Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-08-30, n. 202308067

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-08-30, n. 202308067
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308067
Data del deposito : 30 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/08/2023

N. 08067/2023REG.PROV.COLL.

N. 01641/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1641 del 2019, proposto da
R L e A C, rappresentati e difesi dall'avvocato C M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Pompei, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Terza, n. 4352 del 2 luglio 2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pompei;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 20 luglio 2023, il Cons. Roberto Caponigro;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di Pompei, con provvedimento del 9 gennaio 2013, ha respinto la richiesta di permesso di costruire in sanatoria, presentata ai sensi della legge n. 724 del 1994 dalla signora A C per opere consistenti nella realizzazione “di un fabbricato per civile abitazione composto da piano cantinato e piano primo, localizzate in Via Pizzo Martino, 2 ed identificate catastalmente al fgl. 4, p.lla 1882, sub. 101 – 104”.

Il ricorso proposto dai signori R L ed A C avverso tale atto è stato respinto dal Tar per la Campania, Sezione Terza, con la sentenza n. 4352 del 2 luglio 2018.

Di talché, gli interessati hanno interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi:

I. Motivi di impugnazione avverso i capi della sentenza che non accolgono i motivi sub 1), sub 2) , sub 3) e sub 4) del ricorso introduttivo.

Con i primi quattro motivi del ricorso di primo grado, la parte appellante ha censurato il provvedimento impugnato sotto vari profili, rilevando, in particolare, la carenza e la superficialità dell’istruttoria, la motivazione illogica ed insufficiente, nonché la violazione dello ius superveniens, applicabile al procedimento in corso in virtù del principio del tempus regit actum.

La normativa sopravvenuta, che aveva ridotto a 100 metri la fascia di rispetto cimiteriale, avrebbe dovuta essere applicata, essendo intervenuta prima che il procedimento si concludesse con provvedimento definitivo espresso nel 2013.

In ragione di tale sopravvenuta disciplina riduttiva dell’originaria estensione del vincolo cimiteriale, non avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 33 della legge n. 47 del 1985, come erroneamente ritenuto dal Comune, in considerazione del fatto che l’immobile veniva a ricadere in un’area non più soggetta ad un vincolo di inedificabilità assoluta per effetto di tale riduzione, per cui la costruzione dell’appellante sarebbe stata sanabile ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, previo parere da esprimersi dalla competente autorità tutoria del vincolo igienico-sanitario.

Inoltre, in via gradata, la carente istruttoria dell’Amministrazione, in quanto il fabbricato insiste ad una distanza di circa 200 metri dall’originario perimetro cimiteriale, cioè sul limite della fascia di rispetto.

Il percorso argomentativo della sentenza gravata non potrebbe essere condiviso.

La sentenza svilirebbe il profilo temporale di efficacia della variante urbanistica dopo la sua adozione, pervenendo ad un’illogica disapplicazione del principio tempus regit actum in rapporto al regime dei vincoli in seno al procedimento di condono edilizio.

L’adozione della variante avrebbe determinato, quale effetto ex lege, l’operatività delle cc.dd. misure di salvaguardia, ai sensi dell’art. 1 L. 1902 del 1952,

Il regime di salvaguardia derivante dall’adozione della variante urbanistica avrebbe comportato che il fabbricato dell’appellante, almeno per il periodo di sua efficacia/operatività, fosse conforme alla variante urbanistica in itinere, con cui era stata ridotta a 100 metri la fascia di rispetto cimiteriale, presentando il fabbricato una distanza superiore.

La riapplicazione della previgente disciplina più restrittiva, per la mancata approvazione della variante in via definitiva, ricondurrebbe la fattispecie nel perimetro applicativo dell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, trattandosi di un vincolo di inedificabilità assoluto sopravvenuto dopo l’edificazione dell’opera e prima della definizione della domanda di condono edilizio, con esclusione dell’art. 33 che, invece, postula la preesistenza del vincolo assoluto rispetto all’edificazione.

Inoltre, in ragione dell’art. 70 del regolamento comunale di polizia mortuaria approvato nel 2010, la fascia di rispetto cimiteriale sarebbe ridotta a 100 metri.

La disciplina vincolistica della fascia di rispetto cimiteriale sarebbe contenuta in un testo normativo che non è propriamente dedicato alla normativa urbanistica ed edilizia.

Il regolamento statale di polizia mortuaria, approvato con d.P.R: n. 285 del 1990, richiamerebbe espressamente le disposizioni del TU in materia sanitaria e, segnatamente, gli articoli 337 e 338 dello stesso.

Il regolamento comunale di polizia mortuaria, approvato con delibera di Consiglio comunale n. 30 del 1° marzo 2010, nel conformarsi alle disposizioni del d.P.R. n. 285 del 1990, avrebbe ricevuto parere favorevole dalla competente ASL territoriale, oltre al parere conforme del competente Ufficio regionale.

II. La sentenza impugnata ha ritenuto inutile lo scrutinio del quinto motivo di ricorso concernente la motivazione negativa del provvedimento impugnato per la presenza del vincolo paesaggistico, in quanto, trattandosi di atto plurimotivato, la sua eventuale fondatezza non avrebbe potuto condurre comunque all’annullamento del provvedimento impugnato.

Pertanto, nel caso di accoglimento di appello per i superiori motivi, gli appellanti hanno riportato la doglianza articolata nel motivo sub 5) in merito alla violazione del vincolo paesaggistico ex d.lgs n. 490 del 1999.

L’Amministrazione avrebbe erroneamente inserito la proprietà della ricorrente in zona P.I. del vigente P.T.P., mentre essa ricadrebbe nella ben diversa zona R.U.A., come risulta da certificato di destinazione urbanistica.

Ai fini del rilascio del titolo edilizio di condono, sarebbe applicabile l’art. 32, e non l’art. 33, della legge n. 47 del 1985, che impone l’acquisizione del nulla osta a sanatoria a cura dell’attività tutoria del vincolo paesaggistico ambientale.

La sopravvenienza del vincolo definitivo di inedificabilità derivante dal PTP non costituirebbe ex se motivo di non ammissibilità del condono ai sensi dell’art. 33 L. n. 47 del 1985, in quanto tale disposizione, al fine di escludere la sanatoria, farebbe riferimento espresso alle sole opere che siano in contrasto con i vincoli che comportino edificabilità e “siano stati imposti prima dell’esecuzione delle opere stesse”.

La sopravvenienza del vincolo di inedificabilità non consentirebbe l’automatica applicazione dell’art. 33 della L. n. 47 del 1985, ma obbligherebbe l’autorità tutoria ad esprimersi sulla compatibilità o meno dell’intervento ai sensi dell’art. 32 della medesima legge.

Né potrebbe essersi formato il silenzio rifiuto sull’istanza di nulla osta ai sensi dell’art. 32 l. n. 47 del 1985 per difetto di attuale procedibilità della relativa istanza dell’interessato, essendo l’espressione del parere subordinato alla previa approvazione dello strumento urbanistico ex art. 33 del vigente PTP, finora non adottato.

Il Comune di Pompei ha eccepito l’inammissibilità dell’appello, in quanto tale atto si sarebbe limitato a riproporre le doglianze di primo grado omettendo qualunque censura sulla sentenza impugnata e la motivazione in essa contenuta.

Nel merito, l’Amministrazione comunale ha controdedotto ed ha concluso per il rigetto del gravame.

All’udienza pubblica del 20 luglio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto e ciò consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune di Pompei.

3. L’Amministrazione comunale, con nota del 4 febbraio 2010, ha comunicato alla signora A C, ai sensi degli articoli 7, 8 e 10-bis della legge n. 241 del 1990, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di condono edilizio per un fabbricato per civile abitazione sito alla via Pizzo Martino, 2, individuato catastalmente al F. 4, partt. 245-666,

In particolare, l’Amministrazione ha considerato che l’opera abusiva realizzata non risulta suscettibile di sanatoria:

- ai sensi della legge n. 47 del 1985 art. 33 e dell’art. 34 delle norme di attuazione del P.R.G. in quanto ricade in zona territoriale sottoposta a vincolo cimiteriale con inedificabilità assoluta;

- ai sensi della legge n. 47 del 1985, art. 33, comma 1, lettera a), in quanto sono stare realizzate in ambito P.T.P. in zona P.I. (art. 11 delle norme di attuazione del P.T.P.) sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta (L. 431/85) prima della realizzazione delle opere, entro la quale “è vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti”.

Il Comune di Pompei, con il provvedimento del 9 gennaio 2013, ha respinto la richiesta di permesso di costruire in sanatoria in discorso per i motivi riportati nella comunicazione dell’avvio del procedimento di diniego.

4. Il provvedimento in contestazione, pertanto, è basato su due ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a legittimare il diniego.

4.1. In materia di vincolo cimiteriale, l’art. 338, comma 1, T.U. delle leggi sanitarie n. 1265/34 – nella formulazione ratione temporis applicabile all’adozione del provvedimento di diniego impugnato in primo grado - prevede che “i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno duecento metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di duecento metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale”.

In proposito, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che:

- il vincolo cimiteriale prescritto dall’art. 338 r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 determina un regime di inedificabilità ex lege, integrando una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene, tale da configurare in maniera oggettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con il perimetro dell’area cimiteriale;

- il vincolo, in ragione del suo carattere assoluto, non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale;

- il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, nel senso che esso si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti;

- avuto riguardo alla ratio sottesa alla norma in esame, la nozione di “centro abitato” richiamata dall’art. 338, comma 1, r.d. n. 1265/34, deve intendersi in senso ampio e comprensivo di ogni ambito spaziale nel quale insistano edifici connotati da effettiva e permanente destinazione residenziale o con uso correlato alla residenza, posto che, altrimenti, si consentirebbe la generalizzata costruzione o ampliamento dei cimiteri anche a ridosso di edifici a uso abitativo, in violazione delle esigenze di tutela della pubblica igiene e salute sottese alla prescrizione di cui all’art. 338, comma 1, cit.;

- la deroga prevista dal quinto comma dell’art. 338 r.d. n. 1265/34 con riferimento all’ampiezza della fascia di rispetto cimiteriale è suscettibile di essere ridotta soltanto in via autoritativa e a tutela di interessi pubblici.

Pertanto, in ragione del chiaro ed inequivocabile disposto normativo e della relativa ratio, il consolidato orientamento di questa Sezione (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 10 luglio 2023, n. 6726;
Cons. St., Sez. VI, 20 luglio 2021, n. 5458;
Cons. St., Sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2370;
Cons. St., Sez. VI, 24 aprile 2019, n. 2622;
Cons. St., Sez VI, 12 febbraio 2019, n. 1013) ritiene che il vincolo cimiteriale abbia carattere assoluto e non consenta in alcun modo l'allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, e che lo stesso vincolo si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti.

L'esistenza del vincolo cimiteriale nell'area nella quale è stato realizzato un manufatto abusivo, quindi, comportando l'inedificabilità assoluta, impedisce il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 33, L. n. 47/1985, senza necessità di compiere ulteriori valutazioni.

Di conseguenza, non assume alcun rilievo la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale a 100 metri, contenuta in una variante al PRG, peraltro adottata ma mai approvata e quindi giammai efficace, atteso che, come detto, gli strumenti urbanistici non sono in alcun modo idonei ad incidere sull’esistenza e i limiti del vincolo cimiteriale dettati dalla norma primaria.

Inoltre, per quanto riguarda il regolamento di polizia mortuaria, è sufficiente osservare che la deroga contenuta nel comma 4 dell’art. 57 d.P.R. n. 285 del 1990 – secondo cui “Nell'ampliamento dei cimiteri esistenti, l'ampiezza della fascia di rispetto non può essere inferiore a 100 metri dai centri abitati nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti ed a 50 metri per gli altri comuni” – è stata abrogata con la legge n. 166 del 2002 e, comunque, tale deroga tendeva a salvaguardare -nel rispetto di un predefinito procedimento autorizzatorio- l’interesse pubblico al reperimento di aree per le sepolture, da garantire mediante l’ampiamento dell’area cimiteriale;
tale deroga, quindi, in quanto espressamente riferita al mero ampliamento dei cimiteri esistenti, non poteva essere intesa come costituiva in capo al privato di una facoltà di edificare in deroga alla fascia di rispetto di duecento metri prescritta dall’art. 338, comma 1, r.d. n. 1265/34.

Parimenti, l’ambito di applicazione della norma del regolamento comunale di polizia mortuaria è specificamente orientato alla disciplina della polizia mortuaria e dell’attività di gestione del cimitero e dei connessi servizi cimiteriali.

La deroga, pertanto, ha carattere eccezionale e deve essere giustificata da esigenze pubblicistiche correlate alla stessa edilizia cimiteriale, oppure ad altri interventi pubblicisti purché compatibili con le concorrenti ragioni di tutela della zona;
tali interventi urbanistici ai quali il legislatore ha inteso fare riferimento sono solo quelli pubblici o comunque aventi rilevanza almeno pari a quelli posti a base della fascia di rispetto di duecento metri (cfr. Cons. St., Sez. VI, 24 aprile 2023, nn.. 4118, relativa ad una fattispecie inerente lo stesso Comune di Pompei, che richiama Cons. St., Sez. VI, 2 luglio 2018, n. 4018).

Infine, la prospettazione che il fabbricato insiste ad una distanza di circa 200 metri dall’originario perimetro cimiteriale, cioè sul limite della fascia di rispetto, non assume alcun rilievo, atteso che gli interessati avrebbero dovuto dimostrare che l’intero fabbricato è posti ad una distanza superiore a duecento metri.

Peraltro, la Corte di Cassazione ha chiarito che tutta la legislazione urbanistica e la giurisprudenza formatasi in materia di condono edilizio escludono la possibilità di una sanatoria parziale, sul presupposto che il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente considerate, per cui non è possibile scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa (cfr. Cons. St., Sez. VI, 10 luglio 2023, n. 6726, che richiama Cons. Stato, VI, 2 luglio 2018, n. 4033;
Cass. III,30 gennaio 2018, n. 4572).

Ne consegue, con tutta evidenza, che l’Amministrazione ha correttamente ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 33 della legge n. 47 del 1985 (vincolo di inedificabilità assoluta), anziché l’art. 32 (vincolo di inedificabilità relativa) della legge n. 47 del 1985.

4.2. L’infondatezza del primo motivo di appello determina l’irrilevanza del secondo motivo, relativo all’ulteriore ragione, il vincolo paesaggistico, per il quale il provvedimento di diniego è stato adottato.

Infatti, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, la sussistenza del vincolo cimiteriale già di per sé legittima l’adozione del provvedimento in contestazione.

5. In conclusione, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico, in parti uguali ed in solido, degli appellanti ed a favore del Comune di Pompei.

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