Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-05-24, n. 202204122

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-05-24, n. 202204122
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204122
Data del deposito : 24 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/05/2022

N. 04122/2022REG.PROV.COLL.

N. 00131/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA IIANA

IN NOME DEL POPOLO IIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 131 del 2022, proposto dalla signora R D, rappresentata e difesa dall’avvocato F B, elettivamente domiciliata presso lo studio A. Placidi S.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30,

contro

- il Comune di San Ferdinando di Puglia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato D D V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- la signora A I C, rappresentata e difesa dall’avvocato S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. VI n. 4307/2021, resa tra le parti, pubblicata il 7 giugno 2021, non notificata, resa sul ricorso N.R.G. 4479/2020 proposto dall’odierna ricorrente per l’annullamento e/o la riforma della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari, Sez. III – n. 667/2020, pronunciata tra le parti.


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Ferdinando di Puglia e della signora A I C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 il consigliere G S, nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso del 31 luglio 2018, la signora R D adiva il T.a.r. Puglia – Bari, al fine di ottenere l’annullamento del permesso di costruire n. 18 del 21 giugno 2018, rilasciato dal Responsabile del settore Assetto del Territorio del Comune di San Ferdinando di Puglia in favore della signora C. La ricorrente lamentava, in particolare, la non assentibilità dell’intervento, che prevede la realizzazione di un fabbricato ad uso residenziale composto da un piano seminterrato, piano rialzato e primo piano in aderenza a quello di sua proprietà, in violazione dell’art. 907 c.c. (distanza delle costruzioni dalle vedute) che richiede la distanza minima di 3 metri, misurata a norma dell’art. 905 e dell’art. 9 del d.m. 1444/1968 (che prevede, invece, una distanza minima di 10,00 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti). Il permesso di costruire n. 18/2018 avrebbe, infatti, consentito la realizzazione del fabbricato a una distanza dal confine di proprietà D e dalla parete finestrata del tutto insufficiente e in aperta violazione delle disposizioni vigenti. Si costituiva in giudizio la signora C contestando che, ai fini del rispetto delle distanze tra fabbricati imposte dal regolamento edilizio, non si deve tener conto degli abusi edilizi commessi dal vicino e, pertanto, la realizzazione di un’opera abusiva (un’apertura con balcone realizzati dalla signora D) non poteva precludere il rilascio di un titolo edilizio.

2. Nelle more, interveniva il provvedimento prot. n. 17408 del 29 luglio 2019, con cui l’Amministrazione comunale resistente ordinava il ripristino dello stato dei luoghi, relativamente a parti del fabbricato di proprietà della signora D, poiché realizzate in difformità a quanto autorizzato e in difetto del titolo abilitativo giusta “ verbale di abuso edilizio ” acquisito al protocollo dell’Ufficio Settore Assetto del Territorio con n. 14235 del 24 giugno 2019. Sicché, la signora D proponeva ricorso per motivi aggiunti avverso il citato provvedimento prot. n. 17408, chiedendone l’annullamento previa sospensione dell’efficacia. La medesima ricorrente, in pari data del ricorso, faceva istanza al Comune di San Ferdinando di Puglia di sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380/2001.

3. Con atto del 14 novembre 2019, rif. n. 60/2019 prot. n. 25134, il Settore Assetto del Territorio del Comune di San Ferdinando di Puglia rigettava la predetta istanza.

4. Con sentenza n. 667/2020, il T.a.r. Puglia - Bari rigettava il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti proposti dalla signora D, ritenendo “ acquisita nel presente giudizio la certezza della natura abusiva del balcone e della finestra la qual cosa depriva integralmente di fondamento il ricorso introduttivo che sulla legittimità degli affacci in questione fonda la lamentata violazione del regime legale delle distanze e l’indebita compressione del diritto di veduta, per effetto del rilascio del permesso di costruire in favore della controinteressata ”.

5. Avverso la suddetta sentenza la signora D proponeva appello dinanzi a questo Consiglio di Stato che, con pronuncia n. 4307/2021 resa nel procedimento r.g.n. 4479/2020, lo respingeva “ nella parte in cui denuncia l’erroneo rigetto dei motivi aggiunti in prime cure, tenuto conto che l’apertura della finestra e la realizzazione del balcone non sono assentite dal previo rilascio del prescritto permesso di costruire, con conseguente emersione di interventi edilizi abusivi soggetti alla sanzione ripristinatoria di cui all’art. 31 DPR n. 380/01 ”, confermando, dunque, in via definitiva, la sussistenza degli abusi edilizi accertati e la sanzione ripristinatoria.

6. Il Comune di San Ferdinando di Puglia, pur costituitosi in primo grado, non si è costituito nel giudizio dinanzi al Consiglio di Stato.

7. In data 4 gennaio 2022, la signora D ha quindi proposto il ricorso per revocazione in epigrafe, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., avverso la citata sentenza n. 4307/2021.

7.1 Nel caso di specie l’errore di fatto ex adverso dedotto consisterebbe nella supposta lettura scorretta della documentazione agli atti del processo in quanto questo Consiglio, in sostanza, non avrebbe considerato che il balcone era ricompreso nella concessione in sanatoria, sebbene sotto forma di veranda al primo piano dell’immobile e che detto balcone sarebbe emerso a seguito della rimozione della copertura della veranda e della sua chiusura a vetri.

7.2 Parte ricorrente ha chiesto, quindi, di ordinare al Comune di procedere all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 comma 4 d.P.R. n. 380/2001, degli edifici commerciali insistenti sul Foglio 9, mappali 41 e 210 in via Mazzini e dell’area di sedime, con relativa trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, e alla demolizione d’ufficio, a spese dei responsabili dell’abuso, con ogni conseguente statuizione ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001 nonché dell’art. 114 c.p.a.

7.3 In data 18 gennaio 2022 la signora C si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso. Ha evidenziato, in punto di fatto, che “ si è vista costretta ad adire nuovamente il Tar barese ai sensi dell’art. 117 c.p.a, al fine di far accertare e dichiarare l’illegittimità dell’inerzia del Comune di San Ferdinando di Puglia e della Prefettura di Barletta Andria Trani nonché di accertare l’obbligo di provvedere all’esecuzione coattiva dell’ordine di demolizione ”.

7.4 In data 2 marzo 2022, parte ricorrente ha depositato consulenza tecnica di parte che “ serve meglio ad esplicitare quanto rappresentato e descritto nella Istanza di sanatoria del 1995 relativa l’ampliamento a piano primo e la presenza del balcone già esistente all’epoca della pratica edilizia e ricompreso all’interno dell’area da legittimare ”.

7.5 In data 9 marzo 2022 si è costituito il Comune di San Ferdinando di Puglia chiedendo il rigetto del ricorso.

7.6 In data 12 marzo 2022 e 23 marzo 2022, le parti resistenti hanno depositato rispettive memorie di controdeduzioni insistendo per le anzidette conclusioni. Hanno osservato, in particolare, che, in realtà, la questione relativa alla presenza di un balcone sarebbe stata esaminata da questo Consiglio. Inoltre, ha evidenziato il Comune resistente che i due tecnici incaricati della pratica di condono e della ristrutturazione dell’immobile, per gli atti depositati e le variazioni catastali eseguite, non hanno riscontrato e riportato alcuna finestra e/o balcone rivolta verso la proprietà altrui.

8. Alla camera di consiglio del 12 aprile 2022, la causa è stata discussa ed introitata in decisione.

9. La domanda di revocazione è da dichiarare inammissibile.

9.1 Giova preliminarmente riportare l’orientamento espresso da questo Consiglio in ordine alla configurazione dell’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., alla luce dell’indeclinabile esigenza di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi in una forma di gravame idonea a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale: “ l'errore di fatto revocatorio si sostanzia, dunque, in una svista o “abbaglio dei sensi” che ha provocato l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa), determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa: esso pertanto non può (e non deve) confondersi con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o dell’ “abbaglio dei sensi”;
pertanto, mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale, esso non ricorre nell'ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall'ordinamento)
” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2015, n. 4975; id ., sez. IV, 21 aprile 2017, n. 1869).

Ai fini dell’enucleazione del concetto giuridico di errore di fatto soccorre anche una specifica abbastanza recente pronuncia dell’Adunanza plenaria (27 luglio 2016, n. 21), secondo cui “ non costituisce motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla parte medesima a sostegno delle proprie conclusioni;
occorre, infatti, distinguere tra motivo di ricorso e argomentazione a sostegno di ciascuno dei motivi del medesimo;
il motivo di ricorso, infatti, delimita e identifica la domanda spiegata nei confronti del giudice, e in relazione al motivo si pone l'obbligo di corrispondere, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato, nel senso che il giudice deve pronunciarsi su ciascuno dei motivi e non soltanto su alcuni di essi;
a sostegno del motivo — che identifica la domanda prospettata di fronte al giudice — la parte può addurre, poi, un complesso di argomentazioni, volto a illustrare le diverse censure, ma che non sono idonee, di per sé stesse, ad ampliare o restringere la censura, e con essa la domanda;
rispetto a tali argomentazioni non sussiste un obbligo di specifica pronunzia da parte del giudice, il quale è tenuto a motivare la decisione assunta esclusivamente con riferimento ai motivi di ricorso come sopra identificati
”. Conclusivamente, è dato affermare che l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro contenuto, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento: detto errore, dunque, mai può ricorrere nell’ipotesi di inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo, semmai, ad un ipotetico errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento) (Cons. giust. amm. Sicilia, 23 gennaio 2015, n. 54).

9.2. Fatta questa necessaria premessa di carattere generale, occorre rilevare che nella fattispecie in esame non si rinvengono gli estremi dell’errore di fatto, secondo le caratteristiche delineate dai riportati indirizzi giurisprudenziali.

Alla luce di tanto deve reputarsi la domanda di revocazione inammissibile.

9.3 Secondo parte ricorrente questo Consiglio, con la revocanda sentenza, sarebbe caduto in errore nell’esaminare il gravame nella parte in cui si era dedotto che “ il balcone sopra richiamato risultava assistito da titolo abilitativo edilizio ed era presente almeno dal 1995 ”, avendo erroneamente rilevato “ un contrasto tra la descrizione dell’intervento abusivo riportata nell’ambito del titolo concessorio, in cui si fa riferimento al solo ampliamento di un vano al primo piano, senza, dunque, discorrere di realizzazione di un balcone, e la rappresentazione recata nel grafico allegato al titolo concessorio, in cui vi è la presenza di un balcone anche nella parte soprastante il portone di ingresso, corrispondente alla porzione immobiliare in contestazione nell’odierno giudizio ”. Questo Consiglio avrebbe quindi erroneamente richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ in caso di discrasia tra il contenuto della relazione tecnica allegata alla domanda di condono e segno grafico presente nel progetto disponibile presso il comune, deve darsi prevalenza al primo ” (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 dicembre 2019, n. 8390). La società ricorrente deduce, quindi, che il Collegio di seconde cure sarebbe incorso in una “ errata percezione dei fatti di causa ” in ordine alla consistenza delle opere effettivamente assentite, ma occorre innanzitutto rilevare che su tale precisa questione questo Consiglio si è pronunciato, non potendosi così configurare alcuna “ omissione ” di pronuncia. Infatti, circa la effettiva presenza di un balcone, nell’ambito del quadro motivazionale della sentenza, si registra il seguente passaggio: “ l’assenza di risultanze catastali convergenti nel corso degli anni in ordine alla presenza del balcone per cui è controversia si desume anche dalla stessa dichiarazione di variazione del 16.7.2018 ” la quale “ assume rilievo, in quanto evidenzia come i dati catastali non documentassero ab origine la presenza del balcone de quo, riportato nella planimetrica catastale con chiarezza soltanto in epoca recente (2018) e su iniziativa della parte interessata ”. Il Collegio, prima di portata decisiva alle risultanze, non univoche, della concessione in sanatoria, ha più precisamente rilevato che “ le risultanze catastali, […] in quanto recanti nel tempo elementi tra loro contrastanti, talvolta presupponenti la presenza di un balcone, talaltra di tamponature idonee a generare nuova volumetria, rimanendo ferma la loro inidoneità, di per sé, a fondare un giudizio di regolarità urbanistico-edilizia (da rendere alla stregua del titolo edilizio riferibile all’immobile in esame), non consentono di comprovare in maniera univoca l’originaria presenza del balcone per cui è controversia e, dunque, la sua riconducibilità alla portata oggettiva del titolo in sanatoria rilasciato nel 1997 dall’Amministrazione comunale. Parimenti, non risulta utilmente invocabile a fondamento dell’appello la denuncia di inizio attività presentata del febbraio 2004, che non solo non reca alcun riferimento alla realizzazione del balcone de quo, ma ha ad oggetto, tra l’altro, la sostituzione di tamponatura al parziale primo piano condonato con la concessione edilizia n. 190/1 del 1997;
attività edilizia maggiormente coerente con la presenza, anziché di un balcone, di un ampliamento di un locale posto al primo piano, idoneo a generare superficie residenziale e volumetria
”. Il Collegio ha quindi motivatamente appuntato la propria attenzione sulla concessione in sanatoria n. 190/1 del 1997 rilasciata dall’Amministrazione comunale, alla luce di quanto emerso dalla verificazione, rilevando “ un contrasto tra la descrizione delle opere sanate recata nel titolo edilizio e la rappresentazione delle medesime opere riportata nei grafici allegati, parimenti facenti parte integrante della concessione ”. Parte ricorrente sostiene pertanto che il Collegio sarebbe incorso in una errata percezione delle circostanze di fatto non essendosi avveduto che il balcone sarebbe ricompreso nella sanatoria sotto forma di veranda e che l’ampliamento del vano esistente al primo piano per mq. 19.92, oggetto della sanatoria rilasciata nel 1997 su istanza del 1995, produttivo di aumento di superficie e di volumetria, sarebbe la veranda al primo piano che ricomprende il c.d. balcone. Ne consegue, a parere della ricorrente, che il balcone non poteva essere oggetto della descrizione letterale contenuta nella domanda di condono in quanto era ricompreso nell’ampliamento oggetto di istanza e di sanatoria ovverosia la veranda che ha determinato un ampliamento volumetrico e di superficie. Non vi sarebbe quindi “ alcun contrasto tra la parte descrittiva e quella grafica, sia dei documenti allegati all’istanza di sanatoria che nel titolo abilitativo rilasciato rispetto alla parte dell’elaborato grafico allegato all’atto autorizzativo rilasciato dal Comune, che riporta anche la rappresentazione di un balcone (in pianta ed in prospetto) perché ricompreso nella veranda sanata ” (cfr. pagina 13 del ricorso in revocazione). Insomma, oggetto di sanatoria non sarebbe il balcone (nella sua attuale consistenza) ma la veranda che ricomprende espressamente il balcone. Parte ricorrente ha depositato a sostegno della sua domanda di revocazione una relazione di tecnico di parte, con la quale, attraverso una rappresentazione grafica, si intende dimostrare che il balcone era inglobato nella veranda successivamente rimossa.

9.4 Orbene, le prospettazioni di parte ricorrente tendono soltanto ad un riesame delle valutazioni già operate con la sentenza revocanda sulla base degli elementi fattuali (quali la denuncia di variazione presentata all’Ufficio Tecnico Erariale di Foggia in data 15 agosto 1995, la denuncia di inizio attività del 4 febbraio 2004, la denuncia di variazione presentata all’Ufficio Tecnico Erariale di Foggia del 9 giugno 2009) così come documentati nel relativo giudizio, operazione questa che, per le ragioni anzidette, è del tutto preclusa in sede di revocazione. Questo Consiglio, con la sentenza di cui oggi si chiede la revocazione si è già ampiamente espresso sulla effettiva riconducibilità del balcone all’alveo del condono rilasciato con la concessione in sanatoria n. 190/1997 ed il tenore delle deduzioni sollevate in questa sede non consiste altro se non nella riproposizione di quelle già esaminate con la sentenza revocanda. La citata documentazione nonché la stessa relazione tecnica prodotta in questa sede non consentono di scorgere alcun errore di fatto ictu oculi evidente, tale da integrare la fattispecie revocatoria ipotizzata da parte ricorrente, la quale finisce invece per invocare un riesame della stessa come detto non consentito. Le conclusioni cui è pervenuto il Collegio sono peraltro corroborate dalle risultanze della verificazione disposta in prime cure avendo così evidenziato che “ diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, nel caso di specie non si può procedere ad una lettura combinata del dato letterale e di quello grafico, in quanto le due rappresentazioni in confronto non sono tra di loro integrabili, riferendosi ad elementi edilizi incompatibili ”. Parte ricorrente intende sottoporre tali considerazioni ad un inammissibile vaglio critico osservando che la presenza della veranda con il balcone inglobato non ha formato oggetto di pronuncia, in quanto per tal via articola un vero e proprio rilievo critico che non si concilia con la natura del giudizio revocatorio postulando questo, come detto, un vero e proprio travisamento dei fatti di giudizio e non una, in ipotesi, discutibile valutazione degli stessi.

10. In conclusione, alla stregua di quanto esposto, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile per difetto del presupposto costituito dall’errore di fatto, ciò precludendo il riesame del merito della controversia già precedentemente decisa.

11. La regolazione delle spese di lite del presente grado, liquidate come in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e s.m.i., segue il principio della soccombenza.

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