Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-02-23, n. 201600736

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-02-23, n. 201600736
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600736
Data del deposito : 23 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07811/2015 REG.RIC.

N. 00736/2016REG.PROV.COLL.

N. 07811/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7811 del 2015, proposto da
G P, rappresentata e difesa dall'avv. D A, con domicilio eletto presso l’avv. Umberto Segarelli in Roma, Via G. B. Morgagni, 2/A;

contro

il Comune di Bari, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. A F, con domicilio eletto presso l’avv. F Ca in Roma, Via Nizza, 53;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia –III sezione, n. 226 del 2015, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile e comunque infondato il ricorso ex artt. 31 e 117 del cod. proc. amm. nella parte diretta a vedere accertata l’avvenuta formazione del silenzio accoglimento ex art. 35 della l. n. 47 del 1985 sull’istanza di rilascio di concessione edilizia in sanatoria presentata in data 26 marzo 1986 con riferimento a un fabbricato avente una superficie complessiva superiore a 500 mq. sito in Bari, località S. Spirito, Via Caladoria, con richiesta di condanna del Comune al rilascio della concessione edilizia in sanatoria;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio del Comune di Bari;

Vista la memoria difensiva dell’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 4 febbraio 2016 il cons. Marco Buricelli e udito per la parte appellata l’avv. Toma, su delega dell’avv. Farnelli;
nessuno comparso per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente e odierna appellante ha realizzato in Bari –S. Spirito, via Caladoria, un manufatto abusivo avente una superficie complessiva superiore ai 500 mq. , di cui ha chiesto il condono, ai sensi dell’art. 35 della l. n. 47 del 1985, con istanza presentata al Comune il 26 marzo 1986.

Sull’istanza suddetta l’Amministrazione comunale, benché sollecitata in modo formale nel maggio del 2013, non ha provveduto in maniera esplicita.

Con ricorso notificato il 2 maggio 2014 e depositato in segreteria il 7 maggio successivo la signora P ha proposto dinanzi al Tar di Bari un ricorso ex artt. 31 e 117 del cod. proc. amm. diretto in via principale a sentire accertata dal giudice l’avvenuta formazione del silenzio accoglimento ai sensi dell’art. 35 della l. n. 47 del 1985 sull’istanza di rilascio della concessione in sanatoria, con la richiesta, al giudice medesimo, di ordinare al Comune il rilascio del provvedimento formale di concessione edilizia in sanatoria.

In subordine la signora P ha chiesto al Tar di accertare l’obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere in modo formale e conclusivo sulla domanda di condono.

In data 24 settembre 2014 il Comune ha adottato una “nota di riavvio del procedimento di condono edilizio”, in atti, evidenziando in particolare che l’immobile abusivo è stato realizzato in data 1° ottobre 1983, come da dichiarazione sostitutiva di atto notorio della signora P, e pertanto in vigenza del regime di tutela introdotto dall’art. 51, lett. f), della l. reg. n. 56 del 1980, il quale vietava qualsiasi opera di edificazione entro la fascia dei 300 metri dal demanio marittimo, e che l’immobile ricade entro detta fascia, all’interno della quale vige il regime di tutela, salvaguardia e valorizzazione introdotto dal PUTT per il Paesaggio, con conseguente non accoglibilità per silenzio assenso della istanza di condono poiché l’area sulla quale sorge il manufatto si trova in zona assoggettata a vincolo paesaggistico introdotto dal PUTT –Paesaggio. In ogni caso –ha soggiunto il Comune-, per la giurisprudenza il rilascio della concessione in sanatoria per abusi realizzati su aree soggette a vincolo presuppone il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso.

2. Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso esclusivamente nella parte in cui è stata richiesta l’adozione di un provvedimento conclusivo, esplicito e formale, sull’istanza di sanatoria del 1986, e ha assegnato al Comune 30 giorni per provvedere, nominando commissario ad acta , per l’ipotesi di inesecuzione dell’ordine, il Prefetto di Bari, con facoltà di sub delega a un funzionario di sua scelta, affinchè provveda nel termine ulteriore di 30 giorni.

Il Tar ha invece giudicato inammissibile il chiesto rimedio giurisdizionale rivolto a sentire accertata l’avvenuta formazione del silenzio accoglimento sull’istanza, soggiungendo che comunque nel merito andava esclusa la formazione del silenzio accoglimento ex art. 35 cit. in assenza di argomentazioni tese a confutare l’affermazione ricavabile dalla nota del Comune del 24 settembre 2014 secondo la quale l’accoglimento dell’istanza era precluso dal fatto che l’area sulla quale sorge il fabbricato ricade in zona assoggettata a vincolo paesaggistico introdotto dal PUTT –Paesaggio. La sentenza ha soggiunto che i rilievi esposti dalla ricorrente in memoria non potevano ritenersi esaustivi, “richiedendo l’approfondimento proprio della fase istruttoria amministrativa”.

3. L’appello è diretto in sostanza a rilevare l’erroneità della nota comunale del 24 settembre 2014 e ad affermare l’inesistenza di elementi ostativi al condono, ossia al rilascio della concessione in sanatoria e al riconoscimento del bene della vita preteso dalla signora P.

Ad avviso di quest’ultima non residuano, in capo al Comune, margini di esercizio della discrezionalità, e neppure risultano necessari ulteriori adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dalla P. A. .

Dagli atti risultano richieste comunali (v. note del POS Paesaggio e Ambiente del 9 giugno 2015 e del 21 settembre 2015) d’integrazione della documentazione, alle quali l’appellante ha risposto ritenendo la pratica completa, e non necessario l’invio di documentazione ulteriore.

Sotto un altro profilo si lamenta il fatto che il Tar avrebbe perlomeno potuto dare indicazioni, anche ex art. 117, comma 4, del cod. proc. amm. , sulle questioni relative alla esatta adozione dell’atto da emanare, richiamando ad esempio la necessità di tenere presente la documentazione acquisita in giudizio (tra cui le norme tecniche e la cartografia degli strumenti urbanistici), oltre al citato art. 51 della l. reg. n. 56/1980, elementi da utilizzare quali parametri di riferimento ai fini dell’adozione del provvedimento richiesto dalla ricorrente.

Il Comune si è costituito per resistere.

Con memoria depositata in segreteria il 27 gennaio 2016 l’appellante ha insistito sul fatto che nel caso in esame deve applicazione il silenzio –assenso, con conseguente declaratoria dell’obbligo del Comune di adottare un provvedimento esplicito favorevole previo accertamento della spettanza all’appellante del bene della vita perseguito.

4. L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza, nel complesso, resiste alle critiche che le sono state indirizzate e va quindi confermata, con le precisazioni e le integrazioni motivazionali che seguiranno.

Indipendentemente dalla soluzione da dare alla questione, di carattere pregiudiziale, risolta dal giudice di primo grado nel senso della inammissibilità, di per sé, del rimedio giurisdizionale diretto all’accertamento dell’avvenuta formazione del silenzio –accoglimento ex art. 35 della l. n. 47/1985 sulla domanda di concessione in sanatoria, il collegio ritiene in ogni caso che nella specie non vi siano i presupposti stabiliti dall’art. 31, comma 3, affinché il giudice possa adottare una pronuncia in via diretta –segnatamente, una pronuncia pienamente favorevole alla parte ricorrente- sulla fondatezza della pretesa dedotta dall’appellante nel senso della spettanza, alla signora P, del bene della vita richiesto, ossia della concessione edilizia in sanatoria.

A questo riguardo, va rammentato in via preliminare che, per giurisprudenza consolidata, nei giudizi sul silenzio, in base a quanto dispone l’art. 31 del c.p.a. il giudice amministrativo, almeno di regola, non può andare oltre la declaratoria d’illegittimità dell'inerzia e l'ordine di provvedere in modo esplicito e formale, restandogli precluso, almeno in linea di principio, il potere di accertare in via diretta la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi così all'Amministrazione rimasta inerte.

Le disposizioni di cui all’art. 31 e 34, comma 1, lett. b), del c.p.a. , ove interpretate diversamente, attribuirebbero in modo indiscriminato una giurisdizione di merito al giudice amministrativo, di cui egli non è titolare in questa materia.

Tuttavia, nell'ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere dell'accoglibilità dell'istanza, sul piano sostanziale, ex art. 31, comma 3 del c. p. a. :

a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, allorché venga in questione l’adozione di provvedimenti amministrativi strettamente dovuti o vincolati, in relazione ai quali non residui alcun margine di discrezionalità e sempre che non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione;

b) nell'ipotesi in cui l'istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l'Amministrazione a provvedere laddove il provvedimento conclusivo, esplicito e formale, non potrebbe che essere sfavorevole al soggetto istante.

Ciò posto, nel caso qui in esame la definizione delle questioni prospettate dall’appellante ai punti 1. e 1.1. dell’atto d’appello e nella memoria difensiva dell’8 gennaio 2016 (con la quale, peraltro, questo giudice d’appello viene ragguagliato su carteggi tra la signora P e il Comune sopravvenuti dopo la sentenza impugnata) implica e presuppone una corretta lettura e interpretazione di elaborati (specialmente, a quanto consta, di cartografie) e di prescrizioni di strumenti urbanistici, oltre alla disamina di questioni interpretative di carattere normativo di tutt’altro che pronta e agevole soluzione, in un contesto valutativo non privo di complessità che non solo non appare chiaro e univoco, sotto vari aspetti, ma che –come nella sentenza impugnata non si è mancato di osservare in maniera condivisibile- richiede verifiche, in sede istruttoria amministrativa, non surrogabili nella presente sede processuale: sicché l’appellante finisce con l’invocare un utilizzo inappropriato, e per così dire, “esorbitante”, del rimedio peculiare di cui al citato art. 31, comma 3, del c. p. a. , incompatibile tra l’altro con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della decisione che deve definire il giudizio medesimo.

Se dunque –come ha correttamente concluso il Tar- non vi sono le condizioni per poter emettere una pronuncia sulla fondatezza della pretesa sostanziale rivolta a dichiarare il Comune obbligato a rilasciare la concessione edilizia in sanatoria, pure, appare utile precisare che nel prosieguo dell’azione amministrativa il Comune di Bari dovrà tenere presente la documentazione acquisita in giudizio, tra cui le norme tecniche e la cartografia di PRG, da utilizzare quale elementi di valutazione nell’adozione del provvedimento conclusivo ed esplicito sulla domanda di sanatoria.

Provvedimento finale che dovrà essere adottato dal Comune di Bari entro 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza ovvero dalla notificazione della stessa, se avvenuta anteriormente, ferma la designazione, quale commissario ad acta , per l’ipotesi di mancata esecuzione dell’ordine predetto, del Prefetto di Bari, con facoltà di sub delega come specificato dal Tar e termine per provvedere entro i 30 giorni successivi, a decorrere cioè dallo scadere del termine assegnato al Comune.

Considerate le particolarità della vicenda trattata sussistono tuttavia ragioni eccezionali per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del grado di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi