Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-03-28, n. 201201833

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-03-28, n. 201201833
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201833
Data del deposito : 28 marzo 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00649/2003 REG.RIC.

N. 01833/2012REG.PROV.COLL.

N. 00649/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 649 del 2003, proposto dal Comune di Nova Ponente, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati M C, A M, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Panama, 12;

contro

H G P, rappresentato e difeso dagli avvocati G P, M V Z, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Giulio Cesare, 14a/4;

per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa (T.r.g.a) - Sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, n. 00306/2002, resa tra le parti, concernente ORDINANZA DI DEMOLIZIONE PER MUTAMENTO DI DESTINAZIONE.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2012 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti gli avvocati Colarizi e Pafundi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a. - Sezione autonoma per la Provincia di Bolzano accoglieva (a spese compensate) il ricorso n. 165 del 1999, proposto da H G P avverso l’ordinanza n. 7 del 3 marzo 1999, con la quale il Sindaco del Comune di Nova Ponente aveva ordinato il ripristino della destinazione d’uso della costruzione tavolarmente identificata dalla p.ed. 1379 C.C. Nova Ponente, originariamente destinata a fienile e (secondo la motivazione posta a base della gravata ordinanza) trasformata dal ricorrente in edificio ad uso residenziale in assenza di concessione edilizia.

L’adito T.r.g.a. riteneva, segnatamente, che l’impugnato provvedimento fosse affetto da eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto, essendo il ricorrente con sentenza penale n. 179 del 31 gennaio 2002 stato assolto dal reato ex art. 20, lett. b), l. n. 47 del 1985 con la motivazione che il mutamento della destinazione d’uso risaliva a oltre cinquanta anni addietro, ossia a epoca ampiamente anteriore all’acquisto della proprietà da parte del ricorrente (in data 15 maggio 1974), allorché per il mutamento della destinazione d’uso non era prescritto titolo abilitativo alcuno.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello la soccombente Amministrazione comunale, deducendo i motivi testualmente rubricati come segue:

a) “ violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. in ordine all’autorità di cosa giudicata della sentenza penale nel giudizio civile;
erronea motivazione sul punto
”;

b) “ motivazione travisata ed erronea in ordine alla prova dell’esecuzione del cambiamento della destinazione d’uso da parte del H ”;

c) “ motivazione travisata ed erronea in ordine all’affermazione che il fienile si trovasse già dagli anni cinquanta nelle condizioni odierne ”;

d) “ motivazione travisata ed erronea in ordine all’affermazione che i lavori d’isolamento con perline fossero lavori di mera manutenzione ”.

L’appellante Comune chiedeva dunque la riforma dell’impugnata sentenza, con vittoria di spese.

3. Costituendosi in giudizio, l’appellato H contestava la fondatezza dell’appello e ne chiedeva la reiezione con rifusione di spese.

4. All’udienza pubblica del 31 gennaio 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.

5. I motivi d’appello, tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati.

È, bensì, condivisibile l’assunto dell’odierno appellante, che la sentenza penale dibattimentale di assoluzione non può esplicare autorità di cosa giudicata nel giudizio amministrativo ex art. 654 cod. proc. pen., non essendosi il Comune di Nova Ponente costituito parte civile nel processo penale, né essendo provato che lo stesso sia stato posto in grado di costituirsi in tale veste. Rileva, tuttavia, il Collegio che, secondo i principi generali che presiedono alla valutazione delle risultanze istruttorie, enunciati dall’art. 116 cod. proc. civ. ed oggi espressamente codificati nel processo amministrativo dall’art. 64 cod. proc. amm., il giudice amministrativo (o civile) ben può utilizzare – in mancanza di qualsiasi divieto di legge e in ossequio al principio dell’atipicità delle prove – come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa (o civile), e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale, e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova (v. in tal senso, per tutte, Cass. 29 ottobre 2010, n. 22200;
Cass. 2 marzo 2009, n. 5009;
Cass. 7 febbraio 2005, n. 2409).

Orbene, applicando le enunciate coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice , sulla base di una valutazione organica e globale dell’acquisito materiale probatorio, comprese le risultanze del processo penale e, tra queste, segnatamente i verbali delle prove testimoniali assunte in sede dibattimentale, non può non pervenirsi alla conclusione che la costruzione in esame, costituita da una baita sita in zona di verde alpino, sin dagli anni cinquanta del secolo scorso era adibita anche a uso abitativo, essendovi allestiti un angolo di cottura (dotato di forno a legna e camino), un vano dall’arredamento semplice e rudimentale e un gabinetto a secco, funzionali al soggiorno degli allora proprietari durante i lavori di raccolta del fieno sui prati alpestri e, in seguito, anche al soggiorno di ospiti (v. in tal senso le deposizioni rese in sede dibattimentale dai testi – tra di loro omonimi – Pichler Anton, nato il 19 dicembre 1915, e Pichler Anton, nato il 26 febbraio 1932, quali vicini a conoscenza diretta dello stato dei luoghi sin dagli anni quaranta e cinquanta). Le citate risultanze probatorie testimoniali sono corroborate dall’acquisita documentazione fotografica, da cui si evince che il camino e il gabinetto a secco, risalenti a circa cinquant’anni addietro e visibili anche dall’esterno, costituiscono da decenni (a desumere dalla vetustà dei materiali) parti integranti della baita destinata a fienile.

Orbene, risalendo la destinazione dell’immobile in questione – acquistato dall’originario ricorrente e odierno appellato nel 1974 (v. contratto di compravendita, in atti) – ad uso anche abitativo a epoca ampiamente anteriore all’entrata in vigore della normativa urbanistica in materia di titoli abilitativi per mutamenti di destinazione d’uso mediante opere edilizie, la circostanza di fatto che il tecnico comunale in data 2 novembre 1998 avesse accertato in sede di sopralluogo l’esecuzione, all’interno della baita, di lavori di rivestimento in legno presumibilmente risalenti a epoca di poco anteriore rispetto al tempo del sopralluogo (v. verbale di sopralluogo in atti, con allegata documentazione fotografica, posti a base della gravata ordinanza ripristinatoria), assume dunque valenza del tutto neutra, trattandosi – come correttamente assunto nell’impugnata sentenza – di semplici lavori interni di manutenzione, non implicanti un mutamento di destinazione da uso agricolo ad uso abitativo (il quale invece, per quanto innanzi esposto, risale a quaranta o cinquanta anni addietro).

Per le esposte ragioni, merita conferma la statuizione del T.r.g.a., con cui è stato annullato l’impugnato provvedimento sindacale di ripristino dello stato anteriore, incentrato sull’erroneo accertamento in fatto (in base al menzionato verbale di sopralluogo) del cambio di destinazione d’uso, negli anni novanta, da baita a casa di abitazione in assenza di concessione edilizia.

Inammissibile, oltre che infondata nel merito, è la censura, con la quale l’appellante Comune deduce la violazione dell’art. 107, comma 5, l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 (l. urb. prov.) – secondo cui “ (…) gli impianti per la raccolta, conservazione e lavorazione di prodotti agricoli (…) esistenti nel verde agricolo non possono essere adibiti ad altre destinazioni (…) ” e “ (…) finché non è intervenuto il cambiamento della destinazione urbanistica nel piano urbanistico comunale, le costruzioni non possono essere utilizzate per altre attività che per quelle per le quali sono state realizzate (…) ” – trattandosi di inammissibile integrazione motivazionale postuma del gravato provvedimento in sede giudiziale, a prescindere da ogni questione concernente l’applicabilità o meno ( ratione temporis ) della citata normativa alla fattispecie dedotta in giudizio.

Concludendo, l’impugnata sentenza va confermata, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.

6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del grado vanno poste a carico dell’Amministrazione appellante.

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