Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-01-13, n. 202000282
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Pubblicato il 13/01/2020
N. 00282/2020REG.PROV.COLL.
N. 05180/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 5180 del 2018, proposto dal
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione prima quater , n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la destituzione dal servizio nella Polizia di Stato.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2019 il consigliere Nicola D'Angelo e uditi, per il Ministero appellante, l'avvocato dello Stato Fabio Tortora e, per l’appellato, l’avvocato M B;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor -OMISSIS-, assistente della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di -OMISSIS-, ha impugnato dinanzi al Tar per il Lazio, sede di Roma, il provvedimento del 28 dicembre 2016 con cui il Ministero dell’Interno ha disposto la sua destituzione, ai sensi dell'art. 7, nn. 1, 2 e 4, del D.P.R. n. 737/1981.
1.1. In particolare, il procedimento disciplinare è stato attivato a seguito del coinvolgimento del ricorrente in un procedimento penale relativo alle seguenti circostanze: “ il 3 novembre 2012 fuori servizio in -OMISSIS-(AQ), allorché era in forza al Commissariato di -OMISSIS- (AQ), da quanto desunto da atti processuali oggetto di autonoma valutazione disciplinare, teneva condotte espressive di mancanza del senso dell'onore e del senso morale e in contrasto con i doveri assunti con il giuramento con grave pregiudizio per l'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, concorrendo moralmente con persone rimaste ignote nell'aggressione del cittadino extracomunitario e concorrendo materialmente e moralmente all'aggressione a cittadino italiano ”.
1.1. Il procedimento penale si è poi concluso con sentenza del GUP presso il Tribunale di -OMISSIS- del 15 dicembre 2015 di non luogo a procedere (divenuta irrevocabile il 1° marzo 2016), in conseguenza della rimessione delle querele delle persone offese e della derubricazione dei capi di imputazione in lesioni semplici.
2. Il Tar per il Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso ritenendo fondata la censura del ricorrente in ordine alla violazione del diritto di difesa derivante dal mancato riscontro, durante il procedimento disciplinare, delle sue ripetute istanze di accesso agli atti, consentito poi solo tre giorni lavorativi prima dell’audizione innanzi al Consiglio di disciplina.
3. Contro la predetta sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno sulla base di un unico ed articolato motivo di censura.
3.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 13, 14 e 19 del D.P.R. 25 ottobre 1981, nr. 737. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21- octies e 24 della legge 7 agosto 1990, nr. 241.
3.1.1. Il giudice di prime cure, secondo l’Amministrazione appellante, avrebbe erroneamente ritenuto che l’appellato non sarebbe stato posto nelle condizioni di esercitare le sue prerogative partecipative nell’ambito del procedimento disciplinare.
3.1.2. Le conclusioni del Tar sarebbero in realtà disattese dallo svolgimento delle diverse fasi in cui l’incolpato ha chiesto l’accesso agli atti. In particolare, in data 17 maggio 2016 il funzionario istruttore, ricevuto personalmente l’interessato presso la Questura di -OMISSIS- ai fini di riscontrare la sua prima istanza di accesso, aveva evidenziato che i documenti richiesti erano solo quelli relativi al procedimento penale, rispetto ai quali l’appellato aveva quindi dichiarato di non essere interessato alla visione. Successivamente, quest’ultimo in data 18 e 21 maggio 2016, aveva presentato nuove istanze di accesso non riscontrate dal funzionario istruttore in quanto – a giudizio di questi - il ricorrente aveva già esercitato l’accesso e comunque non erano stati acquisiti ulteriori atti al procedimento. Infine, a seguito di ulteriore istanza di accesso, formalizzata dal difensore di fiducia dell’incolpato con nota del 30 settembre 2016, l’Amministrazione aveva dato corso all’ostensione dei documenti richiesti in data 5 ottobre 2016.
3.1.2. Secondo l’Amministrazione appellante, pertanto, le garanzie difensive nel procedimento disciplinare di cui è causa sono state rispettate, avendo l’appellato potuto avere a disposizione tutti gli elementi utili per poter esercitare il suo diritto di difesa, poi compitamente svolto in sede di riunione del Consiglio di disciplina.
3.1.3. D’altra parte, lo stesso appellato, laddove avesse realmente patito la lesione del suo diritto di accesso, avrebbe potuto, secondo parte appellante, adire il Tar ai sensi dell’art. 25 della legge n. 241/1990.
4. Il signor -OMISSIS- si è costituito in giudizio il 17 luglio 2018, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato ulteriori documenti, per ultimo il 12 novembre 2019.
5. Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, questa Sezione ha respinto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso.
6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 14 novembre 2019.
7. Preliminarmente, va rilevata la tardività del deposito di documenti dell’appellato del 12 novembre 2019 per violazione dei termini di cui all’art. 73, comma 1, del c.p.a.. Gli stessi pertanto non sono esaminati dal Collegio.
8. L’appello non è fondato.
9. Il procedimento disciplinare di cui è causa trae origine da una vicenda penale poi conclusasi con una sentenza di non luogo a procedere. La stessa vicenda però per il particolare clamore destato nella zona di competenza del Commissariato dove l’appellato prestava servizio come assistente di polizia (-OMISSIS-) ha indotto l’Amministrazione appellante, prima al suo trasferimento presso un’altra Questura (-OMISSIS-) e poi all’avvio di un procedimento disciplinare e alla successiva destituzione dal servizio.
10. La stessa Amministrazione ha, infatti, ritenuto, non irragionevolmente, il comportamento dell’appellato di particolare pregiudizio per il prestigio della Polizia di Stato (in quanto posto in essere da chi aveva l’obbligo istituzionale di prevenire e reprimere episodi di violenza).
11. Tuttavia, nel corso del relativo procedimento, dopo la contestazione degli addebiti ai sensi dell’art. 7, comma 1, nn. 1, 2 e 4, del D.P.R. n. 737/1981, all’interessato non è stato consentito il regolare accesso agli atti ai fini difensivi.
12. Per questa ragione, lo stesso ha proposto ricorso contro la successiva destituzione al Tar per il Lazio che, con la sentenza impugnata, lo ha accolto.
13. Ciò premesso, l’Amministrazione degli interni prospetta l’erroneità della stessa sentenza la quale non avrebbe tenuto conto che in concreto l’appellato aveva potuto non solo accedere agli atti, ma anche svolgere adeguatamente le sue prerogative di difesa.
14. La tesi dell’Amministrazione appellante non può essere condivisa. Come rilevato dal Tar, il 5 maggio 2016 l’appellato ha chiesto l’accesso agli atti del procedimento, necessari a garantirgli una idonea difesa. L’istanza è restata inevasa nel corso di tutta la fase istruttoria e comunque nessuna formale verbalizzazione, come ammesso dalla stessa Amministrazione, è stata fatta da parte del funzionario istruttore in ordine all’eccepita mancanza di interesse dell’appellato ad accedere alla documentazione in quel momento agli atti.
15. Anche le successive istanze di accesso non sono state riscontrate. Solo dopo la presentazione di un’istanza il 30 settembre 2016 da parte del difensore di fiducia nominato dal ricorrente e con riferimento all’istanza del 5 maggio 2016, l’Amministrazione il 5 ottobre 2016, a ridosso della riunione fissata per la trattazione orale del Consiglio di disciplina, ha reso disponibile la documentazione richiesta.
16. D’altra parte, anche a voler ammettere un uso strumentale dell’accesso da parte dell’incolpato, non vi è dubbio che talune mancanze sono rinvenibili nel comportamento dell’Amministrazione la quale non ha adeguatamente esplicitato o chiarito le ragioni del perdurante mancato accesso (l’interesse all'accesso ai documenti andava comunque valutato ed esplicitamente riscontrato soprattutto in quanto finalizzato all’esercizio del diritto alla difesa).
17. Il diritto di accesso trova infatti fondamento nell'esigenza di tutelare un interesse giuridicamente rilevante, intendendosi per tale un interesse serio, effettivo, concreto, attuale e, in definitiva, ricollegabile all'istante da un preciso e ben identificabile nesso funzionale alla realizzazione di esigenze di giustizia. Nello specifico, l'interesse all'accesso e la sua rilevanza ai fini della difesa nelle varie e distinte fasi del procedimento disciplinare vanno intesi in senso ampio, essendo sufficiente che la documentazione richiesta costituisca, genericamente, mezzo utile per la difesa (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez.V, 20 gennaio 2015, n. 166).
18. E a tale conclusione non può essere d’ostacolo la circostanza che l’appellato non abbia adito la tutela giudiziale, essendo quest’ultima una facoltà e non un obbligo.
19. Per le considerazioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
20. In ragione della particolarità della controversia, le spese della presente fase di giudizio possono essere compensate.