Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2011-11-30, n. 201106342

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2011-11-30, n. 201106342
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201106342
Data del deposito : 30 novembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08026/2010 REG.RIC.

N. 06342/2011REG.PROV.COLL.

N. 08026/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8026 del 2010, proposto da:
-OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della omonima azienda agricola, rappresentata e difesa dall'avv. C D L, con domicilio eletto in Roma presso la Segreteria del Consiglio di Stato;

contro

- l’Azienda Sanitaria Locale Ce 1, in persona del legale rappresentante p.t.;
- la Regione Campania, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Maria D'Elia, con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli n. 29;
- il Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione V, n. -OMISSIS- del 18 maggio 2010, resa tra le parti, concernente l’abbattimento di capi bufalini affetti da brucellosi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e del Ministero della Salute;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2011 il Cons. Dante D'Alessio e udito l’avvocato Di Fruscio, per delega dell’avv. De Lellis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- La signora -OMISSIS-, titolare di un’azienda per l’allevamento di capi bufalini, sita in -OMISSIS-, aveva impugnato davanti al T.A.R. per la Campania il provvedimento con il quale il Responsabile dell’U.O.V. del Distretto n. 30 di Piedimonte Matese della Azienda Sanitaria Locale CE 1 aveva disposto l’abbattimento di n. 21 capi bufalini, risultati affetti da brucellosi, con la distruzione del latte prodotto, ed aveva chiesto il risarcimento dei danni subiti.

2.- Il T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione V, con la sentenza n. -OMISSIS- del 18 maggio 2010, ha però respinto il ricorso avendo rilevato che la ricorrente era stata indennizzata, per i capi abbattuti, per un importo di circa € 180.000,00 e avendo ritenuto che “il risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi non vada riconosciuto in seguito alla sola violazione di norme procedimentali, ma vada commisurato, come nel caso di specie, al valore del bene che, sia pure con violazione di norme procedimenti, è stato sottratto al legittimo titolare”.

Pertanto, secondo il T.A.R., era “onere della ricorrente, prima che i capi fossero abbattuti, effettuare analisi (se non su tutti i capi, quantomeno su alcuni) volte a dimostrare l’erroneità delle conclusioni cui era pervenuta la pubblica amministrazione. In altri termini le eventuali violazioni compiute in sede di accertamento delle infezioni non possono attribuire ai capi esaminati una patente di integrità fisica. D’altro canto in un giudizio probabilistico non sarebbe azzardato pervenire alla conclusione che i capi abbattuti fossero concretamente affetti dalla malattia riscontrata, proprio in ragione della situazione generale in cui versavano gli allevamenti della Provincia di Caserta per i quali è stato poi adottato il piano per l’eradicazione della brucellosi”.

Il T.A.R. ha quindi concluso sostenendo che “le somme erogate a titolo di indennizzo possono ritenersi adeguate perché assegnate per capi malati e non indenni dalla infezione riscontrata”.

3.- La signora -OMISSIS- ha ora appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.

In primo luogo ha riprodotto i motivi, già proposti davanti al T.A.R., con i quali aveva sostenuto che gli atti impugnati dovevano ritenersi illegittimi per:

1) l’incompetenza del Responsabile dell’U.O.V. del Distretto n. 30 di Piedimonte Matese;

2) la mancanza del piano triennale per il contenimento e l’eradicazione della brucellosi;

3) la mancata partecipazione al procedimento, anche al fine di poter riscontrare, attraverso appositi ed ulteriori esami anche privati, i campioni analizzati;

4) la carenza di motivazione sulle indagini eseguite e sulle modalità di valutazione delle stesse;

5) la carenza, la frettolosità e la contraddittorietà dell’istruttoria eseguita.

L’appellante ha quindi sostenuto che erroneamente la sentenza del T.A.R. per la Campania ha ritenuto di negare il richiesto risarcimento per la mancanza di una prova che i capi abbattuti fossero sani, in quanto tale prova non poteva essere fornita considerato che “l’art. 17 della O.M. del 14.11.2006 … vieta(va) all’allevatore il prelievo ematico sui propri capi ancorché infetti” e vietava la “commercializzazione, detenzione e utilizzazione dei kit per l’esecuzione delle prove sugli animali infetti”.

L’intimazione all’abbattimento dei capi, ancor prima di aver avuto una conferma delle analisi compiute in base al protocollo di cui al D.M. 27.08.1994 n. 651, aggiunge l’appellante, “anche in un giudizio probabilistico lascia propendere per la conclusione che i capi abbattuti fossero in realtà tutt’altro che malati”.

Per questo, conclude la signora -OMISSIS-, deve essere risarcito il danno da lei subito (e solo in piccola parte ristorato dall’indennizzo ricevuto) per aver rispettato il termine indicato nell’ordinanza impugnata ed aver abbattuto i capi bufalini.

4.- Al riguardo, si deve osservare che la signora -OMISSIS- quando aveva proposto il suo ricorso davanti al T.A.R. per la Campania aveva già provveduto spontaneamente, in esecuzione dell’ordine impugnato, all’abbattimento dei capi bufalini risultati affetti da brucellosi.

Vista l’irreversibilità dell’evento che si era già prodotto il suo ricorso era quindi volto ad ottenere, in via strumentale, dal giudice amministrativo il riconoscimento dell’illegittimità dell’ordine di abbattimento impartito, al fine di poter ottenere dall’amministrazione la liquidazione di una somma, a titolo di risarcimento danni, superiore all’indennizzo che era stato da lei percepito per l’abbattimento dei capi bufalini in questione.

4.1.- Per poter ottenere il risarcimento è peraltro necessario fornire la prova di aver subito un danno ingiusto a causa dell’azione illegittima dell’amministrazione.

All'azione di risarcimento danni proposta dinanzi al giudice amministrativo si applica infatti il principio dell'onere della prova previsto nell'art. 2697 c.c., in virtù del quale spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni non sia corredata dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta (fra le più recenti: Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1271 del 28 febbraio 2011).

Anche l'art. 64, comma 1, del c.p.a. stabilisce che spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova riguardanti i fatti posti a fondamento delle loro domande.

4.2.- Ora, nella fattispecie, come affermato dal T.A.R. per la Campania, manca la prova che l’appellante abbia subito un danno ingiusto per l’abbattimento di numerosi capi bufalini del suo allevamento.

Infatti tali capi bufalini sono stati ritenuti affetti da brucellosi all’esito degli accertamenti compiuti dal competente laboratorio di analisi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Caserta e manca qualsiasi prova che gli animali abbattuti non fossero effettivamente affetti da tale malattia.

4.3.- Né può avere rilievo la circostanza (effettivamente non considerata dal giudice di primo grado) che l’interessata non poteva effettuare proprie controanalisi, ai sensi dell’art. 17 della O.M. del 14.11.2006, in quanto risultava vietato all’allevatore il prelievo ematico sui propri capi e l’utilizzazione dei kit per l’esecuzione di (proprie) prove sugli animali infetti.

La circostanza che l’accertamento sulla presenza nei capi bufalini della malattia indicata era riservato all’autorità sanitaria non inficia infatti le conclusioni alle quali è giunto il giudice di primo grado, non risultando comunque in alcun modo provato (nemmeno in via presuntiva) che gli animali abbattuti non fossero effettivamente affetti da brucellosi.

Risulta invece dagli atti depositati nel giudizio di primo grado dalla Azienda Sanitaria Locale CE 1 che numerosi capi bufalini di proprietà della appellante (individuati singolarmente), all’esito delle analisi eseguite dal competente Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Caserta, avvalendosi dei metodi di diagnosi sierologica della brucellosi mediante fissazione del complemento (FDC) e mediante sieroagglutinazione rapida con antigene al rosa bengala (SAR Ag:RB), nel rispetto dei criteri dettati dal D.M. n. 651 del 27 agosto 1994, contenente il Regolamento concernente il piano nazionale per la eradicazione della brucellosi negli allevamenti bovini, e delle metodiche descritte nel relativo allegato, erano risultati certamente affetti da brucellosi, e dovevano essere quindi abbattuti. Infatti solo per i casi dubbi (che nella fattispecie non erano stati individuati) era previsto l’esperimento di ulteriori analisi.

E tali accertamenti non risulta siano stati nemmeno tempestivamente contestati dall’interessata prima dell’abbattimento dei capi bufalini, come pure era reso possibile (come risulta dall’annotazione in calce ai rapporti di prova in atti che indicano l’ufficio al quale era possibile rivolgersi per eventuali chiarimenti o reclami), con ciò rendendo impossibile una verifica ulteriore sulla correttezza sostanziale delle analisi eseguite.

4.4.- In mancanza di una qualsiasi prova contraria si deve quindi ritenere che i capi bufalini abbattuti fossero effettivamente affetti da brucellosi, con la conseguenza che per il loro abbattimento l’interessata poteva avere diritto alla liquidazione di un indennizzo, come è accaduto. Non può invece l’appellante pretendere (anche) un risarcimento misurato sul valore dei capi bufalini considerandoli come sani.

5.- Deve essere quindi condivisa la sentenza del T.A.R. per la Campania che ha ritenuto di non poter accogliere la domanda proposta dalla signora -OMISSIS- tenuto conto che il risarcimento dei danni non può essere riconosciuto solo per la (eventuale) violazione di norme procedimentali, ma deve essere comunque commisurato al valore del bene che si ritiene sia stato leso a seguito dell’azione illegittima dell’amministrazione.

6.- In conclusione l’appello deve essere respinto.

In considerazione della natura della questione trattata si ritiene di disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze del grado di appello.

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