Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-07-07, n. 202004369

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-07-07, n. 202004369
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004369
Data del deposito : 7 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/07/2020

N. 04369/2020REG.PROV.COLL.

N. 10477/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10477 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, viale Giotto n.3 E;

contro

INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati L C, A P, L C, S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso gli uffici dell’Avvocatura centrale dell’Istituto in Roma, via Cesare Beccaria n. 29;

per l'ottemperanza

della sentenza del Tribunale Civile di Roma, -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps;

Visto l'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2020, svolta in modalità telematica, il Cons. G P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con sentenza irrevocabile del giudice del lavoro -OMISSIS-si è visto riconosciuto al diritto al beneficio di cui all’art. 13, comma 8, della L. 257 del 1992 (in quanto lavoratore esposto all’inalazione di fibre di amianto) consistente nel ricalcolo della pensione contributiva (ottenuto moltiplicando il coefficiente di 1,5 per ogni anno di lavoro svolto con esposizione all’agente morbigeno) per il periodo -OMISSIS-.

2. Questo, testualmente, il comando contenuto nella sentenza: « dichiara il diritto del ricorrente alla supervalutazione di cui all’art. 13, co. 8, della legge n. 257/92 e s.m., con applicazione del coefficiente 1,5, del periodo di contribuzione che va dal 15/12/1960 al 31/12/1985» e «condanna l’INPS al pagamento, in favore del ricorrente, delle conseguenti differenze sulla pensione in godimento dal settembre 1993, oltre alla maggior somma tra rivalutazione istat ed interessi legali ».

3. A fronte della pretesa del -OMISSIS- di vedersi riconosciuta, in esecuzione della sentenza, una maggiorazione di anzianità di ulteriori 12 anni e mezzo, da sommarsi all’anzianità contributiva complessiva già conseguita (pari a circa 39 anni), per un totale di 52 anni di anzianità, l’INPS ha obiettato che il trattamento pensionistico in essere non può subire alcuna modificazione in incremento per effetto dell’applicazione della sentenza, in quanto esso è già stato liquidato sulla base della massima anzianità contributiva utilmente valutabile nell’ambito del Fondo trasporti (36 anni di contribuzione).

4. Adito in sede di ottemperanza, il Tar Lazio, con la qui appellata pronuncia -OMISSIS-, ha ritenuto che, alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, la rivalutazione contributiva di cui all’art. 13 della legge n. 257/1992 « assolve alla principale funzione di agevolare il conseguimento della pensione massima ai lavoratori esposti al c.d. rischio amianto ». Pertanto, il ricalcolo della pensione a seguito dell’applicazione di detta rivalutazione deve pur sempre avvenire entro e non oltre i limiti della massima anzianità contributiva utilmente valutabile. In questi termini, dunque, l’INPS avrebbe dovuto eseguire la sentenza del Tribunale di Roma.

5. -OMISSIS- ha proposto appello, sull’assunto per cui il primo Giudice, nel “comprimere” la misura del trattamento entro i limiti ordinamentali del Fondo, avrebbe violato il giudicato in forza del quale, a suo dire, sarebbe stato accertato il diritto alla riliquidazione della pensione sulla base di tutta l’anzianità contributiva riconoscibile, anche oltre i pertinenti limiti di legge.

6. L’INPS si è ritualmente costituita in giudizio, replicando agli assunti avversari e chiedendone la reiezione.

7. La causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza del 2 luglio 2020.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

1.1. Innanzitutto, la petizione di principio sostenuta dall’INPS trova riscontro nella costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. Lavoro n. 17528/2002;
7556/2014;
n. 27677/2011;
n. 5419/2020) oltre che negli indirizzi di questa stessa sezione (Cons. Stato, sez. III, n. 1718/2018), né viene in alcun modo confutata da parte appellante.

Si tratta della tesi secondo cui il beneficio di cui all’art. 13 cit. assolve alla principale funzione di agevolare il conseguimento della pensione massima ai lavoratori esposti al cd “rischio amianto” ed è ottenibile solo da coloro che non abbiano raggiunto il massimo della prestazione conseguibile.

1.2. Quanto al giudicato civile del quale si chiede l’ottemperanza, deve escludersi che esso si sia formato sulla base di una interpretazione diversa da quella qui perorata dalla parte appellata.

Tra le eccezioni di merito sollevate dall’INPS nel corso del giudizio civile ve ne era effettivamente una intesa a determinare il “ numero di settimane massimo ” da conteggiare quale limite invalicabile del montante contributivo (si veda pag. 2 della sentenza). Nondimeno, il giudice civile non si è espresso sul punto, trascurando del tutto la questione sollevata dall’INPS. La statuizione di condanna al pagamento delle differenze di trattamento conseguenti alla supervalutazione non contiene alcuna indicazione, neppure nella parte motivazionale, in ordine alle modalità di calcolo dell’anzianità contributiva e alla sua riconduzione entro i limiti ordinamentali.

Non può quindi dirsi che la tematica sia stata affrontata e risolta (come pretenderebbe l’appellante) con un “implicito” riconoscimento del diritto al superamento del tetto contributivo.

1.3. Deve anche escludersi che la questione abbia costituito un passaggio logico pregiudiziale necessariamente implicato nel percorso argomentativo della traccia motivazionale, la quale risulta del tutto neutra rispetto alla tematica del limite contributivo.

È pur vero, dunque, che il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, riguarda non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia;
ciò nondimeno, la questione afferente al superamento del tetto contributivo qui in rilievo non può dirsi in rapporto di implicazione necessaria con la res controversa concernente il riconoscimento del beneficio ex art. 13, comma 8, della L. 257 del 1992, in quanto ad essa logicamente succedanea (nello stesso senso si veda Cass. civ., sez. lav., n. 5419/2020, la quale, esaminando una fattispecie sovrapponibile a quella qui in esame, ha concluso che il riconoscimento del diritto al beneficio della rivalutazione dell'anzianità contributiva ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13 e la condanna al ricalcolo della pensione non presentano alcuna necessitata implicazione sulla distinta questione del limite esterno temporale della contribuzione conteggiabile, in quanto materia estranea a quell'oggetto del contendere).

1.4. Non vi sono margini, pertanto, per interpretare il dispositivo del Tribunale Civile nel senso dell’assenza di limiti massimi all’anzianità utilmente valutabile nel conteggio della rivalutazione. Né vale in senso contrario il precedente menzionato dalla parte appellante (Cons. Stato, sez. III, n. 1718/2018), in quanto fondato su una tesi (secondo la quale la questione qui posta dall’INPS sarebbe coperta dal giudicato e non potrebbe essere fatta valere in sede di ottemperanza, in quanto già dedotta nel corso del giudizio civile di merito) che non collima con la ricostruzione del contenuto della pronuncia qui portata in esecuzione.

2. Non resta, pertanto, che rendere una applicazione del giudicato la più conforme ai principi ordinamentali, anche in virtù del criterio di stretta continenza che deve orientare il giudice amministrativo nel dare esecuzione alle pronunce emesse da organi giudicanti appartenenti ad altri plessi giurisdizionali.

3. Così operando, non si determina alcuna impropria manipolazione interpretativa del decisum .

E’ facile constatare, infatti, come innanzi ad un giudicato “silente” quale quello qui in esame, entrambe le opzioni patrocinate dalle parti contendenti (a favore e contro l’invalicabilità del tetto contributivo) finiscono per provocare un arricchimento regolativo del tratto esecutivo rimasto incompiuto.

Nondimeno, questo effetto arricchente si produce come conseguenza di linee di ragionamento niente affatto equivalenti, posto che in un caso si fa luogo all’applicazione di regole ordinamentali che riconducono l’ottemperanza a conclusioni coerenti con il sistema normativo;
nell’altro caso, si propone di orientare l’esecuzione verso un esito interpretativo manifestamente extra ordinem .

Non resta, dunque, che colmare lo spazio regolativo lasciato vuoto dal giudicato, senza alterarne il contenuto ma integrandolo nella parte mancante attraverso l’applicazione dei principi generali dell’ordinamento (v. art. 12 disposizioni preliminari al codice civile).

4. Per quanto esposto l’appello va respinto.

5. Le spese di lite possono essere compensate, in considerazione della natura delle questioni trattate e degli interessi in esse implicati.

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