Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-01-27, n. 202200560

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-01-27, n. 202200560
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200560
Data del deposito : 27 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/01/2022

N. 00560/2022REG.PROV.COLL.

N. 01260/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 1260 del 2015 proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A F T e con domicilio eletto presso il suo studio in -OMISSIS-, viale delle Medaglie d'oro n. 266;

contro

il Ministero della difesa - Comando Regione carabinieri Lazio in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in -OMISSIS-, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. -OMISSIS-/2014, resa tra le parti e concernente cessazione dal servizio permanente a seguito di perdita del grado per motivi disciplinari.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa - Comando Regione carabinieri Lazio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 30 novembre 2021 il Cons. Giancarlo Luttazi;

Udito l’avvocato Pierpaolo De Vizio su delega dell’avvocato A F T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto d’appello notificato il 27 gennaio 2015 al Ministero della difesa e al Comando Regione carabinieri Lazio il sig. -OMISSIS-, ex appartenente all'Arma con il grado di Carabiniere scelto, ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. -OMISSIS-/2014 la quale, con condanna alle spese, ha respinto il ricorso n. -OMISSIS- del 2002, articolato in tre motivi e proposto dall’appellante per l'annullamento, con gli atti connessi, del decreto del Ministero della difesa – Direzione generale per il personale militare del -OMISSIS-, di cessazione dal servizio permanente ai sensi dell’art. 12 lett. f), della legge n. 1168/1961 a seguito della perdita del grado per motivi disciplinari ai sensi dell’art. 34 della stessa legge.

L’impugnato decreto recava la seguente motivazione.

Carabiniere scelto, all'epoca dei fatti in servizio presso il Nucleo radiomobile del Comando provinciale carabinieri di -OMISSIS-, in concorso con altro militare dello stesso Reparto appartenente al Ruolo spettori, abusando delle proprie qualità di pubblico ufficiale e nell'esercizio delle proprie funzioni, in più occasioni, costringeva diverse ragazze dedite al meretricio a corrispondergli somme di denaro al fine di evitare frequenti controlli volti a scoraggiare gli avventori delle stesse. Detto militare favoriva lo sfruttamento della prostituzione, facendosi consegnare dalle medesime parte dei proventi ed inoltre si impossessava di alcuni oggetti, sottratti ad un cittadino extracomunitario durante un controllo. Tale condotta, già sanzionata penalmente, è da ritenersi biasimevole sotto l’aspetto disciplinare, in quanto contraria ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato ed ai doveri di correttezza ed esemplarità dello status di militare e di sottufficiale dell'Arma dei Carabinieri, nonché profondamente lesiva del prestigio dell'Istituzione. I fatti disciplinarmente contestati sono di rilevanza tale da richiedere l'applicazione la massima sanzione disciplinare di stato .”.

Come prospettato dall’appellante egli, da appartenente all'Arma con il grado di Carabiniere scelto e in servizio alla 2^ -OMISSIS-- di -OMISSIS- fino alla data del -OMISSIS-1998, è stato dapprima sospeso dal servizio per un procedimento penale instaurato nei suoi confronti per i reati di sfruttamento della prostituzione e concussione;
e all’esito di processo penale (che egli precisa svoltosi in primo grado con rito abbreviato e, quindi, allo stato degli atti così come pervenuti al giudice, senza alcun dibattimento in merito alla ricostruzione dei fatti ascritti) è stato condannato dalla Corte d’appello di -OMISSIS- ad anni due di reclusione su patteggiamento della pena, con sospensione condizionale.

Il Tar, respinta l’istanza cautelare, ha rigettato il ricorso con condanna alle spese.

L’appello reca censure così rubricate.

- Erroneità dell'impugnata sentenza, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta - illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge (18.10.1961 nr. 1168, art. 43;
D.P.R. 10.01.1957 nr. 3;
L. 31.07.1954nr. 599;
L. 07.02.1990 nr. 19;
L. 97/2011;
artt. 3 e 97 Cost.) -Eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità manifesta, contraddittorietà, difetto di motivazione,

- Erroneità dell'impugnata sentenza, difetto di motivazione. Illegittimità per violazione e falsa applicazione· di legge (artt. 105, 111, 114 del D.P.R.10.01.1957 nr. 3;
art. 3 della L. 241/90, art. 3, 24 e 97 Cost.) - Eccesso di potere per errore sui presupposti ed illogicità manifesta. Violazione del giusto procedimento e del diritto di difesa.

- Erroneità dell'impugnata sentenza, assoluta carenza della motivazione. Illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge (artt. 70 e 73 L. 599del 31.07.1954;
art. 3 della L. 241/90, art. 3, 24 e 97 Cost.) - Eccesso di17potere: difetto di istruttoria, illogicità manifesta,- contraddittorietà, sviamento, errore sui presupposti, difetto di motivazione, violazione del principio di graduazione delle sanzioni anche con riferimento al grado rivestito dall'inquisito
”.

L’Amministrazione si è costituita.

In esito ad avviso di perenzione consegnato il 25 febbraio 2020 parte appellante ha depositato, il 5 giugno 2020, domanda di fissazione di udienza.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 30 novembre 2021.

DIRITTO

L’appello va respinto.

1.1 – Il primo motivo riproduce pressoché integralmente il primo motivo del ricorso in primo grado, sostituendo alla locuzione “ Il provvedimento impugnato ”, contenuta nel ricorso di primo grado, la locuzione “ Il provvedimento appellato ”.

Ed aggiunge i seguenti rilievi.

Il Collegio giudicante ha quindi erroneamente ritenuto che l'Amministrazione avesse proceduto con un autonoma - in sede disciplinare - valutazione dei fatti che avevano formato il giudicato penale, mentre in realtà non risultava dalla motivazione del provvedimento sanzionatorio una giusta ponderazione dei fatti in contestazione e della personalità dell'incolpato.

Su tale eccezione il T.A.R. non si è affatto pronunciato per cui l'impugnata sentenza merita di essere annullata ”.

La censura è infondata in fatto, poiché il Tar si è invece espressamente pronunciato sul tema.

In proposito appare sufficiente riportare il seguente stralcio della sentenza appellata.

In realtà la motivazione finale della Commissione di disciplina non è una semplice presa d’atto della sentenza di condanna, fermo restando che ai sensi dell’art. 653, 1 bis c.p.p. <<la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso >>.

Al contrario, trattasi di autonoma valutazione sulla gravità dei comportamenti tenuti, che recano lesione al prestigio e all’immagine del corpo militare di appartenenza. ”.

1.2 – Il mezzo successivo si rivolge, riportandolo testualmente, al seguente passo sella sentenza appellata.

Posto che per legge (art. 43 l. 1168/1961) la normativa applicabile era comunque quella relativa ai sottufficiali (l. 599/54), è irrilevante che le comunicazioni inviate al -OMISSIS- abbiano fatto riferimento alla normativa del 1961, laddove il ricorrente non dimostri che da questo sia derivata una lesione dei propri diritti di difesa;
ed il ricorrente non ha fornito alcuna argomentazione in tal senso.

Parimenti, è priva di pregio l'argomentazione in ordine alla mancanza di motivazione del provvedimento in quanto la Commissione di disciplina avrebbe emesso il proprio giudizio sulla base della condanna penale, senza approfondire ulteriormente in sede disciplinare.

In realtà la motivazione finale della Commissione di disciplina non è una semplice presa d'atto della sentenza di condanna, fermo restando che ai sensi dell'art. 653, I bis c.p.p. <<la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso>>.

Al contrario, trattasi di autonoma valutazione sulla gravità dei comportamenti tenuti, che recano lesione al prestigio e all'immagine del corpo militare di appartenenza.>> .”.

Il motivo, analogamente al precedente, riproduce pressoché integralmente il secondo motivo del ricorso in primo grado, aggiungendo i seguenti testuali rilievi.

In sintesi il Collegio Giudicante ha erroneamente considerato che all'appellante, allora inquisito nell'ambito del procedimento disciplinare, non era stato concesso il termine minimo di venti giorni per la presentazione di memorie o scritti difensivi e la comunicazione relativa alla notifica del provvedimento sanzionatorio era intervenuta oltre il termine di l0 giorni dalla data della sua adozione e quindi gli atti qui appellati risultano manifestamente illegittimi .”.

Questa censura è inammissibile per genericità, poiché la sentenza appellata, nel respingere il secondo motivo del ricorso in primo grado, il quale recava anche la tematica dei suddetti termini di venti e dieci giorni, ha ampiamente motivato il proprio rigetto (alle cui considerazioni si rinvia per brevità), mentre la presente censura d’appello, in violazione dell’art. 101 del codice del processo amministrativo, non reca specifiche censure a quelle considerazioni del Tar.

1.3.1 – Da ultimo l’appello si rivolge in primo luogo, riportandolo testualmente, al seguente passo sella sentenza appellata, che è utile riportare anche in questa sede.

“.. .. va detto che la successiva legge 23 marzo 2001 n. 97, al comma 4 dell'art. 5, nel testo vigente all'epoca del procedimento disciplinare (-OMISSIS-) ha previsto che <<nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti indicati nel comma l dell'articolo 3 (n.d.r. dipendente di amministrazioni o di enti pubblici), ancorché a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego può essere pronunciata a seguito di procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve concludersi, salvi termini diversi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo quanto disposto dall'articolo 653 del codice di procedura penale.>>.

Orbene, detti termini sono stati rispettati, in quanto la contestazione degli addebiti è avvenuta il 24 -OMISSIS- (la sentenza di condanna della Corte d'Appello è diventata esecutiva il -OMISSIS-), e la determinazione ministeriale è del -OMISSIS-, anche se notificata il -OMISSIS-.

Quanto alla circostanza che alla vicenda de quo avrebbero dovuto applicarsi i termini, più lunghi, previsti dal t.u. 3157, essa è parimenti priva di fondamento, in quanto il testo unico 3/57 si applica, quale normativa residuale, solo laddove non vi sia una specifica normativa a regolare la fattispecie, allo scopo di impedire che il procedimento disciplinare si protragga all'infinito senza certezze alcune per il destinatario .

I termini per presentazione di memorie e giustificazioni, previsti dal t.u. 3157, sono comunque termini acceleratori la cui ratio è quella di consentire, all'incolpato una adeguata difesa.

Orbene, nel caso di specie, si è detto che il procedimento disciplinare avviato nei confronti del ricorrente ha avuto una sua specifica scansione e che i termini per la difesa gli sono stati concessi, senza che questi abbia rilevato a suo tempo la compromissione del suo diritto di difesa e senza che abbia chiesto il loro prolungamento.

Ne discende che correttamente l'Amministrazione ha proseguito nell'azione disciplinare e ha emesso la sua determinazione finale.

Vero è che la sentenza della Corte Cost. 11 marzo 1991, n. 104, sopra citata, stabilisce che nel procedimento disciplinare nei confronti di sottufficiali delle forze armate trovino applicazione i termini stabiliti negli art. 97 comma 3 parte I, 111, comma ultimo e 120 comma l D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, ma, al di là della constatazione che detta sentenza concerne solo i procedimenti disciplinari promossi successivamente a sentenza penale di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato per motivi diversi dalle formule <<perché il fatto non sussiste>>
o <<perché l'imputato non lo ha commesso>>
(laddove, nel caso di specie, l'imputato è stato condannato e quindi l'accertamento dei fatti segue la più rigorosa regola dell'art. 653 c.p.p.), va anche rilevato che la ratio della decisione è quella di assicurare a tutti i pubblici impiegati la garanzia di una scansione procedimentale dell'azione disciplinare, con dei termini certi quanto a inizio e conclusione: cosa che, nel caso di specie, è avvenuta>>
”.

Riportato questo stralcio della pronuncia del Tar l’appellante, analogamente ai due precedenti motivi d’appello, riproduce pressoché integralmente il terzo motivo del ricorso in primo grado, poi riassumendone il rilievo che, già in quel terzo motivo del primo grado, aveva lamentato che all'incolpato era stata preclusa la possibilità di farsi assistere da un difensore avente il grado di tenente colonnello.

Questa parte del presente motivo d’appello è inammissibile ai sensi del citato art. 101 del codice del processo amministrativo, perché riproduce una censura del primo grado – adeguatamente valutata dal Tar (v. il capo 9 della sentenza appellata) - senza specifici addebiti alla pronuncia del primo giudice.

1.3.2 – Il medesimo terzo motivo riproduce poi il testo della memoria depositata in primo grado il 16 aprile 2014, e recante prospettazioni (in tema di erronea qualificazione del ricorrente, nel provvedimento impugnato, come “ sottufficiale ”;
nonché di superamento del termine di novanta giorni tra riunione della Commissione di disciplina e notifica del provvedimento) che il Tar aveva rilevato esser inammissibili perché motivi nuovi che avrebbero dovuto essere sollevati al momento della proposizione del ricorso.

Queste ultime prospettazioni d’appello risultano dunque inammissibili sia perché nuove sia perché esprimono censure già dichiarate inammissibili dal Tar con una statuizione ora non contestata.

2. – L’appello va dunque respinto.

Le spese del grado, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

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