Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-05-13, n. 202404272
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 13/05/2024
N. 04272/2024REG.PROV.COLL.
N. 08399/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8399 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Il Ministero dell'Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Caserta, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli (Sezione Quinta) n. -OMISSIS-resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso avverso il provvedimento di diniego di rinnovo del porto d’armi emesso dalla Prefettura di Caserta.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il Cons. Enzo Bernardini e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con sentenza n. -OMISSIS- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. V, con riferimento alle motivazioni esposte nel gravame dal ricorrente ha precisato che “ le circostanze indicate dal ricorrente rappresentano un pericolo solo generico ed astratto che non integra il “dimostrato bisogno”, in quanto condizione comune ad altri operatori che svolgono la medesima attività di guardia venatoria. Ed invero, ad eccezione dell’ultimo episodio riportato nella relazione di servizio del 23.6.2020 (che è, peraltro, strettamente connesso all’attività di contrasto al bracconaggio) – in cui l’istante si imbatteva in una piccola piantagione di cannabis e veniva minacciato da persone con bastoni, una delle quali armata con pistola – non si registrano ulteriori episodi di intimidazione o aggressioni e non risultano documentati episodi astrattamente rilevanti che possano assumere rilievo denotativo di un rischio qualificato, in quanto legato a vincoli di consequenzialità diretta con la professione svolta, piuttosto che di un pericolo comune, al quale ciascun cittadino può essere esposto ”.
Il signor -OMISSIS- - guardia volontaria venatoria nell’ambito di un servizio di vigilanza organizzato dalla Federazione Italiana della Caccia in convenzione con la Provincia di Caserta e in coordinamento con la Polizia Provinciale – ha impugnato la decisione del Tar deducendo: error in procedendo e in judicando - erronea applicazione dell’art. 42 del T.U.L.P.S. - travisamento -motivazione ultra ed extra petita - contraddittorietà manifesta - difetto di istruttoria - motivazione erronea- illogicità manifesta;nel ripercorrere tutta la vicenda, compresi i gravami che hanno portato ad una precedente concessione della licenza, parte ricorrente evidenzia che il rinnovo del documento è necessario per l’attività lavorativa, citando alcune potenziali situazioni di pericolo occorse nell’espletamento del servizio.
2. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta.
3. Alla pubblica udienza del 18 aprile 2024 la causa è passata in decisione.
DIRITTO
L’appellante è guardia volontaria venatoria nell’ambito di un servizio di vigilanza organizzato dalla Federazione Italiana della Caccia in convenzione con la Provincia di Caserta e in coordinamento con la Polizia Provinciale.
Il diniego della Prefettura è basato sulle seguenti motivazioni:
- che non sussisterebbe il requisito del dimostrato bisogno ex art. 42 del T.U.L.P.S. poiché l’esercizio su base volontaria di attività di tutela nel settore della protezione della fauna selvatica non implicherebbe di per sé una specifica esposizione a rischio;
- ai sensi dell’art. 27 della L. n. 157/1992 alle guardie volontarie è vietata l’attività venatoria durante l’esercizio delle loro funzioni e, pertanto, non sarebbe consentito all’istante portare alcun tipo di arma non rivestendo, peraltro, il medesimo la qualifica di agente di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 28 della L. n. 157/1992.
Sulla materia interviene la sentenza n. 7431/2020 di questa Sezione, che afferma “ Osserva anzitutto il Collegio, facendo richiamo ad un precedente specifico della Sezione (sentenza n. 525/2015), che la scelta di rilasciare o meno la licenza di porto d’armi alle guardie giurate zoofile volontarie, non è immanente, ma varia in ragione delle effettive funzioni che, all’atto della nomina, l’Autorità prefettizia intende nello specifico attribuire loro….Il Ministero dell’Interno, in altri termini, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, dunque può ben effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d’armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che – in rapporto all’ordine ed alla sicurezza pubblica - si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni….Ne consegue che ben può l’autorità prefettizia valutare all’atto della nomina della guardia zoofila volontaria se rilasciare o meno il porto d’armi in ragione delle effettive funzioni da attribuire ai singoli richiedenti…Neppure può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione dell’Amministrazione di non disporre il rinnovo delle licenze, più volte in precedenza rilasciate. Infatti, ogni volta che esamina istanze di rinnovo, il Prefetto formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico. In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto un rinnovo possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi ”.
In merito, la Corte Costituzionale ha affermato che “ il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, un’eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse ” (cfr. sentenza Corte Cost. 16 dicembre 1993, n. 440).
Sempre la Corte Costituzionale, con sentenza n. 109 del 20 marzo 2019, ha statuito che “ proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica ”.
In tale quadro, il giudice è quindi chiamato a svolgere una valutazione della ragionevolezza e proporzionalità dell’esercizio del potere amministrativo, alla luce dei fatti e dei presupposti causa del diniego.
2. Ciò premesso, giova ricordare che ai sensi dell'art. 42, r.d. n. 773 del 1931, il presupposto, ai fini del rilascio della licenza per porto di pistola per uso difesa personale, dell'esistenza del "dimostrato bisogno" dell'arma, lungi dal poter essere desunto dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, deve riposare su specifiche e attuali circostanze, non risalenti nel tempo, che l’Autorità di pubblica sicurezza ritenga integratrici della necessità in concreto del porto di pistola;non può ricavarsi neanche dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro (Cons. Stato, sez. III, 11 settembre 2019, n. 6139;id., sez. I, 30 marzo 2020, n. 694).
La prova del “dimostrato bisogno” ricade sul richiedente e la circostanza che il porto sia stato autorizzato in passato non genera una inversione dell’onere probatorio. Chi chiede il rinnovo deve provare l’esistenza di condizioni attuali e concrete di bisogno che giustificano la concessione dello speciale titolo di polizia. L’esigenza di dar corso a questa verifica con frequente periodicità è confermata dal secondo periodo del terzo comma del citato art. 42, r.d. n. 773: “La licenza ha validità annuale” (periodo aggiunto dall’art. 13, comma 1, lettera b), d.l. 9 febbraio 2012, n. 5).
Come si è detto, il richiedente non può addurre, ai fini della dimostrazione del pericolo legittimante il rilascio del porto d’armi per difesa personale, la mera appartenenza ad una categoria professionale.
Il rilascio del titolo di porto d'armi, come deroga al divieto di portare armi, non genera diritti, né legittimi affidamenti sul rinnovo in perpetuo, ma soggiace a un controllo assiduo e continuo, assai penetrante, che si dispiega normalmente proprio all'atto del periodico rinnovo, non solo sull'uso (o non abuso) del titolo e sul permanere attuale di tutti i requisiti e le condizioni che avevano condotto all'autorizzazione, ma che abilita altresì l'Autorità competente a condurre - nonostante i precedenti rinnovi - anche una riconsiderazione discrezionale sulla stessa opportunità del permanere del titolo autorizzatorio, e ciò eventualmente anche alla luce di mutati indirizzi in materia di sicurezza pubblica.
Nella specie, l’appellante non ha dimostrato – al di là di singoli episodi - all’Autorità amministrativa l’esistenza di una attuale e concreta situazione di pericolo che giustifichi il rinnovo della licenza del porto d’armi, che non è rilasciata a chiunque sia titolare di una attività commerciale, anche se ben redditizia.
3. Quanto alla denunciata contraddittorietà in cui sarebbe incorsa la Questura nel negare il rinnovo del porto d’armi, in passato autorizzato nonostante i precedenti di rilievo penale dell’appellante, osserva il Collegio che non sussiste contraddittorietà in caso di diniego di autorizzazione precedentemente concessa, mutando annualmente i termini della valutazione che l’Amministrazione è tenuta a compiere.
Ogni singola istanza di rilascio o rinnovo di porto d'armi deve essere valutata in rapporto alla situazione contingente dell'ordine e della sicurezza pubblica, tant’è che l'art. 13, r.d. n. 773 del 1931 attribuisce alle autorizzazioni di polizia, di regola e salvo espressa disposizione legislativa, durata annuale, onde l'autorità di pubblica sicurezza deve, senza riguardo a quanto eventualmente assentito in precedenza, rinnovare anno per anno la propria valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per concedere eccezionalmente l’uso delle armi ai privati, tenendo conto sia della situazione personale del richiedente aggiornata con informazioni attuali, sia della situazione oggettiva dell'ordine pubblico e dell’idoneità allo scopo di prevenzione e tutela delle forze di polizia della Provincia di controllo.
In conclusione, la circostanza che in passato la licenza di porto d'armi per difesa personale fosse stata rilasciata e poi rinnovata non preclude all'Amministrazione la possibilità di operare opposte valutazioni in sede di un'ulteriore richiesta di rinnovo, sia adducendo il sopravvenire di elementi di novità, sia soltanto sulla base di un ripensamento delle considerazioni svolte originariamente, per una nuova discrezionale valutazione della convenienza e opportunità della scelta originariamente compiuta, anche alla luce di mutati indirizzi di gestione degli interessi generali di settore, purché basato su elementi istruttori adeguati e su una motivazione accurata (Cons. St., sez. III, 25 agosto 2020, n. 5200).
4. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto.
Sussistono buoni motivi per disporre la compensazione delle spese, stante la mancanza di difese scritte da parte dell’Amministrazione.