Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-07-24, n. 201905239

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-07-24, n. 201905239
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905239
Data del deposito : 24 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/07/2019

N. 05239/2019REG.PROV.COLL.

N. 05807/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5807 del 2018, proposto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il professor A P, rappresentato e difeso dagli avvocati M S e C S ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei suindicati difensori in Roma, via G. Ferrari n. 4;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III, 27 dicembre 2017 n. 12654, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del professor P e i documenti prodotti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 19 marzo 2019 il il Cons. Stefano Toschei e uditi per le parti l’avvocato M S nonché l’avvocato dello Stato Alfonso Peluso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca (d’ora in poi, per brevità, MIUR) ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III, 27 dicembre 2017 n. 12654, con la quale è stato accolto il ricorso (n. R.g. 2805/2017) proposto dal prof. A P avverso il diniego di abilitazione espresso nei suoi confronti dalla Commissione per il SC 08/A3-Infrastrutture e sistemi di trasporto, estimo e valutazione, nominata al fine di dare esecuzione alla precedente sentenza TAR Lazio, sez. III, n. 7229/2016, disponendo il riesame del candidato a cura di una terza commissione in diversa composizione.

2. - Come emerge dalla lettura della documentazione prodotta dalle parti in entrambi i giudizi è avvenuto che:

- il professor P aveva partecipato alla procedura volta al conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale per le funzioni di professore universitario di I fascia, settore concorsuale 08/A3 “infrastrutture e sistemi di trasporto, estimo e valutazione”, tornata 2012;

- escluso dalla procedura, egli proponeva ricorso in sede giurisdizionale che veniva accolto dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza della Sezione III n. 7229 del 2016, in quanto erano state ritenute sussistenti patologiche contraddittorietà nella valutazione negativa espressa dalla commissione con riferimento alla posizione del candidato;

- riavviata la procedura di valutazione, la commissione si esprimeva nuovamente in senso negativo nei confronti del candidato, ma quest’ultimo proponeva ricorso nei confronti del nuovo provvedimento in quanto della commissione di valutazione non faceva parte alcun componente per il settore scientifico-disciplinare ICAR/22 “estimo”, di specifica competenza nel settore in cui la posizione del candidato doveva essere valutata;

- in particolare il professor P faceva presente al Tribunale amministrativo regionale che nell’organo di valutazione che aveva proceduto al riesame della sua posizione concorsuale, dei cinque componenti, quattro commissari (S, P, C e C) erano docenti del settore ICAR/04 “strade, ferrovie, aeroporti” ed il componente OCSE era docente del settore ICAR/05 “trasporti”, quindi nessuno dei componenti era docente o esperto del settore ICAR/22 “estimo”;

- il giudice di primo grado quindi, verificata l’assenza del componente della commissione esperto nella specifica disciplina ICAR/22 “estimo”, del settore concorsuale 08/A3, nell’organo che aveva rivalutato la posizione del professor P e dunque la violazione dell’art. 16, comma 3, lett. i), l 20 dicembre 2010, n. 240 nonché la circostanza (pure censurata con il ricorso introduttivo) che uno degli esperti esterni alla commissione (il professor R), ai quali il MIUR aveva dato il compito di esprimere un parere pro veritate al fine di colmare l’assenza di un esperto nel suindicato specifico settore “estimo” nella commissione valutatrice, aveva operato nonostante vi fosse un motivo di astensione determinato dalla esistenza di un contenzioso che coinvolgeva, su opposte posizioni, il P ed il R, accoglieva il ricorso proposto e, annullando il nuovo giudizio negativo espresso nei confronti della posizione concorsuale del professor P, disponeva “ un riesame del predetto giudizio, ad opera di una differente Commissione, entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla notifica o comunicazione della (…) sentenza ” (così, testualmente, nella sentenza fatta qui oggetto di appello).

3. – Propone appello avverso la sentenza n. 12654/2017 il MIUR contestandone la erroneità per le seguenti ragioni:

- in virtù del disposto di cui all’art. 16, comma 3, l. 240/2010 (ed anche in ragione dell’art. 6, comma 9, del d.P.R. 14 settembre 2011, n. 222, recante il Regolamento concernente il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso al ruolo dei professori universitari, a norma dell'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240), il vincolo di rappresentatività imposto dalla normativa (dal quale discende la necessità che siano presenti in commissione tutti gli esperti delle discipline relative all’insegnamento di cui alla selezione per la relativa abilitazione), non opera in via generale per tutti i settori scientifico disciplinari ricompresi nel settore, ma solamente per quelli ai quali afferiscano almeno trenta professori ordinari;

- nel caso di specie, il settore scientifico disciplinare ICAR/22 “estimo” non presentava, all’epoca del sorteggio, un numero di professori ordinari almeno pari a trenta, sicché il MIUR non era tenuto a garantire, in ragione delle suindicate indicazioni normative, che all’interno della commissione vi fosse la presenza di un commissario afferente al settore scientifico disciplinare ICAR/22 “estimo”;

- peraltro l’amministrazione, facendo proprio l’invito proveniente dalla interpretazione giurisprudenziale della disciplina di settore, ha voluto acquisire un parere pro veritate da due esperti revisori della specifica disciplina proprio al fine di colmare l’assenza del componente esperto in “estimo” per le ragioni sopra dette;

- quanto poi alla asserita incompatibilità per conflitto di interessi del professor R, che ha costituito la seconda ragione in virtù della quale il primo giudice ha ritenuto fondati i motivi di ricorso, va detto che il professor R non ha rivestito il ruolo di componente della commissione e non è stato investito del potere di formulare il giudizio nei riguardi del candidato, avendo espletato unicamente una funzione di supporto istruttorio alla commissione, mediante la formulazione di un parere pro veritate e quindi non vincolante per la commissione rispetto al cui contenuto ben aveva la facoltà di discostarsi, essendo l’unico organo investito del potere decisionale, sicché solo nei confronti dei componenti della commissione potevano trovare applicazione le disposizioni di cui all’art. 51 c.p.c. in materia di astensione per conflitto di interessi.

Da qui la richiesta di annullamento della sentenza di primo grado.

4. – Si è costituito in giudizio il professor P istando per la reiezione dell’appello siccome proposto dal MIUR.

5. – L’appello non presenta profili di possibile accoglimento, dovendosi confermare in questa sede le conclusioni alle quali è giunto il giudice di primo grado.

Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto accoglibile il motivo di ricorso dedotto dal professor P circa la inadeguata composizione della commissione valutatrice (che aveva confermato il giudizio negativo sulla domanda di abilitazione scientifica già annullato in precedenza in sede giudiziale) in quanto non era presente in essa, quale componente, alcun esperto del settore scientifico disciplinare ICAR/22 “estimo” - presenza indispensabile giacché la valutazione della commissione era relativa all’abilitazione all’insegnamento per il settore SC 08/A3-Infrastrutture e sistemi di trasporto, estimo e valutazione - dal momento che dei cinque componenti, quattro commissari (S, P, C e C) erano docenti del settore ICAR/04 “strade, ferrovie, aeroporti” ed il componente OCSE era docente del settore ICAR/05 “trasporti”.

Il MIUR sostiene che all’epoca della formazione della commissione non vi era la possibilità di nominare un componente specifico per la disciplina “estimo”, anche in ragione del peculiare meccanismo attraverso il quale viene effettuato il sorteggio dei componenti delle commissioni di valutazione e che comunque, tale apparente deficit , era stato colmato con il coinvolgimento di due “revisori”, il professor R ed il professor M, ai quali era stato chiesto di esprimere un parere pro veritate .

In disparte la circostanza che l’amministrazione, oltre ad illustrare la particolare e complicata procedura di sorteggio degli esperti delle commissioni di valutazione, non ha specificato (come, invece, avrebbe dovuto fare) per quale ragione, proprio nella procedura di valutazione dell’abilitazione all’insegnamento per la disciplina SC 08/A3-Infrastrutture e sistemi di trasporto, estimo e valutazione, era stato possibile individuare, su cinque componenti della commissione, ben quattro esperti del settore ICAR/04 “strade, ferrovie, aeroporti” ed un esperto del settore ICAR/05 “trasporti”, senza che si ritenesse necessario dover nominare almeno un esperto (sottraendolo ad esempio al gruppo dei quattro esperti in “strade, ferrovie, aeroporti”) in “estimo”, non appare giustificato che, in assenza di ulteriori impedimenti, la valutazione specifica della idoneità o meno del candidato in “estimo” dovesse essere effettuata al di fuori dalla commissione e rimessa ad un parere pro veritate (che peraltro la difesa erariale, oggi, chiarisce non costituire neppure una vera e propria valutazione ma una mera indicazioni consultiva che la commissione avrebbe ben potuto disattendere).

Pare evidente dunque che la composizione della commissione, nella configurazione che ha dato luogo alla espressione del parere negativo poi annullato dal giudice di primo grado, appare affetta da una insuperabile “zoppia” nella possibilità di realizzare una completa valutazione del candidato, in particolare in un settore disciplinare in cui la specialità “estimo” può giocare un ruolo decisivo ai fini dell’acquisizione della consapevolezza sulla abilità (scientifica) o meno dimostrata dal candidato.

6. – E’ opportuno rammentare che la procedura in questione è disciplinata dall’art. 16 l. 30 dicembre 2010, n. 240, che configura l'abilitazione come presupposto per partecipare alle successive procedure di chiamata indette dalle singole università e quindi per poter in seguito concretamente ricoprire una cattedra nella materia di interesse. In attuazione di tale norma sono intervenuti il D.M. 29 luglio 2011, n. 336, che ha determinato i settori concorsuali, ovvero in termini semplici le materie alle quali si può riferire una abilitazione, poi il d.P.R. 14 settembre 2011, n. 222 e il D.M. 7 giugno 2016 n. 120, che hanno stabilito la procedura nonché i criteri ed i parametri per conseguire l'abilitazione stessa.

In particolare con l’art. 8 del d.P.R. 4 aprile 2016, n. 95 è stata fissata la disciplina dei lavori della commissione valutatrice, prescrivendo in particolare ai commi 5 e 6 che:

- (comma 5) “ La commissione nello svolgimento dei lavori può avvalersi della facoltà di acquisire pareri scritti pro veritate da parte di esperti revisori ai sensi dell'articolo 16, comma 3, lettera i), della legge. La facoltà è esercitata su proposta di uno o più commissari, a maggioranza assoluta dei componenti della commissione. Il parere è obbligatorio nel caso di candidati afferenti ad un settore scientifico-disciplinare che pur appartenendo al settore concorsuale oggetto della procedura non è rappresentato nella commissione. ”;

- (comma 6) “ La commissione formula la valutazione con motivato giudizio espresso sulla base di criteri, parametri e indicatori differenziati per funzioni e per settore concorsuale, definiti ai sensi dell'articolo 4, comma 1, e fondato sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche presentati da ciascun candidato, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte. Nell'ipotesi in cui il decreto di cui all'articolo 4, comma 1, preveda che il possesso di adeguati indicatori dell'attività scientifica dei candidati costituisca condizione necessaria per il conseguimento dell'abilitazione, la commissione può motivare il diniego di abilitazione limitatamente all'assenza di tale requisito. L'eventuale dissenso dal parere pro veritate di cui al comma 6 è adeguatamente motivato. La commissione attribuisce l'abilitazione a maggioranza assoluta dei componenti ”.

Orbene pare evidente, dalla lettura delle surriprodotte disposizioni, che il ricorso all’esperto “esterno” al quale affidarsi per la redazione di un parere pro veritate , deve essere reso necessario dalla impossibilità di nominare un esperto come componente effettivo della commissione e l’impossibilità di procedere in tal senso deve essere puntualmente motivata dall’amministrazione, cosa che nella specie non è avvenuta, essendosi dato solo conto della indicazione dei due esperti “esterni” ai quali chiedere la redazione del parere pro veritate .

Inoltre, a smentire le considerazioni espresse dal Ministero appellante circa la funzione meramente consultiva dell’intervento degli esperti “esterni” e del contenuto del parere pro veritate da essi reso, superabile in ogni momento dalla commissione di valutazione, il penultimo periodo del comma 5 dell’art. 8 d.P.R. 95/2016, espressamente impone una specifica motivazione per esprimere il dissenso dal parere pro veritate , sicché può dirsi che, sotto ogni profilo, gli esperti “esterni” sono funzionalmente equiparati ai componenti effettivi della commissione, quanto meno per l’espressione della propria valutazione nella disciplina specialistica di loro pertinenza. E ciò, per quanto successivamente si dirà, costituisce il presupposto per l’applicazione della disciplina sul conflitto di interessi anche con riferimento a tali esperti “esterni”. Ciò non toglie che il deficit di completezza nella valutazione piena del candidato provocato dal mancato inserimento dell’esperto tra i componenti della commissione non può dirsi effettivamente colmato dall’attribuzione di una ruolo indubbiamente secondario di redattore di un parere pro veritate .

7. – Va ancora rappresentato che il precetto secondo cui i componenti delle commissioni giudicatrici devono essere “esperti” nelle materie di concorso costituisce espressione del principio di imparzialità sancito dall'art. 97 Cost. Ciò in quanto la qualifica di “esperto” nella materia oggetto di concorso garantisce “scelte finali fondate sull'applicazione di parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle attitudini e della preparazione dei candidati” (cfr. Corte Cost. 11 luglio 1990 n. 453).

Tale principio generale risulta affermato anche nel d.lgs. 30 marzo 2001, 165 che all'art. 35 ha prescritto che nelle procedure concorsuali le commissioni giudicatrici devono essere composte “ esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso ”.

Tenuto conto delle censure avanzate durante l’intero presente giudizio, deve ritenersi che il detto principio non si pone affatto in contrasto con la riconosciuta autonomia delle istituzioni universitarie, non rappresentando un limite imposto dall'autorità statale alla libertà degli Atenei, bensì una regola di diretta derivazione costituzionale alla quale anche le Università non possono non conformarsi.

Infatti, anche nello specifico ambito in esame, l’art. 18 l. 240/2010, pur garantendo l'autonomia del singolo Ateneo, affidando alla discrezionalità della sua potestà regolamentare la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia, subordina tale autonomia al “ rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori ”;
Carta europea che conferma la sussistenza del principio della necessaria esperienza dei soggetti chiamati a comporre le commissioni di valutazione nel settore oggetto di chiamata.

Più precisamente, per quel che rileva in questa sede, l'art. 18, comma 1, l. 240/2010, prevede che “ le università, con proprio regolamento adottato ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168, disciplinano, nel rispetto del codice etico, la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell'11 marzo 2005 ”.

La ricordata disposizione è chiara nell'affermare l'autonomia dell'Università quanto alla disciplina della chiamata dei professori, con il limite del rispetto dei principi della Carta europea dei ricercatori.

In altre parole, il Codice di condotta per l'assunzione dei professori detta una serie di regole e principi di doverosa applicazione, visto il richiamo normativo primario effettuatovi dall'art. 18, comma 1, l. 240/2010.

È allora fondamentale osservare che tale Carta, a proposito della "Selezione", oltre a prevedere che le commissioni di selezione dovrebbero comprendere membri con esperienze e competenze diverse anche provenienti da vari settori (pubblico e privato) e discipline, specifica anche chiaramente che detti componenti debbano essere in possesso della “ esperienza necessaria per valutare i candidati ”.

Sicché se è vero che con la l. 240/2010, in riferimento al reclutamento dei professori, è stato confermato il doppio momento valutativo, il primo affidato a una Commissione nazionale di abilitazione, che deve attestare la qualificazione scientifica dei candidati docenti di prima e seconda fascia e che si conclude con il rilascio di una abilitazione scientifica (art. 16) ed il secondo consistente in una successiva procedura di “chiamata” (art. 18 della stessa legge) gestita localmente dalle singole Università mediante propri Regolamenti, i principi che attengono alla procedura di chiamata del professore abilitato, ancor di più debbono sostenere la (previa) procedura di abilitazione.

E conseguenza di quanto sopra è l’ormai consolidato principio giurisprudenziale secondo cui: “ chi contesta la legittimità della composizione di una Commissione di concorso non ha l'onere di dimostrare lo specifico pregiudizio derivante da tale vizio, atteso che questo, ove effettivamente sussistente, determina il travolgimento dell'intera procedura concorsuale e la necessità di sua ripetizione, obiettivo che ben può rilevare, sotto il profilo dell'interesse “strumentale”, dal punto di vista di chi alla procedura abbia partecipato ” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 novembre 2015 n. 5137 e Sez. VI, 23 maggio 2013 n. 2816).

Può dunque concludersi per l’infondatezza del motivo di appello con il quale il MIUR ha contestato la riconosciuta illegittimità della composizione della commissione di valutazione per non essere stato in essa incluso un componente esperto in “estimo”, non ravvisandosi negli atti della procedura una adeguata motivazione delle ragione che lo avrebbero, obiettivamente, impedito.

8. – Quanto poi alla ritenuta, dal giudice di primo grado, incompatibilità del professor R a svolgere il proprio ruolo di esperto “esterno” alla commissione nel corso della procedura di valutazione fatta oggetto di impugnazione da parte del candidato professor P, sul presupposto che quest’ultimo (si vedano gli allegati nn. 19, 20 e 21 al ricorso di primo grado) aveva, in epoca antecedente rispetto alla valutazione della commissione ed alla emissione del parere pro veritate dei due esperti “esterni”, avviato un (diverso) procedimento giudiziale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (pendente presso la Sezione III- bis ), avente ad oggetto l’annullamento del verbale della “ Commissione giudicatrice dei titoli per la conferma nel ruolo di professore associato ”, convocata dal MIUR, della quale era membro il professor Paolo R e riunitasi presso l’Università IUAV di Venezia il 3 novembre 2015 e con il quale si contesta espressamente la legittimità del giudizio conclusivo (sfavorevole al professor P) espresso dalla commissione della quale era componente il professor R, essa nella specie va confermata.

Ebbene, come è noto non sussiste, in materia di concorsi pubblici (ai quali ben possono essere equiparate, quanto meno con riferimento alle regole procedurali generali di svolgimento, le selezioni per l’abilitazione scientifica nazionale, una norma “specifica” sulla astensione e ricusazione dei componenti delle commissioni giudicatrici o di valutazione, di talché sulla questione sono applicabili disposizioni che, seppure importate da testi a ricostruzione frammentata, tendono tutte a rendere possibile il rispetto dei principi di imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost. nonché i principi e i criteri generali sull’esercizio del potere autoritativo scolpiti nell’art. 1, comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241.

In primo luogo, viene in rilievo, sul piano normativo, l'art. 11 d.P.R. 9 maggio 1984, n. 487, recante “Adempimenti della commissione”, in base al quale “ Prima dell'inizio delle prove concorsuali la commissione, considerato il numero dei concorrenti, stabilisce il termine del procedimento concorsuale e lo rende pubblico. I componenti, presa visione dell'elenco dei partecipanti, sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilità tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile ”.

L’appena richiamato art. 51 c.p.c. sancisce che il giudice ha il dovere di astenersi nei seguenti casi: “ 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti;
se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa
”.

Con formula di chiusura, l'art. 51 c.p.c. prevede infine che, in ogni altra ipotesi in cui esistano gravi ragioni di convenienza, il giudice ha facoltà di richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi, rimettendo quindi, in capo allo stesso soggetto, la valutazione in ordine a quella gravità.

Dunque, nei pubblici concorsi, i componenti della commissione esaminatrice hanno l'obbligo di astenersi se ricorre una delle condizioni tassativamente previste dall'art. 51 c.p.c. rispetto al quale, l'elencazione delle cause di incompatibilità è estensibile a tutti i campi dell'azione amministrativa e segnatamente alla materia delle procedure concorsuali, assumendo carattere effettivo e cogente tassativo, stante l'esigenza di assicurare la certezza dell'azione amministrativa e la stabilità della composizione delle commissioni giudicatrici.

Vi è poi da considerare anche l'art. 6- bis l. 241/90, come introdotto dall'art. 1, comma 41, l. 6 novembre 2012, n. 190 (cd. legge di prevenzione della corruzione), secondo cui il “ responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale ”.

9. - In ragione di quanto si è fin qui illustrato, vertendosi in tema di procedimento amministrativo (quale deve intendersi la procedura di valutazione per l’abilitazione nazionale attestante la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari), alla nomina della commissione di valutazione ed ai lavori della stessa trova applicazione l’art. 6- bis l. 241/1990 e quindi, di conseguenza l’art. 51 c.p.c..

Fermo quanto sopra è indubitabile che il professor R sia stato coinvolto, quale componente di commissione, nella contestazione giudiziale avviata dal professor P nei confronti della valutazione negativa subita in una selezione diversa da quella qui in contestazione e relativa ai lavori della commissione riunitasi presso l’Università IUAV di Venezia il 3 novembre 2015. Di tale situazione di potenziale conflitto di interessi (coincidente con il punto 3 dell’art. 51 c.p.c., ovvero con quanto indicato nell’art. 7 d.P.R. 8 aprile 2013, n. 62 recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, estensibile anche ad estranei dell’amministrazione quando svolgono in favore di essa attività di collaborazione) avrebbe dovuto darsi carico il professor R prima di svolgere il proprio compito, chiedendo lumi all’amministrazione circa la possibilità di svolgere o meno l’incarico affidatogli nonostante l’esistenza di un giudizio in corso avviato dal professor P che lo vedeva direttamente coinvolto.

Atteso che il ruolo di esperto “esterno” alla commissione, per quanto si è più sopra specificato, determina la equiparazione funzionale dell’esperto al componente della commissione di valutazione, tenuto conto che il parere pro veritate costituisce un elemento della valutazione complessiva del candidato che non può essere superato dalla commissione di valutazione se non con specifica e puntuale motivazione (atteso che ai sensi dell’art. 8, comma 6, penultimo periodo, d.P.R. 95/2016 “ L'eventuale dissenso dal parere pro veritate di cui al comma 6 è adeguatamente motivato ” e che ai sensi del successivo comma 8 “ (…) i pareri pro veritate degli esperti revisori, ove acquisiti, e le eventuali espressioni di dissenso da essi costituiscono parte integrante e necessaria dei verbali ” della commissione di valutazione), considerato che il professor R, rispetto al professor P, al momento della nomina ad esperto “esterno” si trovava in potenziale conflitto di interessi, che non risulta mai essere stato disvelato, trova conferma la fondatezza del relativo motivo di ricorso proposto dal professor P in primo grado e, di conseguenza, la infondatezza del corrispondente motivo di appello dedotto dal MIUR.

10. - Ritiene il Collegio quindi che i motivi di appello debbano ritenersi infondati sicché, nel respingere il mezzo di gravame proposto dal MIUR, deve essere confermata la sentenza di primo grado, con conseguente conferma dell’annullamento degli atti in quella sede impugnati.

Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., sicché il Ministero appellante va condannato a rifondere dette spese in favore del professor P, liquidandole nella misura complessiva di €. 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

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