Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-07-14, n. 201503506

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-07-14, n. 201503506
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201503506
Data del deposito : 14 luglio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09684/2011 REG.RIC.

N. 03506/2015REG.PROV.COLL.

N. 09684/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9684 del 2011, proposto da:
Tz System S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. U S, con domicilio eletto presso U S in Roma, Via G.B.Morgagni, 2/A;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge, costituitosi in giudizio;

nei confronti di

Consorzio Agrario Interprovinciale di Rieti e Terni;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. dell’UMBRIA – Sede di PERUGIA - SEZIONE I n. 00244/2011, resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione alla cessione dei beni mobili e immobili.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2015 il Consigliere F T e uditi per le parti l’ Avvocato Segarelli e l'Avvocato dello Stato Grumetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria – Sede di Perugia – ha respinto il ricorso di primo grado proposto dall’ odierna parte appellante S.R.L. Tz System, volto ad ottenere l'annullamento

dell'atto (del Direttore Generale della D.G. per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi, del Ministero dello Sviluppo Economico resistente) 6 Aprile 2010 Prot. n. 22815, non notificato, con il quale il predetto Ministero, quale Autorità di vigilanza, aveva negato l'autorizzazione alla cessione dei beni di cui all'invito ad offrire pubblicato a mezzo stampa in data 19 novembre 2009 e degli altri atti del procedimento, preliminari, presupposti, connessi, conseguenti e di attuazione.

In punto di fatto era stato rappresentato che la società originaria ricorrente era stata l’unica offerente per l’acquisto di beni del Consorzio Agrario Interprovinciale di Rieti e Terni in liquidazione coatta amministrativa, indicati nell’invito ad offrire pubblicato il 19 novembre 2009.

Con il provvedimento impugnato il Ministero, quale Autorità di Vigilanza sulla liquidazione coatta, aveva negato l’assenso alla cessione dei beni stessi e revocato in autotutela il provvedimento di autorizzazione alla pubblicazione del suddetto invito.

L’odierna appellante era insorta, prospettando censure di eccesso di potere e violazione di legge: in particolare era stata lamentata l’incoerenza dell’avversato provvedimento rispetto alla precedente autorizzazione (n. 122487 /2010) ad avviare il procedimento di cessione, ed il vizio di eccesso di potere in varie figure sintomatiche per contrasto con la pregressa riserva d’impartire direttive per la destinazione del ricavato della vendita ai creditori che invece avrebbero patito un generalizzato danno.

Inoltre, era stata segnalata la violazione delle prerogative del Comitato di Sorveglianza che aveva espresso parere favorevole alla cessione.

Il primo giudice ha rigettato le eccezioni processuali di inammissibilità articolate dall’amministrazione odierna appellata affermando che l’appellante, avendo presentato l’offerta, era legittimata a dolersi del procedimento negativamente conclusosi con l’atto impugnato (anche nella parte in cui si era revocato l’invito ad offrire).

La pretesa natura interna del provvedimento gravato era insussistente, in quanto “contrarius actus” rispetto ad uno precedente (l’invito ad offrire) avente destinazione al pubblico.

Nel merito, ha escluso la fondatezza del mezzo.

L’avversato provvedimento, di natura discrezionale, era impugnabile, solo per vizi formali (non dedotti ) o per macroscopica illogicità.

Questa non sussisteva;
le ragioni del diniego dell’assenso alla cessione, e della revoca dell’autorizzazione a suo tempo concessa per l’avvio del procedimento di cessione riposavano in un giudizio di merito sull'inadeguatezza delle condizioni della cessione rispetto agli interessi dei creditori (si paventava che il prezzo fosse troppo basso) sostanzialmente in quanto non macroscopicamente irragionevole.

Esso si accompagnava ad una serie di perplessità sui rapporti fra la originaria ricorrente ed il Consorzio, espresse già prima dell'autorizzazione ad iniziare la procedura di cessione (nota del Ministero al Commissario Liquidatore n. 0110847 del 6 ottobre 2009).

Il ripensamento (provv. impugnato, pag. 2, 3° cpv) che aveva dato luogo alla determinazione avversata si correlava alle pregresse vicende procedimentali (in senso lato) e di esse costituiva una sorta di evoluzione.

Peraltro, la avversata determinazione medesima era stata adottata anche in base alle obiezioni (evidentemente condivise dal Ministero) dei creditori del Consorzio circa l'inadeguatezza delle condizioni di cessione rispetto alle aspettative di soddisfazione dei propri crediti.

In ultimo, l'Autorità di Vigilanza ben poteva disattendere il parere del Comitato di Sorveglianza, purché sufficientemente e logicamente motivando e nulla vietava all’Amministrazione di valutare nuovamente la fattispecie, tenendo conto, ad esempio, di eventuali mutamenti degli inerenti parametri di mercato.

Il mezzo è stato pertanto integralmente disatteso.

La odierna parte appellante, già resistente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha ripercorso il contenzioso intercorso ed ha sostenuto che il Tar non aveva colto che si era dato rilievo a supposte obiezioni mosse dai creditori del Consorzio, ma non erano state acquisite le comunicazioni di questi ultimi: ci si era “fidati” di quanto affermato nel provvedimento impugnato.

Il Ministero aveva paventato che il prezzo fosse “troppo basso” ma non essendosi munito di perizie di sorta, simile apodittica affermazione collideva con la perizia estimativa acquisita nella fase iniziale culminata nell’atto autorizzato.

Il “ripensamento” era arbitrario ed immotivato.

Alla odierna pubblica udienza del 4 giugno 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello è infondato e va respinto.

1.1. Si premette che il Collegio non ritiene di aderire alla richiesta di rinvio prospettata da parte appellante sulla scorta della prospettata esigenza di proporre motivi aggiunti di appello in relazione alla documentazione depositata dalla difesa erariale.

Si osserva in proposito che:

a)la eccezionale (in quanto derogatrice al tendenziale principio del doppio grado di giudizio afferente all’intero materiale cognitivo soggetto a decisione) possibilità di proporre motivi aggiunti “nuovi” in appello è legata alla duplice possibilità incentrata sulla “novità” dell’accadimento e/o della omessa conoscenza pregressa;

b)nessuna di esse ricorre nel caso di specie, in quanto il 13.4. 2015 l’Avvocatura si è limitata a depositare gli atti del fascicolo di primo grado, tutti già noti a parte appellante, e comunque risalenti al 2010 e che egli avrebbe dovuto in ogni caso gravare tempestivamente e, a monte, conoscere, anche attivandosi a mezzo di tempestiva richiesta di accesso.

La casa è matura per il merito e la domanda di rinvio va pertanto disattesa.

2.Venendo all’esame del merito, entrambi i capisaldi impugnatorii sono sforniti di consistenza.

2.1.Quanto al primo (supposta erroneità della “valorizzazione” da parte del Tar delle critiche mosse dai creditori del Consorzio), esso è fondato su speciosi motivi formali.

Invero parte appellante non contesta che tali critiche/perplessità vi siano state: contesta il fatto che il Tar le abbia valutate sebbene non acquisendo la copia della documentazione ciò comprovante e sostanzialmente “fidandosi” di quanto esposto nel provvedimento impugnato.

Una simile censura avrebbe potuto avere pratica possibilità di accoglimento unicamente laddove l’appellante avesse contestato il “fatto storico” rappresentato dalla esistenza di critiche/perplessità mosse dai creditori del Consorzio all’invito ad offrire (eventualmente disponendosi un incombente istruttorio per acquisirle) .

Una volta però, che tale profilo non sia stato posto in contestazione, non si vede né l’utilità di tale censura, e neppure in quale illegittimità sia incorso il Tar: il primo giudice, infatti, ha “utilizzato” aggiuntivamente in chiave reiettiva detto argomento, unicamente al fine di chiarire che la motivazione sottesa al provvedimento –latamente discrezionale- gravato in primo grado si sostanziava anche su tale circostanza: rimasto non smentito né contestato, sotto il profilo “storico” che tale dato fosse vero, non si vede né perché il Tar non avrebbe potuto sullo stesso fondare il proprio convincimento di immunità da vizi della motivazione revocatoria, né perché fosse asseritamente indispensabile acquisire dette missive (tanto più che non v’è stato alcun giudizio di “esattezza” delle stesse, nel merito).

E neppure è stato contestato il possibile “contrasto” tra posizioni creditorie prededucibili contenuto negli atti ministeriali

La prima censura va quindi decisamente disattesa.

3.Anche la seconda doglianza incorre in una petizione di principio: la latissima discrezionalità amministrativa in materia, è stata esercitata dall’Amministrazione sulla scorta di un giudizio ben motivato ma, soprattutto, non attinto da specifiche critiche.

3.1.L’Amministrazione paventa che il prezzo fosse troppo basso (esso era di soli 8.000 euro superiore al prezzo-base), ed il valore dei beni del Consorzio,pari a circa 700.000 €, era stato stimato in appena € 200.000 e l’appellante non ha chiarito, né dimostrato, che invece il prezzo fosse adeguato: in tale quadro, non si vede perché il convincimento dell’Amministrazione sia censurabile, sebbene non fondato da perizie di stima successive a quella originaria.

3.2.Sarebbe semmai spettato all’appellante dimostrare, anche embrionalmente, che le originarie perizie di stima fossero corrette, e che nessun dubbio su una incongruità del prezzo ivi fissato potesse essere ipotizzabile.

3.3.Di più: stante la lata discrezionalità in materia, si sarebbe dovuto dimostrare che un eventuale dubbio di inadeguatezza fosse manifestamente abnorme e/o illogico.

Certo è, infatti, che trattandosi della dismissione di beni appartenenti ad Ente pubblico, la cura nella individuazione del giusto prezzo ricavabile deve essere massima, risolvendosi altrimenti la cessione in un indebito “regalo” all’acquirente

3.4. Ma nulla di tutto ciò è stato affermato, e neppure provato;
ed anzi, è agevole fare notare che, in realtà, parte appellante non chiarisce, neppure in via di ipotesi, un punto nodale: invero proprio i creditori del Consorzio (coloro i quali, cioè, più di ogni altro avrebbero avuto interesse ad un veloce “realizzo” di denaro dalla vendita del compendio del Consorzio, al fine di vedersi pagati i loro crediti) hanno in realtà prospettato dubbi sulla adeguatezza del prezzo offerto e sul “conflitto” che la detta alienazione avrebbe determinato tra crediti prededucibili, come segnalato dalla stessa Amministrazione. In tale quadro, la critica appellatoria si rivela auto- assertiva e, nella sostanza, inaccoglibile.

3.5.In ultimo non è superfluo, ad avviso del Collegio, rilevare che correttamente la “domanda” dell’appellante doveva essere qualificata qual proposta inoltrata quale “risposta” ad un invito ad offrire: si è in presenza di un interesse che lambisce quello “di mero fatto”, giustiziabile in teoria ex artt. 1337 e 1338 CC, ma sfornito dei requisiti per potere pervenire ad una statuizione demolitoria che, di fatto, sancisca “l’obbligo” per l’Amministrazione di accettare detta proposta negoziale, siccome dall’appellante preteso.

3.6. Conclusivamente, l’appello va disatteso.

4.Quanto alle spese,esse possono essere integralmente compensate tra le parti, stante la particolarità della controversia, ed in considerazione della circostanza che l’Amministrazione non ha spiegato difese scritte nell’odierno grado di giudizio.

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