Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-07, n. 202302361

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-07, n. 202302361
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302361
Data del deposito : 7 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/03/2023

N. 02361/2023REG.PROV.COLL.

N. 07121/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7121 del 2018, proposto da:
G D I, Liberina D'Arco, Anna D'Arco e Enrico D'Arco, rappresentati e difesi dagli avvocati E F e N L, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

contro

Comune di Barano d'Ischia, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 2681/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Nessuno presente per le parti nell'udienza straordinaria del giorno 3 febbraio 2023;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli appellanti hanno impugnato in primo grado l’ordinanza n. 31 del 3 febbraio 2012, con cui il Dirigente del comune di Barano d’Ischia ha accertato la presenza di una serie di manufatti abusivi e ne ha ordinato la demolizione.

Gli abusi contestati sono i seguenti:

- un manufatto di circa mq 71 (mq 80 coperti) realizzato in ampliamento rispetto all'adiacente fabbricato oggetto di domanda di condono edilizio n. 1951 del 1 aprile 1986;

- al piano terra del fabbricato realizzate opere di completamento e di frazionamento in due appartamenti senza aver ottenuto alcun titolo e comunque dopo la presentazione della domanda di condono edilizio;

- realizzata la pavimentazione del cortile circostante il piano terra senza titolo dopo l'accertamento dei vigili urbani del 30 ottobre 1983;

- il locale lavanderia di mq 4,18, il deposito di circa mq 26,60 e i tre locali (lavanderie e caldaia sul lato nord) realizzati abusivamente dopo la presentazione della documentazione integrativa della domanda di condono datata 1987;

- il completamento del piano primo ed i balconi che realizzati abusivamente dopo l'accertamento dei vigili urbani del 30 ottobre 1983.

Il TAR Campania, Sezione VI, con sentenza n. 2681 del 23 aprile 2018 ha accolto il ricorso limitatamente alle contestazioni relative alle opere di completamento e accessorie che il Comune assume realizzate dopo la presentazione della domanda di condono ovvero dopo l’accertamento svolto dai vigili urbani del 30 ottobre 1983, vale a dire:

- il completamento del piano terra e la pavimentazione del cortile circostante il piano terra;

- il completamento del piano primo ed i balconi.

Viceversa lo ha respinto quanto alle ulteriori opere in quanto non rientranti nell’istanza di sanatoria e realizzate in assenza di titolo.

Tale sentenza è stata impugnata nella parte reiettiva.

Il Comune non si è costituito nel presente grado di giudizio.

All’udienza straordinaria del 3 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. La parte appellante censura la sentenza in quanto, a suo dire, anziché esaminare le numerose censure formulate, il TAR avrebbe rigettato il ricorso limitandosi a riportare le motivazioni del provvedimento impugnato ed omettendo di pronunciarsi su alcuni punti decisivi della controversia.

La sentenza sarebbe errata laddove espone che « la ricorrente ha versato in atti l’ingrandimento di un fotogramma risalente alla levata aerea del 15.10.1966 ritenendo, per ciò solo, legittimi i suddetti manufatti in quanto edificati in area esterna al centro abitato e, dunque, in zona che, a norma della legge 1150/1942 e 765/1967, non era soggetta al previo rilascio della licenza edilizia. Tale costrutto non può essere qui condiviso perché, alla suddetta data, era già vigente il vincolo paesistico introdotto con d.m. del 19.6.1958 di talchè, in mancanza del relativo nulla osta, che il ricorrente non ha dato prova di aver mai acquisito e che costituiva condizione d’efficacia, non poteva dirsi acquisito al patrimonio giuridico del ricorrente il relativo ius aedificandi, di talchè deve ritenersi che le suddette opere siano state abusivamente realizzate ».

Secondo l’appellante, invece, le risultanze istruttorie smentirebbero, in modo certo e univoco, che gli edifici in questione siano stati costruiti ex novo in epoca recente, essendo gli stessi per contro rimasti inalterati nei loro elementi costruttivi strutturali sin da un'epoca antecedente all'anno 1966, che non deve essere considerata, come ha fatto il TAR, l'epoca di realizzazione delle opere. Ciò in quanto l'aereofogrammetria si limita ad attestare che nel 1966 le opere erano già esistenti nella loro attuale consistenza, il che non esclude che le stesse fossero risalenti a prima del DM del 19 giugno 1958, circostanza che i ricorrenti avrebbero potuto dimostrare se fosse stata data loro la comunicazione dell'avvio del procedimento, con la precisa indicazione delle infrazioni contestate.

Nel caso di specie, invece, tale rappresentazione (ossia la costruzione dopo la data del 19 giugno 1958) sarebbe stata considerata quale elemento ostativo all'annullamento dell'ordine di demolizione solo dal TAR in sentenza, con conseguente compressione dei diritti dei ricorrenti.

Pertanto l’ordinanza di demolizione sarebbe affetta da motivazione insufficiente, travisamento di fatti e carenza di istruttoria laddove la stessa parte dall’erroneo presupposto di fatto che gli edifici in questione fossero di nuova costruzione.

A fronte della comprovata risalenza delle costruzioni ad epoca antecedente al 1966, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto individuare l’esatta natura dei lavori eseguiti e accertati come «recenti» in sede di sopralluogo, specificare i singoli lavori eseguiti in relazione ai singoli manufatti e sussumerli, analiticamente nella corretta tipologia di intervento edilizio (ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo, manutenzione ordinaria o straordinaria, eventuali opere di nuova costruzione, ecc.), onde individuare il tipo di titolo abilitativo eventualmente necessario per i singoli interventi e la natura della sanzione applicabile in relazione agli interventi eventualmente accertati come abusivi.

La parte appellante lamenta che il Comune non avrebbe dimostrato che l'opera sia risalente ad epoca successiva al 1958, tanto da ricadere nelle maglie del vincolo paesaggistico, né che l'immobile in epoca recente sia stato ampliato: pertanto il TAR avrebbe dovuto accogliere integralmente il ricorso.

Rileverebbe in tal senso la ribadita violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, nel senso che se è vero che, almeno di regola, in tema di impugnazione di ingiunzione di demolizione non è obbligatoria la previa comunicazione dell’avvio del procedimento, in casi particolari, in cui occorra una analisi peculiare della risultanze istruttorie, non sarebbe sufficiente la notifica dell'ordine di demolizione, senza alcuna possibilità dei ricorrenti di intervenire nel procedimento amministrativo.

L’appellante invoca una giurisprudenza minoritaria secondo cui in l'onere, in capo al proprietario, di provare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta ammetterebbe un temperamento nel caso in cui il privato, da un lato porti a sostegno della propria tesi elementi non implausibili e, dall’altro, il Comune non fornisca alcun elemento in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio.

Quindi sarebbe stata necessaria, nel caso di specie, la comunicazione dell'avvio del procedimento.

Sostiene l’appellante che, anche qualora la demolizione sia eseguita con ritardo, nessun vulnus ne deriverebbe all’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio, né l’organo preposto all’irrogazione della sanzione verrebbe meno ai suoi doveri se consentisse al destinatario della demolizione di presentare memorie scritte e documenti per prospettare fatti e argomenti a suo favore.

Inoltre la sentenza non sarebbe adeguatamente motivata nella parte in cui ritiene priva di pregio l’eccezione di incompetenza del dirigente essendo competente il Sindaco.

3. L’appello è infondato.

3.1. Non è contestato che gli interventi di che trattasi non siano compresi nell’istanza di sanatoria.

Al fine di sostenere la legittimità della loro edificazione la parte insiste sull’ingrandimento di un fotogramma risalente alla levata aerea del 15 ottobre 1966, versato in atti, dal quale risulterebbe l’esistenza a quella data dei manufatti e, pertanto, la loro legittimità in quanto edificati in area esterna al centro abitato, ossia in zona che, a norma della legge n. 1150/1942 e della legge n. 765/1967, non era soggetta al previo rilascio della licenza edilizia.

Il TAR sul punto ha osservato che, alla suddetta data, era già vigente il vincolo paesistico introdotto con decreto ministeriale del 19 giugno 1958 di talchè, in mancanza del relativo nulla osta, che la parte ricorrente non ha dato prova di aver mai acquisito e che costituiva condizione d’efficacia, non poteva dirsi acquisito al patrimonio giuridico del ricorrente il relativo ius aedificandi , pertanto ha ritenuto che le suddette opere siano state abusivamente realizzate.

3.2. Non coglie nel segno la tesi per cui la questione del vincolo sarebbe stata introdotta per la prima volta dal TAR.

Invero nel provvedimento è riportato chiaramente che « l'intero territorio comunale è stato dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 1 lettera d) della legge n. 1497/1939 sin dal D.M. del 19.06.1958 pubblicato sulla G.U. n° 209 del 30.09.1958, e che, in quanto tale, è sottoposto a tutte le disposizioni contenute nel D.M. medesimo e quindi nel Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e ss. mm. ed ii ».

Il provvedimento aggiunge che « il Comune è sottoposto a regime vincolistico disciplinato dal Piano Territoriale Paesistico dell'Isola d'Ischia approvato con Decreto Ministeriale dell'8 febbraio 1999, pubblicato sulla G.U. n. 94 del 23.04.99, la cui normativa esclude la realizzazione di nuove costruzioni » e che « il Piano Territoriale Paesistico di cui in precedenza, in applicazione dell'art. 23 R.D. 1357/40, costituisce norma immediatamente vincolante e prevalente nei confronti degli strumenti di pianificazione urbanistica comunali, provinciali e nei confronti del P.T.C. ai sensi dell'art. 5 della legge 7 agosto 1942, n. 1150 e dei piani di settore regionali. I piani regolatori generali e particolareggiati dovranno essere adeguati alla presente normativa di piano paesistico (rif. art. 5 comma 2 delle NTA del PTP Isola d'Ischia) ».

Quindi evidenzia « che la normativa del PTP dell’Isola d'Ischia è prevalente nei confronti degli strumenti di pianificazione urbanistica comunali, provinciali e regionali (art. 5 norme di attuazione) e che le opere di cui innanzi sono state eseguite in una zona che il PTP dell'Isola d’Ischia designa PI ed ha comportato incrementi di volume ».

Dalla lettura dei riportati passaggi del provvedimento risulta che l’esistenza del vincolo paesaggistico è stata espressamente menzionata chiarendo, attraverso la ricostruzione della normativa applicabile, come (a differenza di quanto opina la parte appellante) la zona su cui sorge l’immobile in questione non fosse ad edilizia libera.

Tanto chiarito, vanno respinte anche le ulteriori censure riproposte in appello.

3.3. Infatti, quanto alla dedotta incompetenza del dirigente si osserva che, come statuito dal TAR, le competenze originariamente attribuite al Sindaco nella materia edilizia sono passate definitivamente ai dirigenti.

In forza dell'art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997, che ha modificato l'art. 51 legge n. 142/90, è stata, infatti, attribuita ai dirigenti, tra l'altro, la competenza ad emanare atti in materia edilizia;
con l'art. 2 della legge n. 191/1998 il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione anche i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi.

In ogni caso l’art. 107, comma 2, del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, nel quale sono confluite le disposizioni citate, prevede che sono di competenza dei dirigenti « tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'Ente o non rientrati tra le funzioni del segretario o del direttore generale ».

Infine, il Testo unico sull’edilizia, di cui al DPR 380 del 2001, attribuisce la competenza ad adottare le misure sanzionatorie in subiecta materia sempre « al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale ».

3.4. Non può essere accolta la tesi di parte appellante secondo cui non si tratterebbe di nuova costruzione e, pertanto, il Comune dovrebbe individuare i singoli interventi e stabilirne il relativo regime autorizzatorio e sanzionatorio.

In realtà la consistenza delle opere realizzate, comportanti incremento di superfici e di volumi e cambio di destinazione d’uso, depone nel senso che l’abuso vada qualificato come nuova costruzione necessitante del preventivo rilascio (oltre che dell’autorizzazione paesistica anche) del permesso di costruire: titoli in assenza dei quali è legittima l’ordinanza di demolizione.

3.5. L’art. 27 del DPR n. 380/2001 sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate.

Quindi l'ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.

Stante la natura doverosa e vincolata del provvedimento non era necessaria né ulteriore attività istruttoria né la comunicazione di avvio del procedimento, in conformità al paradigma legale di cui all’articolo 21 octies della legge n. 241/1990.

Non è pertinente la sentenza di questo Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 1393 dell’8 aprile 2016), richiamata dalla parte appellante per sostenere che in questo caso sarebbe stata opportuna la partecipazione procedimentale.

Invero tale pronuncia non si interessa affatto di tale aspetto, limitandosi a condividere un orientamento minoritario secondo cui, ove sia trascorso un tempo lungo, l’amministrazione debba sostenere la sanzione repressiva con una motivazione rafforzata sull’interesse pubblico. Si tratta di orientamento, peraltro, definitivamente superato con la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017.

Conclusivamente, per quanto precede, l’appello deve essere respinto.

4. Nulla deve disporsi per le spese, non essendo costituita l’amministrazione appellata.

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