto anticoncorrenziale solo potenziale;

- posto che l’accertamento di un’intesa anticoncorrenziale sub specie di intesa vietata ‘per oggetto’ o ‘per effetto’ si basa su un’analisi degli effetti economici (attuali o solo potenziali) dell’intesa, ne consegue che una stessa intesa vietata (sia che si manifesti in forma di accordi, sia che si manifesti in forma di pratiche concordate, sia che si manifesti in forma mista), sotto alcuni aspetti può essere qualificata come intesa anticoncorrenziale ‘per oggetto’ e, sotto altri aspetti, come anticoncorrenziale ‘per effetto’;

(iii) la tipicità legale del negozio o dello strumento contrattuale cui, nel caso concreto, abbiano fatto ricorso le parti (nel caso di specie, vengono in rilievo i raggruppamenti temporanei d’impresa, il contratto sociale consortile, il contratto di subappalto), o il fatto che esso abbia un oggetto principale che nulla abbia a che vedere con la regolazione della concorrenza, non esclude la possibilità di una valutazione degli effetti antitrust e un possibile giudizio di illiceità, totale o parziale, per violazione della normativa antitrust (Corte Giust. CE, 17 novembre 1987, C-142/84);

- diversamente opinando, si perverrebbe al risultato, inaccettabile, che l’illecito concorrenziale sarebbe pressoché inconfigurabile per il semplice fatto che, il più delle volte, consiste in comportamenti analiticamente leciti, se visti solo alla luce di settori dell’ordinamento diversi da quello della concorrenza;

- per quanto qui interessa, la circostanza che associazioni temporanee d’impresa, consorzi e contratti di subappalto costituiscano negozi giuridici tipizzati, non esclude la loro contrarietà al diritto antitrust , allorché risulti che la concreta funzione socio-economica dell’affare sia illecita in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario a norme imperative, essendo molteplici istituti civilistici ‘neutri’ sotto profili antitrust e dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali: ciò che rileva a fini antitrust , infatti, non è la legittimità o meno di una specifica condotta, ma la portata anticoncorrenziale di una serie di atti, in tesi anche in sé legittimi (Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 2947;
id., 15 maggio 2015, n. 2479);

(iv) è altresì giurisprudenza costante che, allorché una decisione che applica l’articolo 101 TFUE ( ex -art. 81 TCE) riguarda più destinatari e pone un problema di imputabilità dell’infrazione, essa deve contenere una motivazione sufficiente nei confronti di ciascuno dei destinatari, specie di quelli che, secondo il tenore della stessa decisione, dovranno sopportare l’onere conseguente all’infrazione (v., per tutte, Trib. I° grado CE, 28 aprile 1994, T 38/92;
id., T 330/01), con la precisazione che l’accertamento dell’elemento soggettivo quanto meno della colpa costituisce il presupposto per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, ai sensi dell’art. 11, paragrafo 2, del Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 (concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato), ma non costituisce elemento costitutivo dell’illecito antitrust (ad es., ai fini dell’adozione di misure interdittive);

- gli accordi e le pratiche concordate di cui all’art. 101 TFUE ( ex -art. 81 TCE) derivano necessariamente dal concorso di due o più imprese, tutte coautrici dell’infrazione, la cui partecipazione può però presentare forme differenti a seconda, segnatamente, delle caratteristiche del mercato interessato e della posizione di ciascuna impresa su tale mercato, degli scopi perseguiti e delle modalità di esecuzione scelte o previste: tuttavia, la semplice circostanza che ciascuna impresa partecipi all’infrazione secondo forme ad essa peculiari non basta ad escluderne la responsabilità per il complesso dell’infrazione, compresi i comportamenti materialmente attuati da altre imprese partecipanti che però condividano il medesimo oggetto o il medesimo effetto anticoncorrenziale (v. Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C 49/92 P);

- l’esistenza di un’infrazione perpetrata attraverso una pluralità di atti o condotte non significa necessariamente che un’impresa che partecipi ad uno o più aspetti possa essere ritenuta responsabile dell’intera infrazione, spettando, con riguardo alla prova dell’elemento soggettivo in capo a ciascuna delle imprese coinvolte (rilevante ai fini dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria), alla Commissione (o all’Autorità nazionale antitrust ) dimostrare che la suddetta impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o messi in atto da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi (Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C‑49/92 P);

- ne consegue che, anche ove in sede giudiziale si ritenga non sufficientemente motivata la partecipazione di una delle imprese all’intesa restrittiva, ciò non di meno le altre imprese possano continuare a rispondere del proprio comportamento anticoncorrenziale, attesa la piena compatibilità dell’assoluzione di una delle imprese coinvolte, per carenza di prova e di adeguata motivazione in ordine alla sua partecipazione alla concertazione, con la persistente responsabilità delle altre imprese coinvolte in ordine ai comportamenti loro contestati, accertati dall’Autorità e rimasti confermati in sede giudiziale;

(v) le intese finalizzate alla ripartizione dei mercati hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in sé e appartengono a una categoria di accordi espressamente vietati dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, poiché un siffatto oggetto non può essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico e giuridico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale di cui trattasi (Corte Giust. UE, 19 dicembre 2013, cause riunite C-239/11 P, C 489/11 P e C 498/11 P);

- ne deriva che non può costituire una causa di giustificazione di un’intesa restrittiva vòlta alla ripartizione del mercato – nella specie, attraverso la spartizione dei macro-lotti messi a gara da CONSIP – la circostanza che, diversamente, l’impresa non avrebbe potuto perseguire i propri interessi commerciali (ad es., per quanto qui interessa, per la mancanza dei requisiti economico-finanziari, o per effetto delle clausole del bando che ponevano limiti alla partecipazione ai vari lotti in ragione di collegamenti esistenti tra le imprese, ecc.);

(vi) a proposito del regime probatorio vigente in tema di intese restrittive ai sensi dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, si impongono le seguenti considerazioni:

- benché l’articolo 2 del regolamento n. 1/2003 disciplini espressamente l’attribuzione dell’onere della prova, tale regolamento non contiene disposizioni relative agli aspetti procedurali più specifici, non contenendo, in particolare, disposizioni relative ai principi che regolano la valutazione delle prove e il grado di intensità della prova richiesto nell’ambito di un procedimento nazionale di applicazione dell’articolo 101 TFUE (Corte Giust. UE, 21 gennaio 2016, C-74/14);

- tale conclusione è corroborata dal ‘considerando’ 5 del regolamento n. 1/2003, che prevede esplicitamente che quest’ultimo non incide sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova (id.);

- secondo costante giurisprudenza, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilirle, in forza del principio di autonomia procedurale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (id.): di qui la persistente necessità di tener conto anche degli standard probatori ritenuti applicabili nell’ordinamento euro-unitario;

- per costante giurisprudenza comunitaria spetta, d’un lato, all’autorità che asserisca l’esistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza l’onere di darne la prova, dimostrando in forma sufficiente i fatti costitutivi dell’infrazione stessa, mentre, dall’altro lato, incombe all’impresa, che invochi a proprio favore un mezzo difensivo diretto a contrastare una constatazione di infrazione, l’onere di provare che le condizioni per l’efficacia di tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che la suddetta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova (v., per tutte, Trib. I° grado, 18 giugno 2013, T-406/08, con ampi richiami giurisprudenziali);

- per quanto riguarda l’acquisizione della prova di un’infrazione all’articolo 101 TFUE, occorre altresì ricordare che la Commissione deve fornire prove precise e concordanti atte a fondare il fermo convincimento in ordine all’asserita commissione della infrazione, e che l’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve risolversi a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione che constata l’infrazione, soprattutto nel contesto di un ricorso volto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda (id.);

- sempre per costante giurisprudenza comunitaria, non ogni prova fornita dalla Commissione deve necessariamente rispondere ai suddetti criteri in rapporto a ciascun elemento dell’infrazione, essendo sufficiente che il complesso di indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (id., con ampi richiami giurisprudenziali);

- peraltro, è usuale che le attività derivanti da pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgano in modo clandestino, che le riunioni siano segrete e che la documentazione ad esse relativa sia ridotta al minimo, sicché, anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, essi saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni: pertanto, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere inferita da un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati insieme, possono costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme sulla concorrenza (id., con ampi richiami giurisprudenziali);

- inoltre, tenuto conto della notorietà del divieto di partecipare ad accordi anticoncorrenziali, non si può pretendere che la Commissione produca documenti che attestino in modo esplicito un contatto tra gli operatori interessati, dovendo gli elementi frammentari e sporadici di cui la Commissione potrebbe disporre, in ogni caso poter essere completati con deduzioni che permettano di ricostituire taluni dettagli, con la conseguenza che l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale può essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza Trib. I° grado, 12 luglio 2011, T-113/07);

- anche la giurisprudenza nazionale, consapevole della rarità dell’acquisizione della prova piena (c.d. smoking gun , quali testo dell’intesa, documentazione inequivoca, confessione dei protagonisti) e della conseguente vanificazione pratica delle finalità perseguite dalla normativa antitrust che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, reputa sufficiente e necessaria in questa materia l’emersione di indizi, purché seri, precisi e concordanti, con la precisazione che la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa abbia una forza probatoria attenuata (Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 294;
id., 18 maggio 2015, n. 2514);

- la sentenza impugnata, a pp. 29 - 32, ricostruisce il quadro giurisprudenziale, nazionale e comunitario, in materia di accordi e pratiche concordate integranti un’intesa restrittiva ai sensi dell’art. 101 TFUE e il relativo regime di distribuzione dell’onere della prova, anche in relazione alla tematica della natura degli elementi di prova, ‘esogeni’ ed ‘endogeni’, che di volta in volta possono venire in rilievo, con considerazioni interamente condivise da questo Collegio, sicché le stesse devono intendersi qui interamente richiamate,

(vii) quanto all’ambito e ai limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità antitrust , nella giurisprudenza nazionale (v., per tutte, Corte Cass., Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 1013) è stato puntualizzato che il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’AGCM comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento: ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come ad esempio nel caso della definizione di mercato rilevante –, detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini;

- il giudice amministrativo, in relazione ai provvedimenti dell’AGCM, esercita un sindacato di legittimità che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’Autorità risulti immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate, mentre, laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione di tali concetti, se questa sia attendibile secondo la scienza economica e immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici e da vizi di violazione di legge (in tal senso, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 2947;
id., 13 giugno 2014, n. 3032;
peraltro, tali principi giurisprudenziali sono stati di recente recepiti dal legislatore con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, in G.U. n. 15 del 19 gennaio 2017, entrata in vigore il 3 febbraio 2017 – inapplicabile ratione temporis in via diretta al presente processo –, il cui art. 7, comma 1, per quanto qui interessa, testualmente recita: « […] Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima […] »).

11.1.2. Orbene, affrontando l’esame del primo motivo d’appello principale, di cui sopra sub 3.a), si osserva che destituito di fondamento è il primo profilo di censura con esso dedotto (mentre il secondo profilo di censura investe il tema della valutazione probatoria, oggetto di esame in sede di trattazione del secondo e terzo motivo d’appello).

L’Autorità, nel provvedimento impugnato, ha acclarato che:

- « In esito all'istruttoria sono state accertate condotte volte al coordinamento della strategia partecipativa alla gara poste in essere da CNS, Manutencoop, K e Roma Multiservizi, al fine di influenzarne gli esiti e, annullando il confronto competitivo tra le stesse, di ripartire i lotti messi a gara » (§ 159 del provvedimento);

- « Più in particolare, dall'attività istruttoria svolta è emersa l'esistenza di una pratica concordata, riconducibile, da un lato, alla presenza di elementi di oggettivo riscontro – tra i quali figurano scambi di informazioni oltre ad un accordo scritto – che rivelano l'esistenza di una collaborazione anomala (elementi esogeni) e, dall'altro, all'impossibilità di spiegare alternativamente le condotte parallele verificate come frutto plausibile di iniziative imprenditoriali delle parti (elementi endogeni)» (§ 160);

- «Oggetto dell'intesa è stato quello di condizionare l'esito della gara, eliminando il reciproco confronto concorrenziale, mediante l'utilizzo distorto dello strumento consortile;
ciò al fine di garantire a CNS e MFM il numero massimo di lotti maggiormente appetibili, sul presupposto che entrambe avrebbero complessivamente beneficiato dei risultati singolarmente conseguiti. A tale ultimo riguardo, occorre infatti tener presente che, nonostante la sua partecipazione individuale alla gara, MFM resta un'impresa aderente al Consorzio, dai cui risultati quest'ultimo inevitabilmente trae vantaggio
» (§ 162);

- « […] in disparte la considerazione già di per sé assorbente che la condotta contestata risulta qualificarsi come anticompetitiva per oggetto, determinando l'irrilevanza, ai fini della valutazione di illiceità, della produzione di eventuali effetti restrittivi, preme considerare come le descritte difese non colgano la reale essenza della pratica contestata. Invero, ciò che si è contestato ed accertato è un'intesa con cui le parti, tra cui figurano i due maggiori players del mercato CNS e MFM, con fatturato specifico di gran lunga superiore a quello degli altri operatori del settore, hanno eliminato il rischio del reciproco confronto concorrenziale, così condizionando lo svolgimento della gara;
peraltro, tale intesa si è anche compiutamente realizzata
» (§ 165);

- «[…] In particolare, l'accordo tra il CNS e RM relativo al lotto 4 risulta essere illecito ed anticoncorrenziale per il suo stesso contenuto, avendo ad oggetto la rinuncia di RM a partecipare alla gara in cambio di vantaggi compensativi resi dalla controparte […] » (§ 181);

- « Devono, pertanto distinguersi: - da un lato, l'accordo tra CNS e RM avente ad oggetto lo scambio di vantaggi, e in particolare una compensazione per la rinuncia di RM a partecipare alla gara Consip. Tale accordo risulta illecito ed anticoncorrenziale per il suo stesso contenuto;
- dall'altro, i contratti di subappalto stipulati tra l'ATI 1 e RM relativamente al lotto 4, di per sé leciti ma anticoncorrenziali per la concreta finalità perseguita, disvelata dal richiamato accordo illecito di cui tali atti di subappalto costituiscono momenti esecutivi
» (§ 255);

- « […] la natura restrittiva dell'accordo relativo al lotto 4 deve pertanto essere apprezzata sia avendo riguardo alle dinamiche competitive relative a tale lotto che nel quadro della più ampia intesa in esame, relativa all'intera gara. A ben vedere, infatti, l'accordo, oltre ad avere una sua intrinseca valenza anticoncorrenziale, costituisce anche un tassello della globale strategia ripartitoria posta in essere tra le parti. In altri termini, poiché le scelte anticompetitive compiute da Roma Multiservizi tramite tale accordo sono riconducibili anche a Manutencoop, i vantaggi compensativi che ne derivano costituiscono altresì forme di contropartita alle rinunce di CNS, nel contesto dell'intesa più ampia. L'accordo per il lotto 4 è, dunque, anche espressione della rinuncia di Manutencoop a partecipare alla gara per quello stesso lotto, fermo restando l'impegno di CNS di garantire a Manutencoop che, in ogni caso, la società ad essa riconducibile (Roma Multiservizi) avrebbe ivi mantenuto il proprio portafoglio »;

- « Dall'insieme degli elementi di prova esogeni e endogeni accertati emerge incontrovertibilmente che, in occasione della procedura indetta da Consip, le imprese CNS, MFM, RM e K hanno posto in essere un’intesa anticoncorrenziale per il suo stesso oggetto, sub specie di pratica concordata, con la finalità di condizionare gli esiti della gara Consip, attraverso l'eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti, sì da aggiudicarsene i più appetibili nel limite massimo fissato dalla lex specialis » (§ 303);

- « L'intesa ha potuto pienamente realizzarsi e trovare attuazione anche per effetto degli scambi di informazioni sensibili che si sono realizzati nel contesto dei rapporti di governante esistenti tra MFM e RM. Quest'ultima ha infatti svolto il cruciale ruolo di veicolo di informazioni tra CNS e Manutencoop » (§ 310).

- « Si tratta, in particolare, di un’intesa orizzontale segreta mirante a condizionare la dinamica delle riferite gare sì da neutralizzare il confronto competitivo per l'aggiudicazione delle commesse. Si osserva che l'intesa ha coinvolto i maggiori player del mercato di riferimento ed ha avuto piena attuazione determinando la ripartizione del mercato » (§ 315).

Orbene, la qualificazione, nell’impugnata sentenza, dell’intesa restrittiva di cui al gravato provvedimento come « concertazione complessa » (v. p. 33 dell’appellata sentenza) deve essere letta alla luce dei sopra riportati accertamenti compiuti nel gravato provvedimento – aderenti, in linea di diritto, agli orientamenti giurisprudenziali, comunitari e nazionali, vigenti in materia di intese restrittive commesse attraverso accordi e/o pratiche concordate, riportati sopra sub 11.1.1.(i) e (ii) –, in cui vengono messi in rilievo atti di natura variegata posti in essere dalle parti (veri e propri accordi, scambi di informazione, pratiche concordate) che, nel loro insieme, sono venuti ad integrare l’illecito unico contestato alle parti, anticoncorrenziale in parte ‘per oggetto’ e in parte ‘per effetto’, costituito da un’intesa restrittiva della concorrenza perpetrata al fine di condizionare gli esiti della gara CONSIP attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis .

Ciò emerge in modo chiaro e univoco dal tenore testuale dell’impugnata sentenza, laddove statuisce che « l’AGCM ha sostanzialmente contestato alle parti una concertazione “complessa”, definendone con chiarezza – secondo la sua ricostruzione – il plurimo oggetto anticompetitivo, vale a dire la volontà di condizionare gli esiti della gara Consip attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili nei limiti di quanto prescritto dalla “lex specialis”, con valorizzazione economica dei rapporti di portafoglio ».

In altri termini, il concetto di « concertazione complessa » è stato utilizzato nell’impugnata sentenza come formula meramente descrittiva dell’illecito addebitato alle imprese e accertato dall’Autorità, articolato in forme di condotta diversificate (di cui non ciascuna, in sé considerata, integrante un autonomo illecito anticoncorrenziale), e non già nel senso tecnico, proprio del diritto antitrust , di « infrazione unica, continuata e complessa », presupponente una pluralità di comportamenti che integrino, ciascuna , altrettanti illeciti antitrust sotto forma di accordi o pratiche concordate autonomamente accertati, la loro reiterazione nel tempo e il medesimo scopo economico anticoncorrenziale (infatti, secondo costante giurisprudenza comunitaria, una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o persino da un comportamento continuato, anche quando uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero altresì costituire, di per sé e considerati isolatamente, una violazione di detta disposizione;
v. al riguardo, ex plurimis , Corte Giust. UE, 24 giugno 2015, C-293/13).

Orbene, esclusa la riqualificazione, da parte del T.a.r., dell’illecito contestato e accertato nei confronti dell’odierna appellante sub specie di « infrazione unica, continuata e complessa » viene, in primo luogo, a cadere la censura di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

In secondo luogo, a fronte della natura meramente descrittiva della nozione di « concertazione complessa » utilizzata dal T.a.r., non incidente in senso modificativo sui singoli elementi dell’illecito accertato dall’Autorità, diviene irrilevante la questione pregiudiziale comunitaria sollevata con il primo quesito di cui sopra sub 7.1., presupponente l’attribuzione, alla sentenza del T.a.r., di una sostanziale portata modificativa dell’illecito contestato alle imprese in sede procedimentale e accertato dall’Autorità. Infatti, per le sopra esposte ragioni, una siffatta immutazione dell’ipotesi accusatoria da parte del T.a.r. è da escludere.

11.1.3. Passando all’esame del quarto motivo d’appello di cui sopra sub 3.d) – accomunato alla censura innanzi esaminata, dedotta nell’ambito del primo motivo, per la problematica processuale relativa alla denunziata immutazione giudiziale della natura e degli elementi costitutivi dell’illecito –, si osserva che la circostanza che il T.a.r., con la separata sentenza n. 10305/2016, abbia parzialmente annullato il provvedimento sanzionatorio con riguardo alla partecipazione di K all’infrazione in oggetto non è sufficiente a rimettere in discussione l’accertamento dell’Autorità in ordine alle condotte anticoncorrenziali poste in essere da CNS, MFM e RM, le quali restano ferme nella loro materialità e nella loro valenza concertativa a prescindere dalla qualificazione della partecipazione di K.

Infatti, la sentenza n. 10305/2016 ha accolto le censure di difetto e contraddittorietà di motivazione, nonché di difetto d’istruttoria, dedotte dalla ricorrente K – associata ‘in sovrabbondanza’, per una quota del 15%, all’ATI 1 capeggiata da CNS –, in primo luogo in relazione all’asserito impegno di concedere subappalti a consorziate di rilievo di CNS cui il consorzio avrebbe inteso garantire il mantenimento del portafoglio.

In secondo luogo, analoga carenza di motivazione è stata rilevata a proposito dell’intera ricostruzione volta a coinvolgere K nell’intesa sanzionata, sotto i seguenti profili:

- non risultava sufficientemente comprovato che a K fossero noti i rapporti di governance tra MFM e RM e le relative comunicazioni tra queste ultime due e CNS, secondo la ricostruzione descritta nel provvedimento impugnato;

- in realtà, in senso contrario, appariva plausibile l’osservazione di K, secondo cui solo al momento della sottoscrizione del regolamento dell’ATI 1 avesse conosciuto dell’accordo intervenuto tra CNS e RM, dato che non era spiegabile per quale ragione K avrebbe dovuto essere prima coinvolta nel rapporto CNS/RM, orientato a diverso fine;

- l’Autorità non aveva fornito sufficienti elementi per smentire la tesi di K per cui la strategia di partecipazione alla gara era tutta riconducibile a CNS (e ciò trovava logico fondamento nella bassa quota di partecipazione di K all’ATI 1), secondo una prospettazione invece ritenuta rilevante per escludere il coinvolgimento di Exitone nell’intesa;

- né convincenti erano le motivazioni addotte dall’Autorità per escludere la verosimiglianza della spiegazione alternativa alla collusione, fondate sulla convenienza economica alla partecipazione di Kn in a.t.i. con CNS, in quanto « la scelta imprenditoriale di K di partecipare in a.t.i. con uno dei primari “player” del settore, che disponeva di un elevato numero di imprese consorziate, appare giustificabile autonomamente – senza necessità di individuare un “retroscena compensativo” per quanto oggetto dell’accordo CNS/RM in relazione al credito vantato dalla ricorrente [K;
n.d.e.] – secondo l’indicazione dell’interessata che in tal modo intendeva risparmiare sui costi di “start up” e sui costi diretti e indiretti di gestione del personale, proprio in virtù dell’”affidabilità” in tal senso riconosciuta a CNS
», e « la finalità “compensativa” che l’AGCM richiama costantemente non appare l’unica ragione che può aver mosso K e CNS alla partecipazione in a.t.i., in quanto ben poteva il consorzio, avendone i requisiti, partecipare da solo alla gara (tutt’al più con Exitone per quanto riguardava i servizi “tecnici” e l’“affinamento” dell’offerta tecnica) e in tal modo provvedere ugualmente a soddisfare le esigenze di RM. Sotto tale profilo, quindi, non si vede la ragione – né l’AGCM la illustra adeguatamente – per la quale era necessario il coinvolgimento di K e non direttamente di sue consorziate » (v. così, testualmente, la sentenza n. 10305/2016);

- perplessità emergevano, poi, anche in relazione alla ritenuta conoscenza di K dell’accordo CNS/RM, perché richiamato nel regolamento dell’ATI 1, risultando indimostrato che « K conoscesse l’antefatto di quanto indicato al punto 5.5. del regolamento dell’ATI 1 e con la sottoscrizione avesse avallato i termini dell’accordo tra CNS e RM da cui era rimasta estranea », sicché, a giudizio del T.a.r., la concessione di subappalti alle consorziate di CNS ben poteva essere inquadrata nell’ambito di una strategia imprenditoriale lecita riconducibile a K, « ben potendo un credito pregresso essere oggetto di negoziazione al fine di partecipare in a.t.i. per l’assenza di requisiti utili ai fini della partecipazione “singola”, a differenza se alla negoziazione fosse seguita la mancata partecipazione pur possedendone i requisiti » (v. così, testualmente, la sentenza n. 10305/2016);

- pertanto, « Il credito pregresso di K, in sostanza, può aver fatto da stimolo alla contrattazione per la formazione dell’ATI 1 ma non risulta essere un elemento idoneo alla dimostrazione della partecipazione alla complessa condotta collusiva che riguardava due primari “players” del settore (CNS e MFM) e una partecipata di uno di questi (RM), aventi forza contrattuale ben più sostenuta della ricorrente e che, almeno per MFM e RM, non avrebbero avuto alcun vantaggio in un’ottica di esclusione da un regolare confronto competitivo dalla partecipazione o meno nell’ATI 1 di K » (v. così, testualmente, la sentenza n. 10305/2016).

Da quanto sopra emerge chiaramente che le motivazioni poste a base della pronuncia di accoglimento del ricorso di K adottata dal T.a.r. – peraltro, con sentenza non ancora passata in giudicato e, secondo le dichiarazioni della difesa erariale, già investita di appello – sono ‘personali’ a quest’ultima e non comportano una modificazione degli elementi costitutivi dell’intesa restrittiva quale accertata dall’Autorità nei confronti dell’odierna appellante e delle altre due imprese coinvolte, anche tenuto conto del ruolo marginale svolto da K secondo la ricostruzione dell’intesa restrittiva compiuta dall’Autorità nel provvedimento impugnato in primo grado.

Pertanto, contrariamente a quanto assunto dall’odierna appellante, l’impianto ricostruttivo su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio non risulta affatto travolto, nella sua interezza e nei confronti di tutte le imprese sanzionate, dalla pronuncia ‘assolutoria’ adottata nei confronti di K, se non limitatamente alla posizione di quest’ultima, inalterate rimanendo le condotte concertative contestate a CNS, MFM e RM, finalisticamente tese alla spartizione dei lotti più appetibili, quali accertate nel provvedimento gravato in primo grado confermato in parte qua dalla qui impugnata sentenza.

Ne deriva l’infondatezza delle censure con cui l’appellante deduce la violazione del principio di legalità e tipicità della fattispecie, dei diritti di difesa e dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, non comportando l’esclusione della specifica partecipazione di K all’intesa sanzionata per le ragioni sviluppate dal T.a.r. nella sentenza n. 10305/2016 una ricostruzione/riqualificazione giudiziale dell’illecito in termini diversi nei confronti delle altre tre imprese.

A fronte della scindibilità della posizione di K e della natura ‘personale’ delle ragioni assolutorie poste a base della sentenza di accoglimento n. 10305/2016, deve dunque escludersi la necessità di un annullamento dell’intero provvedimento con remand all’Autorità.

Ne discende, poi, l’irrilevanza e manifesta infondatezza della questione pregiudiziale di illegittimità comunitaria sollevata dalla parte appellante sopra sub 7.2., in quanto il quesito si basa sull’assunto di una modificazione della struttura dell’illecito contestato alle altre tre imprese CNS, MFM e RM, operata dal T.a.r. per effetto dell’accoglimento del ricorso di K e della contestuale reiezione dei ricorsi delle altre tre imprese;
assunto, da ritenersi invece infondato alla luce delle considerazioni innanzi svolte.

La questione pregiudiziale comunitaria, quale sopra sollevata, è, peraltro, anche manifestamente infondata (alla luce della teoria dell’ acte clair ), muovendosi la qui appellata sentenza del T.a.r. nel rispetto delle coordinate giurisprudenziali comunitarie che presiedono alla disciplina della partecipazione di una pluralità di imprese ad un’intesa vietata ai sensi dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, quali esposte sopra sub 11.1.1.(iv), alla cui stregua non necessariamente l’esclusione dell’apporto partecipativo di una delle imprese originariamente ‘indagate’ o sanzionate comporta un’immutazione dell’illecito antitrust di cui alla citata disposizione, in modo da esigere una rinnovazione procedimentale nei confronti delle altre imprese coinvolte.

11.1.4. Infondati sono il secondo profilo di censura, dedotto nell’ambito del primo motivo d’appello sub 3.a), e il secondo e terzo motivo d’appello sub 3.b) e 3.c), tra di loro connessi e da trattare congiuntamente, in quanto involgenti critiche alla valutazione delle prove e all’applicazione della disciplina della distribuzione dell’onere della prova.

Invero, la valutazione degli elementi di prova ‘esogeni’ ed ‘endogeni’ acquisiti in sede procedimentale, le puntuali e plausibili obiezioni alle spiegazioni alternative offerte dalle parti in relazione agli elementi di prova ‘endogeni’ e la ricostruzione in chiave unitaria e globale dell’intero quadro indiziario, svolte dall’Autorità e confermate dal T.a.r., rispondono al regime della distribuzione dell’onere della prova e agli standard probatori, quali elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di accertamento di fatto di un’intesa anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 101, comma 1, TFUE, esposti sopra sub 11.1.1.(vi). Infatti dette operazioni valutative si rivelano aderenti alla realtà dei fatti accertati e agli elementi di prova acquisiti, analiticamente esaminati e ricomposti in una ricostruzione completa dei fatti, i cui singoli passaggi si connotano per la loro coerenza inferenziale interna e non-contraddittorietà, e la quale, nella sua globalità e secondo un approccio metodologico olistico combinato a quello analitico, si connota per la congruità narrativa rispetto ai fatti, pervenendo alla corretta conclusione della comprovata sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale sub specie di intesa restrittiva della concorrenza di tipo orizzontale, perpetrata dalle parti con variegate forme di condotta (accordi, scambi di informazione, pratiche concordate in senso stretto), con la finalità di condizionare gli esiti della gara CONSIP attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili nel numero massimo fissato dalla lex specialis .

Avverso tale ricostruzione parte appellante deduce una serie di censure volte a parcellizzare e frazionare l’unitaria valutazione dell’Autorità, prospettando una lettura diversa di alcuni elementi dell’impianto motivazionale posto a base del gravato provvedimento, onde indebolire il quadro d’insieme ricostruito dall’Autorità, in tal modo tuttavia incorrendo essa stessa nel vizio metodologico di una valutazione meramente atomistica dei singoli elementi su cui si basa l’accertamento dell’illecito, in violazione dei parametri stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di prova dell’illecito ex art. 101, comma 1, TFUE, riportati sopra sub 11.1.1.(vi).

Prima di esaminare i singoli elementi probatori vagliati dall’Autorità, occorre premettere che le imprese CNS e MFM nel gravato provvedimento correttamente sono state qualificate come due dei maggiori player del mercato, venendo qui in rilievo non già, in linea astratta, il mercato nazionale dei servizi di pulizia e di facility management nel suo complesso, ma dovendosi aver riguardo al ‘mercato rilevante’ ai fini di cui all’art. 101 TFUE, ossia all’ambito economico interessato dall’illecito anticoncorrenziale addebitato in concreto alle imprese.

L’Autorità ha correttamente individuato il ‘mercato rilevante’ nella « procedura di affidamento indetta da Consip S.p.A., per conto del Ministero dell'Economia e delle Finanze, per i servizi di pulizia e gli altri servizi, tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili di Istituti Scolastici di ogni ordine e grado e dei centri di formazione della Pubblica Amministrazione […], bandita da Consip in data 11 luglio 2012 […] » (§ 158 del provvedimento), essendo questo l’ambito economico interessato dall’illecito anticoncorrenziale de quo , con conseguente altrettanto corretta qualificazione di CNS e MFM come maggiori players del mercato, tenuto conto del loro fatturato in rapporto a quello delle altre imprese concorrenti, e con sequela d’infondatezza delle censure al riguardo dedotte nel ricorso in appello.

11.1.4.1. Passando al vaglio degli elementi di prova ‘endogeni’ posti a base del provvedimento sanzionatorio, si osserva che:

- CNS, nella e-mail interna del 6 novembre 2012 (doc. I.37.4.53), dunque a pochi giorni dalla prima seduta pubblica di gara (svoltasi il 15 ottobre 2012) destinata all’esame della documentazione amministrativa e alla verifica dell’integrità delle buste contenenti l’offerta tecnica ed economica (che rimanevano sigillate), dava per scontato, in termini perentori, che sarebbe rimasto aggiudicatario dei tre lotti ivi specificati (ossia, dei lotti 1, 4 e 10), sebbene l’ATI 1 capeggiata da CNS avesse presentato offerte anche per altri tre lotti, minimamente menzionati nella e-mail , nella quale, tra l’altro si legge, con una formulazione che non lascia spazio a dubbi sull’esito della gara: « CNS (e Roma Multiservizi) con i lotti 1, 4 e 10 mantengono quasi ovunque la territorialità e raggiungono l’attuale portafoglio »;

- detta e-mail correttamente è stata valorizzata dall’Autorità come indice della previa esclusione dei maggiori rischi della concorrenza, attraverso la spartizione dei lotti sui quali concorrere, con la consorziata MFM, la quale aveva partecipato alla gara individualmente, su altri lotti, per i quali non aveva partecipato CNS ad eccezione dei lotti 3 (Toscana) e 9 (Friuli Venezia Giulia e Veneto), in relazione ai quali CNS aveva, poi, presentato un’offerta economica anormalmente non aggressiva;

- le spiegazioni fornite da CNS a giustificazione della scelta di non partecipare alla gara per i lotti delle regioni meridionali (presenza di lavoratori socialmente utili, c.d. « ex-LSU » da reimpiegare ed insufficienza dei fondi stanziati dal M.i.u.r. per l’integrale assorbimento di tali lavoratori), correttamente sono state ritenute inattendibili dall’Autorità (con valutazione confermata dal T.a.r.), attesa, per un verso, la rilevata presenza di « ex-LSU » anche nei lotti relativi alle regioni centro-settentrionali cui aveva partecipato CNS, e considerato, per altro verso, che la presenza di tale categoria di manodopera non aveva rappresentato un elemento ostativo alla partecipazione alla gara da parte di altre imprese, a dimostrazione della sussistenza di un rapporto costi/benefici economicamente apprezzabile anche per i lotti relativi alle regioni meridionali;

- nell’impugnata sentenza correttamente è stata confermata l’attendibilità della valutazione dell’Autorità circa l’irrazionalità, secondo una logica imprenditoriale autonoma, della scelta di CSN di non presentare offerta per i lotti 2 (Emilia-Romagna) e 8 (Lombardia e Trentino), entrambi aggiudicati a MFM, in quanto, in primo luogo, l’Emilia-Romagna era la sede legale e amministrativa di CNS e l’area territoriale in cui il Consorzio e alcune delle consorziale erano storicamente operative, in secondo luogo non si presentava il problema del reimpiego dei c.d. « ex-LSU », assenti in tale area territoriale, e in terzo luogo la giustificazione della preesistente aggiudicazione, in tale area territoriale, ad alcune consorziate di portafoglio di CNS, dell’asserita parallela commessa Intercent.er si era rivelata fallace a fronte dello sfasamento temporale dei due appalti ed alla luce della circostanza che invece MFM, la consorziata più grande e strutturata, avente sede anch’essa in Emilia-Romagna e titolare anch’essa di pregressi contratti in tale regione, tra cui la stessa commessa Intercenter.er - Agenzia regionale di sviluppo dei mercati telematici , aveva partecipato a tale lotto conseguendone l’aggiudicazione;

- la scelta di CNS di non presentare offerta per l’Emilia-Romagna non poteva che trovare spiegazione nella strategia collusiva al riguardo perseguita da CNS e MFM, consistente nella tutela del portafoglio della maggiore consorziata MFM, nella traslazione del portafoglio delle consorziate di maggior rilievo dopo MFM, nella tutela – tramite subappalti concessi da MFM – del portafoglio di tre consorziate radicate sul territorio e ivi detentrici di appalti storici e nella mancata riconferma di appalti storici a consorziate di ridotte dimensioni (v. doc. IV.238, II.151.4, II.151.10, IV.239;
§ 277 del provvedimento;
v. anche il documento II.93.6.15, rinvenuto presso MFM, che fa riferimento a una riunione svoltasi presso CNS il 13 marzo 2013, nel pieno svolgimento della gara, ancora prima dell’aggiudicazione, con ordine del giorno « scuole appalti storici », in cui uno dei punti all'ordine del giorno è stato emblematicamente il seguente: « CNS non ha partecipato al lotto Emilia Romagna », § 283 del provvedimento);

- analoghi caratteri di irragionevolezza della condotta di CNS sono stati correttamente attribuiti alla mancata offerta di CNS per il lotto 8 (Lombardia e Trentino), alla luce della presenza di due consorziate con portafoglio storico e della presenza di parità di « ex-LSU » rispetto ad altri lotti cui CNS ha partecipato pur in assenza di consorziata di portafoglio (ad es. Toscana) (v. § 176 del provvedimento);

- pure la scelta, da parte di CNS, delle consorziate, con le quali partecipare alla gara, e le relative modalità (v. §§ 50, 51 e 191 del provvedimento e l’ivi richiamata documentazione, nonché pp. 32 e 33 dell’appellata sentenza) sono state correttamente valutate come non spiegabili se non sullo sfondo di una strategia collusiva che ha ispirato la scelta dei lotti (sul punto l’Autorità ha, inoltre, evidenziato la contraddittorietà delle diverse rappresentazioni che CNS e MFM, in sede di audizione, hanno fornito sull’ iter seguito in ambito consortile ai fini della ‘preassegnazione’, avendo i rappresentanti di MFM affermata la natura indispensabile di una richiesta formale in tal senso da parte della consorziata, invece negata dai rappresentanti del Consorzio);

- analoghe anomalie di condotta partecipativa alla gara, non superate in modo plausibile dalle spiegazioni fornite dalle parti, sono state individuate in capo a MFM, la quale, sebbene consorziata a CNS, aveva partecipato singolarmente alla gara – aggiudicandosi i lotti 2, 8 e 9 –, ma, una volta compiuta tale scelta, avrebbe dovuto agire del tutto autonomamente da CNS e presentare offerte assolutamente competitive;

- infatti MFM, in primo luogo, non ha partecipato con offerte sui lotti poi aggiudicati all’ATI 1 capeggiata da CNS, mentre quest’ultima ha presentato offerte non particolarmente competitive sui due lotti 3 (Toscana) e 9 (Friuli Venezia Giulia, Veneto) poi aggiudicati a MFM;

- è sorretta da una razionale base valutativa la qualificazione, da parte dell’Autorità, di predette offerte economiche – contenenti, a mo’ di ‘offerte di appoggio’, un ribasso inferiore rispetto a quelli offerti per gli altri lotti – come non competitive, in quanto, per un verso, la già sopra citata e-mail del 6 novembre 2012, che dava per scontata l’aggiudicazione dei lotti ivi indicati, poi effettivamente aggiudicati a CNS, non prendeva in considerazione i lotti 3 e 9, e, per altro verso, a ragione non è stata ritenuta plausibile la spiegazione alternativa fornita da CNS con richiamo alle caratteristiche diverse rispetto agli altri lotti per cui aveva presentato offerte con ribassi maggiori, essendo stato presentato un identico menu di offerte economiche proprio per i lotti 3 e 9 (così come identica è risultata l’offerta economica formulata dall’ATI 1 per i lotti 4 e 5), pur riferendosi questi ultimi a territori tra loro sicuramente differenti (rispettivamente Toscana per il lotto 3 e Veneto e Friuli Venezia Giulia per il lotto 9), ed avendo MFM presentato un menu identico di offerte per tutti e quattro i lotti per cui ha concorso;

- la condotta di MFM è risultata informata a una strategia a formazione progressiva, protrattasi dalla pubblicazione del bando sino a ridosso del termine di presentazione delle offerte, essendo al riguardo, in particolare, rimasto smentito l’assunto, secondo cui MFM avesse già compiutamente deciso sin dal 30 luglio 2012 i lotti su cui presentare l’offerta (v. il frontespizio della c.d. “carpetta di gara” del 30 luglio 2012, sub doc. 4 in allegato al ricorso di primo grado di MFM, che, peraltro, non figurava nella versione del documento acquisito in sede di ispezione ed è stato prodotto da MFM solo in allegato alle memorie finali, per cui può oggettivamente dubitarsi dell’attendibilità di tale ‘pezzo’ documentale);

- infatti, al riguardo l’Autorità ha correttamente valorizzato la circostanza che MFM aveva affidato a una società esterna un incarico consulenziale svolto tra i mesi di agosto e ottobre 2012 in merito all’appetibilità di tutti i lotti di gara, tra l’altro con specifico riferimento ai servizi aggiuntivi proposti da Roma Multiservizi (v. doc. II.93.6.23), il che non avrebbe avuto senso in caso di intervenuta decisione definitiva sin dal mese di luglio 2012;

- altrettanto correttamente l’Autorità ha rimarcato (§§ 67 e 277 del provvedimento) come MFM abbia stipulato gli accordi di subappalto aventi importi di maggior rilievo con consorziate CNS che detenevano un portafoglio significativo nell’Emilia-Romagna, inferendone un collegamento con la rinuncia della prima a presentare offerta nei lotti 1, 4 e 10 in cui l’ATI 1 è risultata vincitrice (v. sul punto i §§ 67 e 277 del provvedimento;
v. doc. IV.239);

- altra anomalia e irrazionalità economica della condotta di MFM è stata fondatamente ravvisata nella circostanza che la stessa ha presentato offerto per regioni, per le quali (ad eccezione dell’Emilia-Romagna) non vantava alcun tipo di appalto storico, mentre la stessa era detentrice di cospicui portafogli storici nei territori del centro e del sud (v. § 64 del provvedimento e l’ivi richiamata documentazione), la cui obliterazione non può essere plausibilmente giustificata dalla presenza di lavoratori « ex-LSU », per le considerazioni sostanzialmente analoghe già sopra svolte.

11.1.4.2. Quanto agli elementi di prova ‘esogeni’ acquisiti dall’Autorità e posti a base del provvedimento sanzionatorio, il Collegio osserva:

- l’Autorità ha contestato alle parti la stipula di un accordo intervenuto tra CNS e Roma Multiservizi (RM) il 1° ottobre 2012 (cioè due settimane prima del termine per presentare offerte), avente ad oggetto la rinuncia di RM a partecipare alla gara CONSIP in cambio di vantaggi compensativi resi dalla controparte mediante il conferimento di subappalti nel territorio di interesse dell’impresa, e dunque finalizzato a garantire a RM, una società estranea al Consorzio e riconducibile a MFM, il pieno portafoglio storico nella città di Roma;

- in particolare, è rimasto documentalmente comprovato che il consiglio di amministrazione di RM in un primo momento, in data 2 agosto 2012, quindi poche settimane dopo la pubblicazione del bando in data 11 luglio 2012, aveva deliberato di partecipare alla gara CONSIP, ritenendo di possedere i richiesti requisiti, sebbene limitati a due soli lotti, in caso di partecipazione in forma singola, « visti i limiti di fatturato richiesti » (v. doc. II.144 PR;
§ 247 del provvedimento);

- come sul punto osservato dall’Autorità, anche in assenza della totalità dei requisiti partecipativi individuali, RM avrebbe potuto presentare offerta in raggruppamento di impresa, ovvero utilizzando gli idonei strumenti normativi (ad esempio, l’avvalimento, consentito dalla lex specialis di gara anche con riferimento al requisito del fatturato pregresso specifico e che in ogni caso avrebbe permesso alla società di partecipare singolarmente avvalendosi di un’impresa ausiliaria), tanto più che RM, in relazione ad un fatturato richiesto per il lotto 4 di circa 96 milioni di euro, deteneva da sola quantomeno circa 83 milioni di euro, sicché il fatturato speciale che RM avrebbe dovuto reperire utilizzando gli strumenti offerti dalla normativa in materia di appalti risultava davvero esiguo rispetto a quello già in possesso (§ 249 del provvedimento);

- peraltro, come puntualmente rilevato dal T.a.r. nell’impugnata sentenza, diversamente sarebbe stata priva di senso la clausola dell’accordo intervenuto tra CNS e RM con cui RM aveva dichiarato di rinunciare a partecipare alla gara (v. anche lo scambio di e-mail all’interno di RM del 29 agosto 2012, da cui si evince che la stipula dell’accordo con CNS non era una scelta obbligata, ma era stata assunta dopo aver vagliato altre ipotesi di tutela del proprio portafoglio);

- l’Autorità ha, altresì, correttamente rilevato – in aderenza alle premesse in diritto svolte sopra sub 11.1.1.(v) – che l’affermazione delle parti, secondo cui RM, laddove avesse scelto di partecipare da sola o con società diverse da MFM o CNS, si sarebbe esposta al rischio di non aggiudicarsi la gara e di perdere il fatturato pregresso e che quindi la stessa ha ragionevolmente preferito stipulare il descritto accordo con CNS per eliminare tale rischio e conservare il proprio portafoglio, si risolve in una esplicita ammissione dell’intento collusivo che aveva animato le parti nel definire il menzionato accordo (v. § 251 del provvedimento);

- parimenti, le considerazioni in diritto svolte sub 11.1.1.(v) escludono che le condotte collusive poste in essere da CNS, RM e MFM potessero essere scriminate dalla previsione di cui all’art. 38, comma 1, lett. m- quater ), d.lgs. n. 163 del 2006 – secondo cui sono escluse dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti le imprese che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 cod. civ. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale –, che secondo l’assunto della difesa delle imprese avrebbe impedito una partecipazione contestuale di RM e MFM alla gara;

- l’inferenza probatoria dell’Autorità, secondo cui la negoziazione intercorsa tra CNS e RM (controllata da MFM) in relazione al lotto 4, sfociata nella stipulazione dell’accordo compensativo, ha consentito a CNS di acquisire informazioni sulla strategia di gara che avrebbe adottato MFM (v. § 219 e §§ 233 ss. del provvedimento), risulta suffragata da elementi di prova documentale (v. doc. II 141 PR: e-mail del 30 settembre 2012 condivisa da diversi esponenti di CNS e RM con relativi allegati, costituiti da « regolamento consip scuole con modifiche di quadra.doc;
accordo definitivo inviato a roma multiservizi.doc
», tra cui, in particolare, il regolamento interno dell’ATI 1, con la precisa indicazione, tra le altre cose, dei lotti per cui l’ATI 1 avrebbe presentato offerta) in combinazione con le dichiarazioni rese dal rappresentante di CNS, in qualità di direttore area progettazione e sviluppo, in sede di audizione del 16 settembre 2015 (doc. IV.231), del seguente tenore: « Il sig. […] osserva, a titolo personale, come possa ritenersi che il CNS dava per scontato che RM interloquisse con MFM della propria attività industriale e commerciale in quanto socio industriale di riferimento di RM. Pertanto, si può ritenere che RM abbia interloquito con [MFM] anche su questo argomento. D’altronde, trattandosi del socio industriale, è normale che esso metta in campo la sua capacità operativa e che nomini ai vertici di RM qualcuno di specifica competenza nel settore industriale di riferimento »;

- una serie di acquisizioni documentali (doc. II.115, doc. II.88, doc. II.148, doc. II.142, doc. II.113, doc. II.151.9, doc. II.151.2, doc. II.140, doc. II.141 PR, doc. 151.8, doc. I.30.24.67) sorreggano la tesi dell’Autorità circa la sussistenza di una concertazione illecita tra CNS, RM e MFM, che ha portato alla stipula dell’accordo compensativo sul lotto 4 (Lazio e Sardegna), il quale ha trovato piena attuazione attraverso la rinuncia effettiva di RM alla partecipazione alla gara e la stipula, in data 23 febbraio 2014, del contratto di subappalto tra CNS e RM, nonché la successiva stipula di accordi aggiuntivi (v. doc. II.111 e doc. II.125, rispettivamente §§ 240 e 241 del provvedimento), ed il cui progressivo perfezionamento fungeva anche da strumento di diffusione, tra imprese concorrenti, di informazioni strategiche sulle reciproche dinamiche di partecipazione alla gara, nel senso che deve ritenersi comprovato che RM abbia svolto un ruolo centrale quale veicolo di informazioni sensibili tra CNS e MFM, garantendo una conoscenza anticipata delle strategie reciproche di gara;

- la natura restrittiva dell’accordo relativo al lotto 4 è, poi, stata correttamente apprezzata dall’Autorità sia con riguardo alle dinamiche competitive relative a tale lotto sia nel quadro della più ampia intesa collusiva relativa all’intera gara (v. § 262 del provvedimento).

11.1.4.3. In reiezione dei motivi d’appello in esame ed a conferma in parte qua dell’appellata sentenza, deve pervenirsi alla conclusione che l’Autorità, senza limitarsi ad un’analisi decontestualizzata e atomistica di ciascuno degli acquisiti elementi di prova, ma procedendo ad una valutazione unitaria, sistematica e globale degli evidenziati elementi istruttori, in aderenza ai criteri elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, è pervenuta alla corretta conclusione della comprovata esistenza di una intesa restrittiva anticoncorrenziale riconducibile, da un lato, alla presenza di elementi oggettivi di riscontro – tra i quali figurano scambi di informazioni ed accordi – che rivelano l’esistenza di una collaborazione anomala (elementi esogeni) e, dall’altro lato, all’impossibilità di spiegare alternativamente le condotte parallele sub specie di frutto plausibile di iniziative imprenditoriali autonome delle parti (elementi endogeni).

S’impone pertanto la conferma della sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha respinto il ricorso di primo grado proposto da CSN, vòlto a contestare la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale, quale accertato nel gravato provvedimento sub specie di intesa restrittiva della concorrenza contraria all’art. 101 TFUE, perpetrata con le modalità di condotta ivi evidenziate ed avente la finalità di condizionare gli esiti della gara CONSIP attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis .

11.2. Scendendo all’esame del quinto motivo d’appello principale, proposto avverso le statuizioni sub 2.1.4. – nella parte in cui le stesse sono sfavorevoli all’odierna appellante principale – in tema di determinazione dell’entità della sanzione pecuniaria amministrativa irrogata a CNS (nell’ammontare di euro 56.190.090,00), si osserva che lo stesso è infondato.

In merito alla disciplina dell’esercizio del potere sanzionatorio, da parte delle autorità nazionali antitrust , in relazione agli illeciti di cui agli artt. 101 e 102 TFUE, occorre premettere che:

- ai sensi dell’art. 5 del Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 TCE, le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri infliggono ammende in applicazione del loro diritto nazionale;

- l’art. 23, paragrafo 2, del citato Regolamento disciplina unicamente le situazioni, nelle quali siffatte ammende sono imposte dalla Commissione;

- gli Orientamenti del 2006 sono applicabili, in via diretta, unicamente alle ammende imposte dalla Commissione (v., in tal senso, ex plurimis , Corte Giust. UE, ordinanza 28 giugno 2016, C-450/15).

11.2.1. I profili di censura di omessa pronuncia, dedotti con il primo dei motivi all’esame, non si traducono in altrettante cause di annullamento della sentenza impugnata, ma, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, comportano semplicemente che il giudice dell’impugnazione debba decidere nel merito sulle censure, sulle quali il primo giudice abbia omesso di pronunciarsi.

11.2.1.1. Orbene, destituito di fondamento è il profilo di censura – su cui il T.a.r. ha omesso di pronunciarsi e che è state qui riproposta – secondo cui l’Autorità, ai fini della determinazione della base di calcolo della sanzione, non avrebbe potuto assumere come ‘valore delle vendite’ l’importo di aggiudicazione nel valore massimo convenzionabile previsto per ciascun lotto aggiudicato all’ATI 1 capeggiata da CNS (lotti 1, 4 e 10), nella percentuale di partecipazione di CNS all’a.t.i. (82%), pari all’importo complessivo di euro 374.600.600,00 (poi ridotto dal T.a.r. – nell’esercizio della giurisdizione di merito sulla misura della sanzione – per gli importi corrispondenti ai plafond aggiuntivi previsti per ciascun lotto aggiudicato all’odierna appellante, in quanto meramente virtuali ed eventuali), bensì l’importo corrispondente ai c.d. rimborsi consortili, ossia ai soli compensi riconosciuti a CNS dalle imprese consorziate esecutrici per i costi relativi allo svolgimento della gara e al coordinamento operativo, nella specie ammontanti, per il 2014, ad euro 5.151.805,00.

Ritiene il Collegio che l’Autorità abbia applicato correttamente le previsioni del paragrafo 18 delle « Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90 », adottate dall’AGCM il 22 ottobre 2014, la cui applicabilità alla fattispecie sub iudice , espressamente affermata dal T.a.r., non risulta specificamente contestata da CNS nel ricorso in appello.

Il citato paragrafo 18, per quanto qui interessa, testualmente recita: « In generale, anche nei casi di collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici, l’Autorità prenderà in considerazione il valore delle vendite direttamente o indirettamente interessate dall’illecito. In linea di principio, tale valore corrisponde, per ciascuna impresa partecipante alla pratica concertativa, agli importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in caso di assenza di aggiudicazione o comunque affidati ad esito di trattativa privata nelle procedure interessate dall’infrazione, senza necessità di introdurre aggiustamenti per la durata dell’infrazione ai sensi dei paragrafi precedenti […] ».

Come correttamente osservato dall’Autorità nell’impugnato provvedimento, con specifico riguardo al contesto degli appalti pubblici, il consorzio si pone come un distinto centro di imputazione di rapporti giuridici rispetto alle imprese consorziate, munito di una propria struttura organizzativa e dotato di personalità giuridica piena, tant’è che lo stesso nell’ambito di una gara di appalto partecipa in nome proprio, ancorché per conto delle consorziate/esecutrici. Infatti, è al consorzio che vengono imputati l’eventuale aggiudicazione e stipulazione del contratto ed i relativi effetti e connessi rischi di gestione. L’Autorità ne ha tratto il corretto corollario per cui il parametro di riferimento per individuare la porzione dell’importo di aggiudicazione addebitabile a CNS non può ridursi al solo margine di intermediazione del Consorzio, ma deve estendersi a tutto il valore delle prestazioni dedotte in gara e ascrivibili al Consorzio stesso anche se le stesse, secondo il meccanismo mutualistico, verranno poi eseguite concretamente dalla consorziate designate in sede di offerta, non senza rimarcare come, non a caso, la documentazione contabile del Consorzio registra nei dati di fatturato il corrispettivo delle prestazioni rese a fronte dell’esecuzione dei contratti pubblici stipulati in nome proprio ed eseguite dalle consorziate, come del resto ha dovuto ammettere anche il CNS con riferimento ai ricavi contabilizzati nel proprio bilancio per i servizi eseguiti dalle consorziate a seguito di contratti aggiudicati al Consorzio (§ 325 del provvedimento).

Del resto, opinando diversamente, nei casi di collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici, lo ‘schermo’ consortile rappresenterebbe un formidabile strumento di elusione dell’effettività delle sanzioni antitrust , privandoledi ogni effettiva efficacia deterrente (per la quale è almeno necessario che la sanzione non sia inferiore ai vantaggi che le imprese si attendino di ricavare dalla violazione), in quanto, per un verso, consentirebbe alle imprese consorziate designate per l’esecuzione di conseguire il corrispettivo d’appalto al netto dei rimborsi consortili, e, per altro verso, le metterebbe al riparo di ogni conseguenza sanzionatoria riverberata sul consorzio, il quale, a sua volta, verrebbe a rispondere dell’illecito solo entro i limiti di una sanzione determinata con riferimento ai rimborsi consortili.

Un tale effetto, specie nei casi quale quello all’esame, in cui è stato accertato un uso distorto dello strumento consortile in funzione concertativa anticoncorrenziale e spartitoria dei lotti messi a gara, contrasterebbe con il principio comunitario di effettività del diritto sanzionatorio antitrust , il quale postula che le sanzioni devono essere calcolate in base all’importanza economica della violazione e alle potenziali conseguenze dannose procurate al mercato, e richiede che la condotta delle imprese va vagliata sotto un profilo economico-sostanziale prescindendo dagli schemi giuridici utilizzati che, di per sé, possono anche essere leciti [v. sopra, sub 11.1.1. (iii)].

Pertanto, il criterio di quantificazione in esame adottato dall’Autorità non solo non contrasta con la disciplina comunitaria, ma ne costituisce fedele attuazione.

11.2.1.2. Considerazioni sostanzialmente identiche si impongono in reiezione dell’ulteriore profilo di censura – su cui il T.a.r. pure ha omesso di pronunciarsi e che è stato qui riproposto –, secondo cui l’AGCM avrebbe erroneamente identificato il fatturato di CNS rilevante ai fini della determinazione del massimo edittale della sanzione, incorrendo nella violazione dell’art. 15, comma 1, l. n. 287 del 1990 che fissa quale limite massimo delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogabili per gli illeciti antitrust il « dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida ».

Secondo l’assunto di CNS, ai fini dell’individuazione del fatturato di cui al citato art. 15, l’AGCM avrebbe dovuto prendere in considerazione esclusivamente il fatturato relativo ai ricavi propri caratteristici del consorzio, ossia relativo ai compensi consortili, il quale, per il 2014, ammontava ad euro 39.783.026,00, e non già a quello di euro 743.701.546,00 (corrispondente alla voce A1 « Ricavi delle Vendite e delle Prestazioni » del conto economico) considerato dall’Autorità.

Pur rispondendo il limite fissato dall’articolo 15 alla ratio di evitare che la sanzione possa superare la capacità patrimoniale dell’impresa sanzionata, le richiamate esigenze di effettività della sanzione e le peculiarità economiche che connotano l’incidenza sul mercato degli illeciti antitrust nei casi di collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici – specie se, come nel caso de quo , commessi attraverso un uso distorto dello schema consortile – impongono di prendere a riferimento il fatturato correlato alle prestazioni rese in esecuzione dei contratti pubblici stipulati in nome proprio ed eseguite dalle consorziate, peraltro formalmente imputabile all’ente consortile.

Manifestamente infondate sono le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 15 l. n. 287 del 1990, sollevate dalla difesa di CNS in via subordinata nella memoria del 19 gennaio 2017, per assunta violazione degli artt. 3 e 45 Cost., attesa la peculiarità della fattispecie oggetto del presente giudizio, connotata dalla finalizzazione dello strumento consortile alla perpetrazione di una concertazione diretta a distorcere gli esiti di una gara d’appalto e alla spartizione dei lotti, e tenuto conto che il tertium comparationis invocato dall’appellante presuppone un uso fisiologico – e non sviato – dello strumento consortile.

11.2.1.3. Deve, altresì essere disatteso il profilo di censura, secondo cui l’Autorità prima e il T.a.r. poi avrebbero preso in considerazione quale base di calcolo della sanzione gli importi massimi convenzionabili stabiliti in relazione ai singoli lotti oggetto di aggiudicazione, anziché il valore dei soli ordinativi effettivi.

Infatti, come correttamente rilevato dal T.a.r. con richiamo a correlativa giurisprudenza comunitaria, il pregiudizio per il rapporto di libera concorrenza scaturente dalla concertazione collusiva è punibile in sé, a prescindere dagli effetti anticompetitivi verificatisi in concreto sul mercato, con la conseguenza che il valore di riferimento non può che essere quello rispondente al valore dell’appalto aggiudicato preso a riferimento dalle imprese partecipanti alla gara.

Va, altresì, rilevato che il fatto che l’Autorità abbia inflitto, in passato, sanzioni amministrative pecuniarie di un certo livello per diversi tipi di infrazioni non la priva della possibilità di innalzare tale livello, entro i limiti indicati dall’art. 15 l. n. 287 del 1990, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza dell’Unione, ma, al contrario, l’efficace applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione richiede che l’Autorità possa in qualsiasi momento adeguare il livello delle sanzioni amministrative pecuniarie alle esigenze di questa politica. Ciò vale non solo quando l’Autorità procede ad un innalzamento del livello dell’importo delle ammende nell’ambito di decisioni individuali, ma anche allorché tale maggiorazione viene effettuata mediante l’applicazione, a casi concreti, di norme di comportamento aventi portata generale, quali le Linee Guida (v., in tal senso, in una correlativa fattispecie comunitaria, Corte Giust. CE, 28 giugno 2005, nei procedimenti riuniti C-189/02 P, C-202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P).

11.3. Nulla è dato statuire sul sesto motivo d’appello, proposto in via subordinata avverso le Linee Guida adottate dall’AGCM il 22 ottobre 2014, qualora interpretate nel senso che l’ivi stabilita percentuale minima del 15% del valore delle vendite per le infrazioni più gravi precisate nel paragrafo 12 fosse automaticamente applicabile senza ulteriore margine di discrezionalità, trattandosi di motivo espressamente condizionato all’accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’AGCM, il quale, per le ragioni di seguito esposte, deve essere respinto.

12. Infondato è l’appello incidentale proposto dall’Autorità avverso le statuizioni sub 2.1.4., nella parte in cui il T.a.r. ha disposto la rideterminazione della sanzione in riduzione, in quanto, per un verso, deve ritenersi corretta l’esclusione, dalla base di calcolo della sanzione pecuniaria, del valore del plafond aggiuntivo, trattandosi – a differenza dal valore del prezzo di aggiudicazione rapportato alle prestazioni principali – di prestazioni meramente eventuali ed aggiuntive, e, per altro verso, l’individuazione della percentuale del 5% per il calcolo della sanzione appare aderente al principio di proporzionalità e sorretta da sufficiente e condivisibile motivazione in ordine all’inconfigurabilità della fattispecie della « segretezza della pratica illecita » di cui al paragrafo 12 delle Linee Guida, costituendo espressione di un giudizio che ha tenuto adeguato conto di tutti i criteri oggettivi e soggettivi che presiedono alla determinazione dell’entità delle sanzioni pecuniarie amministrative in materia di illeciti antitrust , con conseguente infondatezza delle correlative censure dedotte in via di appello incidentale, precipuamente incentrate sul vizio di carenza di motivazione.

13. Per le esposte ragioni, in reiezione degli appelli proposti in via principale e incidentale, s’impone la conferma dell’impugnata sentenza nei sensi di cui in motivazione.

14. Considerata la soccombenza reciproca, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.

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