Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-06-09, n. 201402891

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-06-09, n. 201402891
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201402891
Data del deposito : 9 giugno 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00946/2014 REG.RIC.

N. 02891/2014REG.PROV.COLL.

N. 00946/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 946 del 2014, proposto da:
G O S, rappresentato e difeso dall’Avv. A G e dall’Avv. M R, con domicilio eletto presso l’Avv. M R in Roma, via Fabio Massimo, n. 60;

contro

Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. G S, con domicilio eletto presso l’Avv. Francesco Lilli in Roma, via di Val Fiorita, n. 90;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE II n. 00088/2014, resa tra le parti, concernente l’ottemperanza della sentenza n 1120/10 emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro – collocamento a riposo per raggiungimento limiti di età


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2014 il Cons. M N e uditi per le parti l’Avv. Giuffrida, l’Avv. M R e l’Avv. Spataro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il dott. G O S ha promosso avanti al T.A.R. Calabria ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 1120/2010 della Corte d’Appello di Catanzaro – confermata con sentenza n. 5408/2013 dalla Corte di Cassazione – che ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimatogli il 18.11.2003 e ordinato all’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza la reintegra del dott. S nel posto di lavoro, condannando la stessa Azienda al risarcimento dei danni corrispondenti alla retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, oltre interessi e rivalutazione.

2. L’interessato ha chiesto di ordinare all’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza l’ottemperanza di tale sentenza, con immediata reintegra nel posto di lavoro, pagamento delle retribuzioni quantificate in € 1.106.690,00, ricostituzione della posizione contributiva, oltre le spese legali, nominando un commissario ad acta in caso di inadempimento dell’Amministrazione o, in via subordinata, determinando le modalità di esecuzione e fissando la somma di danaro dovuta per ogni violazione e inosservanza successiva.

3. Nel giudizio di primo grado si costituiva l’A.S.P., la quale eccepiva che la sentenza del giudice civile non fosse eseguibile perché il ricorrente, avendo 68 anni, era stato collocato in pensione, su sua richiesta, a decorrere dal 18.11.2013, data nella quale maturato 38 anni di anzianità retributiva, ed aveva raggiunto e superato, comunque, l’età massima per il collocamento a riposo, tenendo conto dell’art. 15- nonies del d. ggs. 502/1992, secondo il quale il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici del Servizio Sanitario Nazionale al compimento del sessantacinquesimo anno di età.

4. L’A.S.P. di Cosenza, precisando di aver sottoposto le esposte considerazioni avanti al T.A.R. Calabria con autonomo ricorso proposto ai sensi dell’art. 112, comma 5, c.p.a., ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e, comunque, l’emissione di ogni necessaria indicazione sulle modalità esecutive della citata sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro.

5. L’Azienda Sanitaria, con autonomo ricorso promosso ai sensi dell’art. 112, comma 5, c.p.a., precisava che era sua intenzione dare corretta esecuzione alla sentenza n. 1120/2010 della Corte d’Appello di Catanzaro, pur non risultando l’ordine di reintegra e la correlata condanna pecuniaria concretamente eseguibili, e chiedeva al T.A.R. di dare ogni necessario chiarimento in ordine alle corrette modalità di ottemperanza della sentenza.

6. Il T.A.R. Calabria, con sentenza n. 88 del 16.1.2014, stabiliva che l’intervenuta pensione di anzianità, con decorrenza dal 18.11.2002, non impediva la ricostituzione, sotto il profilo economico, giuridico e contributivo/previdenziale, del rapporto di lavoro, interrotto in conseguenza dell’illegittimo licenziamento del 18.11.2013, sicché il rapporto così ricostituito, decorrente dalla data dell’illegittimo licenziamento e da considerarsi, in base alla pronuncia giudiziale, mai interrotto, non poteva protrarsi oltre la naturale data di cessazione – secondo la disciplina al tempo vigente – per raggiunti limiti di anzianità di servizio.

6.1. Da tanto il giudice di prime cure faceva discendere l’obbligo, in capo all’Azienda Sanitaria Provinciale, di dare esecuzione al giudicato, di cui alla pronuncia della Corte d’Appello di Catanzaro, attenendosi ai seguenti criteri:

a) effettuare la ricostituzione del rapporto di lavoro, ai fini giuridici, economici e retributivi, del dott. S a decorrere dalla data del licenziamento dichiarato illegittimo dal giudice ordinario, con ricostruzione della carriera e pagamento delle retribuzioni dovute, oltre gli interessi e la rivalutazione, sino al raggiungimento, da parte dello S, del limite contributivo massimo di anzianità secondo la normativa al tempo applicabile (40 anni di servizio), atteso che il ricorrente, sotto questo profilo, non avrebbe potuto ottenere più di quanto avrebbe ottenuto in assenza dell’illegittimo licenziamento;

b) ai fini della determinazione delle retribuzioni dovute, far riferimento alla retribuzione globale di fatto, criterio che, per quanto non espressamente indicato nella pronuncia della quale era chiesta l’ottemperanza, doveva ritenersi implicitamente richiamato e, quindi, applicabile al caso in esame ai sensi dell’art. 18 della l. 300/1970.

6.2. A tal fine il T.A.R. Calabria nominava commissario ad acta il Dirigente Generale del Dipartimento Organizzazione e Personale della Regione Calabria ovvero un Dirigente della medesima Struttura, dallo stesso delegato, con specifica competenza in materia, affinché provvedesse, in ipotesi di perdurante inottemperanza dell’Azienda Sanitaria di Cosenza, a dare esecuzione, nei termini e nei limiti di cui in parte motiva, al giudicato di cui si tratta, entro l’ulteriore termine di giorni sessanta dalla scadenza di quello assegnato all’Azienda stessa.

7. Avverso tale sentenza ha proposto appello il dott. S e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, deducendo i seguenti motivi:

a) l’errore di fatto, l’eccesso di potere e il travisamento dei fatti, il difetto di giurisdizione, per avere il T.A.R. ecceduto dall’ambito dei suoi poteri e non essersi limitato solo a dare attuazione al giudicato;

b) la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto, da parte del T.A.R., e precisamente del d. lgs. 502/1992, art. 10, commi 6 e 6 bis , come modificato dall’art. 11, comma 9, della l. 537/1993, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15- nonies del d. lgs. 502/1992, come modificato dall’art. 22 della l. 183/2010 e dall’art. 24 del d.l. 201/2011, convertito nella l. 204/2011, per non aver considerato che i 40 anni di contribuzione effettiva decorrono dalla data di assunzione – 21.9.1974 – e scadono il 20.9.2014, mentre i 70 anni di età scadono il 22.4.2015.

c) l’omessa pronuncia, da parte del primo giudice, sulle spese legali liquidate dalla Corte d’Appello di Catanzaro;

d) il vizio di motivazione relativamente alla compensazione delle spese di lite inerenti al giudizio di ottemperanza nonché la violazione e la falsa applicazione degli art. 91 e ss. c.p.c.

8. Si è costituita l’appellata Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, chiedendo il rigetto dell’appello e della connessa istanza cautelare.

9. Con ordinanza n. 814 del 20.2.2014 veniva respinta, per difetto del periculum in mora , l’istanza cautelare dell’appellante.

10. All’esito della camera di consiglio del 15.5.2014, fissata per l’esame del merito, la causa veniva trattenuta in decisione.

11. L’appello è fondato, per le ragioni e nei limiti qui di seguito esposti, e deve essere accolto.

11.1. Il giudice dell’ottemperanza, quando è chiamato a dare esecuzione al giudicato civile, svolge una funzione meramente attuativa della concreta statuizione giudiziale adottata dal giudice civile e non può alterare il suo precetto, limitandone la portata effettuale in violazione dell’art. 2909 c.c.

11.2. Nel caso di specie la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 1120 del 13.9.2010, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 18.11.2003 dall’A.S.P. di Cosenza nei confronti del dott. G O S, ordinando la reintegra di questi nel posto di lavoro e condannando l’appellata al risarcimento dei danni corrispondenti alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione, oltre gli interessi e la rivalutazione monetaria.

11.3. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5408 del 5.3.2013, ha rigettato il ricorso proposto dall’A.S.P. di Cosenza avverso tale sentenza e, nell’affermare che la illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro di una p.a. con un dirigente comporta l’applicazioe, al rapporto fondamentale sottostante, della disciplina dell’art. 18 della l. 300/1970, con conseguenze reintegratorie, a norma dell’art. 51, comma secondo, del d. lgs. 65/2001, ha confermato le statuizioni adottate dalla Corte territoriale.

11.4. La fondamentale regola secondo cui il giudicato civile copre il dedotto e il deducibile deve trovare certa applicazione anche nel caso di specie, con la conseguenza che non possono essere riproposte in questo giudizio, finalizzato a dare concreta attuazione al giudicato civile, le eccezioni che sono state o avrebbero potuto e dovuto essere proposte nel giudizio civile, tra le quali figura, anzitutto, quella dell’avvenuto pensionamento del dott. S, risalente al 2003.

11.5. Tale questione non può in alcun modo incidere sull’attuazione del giudicato civile ed è quindi viziata da error in iudicando la sentenza resa in sede di ottemperanza, come quella qui impugnata, nella parte in cui essa ha ritenuto che la questione dell’età pensionabile possa costituire un limite a tale attuazione, essendo tale questione risalente al 2003 e, dunque, pacificamente proponibile nel giudizio definito dalla sentenza di cui è chiesta attuazione.

11.6. Essa non può venire pertanto in rilievo in questa sede, sicché costituisce palese elusione del giudicato civile la condotta dell’A.S.P. che rifiuti di riassumere il dipendente illegittimamente licenziato assumendo che questi abbia maturato i requisiti per l’età pensionabile, quando tale questione è stata o avrebbe potuto essere eccepita in sede civile, senza voler qui aggiungere, come pure ha correttamente rilevato il primo giudice, che essa non può costituire un ostacolo giuridico alla riassunzione, fermo l’obbligo restitutorio del trattamento pensionistico percepito da parte del dipendente che, in seguito alla riassunzione, abbia poi ottenuto le retribuzioni non corrispostegli a far data dall’illegittimo licenziamento.

11.7. Ne segue che, in accoglimento del primo e assorbente motivo di gravame proposto dal dott. S, la sentenza impugnata merita riforma laddove, in violazione del giudicato civile, ha ritenuto impossibile e, comunque, ineseguibile l’attuazione del giudicato civile, limitandone la portata effettuale, per il ritenuto raggiungimento dell’età pensionabile da parte del medesimo dott. S.

11.8. L’A.S.P. di Cosenza dovrà pertanto procedere, ai sensi dell’art. 18 della l. 300/1970, all’immediata reintegrazione dell’odierno appellante nel posto di lavoro, senza poter eccepire infondatamente la questione dell’avvenuto pensionamento o della maturazione dell’età pensionabile, corrispondendogli le retribuzioni, commisurate alla retribuzione globale di fatto, a far data dall’illegittimo licenziamento fino alla effettiva reintegrazione.

12. Altra e diversa questione è, tuttavia, quella attinente alla specifica coercibilità di tale obbligo, poiché la reintegrazione nel posto di lavoro, per la necessaria attività collaborativa del datore di lavoro, privato o pubblico, costituisce un obbligo di facere infungibile e non coercibile in forma specifica, come ha già stabilito il Tribunale di Cosenza, sez. lav., nella sentenza n. 357/2011 proprio per il caso in oggetto, sicché neanche in sede di ottemperanza, stante tale limite connaturato alla statuizione civile di cui si tratta, può ottenersi più di quanto consenta lo stesso dictum giudiziale costituente ormai cosa giudicata ai sensi e per gli effetti dell’art. 2909 c.c.

12.1. Ne segue che, fermo restando il diritto dell’odierno appellante alla reintegrazione e al ripristino della propria posizione lavorativo (v., ex plurimis , Cass., sez. L, 18.12.2012, n. 23330), il correlativo obbligo non può essere eseguito in forma specifica, nemmeno in sede di ottemperanza, né è coercibile tramite l’attività sostitutiva del commissario ad acta , che pure deve essere nominato, in ipotesi di perdurante ottemperanza, per dare concreta attuazione, nei limiti consentiti dall’ordinamento, al giudicato civile.

12.2. Vero è anche che, come ha stabilito la Suprema Corte (v., ex plurimis , Cass., sez. L, 25.3.1987, n. 2930), il suddetto obbligo, in caso di inadempimento, se non è suscettibile di attuazione in forma specifica, vertendosi in tema di comportamenti incoercibili, resta adeguatamente sanzionato dal diritto del lavoratore non riassunto a percepire ugualmente la retribuzione, mediante una forma di coazione indiretta.

12.3. Laddove l’A.S.P. persista nel rifiuto di reintegrare effettivamente nel posto di lavoro il dott. S, pertanto, essa o, in sua vece, il nominando commissario ad acta provvederà a corrispondergli le retribuzioni, commisurate alla retribuzione globale di fatto, dall’illegittimo licenziamento fino al collocamento in pensione, considerando che l’appellante, con comunicazione del maggio 2010 e successive altre comunicazioni, ha chiesto di poter avvalersi dell’art. 22 della l. 183/2010 e, quindi, di poter rimanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno d’età.

13. Per il resto l’impugnata sentenza, nelle statuizioni relative alla ricostituzione del rapporto di lavoro, ai fini giuridici, economici e retributivi, del dott. S a decorrere dalla data del licenziamento dichiarato illegittimo dal giudice ordinario, con ricostruzione della carriera, nonché quelle al risarcimento del danno, merita integrale conferma, con diritto del dott. S alla ricostituzione del rapporto di lavoro e alla percezione delle somme commisurate alla retribuzione globale di fatto, come statuisce l’art. 18 della l. 300/1970, maturate dall’illegittimo licenziamento fino all’effettiva reintegrazione o, come sopra precisato e in difetto di effettiva reintegrazione, fino al raggiungimento dell’età pensionabile ai sensi dell’art. 22, comma 1, della l. 183/2010, stante la sua richiesta di permanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno d’età.

14. Su tali somme, aventi natura risarcitoria, sono dovuti cumulativamente la rivalutazione e gli interessi legali, dovendosi peraltro precisare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, le somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione nel posto di lavoro costituiscono, ai sensi dell’art. 18 della l. 300/1970 nel testo introdotto dalla l. 108/1990, risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l’illegittimo licenziamento, con la conseguenza che il relativo credito, pur essendo connesso ad un rapporto di lavoro e rientrando, perciò, nell’ambito previsionale dell’art. 429 c.p.c., contemplante il cumulo tra interessi e risarcimento del danno da svalutazione monetaria, non ha natura retribuiva, ancorché alle retribuzioni perdute debba essere commisurato, ed è quindi estraneo all’ambito previsionale dell’art. 22, comma 36, della l. 724/1994, che tale cumulo esclude (Cass., sez. L, 21.8.2009, n. 18608).

15. L’Azienda Sanitaria o, in sua vece, il commissario ad acta provvederà, altresì, a corrispondere all’interessato anche le spese giudiziali liquidate in suo favore per il doppio grado di giudizio civile dalla Corte d’Appello di Catanzaro nella sentenza di cui in questa sede è chiesta l’ottemperanza, oltre gli accessori di legge.

14. Occorre quindi ordinare all’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza la reintegrazione di G O S nel posto di lavoro, ai sensi e nei limiti sopra precisati, con ricostituzione del rapporto, ricostruzione della carriera e corresponsione delle somme sopra descritte, entro 60 giorni dalla notificazione, a cura dell’appellante, o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

15. Sin d’ora il Collegio ritiene opportuno nominare commissario ad acta il Dirigente Generale del Dipartimento Organizzazione e Personale della Regione Calabria ovvero un Dirigente della medesima Struttura, dallo stesso delegato, con specifica competenza in materia, affinché provveda, in ipotesi di perdurante inottemperanza dell’Azienda Sanitaria di Cosenza e di persistente rifiuto, da parte di questa, di reintegrare il dott. S nel posto di lavoro, a dare esecuzione, nei termini e nei limiti precisati, al giudicato di cui si tratta, entro l’ulteriore termine di giorni sessanta dalla scadenza di quello assegnato all’Azienda stessa, con spese a carico della stessa Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, che vengono complessivamente e forfetariamente fin d’ora liquidate in € 3.000,00, oltre le spese documentate.

15.1. Il commissario ad acta , come già statuito dal primo giudice, dovrà provvedere, sotto la sua responsabilità, ad adottare ogni provvedimento ritenuto utile per l’espletamento dell’incarico conferitogli.

16. L’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza o, in sua vece, il medesimo commissario ad acta informerà l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (ex I.N.P.D.A.P.) di quanto attuato in esecuzione della presente pronuncia, ai fini degli adempimenti di competenza in ordine al trattamento pensionistico, posto che la declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l’interessato all’azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione (Cass., Sez. Un., 13.8.2002, n. 12194).

17. Quanto alla disciplina delle spese del primo grado del giudizio, in accoglimento del quarto motivo di appello proposto dal dott. S sul punto e in parziale riforma della impugnata sentenza, e quanto alle rifusione delle spese del presente grado, esse sono liquidate dal Collegio, nella misura di cui in dispositivo, a carico dell’Amministrazione inottemperante, attesa la sua soccombenza e non ricorrendo i presupposti, previsti dal combinato disposto dell’art. 26 c.p.a. e dall’art. 92, comma secondo, c.p.c., per disporne la compensazione tra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi