Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-03-19, n. 202402625
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Pubblicato il 19/03/2024
N. 02625/2024REG.PROV.COLL.
N. 04337/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4337 del 2023, proposto da Unicredit s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G B, A T, L T, C R, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del primo, sito in Roma, via delle Quattro Fontane n. 161;
contro
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Movimento consumatori APS, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Lazio (sezione prima) n. 2184 del 2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
Viste le memorie delle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il cons. G L G;
Uditi nell’udienza pubblica del 18 gennaio 2024 l’avv. L T e l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo;
Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.- Oggetto della domanda di annullamento veicolata con il ricorso di primo grado era la deliberazione dell’Autorità garante della concorrenza del mercato (di seguito « AGCM » o « Autorità ») n. 26832 datata 31 ottobre 2017 con la quale detta Autorità irrogava a Unicredit s.p.a. (di seguito anche « Banca ») una sanzione pecuniaria di importo pari ad euro cinque milioni per asserita pratica commerciale scorretta discendente dalla condotta ivi indicata sub lett. « b ».
1.2.- Tale pratica sarebbe consistita nell’avere – successivamente alla modifica dell’art. 120, comma 2, del testo unico bancario (d. lgs. n. 385 del 1993) operata dall’art. 17-bis d.l. n.18 del 2016, convertito in l. n. 49 del 2016, disposizione, questa, che consente l’addebito in conto corrente degli interessi debitori solo previa autorizzazione – indotto la clientela a sottoscrivere l’autorizzazione preventiva attraverso l’invio ad essa, a partire da ottobre 2016, di moduli « personalizzati e precompilati con la manifestazione del consenso » (in allegato alle comunicazioni effettuate ai sensi dell’art. 118 Testo unico bancario, « da rispedire sottoscritti per l’autorizzazione preventiva all’addebito in conto corrente degli interessi debitori a far data da quando essi sarebbero divenuti esigibili […] con conseguente conteggio di tali interessi come parte capitale »: pagg. 2 e 3 del provvedimento impugnato in prime cure).
1.3.- Tutto ciò, in tesi di AGCM, ricordando e sollecitando successivamente l’invio dell’autorizzazione a coloro che non vi avessero provveduto attraverso « la predisposizione di pop-up » in internet banking e attraverso apposito « link », « senza la possibilità di negare l’autorizzazione ».
2.1.- Il corredo motivazionale dell’impugnato provvedimento di AGCM era, in via di estrema sintesi, così articolato:
a) quanto alle ‘evidenze acquisite’ :
- diversi documenti interni alla Banca avrebbero mostrato l’intendimento di mettere in evidenza (punto 63) l’importanza per il cliente di rendere l’autorizzazione all’addebito in conto e dell’incorrere nelle conseguenze negative da mancata autorizzazione, elidendo il termine « anatocismo » e « senza chiarire gli effetti » dell’anatocismo medesimo;
- gli effetti della mancata autorizzazione sarebbero stati enfatizzati anche con l’uso di evidenze grafiche, compresa la segnalazione alla centrale rischi di Banca d’Italia in caso di mancata autorizzazione;
- le strutture interne sarebbero state indirizzate a valorizzare ogni occasione di contatto per rendere edotti i clienti della possibilità di rilasciare l’autorizzazione, anche attraverso invio di comunicazioni separate rispetto a quelle ex art. 118 Testo unico bancario, adottando « iniziative commerciali specifiche per spinta al ritiro modulo di autorizzazione » (punto 72);
- ad un tempo, la Banca avrebbe formulato una proposta di modifica unilaterale ex articolo 118 del Testo unico bancario ma allegando un modulo di autorizzazione all’addebito, seguita da ulteriori comunicazioni con gli estratti conto del quarto trimestre 2016 mediante impiego del modulo allegato;
- la Banca avrebbe adottato banner dispositivi (punti 78, 79 e 80), privi della possibilità per il consumatore di negare immediatamente l’autorizzazione all’addebito in conto;
- sarebbe stato rilevante il numero di clienti che avrebbe espresso l’autorizzazione ed esiguo il numero di quelli che l’avrebbero negata;
b) quanto alle valutazioni conclusive :
- la Banca avrebbe posto in essere una politica di forte spinta all’acquisizione dell’autorizzazione all’addebito in conto corrente nei confronti della clientela (punto 124): questa sarebbe stata « sollecitata a presentare l’autorizzazione, nel presupposto che l’addebito in conto corrente degli interessi debitori fosse il modus operandi ordinario nel rapporto con la Banca e senza considerare le conseguenze di tale scelta in termini di conteggio degli interessi sugli interessi debitori »;
- dette sollecitazioni sarebbero state poste in essere sia attraverso canali fisici (posta e filiali), sia attraverso internet banking , con l’invio di « moduli precompilati per l’autorizzazione dall’addebito in conto, sollecitandone successivamente l’invio a coloro che non li avevano restituiti », la creazione di « pop-up », il tutto rappresentando soltanto le possibili conseguenze negative della mancata autorizzazione;
- i moduli personalizzati e precompilati non avrebbero contemplato la possibilità di negare l’autorizzazione e sarebbero risultati « idonei nella loro configurazione e ripetuta proposizione, a limitare la libererà di scelta e tali da indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso nella convinzione che l’autorizzazione all’addebito di interessi debitori sul conto corrente fosse la modalità ordinaria di contabilizzazione e gestione degli stessi » (punto 128);
- « diversamente da quanto affermato da Unicredit […] la scelta dell’autorizzazione all’addebito di interessi debitori sul conto corrente » non risulterebbe « sempre e necessariamente conveniente per il consumatore dal momento che in caso di assenza di fido o in presenza di fido ma con suo sconfinamento, è prevista, oltre al conteggio degli interessi sugli interessi debitori, l’applicazione di condizioni economiche che accrescono gli oneri economici per il cliente consumatore, quali commissioni […] e tassi debitori specifici extra fido »;
2.2.- AGCM concludeva, quindi, nel senso che:
- sarebbe stata posta in essere una pratica commerciale scorretta in violazione degli artt. 24 e 25 cod. cons., con « indebito condizionamento per indurre la clientela consumatori all’autorizzazione all’addebito in conto corrente degli interessi debitori »;
- « tale condotta è stata realizzata nell’ambito di un forte spinta all’acquisizione delle autorizzazioni, adottando varie strategie con le quali i clienti sono stati sollecitati a concederle, nel presupposto che l’addebito in conto corrente degli interessi debitori fosse il modus operandi ordinario nel rapporto con la Banca e senza considerare le conseguenze di tale scelta in termini di conteggio degli interessi sugli interessi debitori » (punto 133).
3.1.- Con il ricorso di primo grado, nel chiedere l’annullamento del provvedimento di AGCM, Unicredit deduceva i vizi così rubricati:
1) Travisamento, erronea valutazione dei fatti, errore di fatto e omessa istruttoria. Sosteneva Unicredit che:
- quanto al tenore delle comunicazioni inviate ai consumatori, nelle informative inviate alla clientela consumatori si affermerebbe a chiare lettere l’assoluta libertà nel decidere di rilasciare o meno il consenso all’addebito degli interessi debitori in conto corrente;
- quanto alla comparsa del pop-up ad ogni nuovo accesso (e durata dell’infrazione), a far data dal giugno 2017, esso sarebbe stato reso spontaneamente eliminabile, senza che si ripresentasse all’utente ad ogni accesso (aspetto, questo, che inciderebbe sulla durata dell’infrazione la quale – quindi – sarebbe risultata cessata alla data del provvedimento);
- quanto alla mancata previsione del diniego all’autorizzazione:
a) la Banca non avrebbe mai previsto, né tantomeno dichiarato, di applicare alcun meccanismo di silenzio-assenso per il rilascio dell’autorizzazione all’addebito degli interessi debitori;
b) la possibilità di negare l’autorizzazione in via espressa non avrebbe prodotto alcuna conseguenza sostanziale (e sarebbe stato privo di rilevanza) dato che per legge il regime scelto dal cliente, sia che si fosse trattato di autorizzazione, sia che si fosse trattato di assenza di autorizzazione, sarebbe stato sempre revocabile in ogni momento con diversa manifestazione di volontà;
c) ai clienti consumatori non sarebbe stata negata la possibilità fornire risposta negativa all’autorizzazione dell’addebito degli interessi debitori in conto corrente;
d) la Banca avrebbe informato i correntisti del fatto che la stessa Banca, per agevolare i propri clienti nella prima fase di applicazione della nuova normativa, non avrebbe proceduto « fino al 31 ottobre 2017 al calcolo e all’addebito degli interessi di mora sugli interessi scaduti al 1 marzo 2017 e non pagati »;
2) Illogicità e contraddittorietà del provvedimento;mancata/erronea/contraddittoria considerazione del contesto. Mancata applicazione dell’art. 4 l. n. 689 del 1981. Sosteneva Unicredit che:
- AGCM, nel valutare la condotta della Banca, avrebbe omesso di considerare – pur dandone atto (cfr. § 131, provvedimento) – che l’autorizzazione all’addebito degli interessi debitori in conto corrente fosse una facoltà espressamente prevista dal legislatore, il quale il legislatore avrebbe ritenuto sufficiente stabilire che essa potesse essere revocata in qualsiasi momento;
- quanto all’addotta – da AGCM – circostanza che Unicredit si fosse limitata ad indicare soltanto le possibili conseguenze negative in caso di mancata autorizzazione, la sospensione del regime di segnalazione alla centrale rischi fino alla fine del 2017 avrebbe dato conto di come la Banca non avesse voluto connotare negativamente il regime alternativo di autorizzazione dell’addebito degli interessi debitori in conto corrente;
- in tal senso AGCM avrebbe omesso di considerare – ciò che sarebbe stato rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 4 l. n. 689 del 1981 – la necessità rendere edotta la clientela di un rischio (la segnalazione alla centrale rischi), e, quindi, di offrire tempestivamente ed efficacemente una modalità per rilasciare l’autorizzazione, che neutralizzasse detto rischio;
3) Mancata, erronea e contradditoria considerazione del concreto assetto di interessi in gioco e della concreta portata degli effetti.
Sosteneva Unicredit che:
- AGCM avrebbe basato la propria decisione sull’assunto – che sarebbe infondato – che il rilascio dell’autorizzazione all’addebito degli interessi debitori in conto corrente determinasse una pressoché automatica produzione di interessi di interessi, facendo così rivivere tout court l’anatocismo bancario. Così non sarebbe sul rilievo che:
a) per il 90% della clientela consumatori l’addebito in conto corrente non comporterebbe – in tesi – alcuna capitalizzazione degli interessi;
b) l’addebito automatico annuale degli interessi non farebbe maturare alcun interesse di mora, né alcun interesse sugli interessi;
- l’esame delle diverse situazioni in fatto alla base di una (astratta) decisione di non pagare gli interessi avrebbero dovuto condurre all’esclusione della connotazione di illiceità della condotta di AGCM;
- AGCM avrebbe errato: a) nel non valutare la logica della previsione legislativa del possibile addebito in conto corrente;b) nel non valutare l’obiettivo di Unicredit di fornire adeguate informazioni alla clientela anche attraverso la rappresentazione dei rischi;c) nel qualificare l’assenza dell’opzione « nego l’autorizzazione » quale elemento essenziale della pretesa aggressività della condotta, considerata l’assenza di un concreto interesse dei clienti-consumatori nel dichiarare esplicitamente la volontà di non autorizzare l’addebito in conto corrente;
4) Violazione dell’art. 24, 25 e 18, lett. l) codice del consumo;errata sussunzione delle condotte nella fattispecie della pratica commerciale aggressiva;errata valutazione della sussistenza dell’indebito condizionamento;omessa valutazione degli elementi di cui all’art. 25 del Codice del Consumo. Sosteneva Unicredit che:
- quanto alla condotta della Banca: a) essa non avrebbe presentato i requisiti dell’indebito condizionamento del cliente;b) l’invio delle comunicazioni sarebbe stato « coerente » con la disciplina di settore, coerenza che sarebbe stata attestata dalla Banca d’Italia con il proprio parere ex art. 27, comma 1- bis cod. cons.;c) la condotta, veicolata con l’invio di due informative e un pop-up sull’ homepage dell’ internet banking , non avrebbe potuto configurarsi come « insistente », così come la proposta di autorizzazione agli sportelli;d) l’invio con largo anticipo delle comunicazioni avrebbe consentito un ampio spatium deliberandi al correntista;e) nessun indebito monitoraggio sarebbe stato posto in essere al fine di indurre i consumatori a rilasciare l’autorizzazione;f) dal linguaggio utilizzato nelle comunicazioni e nei pop-up si evincerebbe che l’autorizzazione all’addebito sia stata chiaramente e ripetutamente presentata come opzione facoltativa soggetta alla libera scelta della clientela, non come modalità normale per lo svolgimento del rapporto Banca-cliente;g) l’apparato informativo fornito dalla Banca alla clientela non sarebbe stato idoneo a condizionarne l’operato, ciò che sarebbe confermato dal numero delle autorizzazioni all’addebito rilasciare, largamente minoritario rispetto al numero di clienti che non hanno rilasciato l’autorizzazione o che l’hanno negata espressamente;h) la scelta di sottoporre al consumatore sia la modifica unilaterale del contratto derivante dalla modifica all’art. 120 Testo unico bancario, sia la possibilità di rilasciare l’autorizzazione all’addebito degli interessi in conto corrente, sarebbero espressione dell’intento di fornire un quadro completo ed esaustivo in tema di interessi nei contratti bancari;i) nessuna contestazione da parte dei clienti della Banca sarebbe pervenuta al riguardo ad AGCM;j) quanto ai banner , non sarebbe stato tenuto in considerazione che essi non sarebbero comparsi all’improvviso durante la navigazione nell’area utente, né si sarebbero sovrapposti nella navigazione, né sarebbe bastato un solo click per rilasciare l’autorizzazione (sarebbe stato messo, poi, in evidenza il tasto « ricordamelo in seguito »);k) le comunicazioni inviate in forma cartacea (il cui testo risultava riproposto nel corso della procedura attivata dal pop-up ) sarebbero state di facile lettura, anche per un lettore inesperto in materia bancaria;l) quanto alla mancata previsione della possibilità di negare espressamente l’autorizzazione ma solo di darne l’adesione e alla mancata rappresentazione delle conseguenze negative derivanti dal rilascio dell’autorizzazione, si sarebbe trattato di contestazioni inconferenti rispetto alla nozione di pratica commerciale aggressiva per indebito condizionamento, potendo radicare, al più, un’ipotesi di pratica commerciale omissiva ingannevole;neutro si sarebbe rivelato il mancato utilizzo del termine « anatocismo »;
- le iniziative informative adottate dalla Banca non sarebbero risultate idonee a condizionare la libertà di scelta del consumatore
- nel quantificare la sanzione AGCM non avrebbe tenuto conto dell’incremento della percentuale di clienti correntisti che ha negato l’autorizzazione (dato, quest’ultimo, richiamato da AGCM), per effetto della somma, a questi, di coloro che non avevano effettuato nessuna scelta;
5) Violazione e falsa applicazione art. 27 cod. cons. e art. 11 l. 689 del 1981;errore dei presupposti di fatto e di diritto;illogicità manifesta;difetto di motivazione;errata e sproporzionata quantificazione della sanzione;disparità di trattamento e violazione del principio di proporzionalità. Ad avviso della ricorrente Unicredit, la quantificazione della sanzione non risponderebbe ai parametri di legge sul rilievo che:
a) l’appartenenza della Banca al gruppo bancario Unicredit di rilevanza internazionale sarebbe inconferente ai fini dell’irrogazione della sanzione;l’incremento per appartenenza a gruppi di rilevanza internazionale sarebbe previsto da atti interni ad AGCM solo per le violazioni ex 145, comma 1, l. n. 287 del 1990;
b) gli elementi della condotta prima esposti avrebbero escluso l’illecito condizionamento e, quindi, i presupposti per la quantificazione della sanzione in misura pari ai quattro quindi del massimo edittale;
c) l’affermata elevata diffusione della pratica sarebbe contraddetta dall’assenza di segnalazioni e dal numero di autorizzazioni rilasciate dalla clientela;
d) alla minore durata della pratica rispetto al perimetro temporale indicato da AGCM (con conseguente non proporzionalità, in tal senso, della sanzione irrogata);
e) non sarebbero stati considerati gli interventi migliorativi posti in essere dalla Banca per l’eliminazione degli asseriti profili di illiceità della condotta;
f) Unicredit avrebbe operato in un contesto di disinformazione;
g) AGCM avrebbe dato luogo ad una disparità di trattamento rispetto alla sanzione irrogata ad altro Istituto di credito, stante la – asserita – completa sovrapponibilità di tutti gli elementi di rilievo delle fattispecie sanzionate;
h) sarebbe sproporzionato l’importo posto a carico di Unicredit per effetto della circostanza aggravante indicata nel provvedimento.
3.2.- Unicredit concludeva, quindi per la caducazione dell’impugnato provvedimento e, in subordine, per la riduzione dell’importo della sanzione.
4.- Il T.a.r. per il Lazio, sez. I, con sentenza n. 2184 del 2023 rigettava il ricorso così articolando, in via di estrema sintesi, il proprio iter argomentativo:
- « l’istruttoria ha fatto emergere, mediante una serie di indizi precisi e concordanti, un’evidente “politica” di Unicredit tesa ad ottenere le autorizzazioni dei clienti all’addebito in conto corrente, mediante vari mezzi e modalità con i quali i consumatori sono stati sollecitati ad adottare la riferita opzione, senza piena consapevolezza delle potenziali conseguenze negative che essa comportava»;
- «in particolare, tale strategia è stata posta in essere per mezzo di una serie di azioni della società, indirizzate alla rete e alle strutture interne, finalizzate all’acquisizione delle autorizzazioni da parte della clientela che ancora non aveva effettuato la scelta, attraverso sollecitazioni avvenute sia sui canali fisici (posta e filiali), sia sull’internet banking »;
- « è risultato che l’istituto ha proceduto, a far data dal mese di ottobre 2016, ad inviare ai clienti moduli precompilati per dare l’autorizzazione all’addebito in conto corrente, sollecitandone successivamente la restituzione alla banca;ha creato pop-up, a partire dal gennaio 2017, nelle homepage delle aree clienti, volti ad indirizzare il cliente consumatore a sottoscrivere l’autorizzazione all’addebito in conto corrente, il tutto senza fornire la possibilità di negare l’autorizzazione»;
- «l’istituto ometteva qualsivoglia richiamo circa la possibilità della clientela di effettuare una scelta diversa, in merito al pagamento degli interessi debitori, rispetto all’addebito in conto corrente. Anzi inviava direttamente una lettera di accompagnamento contenente la proposta di modifica del contratto con dei moduli personalizzati e precompilati da rispedire sottoscritti per l’autorizzazione preventiva, che chiaramente “incanalavano” direttamente il cliente verso la unica opzione proposta»;
- «a conferma della ricorrenza della pratica contestata, è anche emerso che Unicredit ha inviato ai correntisti, in allegato ai successivi estratti conto, ulteriori comunicazioni con le quali venivano nuovamente richiamate, in modo ripetuto ed evidenziato in grassetto, le modalità di rilascio dell’autorizzazione all’addebito, tese all’acquisizione del consenso da parte di coloro che non avessero ancora provveduto all’invio delle autorizzazioni »;
- « l’Autorità ha dunque ragionevolmente ritenuto che da tale modulistica, personalizzata e precompilata risultava un’aggressione (si ribadisce nella misura in cui non era prospettata alcuna altra alternativa) alla libertà di scelta del consumatore, che era indotto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, nella convinzione che l’autorizzazione all’addebito di interessi debitori sul conto corrente fosse la modalità ordinaria di contabilizzazione e di gestione degli stessi (omettendo di considerare che, come detto, in caso di rilascio dell’autorizzazione, gli interessi divenuti esigibili diventano parte capitale con conseguente conteggio di interessi sugli stessi interessi debitori) »;
- « l’istituto non ha mai parlato di “anatocismo”, termine che, per il consumatore medio, poteva rappresentare (per la sua desuetudine lessicale e indipendentemente dalla comprensione del fenomeno giuridico) una sorte di “campanello di allarme” che avrebbe generato il dubbio sulla necessità di un approfondimento maggiore »;
- quanto all’invio di un’ulteriore e diversa comunicazione cartacea, « avente ad oggetto “Nuova informativa Interessi nei contratti bancari” (Unicredit avrebbe cominciato ad inviarla dal 30 settembre 2017 e l’avrebbe trasmessa all’Autorità in data 18 settembre 2017, in allegato alla memoria finale del professionista), […] tale iniziativa è stata adottata dal Professionista solo in chiusura di istruttoria, laddove l’Istituto prospettava di inviare una futura comunicazione (a partire dal 30 settembre) contenente una versione aggiornata dell’informativa e che, in ogni caso, la condotta aggressiva era parallelamente posta in essere per mezzo di pop-up, visibili a partire dal 22 dicembre 2016, nelle homepage delle aree clienti dei consumatori operanti in internet banking »;
- « quanto al mezzo informatico, è risultato che l’Istituto ha utilizzato due banner dispositivi, entrambi privi della possibilità per il consumatore di negare l’autorizzazione all’addebito in conto (una prima versione adottata dal 22 dicembre 2016 ed una seconda adottata a partire dal 21 marzo 2017). In entrambe le versioni, ben descritte nel provvedimento, non era prevista la funzione, per i clienti dei servizi online che non volessero dare l’autorizzazione all’addebito in conto corrente, che consentisse il diniego immediato, in modo da non veder successivamente riproposto il banner »;
- « quanto alla rilevanza attribuibile alla dedotta circostanza che, a partire dal giugno 2017, il pop-up fosse eliminabile (attraverso l’inserimento dell’opzione click sul tasto “X” per uscire dalla schermata), giova ripetere quanto già ritenuto dalla Sezione in un precedente analogo, laddove si è osservato che il sito non prospettava in alcuna sua parte tale scelta in via alternativa (consenso-diniego), ma indirizzava insistentemente solo e sempre verso il consenso »;
- « inoltre, in sede istruttoria sono emersi numerosi altri documenti rinvenuti durante l’ispezione, i quali hanno confermato l’esistenza di una complessiva strategia aziendale tesa ad acquisire il consenso all’addebito, con gli effetti vantaggiosi per la banca ».
In ordine al carattere aggressivo della condotta il T.a.r. sottolineava che:
- il provvedimento chiariva come l’Istituto rappresentasse « ai clienti le sole conseguenze negative della mancata autorizzazione (azioni di recupero, interruzione del rapporto contrattuale, ecc.), senza indicare gli effetti negativi legati alla prestazione del consenso » (con conseguente sussumibilità della fattispecie negli agli artt. 24 e 25 cod. cons.);
- « sia nei moduli personalizzati e precompilati (ove non era affatto prevista la possibilità di negare l’autorizzazione, ma solo di concederla e il correntista veniva indotto a ritenere che l’autorizzazione all’addebito di interessi debitori sul conto corrente fosse la modalità ordinaria di contabilizzazione e di gestione degli stessi, e, allo stesso tempo, veniva indotto a trascurare di valutare che, in caso di rilascio del consenso, gli interessi divenuti esigibili diventano parte capitale con conseguente produzione di interessi sugli stessi interessi debitori), sia attraverso le aree clienti del suo sito internet (attraverso i pop-up, ove era sempre esclusa, per i clienti dei servizi on line che non volessero dare l’autorizzazione all’addebito in conto corrente, una funzione che consentisse di negare immediatamente il consenso), l’Istituto sollecitava il cliente verso una ben precisa scelta commerciale, così comprimendone la libertà negoziale »;
- il menzionato art. 24, nel delineare tale tipologia di illecito, « individua diverse ed equivalenti modalità di lesione dell’autodeterminazione del consumatore, la rilevanza delle quali, più che sulla ricorrenza di specifici comportamenti riconducibili a una casistica chiusa di modalità operative, va valutata sulla base dell'idoneità delle stesse a produrre un effetto di condizionamento del destinatario» e «ciò che rileva […] è la potenzialità lesiva della condotta del professionista, indipendentemente dal pregiudizio causato in concreto al comportamento dei destinatari »;
- « dall’istruttoria svolta è […] emerso che la Banca, nel chiedere l’autorizzazione all’addebito dei dovuti interessi in conto corrente, ha omesso artificiosamente di indicare le conseguenze negative che si producono nel caso in cui tale conto corrente abbia un saldo negativo o insufficiente»;
- nella determinazione della sanzione, l’Autorità si è complessivamente «attenuta ai parametri di riferimento individuati dall’art. 11 della legge n. 689/81, in virtù del richiamo previsto all'articolo 27, co. 13, del d.lgs. n. 206/05, e quindi ha considerato, in generale, la gravità della violazione e la durata della stessa »;
- « la riconducibilità della fattispecie ad un illecito di pericolo esclude, poi, la prospettata marginalità dell’impatto delle condotte sanzionate ».
5.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello Unicredit, chiedendone la riforma sulla base delle seguenti doglianze:
1) Violazione dell’art. 120, comma 2 Testo unico bancario;errore nei presupposti di fatto e di diritto;illogicità della motivazione. Sostiene l’appellante che:
- la sentenza avrebbe omesso di considerare che la previsione degli interessi su interessi è stata prevista dal legislatore (e non da Unicredit) e la relativa disciplina sarebbe stata connotata da incertezza, come sarebbe stato evidenziato pure da Banca d’Italia;nessuna surrettizia reintroduzione dell’anatocismo vi sarebbe dunque stata ad opera della Banca;
- l’affermazione di aver « surrettiziamente reintrodotto l’anatocismo annuale » tradirebbe la inammissibile sopravvivenza di un addebito – quello sub lett. a), archiviato – che sarebbe nato come complemento e corollario della prima e principale ipotesi di infrazione contro cui muoveva AGCM avviando il procedimento e che sarebbe consistita nel verificare se la Banca avesse realmente abbandonato l’anatocismo dopo il divieto;
2) Carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto: erronea valutazione del contesto e delle prescrizioni della Banca d’Italia, manifesta illogicità. Sostiene Unicredit che:
- le indicazioni di Banca d’Italia avrebbero avuto un effetto scriminante ex art. 51 c.p. avendo la Banca adempiuto a un dovere imposto da un ordine della pubblica autorità che rende non punibile la sua condotta, avendo resi edotti i clienti degli effetti negativi della mancata autorizzazione per ottemperare alle indicazioni dell’Autorità di vigilanza (a differenza di quanto ritenuto dal T.a.r. l’efficacia esimente non sarebbe da riferirsi al parere della Banca d’Italia ma alle « indicazioni » da questa fornite);
- in ogni caso si sarebbe trattato di condotta del tutto diligente;
- una esplicitazione, nelle comunicazioni della possibilità di negare il consenso ovvero l’impiego del termine « anatocismo » nessuna conseguenza sostanziale avrebbero prodotto sul cliente (in tal senso la sentenza del T.a.r. determinerebbe incertezza sulla soggezione delle banche agli indirizzi di Banca d’Italia);
3) Carenza e travisamento dei presupposti di fatto, manifesta illogicità.
La mancata previsione nelle comunicazioni della possibilità di negare l’autorizzazione non avrebbe prodotto conseguenze rilevanti considerato che non sarebbe stato ipotizzato nessun meccanismo di silenzio-assenso per il conseguimento dell’autorizzazione e la manifestazione di volontà sarebbe stata, in ogni caso, revocabile (in altre parole nessuna libertà del cliente-consumatore sarebbe stata compressa né, tampoco, in termini di aggressività);
4) Errore nei presupposti di fatto e di diritto;errata sussunzione delle condotte nella fattispecie della pratica commerciale aggressiva. Sostiene Unicredit che:
- quanto nell’invio di moduli precompilati e personalizzati, all’utilizzo di pop-up nell’ home banking dei consumatori che non prevedevano la possibilità di negare immediatamente l’autorizzazione all’addebito in conto, in modo da non vedere successivamente riproposto il banner al successivo accesso, la sentenza avrebbe omesso di considerare che l’addebito di cui trattasi avrebbe, in ogni caso, necessitato di un’azione del consumatore e in tal senso la banca avrebbe fatto presente in più occasioni la libertà di scelta;il modulo inoltrato dalla Banca avrebbe dovuto essere compilato dal cliente (in tal senso vi sarebbero elementi di contraddittorietà nella pronuncia di prime cure);il pop-up sarebbe stato agevolmente eliminabile (aspetti, questi, anche avrebbero dovuto essere diversamente apprezzato rispetto a quelli che avrebbero caratterizzato il procedimento sanzionatorio di altro Istituto di credito);
5) Violazione artt. 24, 25 e 18, lett. l) cod. cons., errata valutazione della sussistenza dell’indebito condizionamento, omessa valutazione degli elementi ex art. 25 cod. cons.
La pronuncia del T.a.r. avrebbe di fatto ricondotto l’operato della Banca alle pratiche aggressive di cui all’art. 26 cod. cons. senza che la condotta fosse, in tesi, riconducibile alla c.d. black list ivi regolata, in mancanza di una verifica degli elementi strutturali (indebito condizionamento) e funzionali della condotta (effetto distorsivo della scelta del consumatore): ciò sulla base di taluni indici quali l’assenza di un comportamento insistente, l’invio delle comunicazioni con largo anticipo, la rappresentazione del rilascio dell’autorizzazione come facoltà, la finalità delle comunicazioni di evitare conseguenze per i consumatori, assenza di aggressività dei banner, numero di autorizzazioni rilasciate inferiore largamente rispetto ai clienti che non avrebbero rilasciato l’autorizzazione, assenza di contestazioni da parte della clientela;
6) Omessa pronuncia;difetto di motivazione sul concreto assetto di interessi in gioco.
Sostiene l’appellante che la sentenza non avrebbe preso in considerazione la addotta carenza di un « giustificabile » interesse del consumatore – sotto vari profili – a denegare l’autorizzazione all’addebito degli interessi in conto corrente;
7) Violazione e falsa applicazione art. 27 cod. cons. e art. 11 l. 689 del 1981;errata e sproporzionata quantificazione della sanzione;violazione del principio di proporzionalità.
La sanzione irrogata non risponderebbe ai parametri normativi di riferimento sul rilevo che:
- la dimensione economica del professionista, correlata al fatturato realizzato e la circostanza che si tratta di uno dei più importanti operatori nel contesto bancario europeo sarebbero elementi inidonei a determinare la gravità della condotta in mancanza di specifiche disposizioni in tal senso, dovendosi modulare la sanzione in ragione della specificità del caso concreto;parimenti ingiustificata sarebbe l’applicazione del massimo edittale, violativa del principio di proporzionalità;
- la gravità sarebbe, altresì, esclusa, dal complessivo assetto della condotta, avuto riguardo all’(asserita) assenza di condizionamento dei clienti, al grado di diffusione e durata della pratica.
6.1.- Si è costituita in giudizio AGCM la quale ha contrastato le pretese dell’appellante ed ha concluso per l’infondatezza del gravame.
6.2.- Il Movimento consumatori APS, sebbene raggiunto dalla notificazione del ricorso in appello, non si è costituito in giudizio.
7.- In prossimità della trattazione Unicredit ha depositato memorie con le quali ha ribadito le proprie tesi difensive.
8.- All’udienza pubblica del 18 gennaio 2024, presenti i procuratori delle parti, l’appello è stato trattenuto in decisione.
9.- L’appello, alla stregua di quanto si dirà, non è meritevole di accoglimento.
10.- La vicenda in rassegna, come si è visto nella ricostruzione in fatto, attiene alla contestazione di una (addotta) pratica commerciale scorretta, nella sua configurazione di pratica commerciale aggressiva, perpetrata da Unicredit s.p.a. nei confronti dei propri clienti nell’ambito dell’attuazione della nuova disciplina sull’addebito degli interessi a mezzo conto corrente bancario.
11.- Prima di esaminare le singole doglianze prospettate dall’appellante, giova ricordare, sul piano della disciplina di settore, la peculiare configurazione del c.d. anatocismo siccome disciplinato nel 2016 con riferimento proprio alla fase di addebito degli interessi su conto corrente, nonché, quanto al versante della configurabilità di una « pratica commerciale scorretta », gli approdi cui è giunta, in tale ambito, la giurisprudenza amministrativa.
12.1.- In ordine al primo aspetto, la trama normativa è stata già compiutamente ricostruita da questa Sezione, in occasione di omologo contenzioso involgente altro Istituto creditizio, nel termini che seguono (cfr. sentenza n. 7794 del 2021):
« Il codice civile prevede all’art. 1283 per gli obblighi riguardanti somme di denaro un generale divieto di anatocismo, salvo specifiche eccezioni: in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti non producono interessi se non dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di un accordo successivo alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. Per gli obblighi nascenti dalle operazioni bancarie il Testo unico bancario prevede una disciplina specifica all’art. 120, co. 2, definisce i criteri e le modalità per il calcolo e l’esigibilità degli interessi e le regole di trasparenza e correttezza che gli intermediari devono rispettare. Nel 2013 il legislatore ha modificato l’art. 120, co. 2, ribadendo il principio della pari periodicità nel conteggio di interessi debitori (detti anche passivi) e creditori (detti anche attivi) in caso di operazioni di credito regolate in conto corrente ed introducendo un generale divieto di produzione di interessi ulteriori da parte degli interessi periodicamente capitalizzati. Nell’aprile 2016 il legislatore ha tuttavia novellato di nuovo l’art. 120, disciplinando i finanziamenti concessi nella forma dell’apertura di credito e lo sconfinamento in un’ottica di adeguata tutela del generale interesse dei clienti. […] Nei rapporti di conto corrente, il cliente, oltre a depositare somme, può utilizzare in modo flessibile un credito accordato dalla banca (scoperto di conto o apertura di credito). In tal caso sono dovuti dal cliente alla banca gli interessi debitori o passivi, per l’utilizzo delle somme messe a disposizione dalla banca. Il cliente ha diversi modi per pagare gli interessi passivi e far proseguire il rapporto di credito con la banca, evitando l’inadempimento:
1) pagare gli interessi debitori attingendo a danaro proprio tenuto su altro conto (tramite un bonifico);2) pagando in contanti allo sportello, con denaro proprio o proveniente da una qualsiasi fonte terza. In questo modo il cliente eviterà una forma di capitalizzazione e quindi l’aumento del debito.
A seguito della modifica normativa citata, il correntista dispone di un altro mezzo per pagare tali interessi: l’autorizzazione preventiva all’addebito degli interessi, al momento in cui divengano esigibili, sul proprio conto, assicurando il pagamento automatico e puntuale ed evitando l’inadempimento e le relative conseguenze (segnalazione dell'esposizione debitoria del cliente alla Centrale dei rischi e/o ai sistemi di informazione creditizia) laddove vi sia sul conto un saldo attivo e sufficiente alla loro copertura. Se il correntista non ha sul conto somme sufficienti per pagare gli interessi passivi al momento in cui essi divengono esigibili, questi si aggiungono al capitale: la somma addebitata è considerata sorte capitale, e ciò significa che essi producono a loro volta interessi. L’autorizzazione (peraltro sempre revocabile) all’addebito in conto comporta infatti che il debito da interessi passivi, in caso di saldo insufficiente o addirittura negativo, sommandosi al capitale dovuto, col passare del tempo (gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili al 1° marzo di ogni anno) produrrà altri interessi, provocando così l’aumento del debito complessivo del cliente.
In altre parole questo comporta una capitalizzazione degli interessi e produzione di interessi c.d. composti, sostanzialmente una parziale reintroduzione (o “resurrezione”) dell’anatocismo bancario ».
12.2.- Sul versante della identificazione degli elementi di una pratica commerciale scorretta è stato ribadito – con principi ai quali si intende dare qui continuità – che:
« la nozione di “pratiche commerciali scorrette” designa le condotte che formano oggetto del divieto generale sancito dall’art. 20 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo). Scopo della normativa è quello di ricondurre l'attività commerciale in generale entro i binari della buona fede e della correttezza. Il fondamento dell'intervento è duplice: da un lato, esso si ispira ad una rinnovata lettura della garanzia costituzionale della libertà contrattuale, la cui piena esplicazione si ritiene presupponga un contesto di piena “bilateralità”, dall'altro, in termini analisi economica, la trasparenza del mercato è idonea ad innescare un controllo decentrato sulle condotte degli operatori economici inefficienti. Le politiche di tutela della concorrenza e del consumatore sono sinergicamente orientate a promuovere il benessere dell'intero sistema economico (così Cons. Stato, sez. VI, n. 2631/2021).
Per “pratiche commerciali” di cui al titolo III della parte II del Codice del consumo si intendono i comportamenti tenuti da professionisti che siano oggettivamente correlati alla promozione, vendita o fornitura di beni o servizi a consumatori, e posti in essere anteriormente, contestualmente o anche posteriormente all’instaurazione dei rapporti contrattuali. La condotta tenuta dal professionista può consistere in dichiarazioni, atti materiali, o anche semplici omissioni. Una pratica commerciale (comma 2) è scorretta se è contraria alla diligenza professionale ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. Il punto di riferimento soggettivo è il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici (CGUE, sentenza C-122/10, ECLI:EU:C:2011:299).
La definizione di pratica scorretta si articola in due categorie: le pratiche ingannevoli (artt. 21 e 22) e le pratiche aggressive (artt. 24 e 25). È considerata pratica aggressiva la pratica commerciale che, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 24). Il concetto di molestie include i comportamenti dell’operatore professionale che recano disagio, disturbo, fastidio al consumatore, inducendo quest’ultimo a ritenere che soltanto acconsentendo ad una determinata decisione di natura commerciale egli possa recuperare il pieno e indisturbato godimento della propria libertà negoziale. Il concetto di coercizione invece allude a quelle forme di coartazione realizzate attraverso la minaccia di un ‘male’ non necessariamente avente il carattere “ingiusto e notevole” proprio della violenza codicistica (1435 c.c.) come conseguenza della mancata effettuazione della scelta che il professionista vuole spingere il consumatore ad adottare. L’indebito condizionamento è espressamente definito dal legislatore con una nozione di chiusura in grado di ‘intercettare’ le condotte aggressive non qualificabili come molestia o coercizione in termini di «sfruttamento, da parte del professionista, di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione tale da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole (art. 18, comma 1, lettera l). Per valutare in concreto l’aggressività delle pratiche commerciali, il legislatore ha disposto che occorre prendere in considerazione tempi, luogo, natura e persistenza della pratica;l’eventuale ricorso a minacce o sfruttamento di qualsivoglia evento tragico occorso al consumatore;qualsivoglia ostacolo (non contrattuale) oneroso e sproporzionato imposto dal professionista al consumatore che intenda esercitare diritti contrattuali;qualsiasi minaccia di promuovere un'azione legale ove tale azione sia manifestamente temeraria o infondata (art. 25).
La pratica aggressiva è caratterizzata come una condotta invasiva che attraverso pressioni limita la libertà di scelta del consumatore. Tale condotta non incide sulla possibilità per il consumatore di acquisire gli elementi conoscitivi necessari circa il contenuto del contrarre, ma sulla stessa volontà di stipularlo. Attraverso la pratica aggressiva, l’operatore si propone di condizionare la volontà del consumatore, facendogli concludere un contratto della cui convenienza non è convinto (Cons. Stato, sez. VI, n. 3904/2012;n. 5795/2017). Affinché si possa parlare di pratica aggressiva è necessaria una sorta di manipolazione concreta della volontà dell’utente, non incidendo meramente e semplicemente sul suo diritto a conoscere le informazioni necessarie ad effettuare una libera e consapevole scelta, ma che si concretizzi in una condotta che sia capace di condizionare il comportamento (e quindi la libertà di scelta) dell’utente.
Ha chiarito infine anche l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato che “difatti, se è vero che a tale ultima nozione [pratica aggressiva] ex art. 24, d.lgs. nr 206 del 2005 è indubbiamente coessenziale l’elemento dell’indebito condizionamento delle scelte del consumatore, nel senso che la pratica aggressiva è anche “scorretta” – e, quindi, sanzionabile da Antitrust – nella misura in cui con essa il consumatore sia indotto a prendere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso (poco rilevando, al riguardo, che questa concerna un prodotto diverso ovvero modalità diverse di acquisto del medesimo prodotto), tuttavia non indifferenti sono anche le modalità con le quali tale risultato viene conseguito, dovendo queste consistere in comportamenti positivi (“molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento”) suscettibili di limitare la libertà di scelta dell’utente” (Cons. Stato, A.P., n. 14/2012) ».
13.- Con il primo motivo Unicredit evidenza che il T.a.r. avrebbe errato nel non considerare la previsione legislativa in tema di interessi su interessi e il carattere controverso della relativa disciplina evidenziando – erroneamente – che Unicredit avrebbe reintrodotto l’anatocismo, considerata l’archiviazione della contestazione sub lett.a) del provvedimento impugnato.
13.1.- Il motivo è infondato.
13.2.- Va rilevata la assoluta autonomia delle condotte contestate da AGCM e identificate sub lett. a) e b) del provvedimento impugnato in prime cure, con la conseguenza che nessuna correlazione di ordine logico poteva rinvenirsi tra le due condotte ai fini dell’espletamento dell’attività sanzionatoria, correttamente distinte dall’Amministrazione e che, quanto alla seconda (sub lett. b) ha visto dar luogo alla irrogazione della sanzione sulla base dei connotati di pratica commerciale scorretta e aggressiva in base ai fatti ivi indicati (diversi dai fatti che avevano dato luogo all’altra contestazione).
Oggetto di contestazione non è, qui, del resto, il « se » la Banca potesse dar luogo a comunicazioni alla clientela riguardanti l’accusabilità dell’autorizzazione all’addebito degli interessi in conto corrente, ma il « come » essa vi avesse proceduto (e il come qui vi abbia proceduto), sia con riferimento alle modalità materiali, sia con riferimento ai contenuti delle proprie interlocuzioni con i clienti (e correlata idoneità o meno ad incidere sulle scelte dei consumatori, qui titolari di conto corrente bancario).
È da escludere, dunque, che la contestazione sub lett. b) del provvedimento impugnato si ponesse come surrettizia riproposizione, a carico della Banca, della contestata violazione del divieto di anatocismo sub lett. a). In tal senso è chiaro, nella sentenza impugnata, il riferimento dell’iter argomentativo alle modalità applicative delle norme discendenti dalla « modifica apportata all’art. 120 del TUB dall’art. 17 bis del d.l. n. 18/2016, convertito, con modificazioni, in legge 8 aprile 2016, n. 49 ».
14.- E’ infondato il secondo motivo d’appello con il quale Unicredit invoca l’effetto scriminante della condotta in ragione dell’asserita esecuzione di obblighi fissati dall’Autorità di vigilanza.
14.1.- Ove pure si volesse ritenere che l’attività della Banca trovasse un referente, in termini di indirizzo, nelle indicazioni dell’Autorità di vigilanza, essa, comunque, risulta essere stata svolta – nella corretta valutazione di AGCM – in modo disfunzionale rispetto alle regole a presidio di una condotta conforme alla tutela del consumatore.
14.2.- In tal senso va ancora ribadito che oggetto di contestazione non era la scelta di informare i clienti (qui in vario modo declinate), quanto le modalità con le quali le modalità comunicative hanno trovato attuazione: in tal senso non potrebbe ritenersi operante, ai fini della pratica commerciale scorretta, la scriminante di cui all’art. 51 c.p. in favore del soggetto che, consapevolmente, abbia dato seguito alle indicazioni dell’organo di vigilanza in modo del tutto disfunzionale rispetto a quanto previsto.
14.3.- Anche il giudizio di sussistenza degli elementi propri di una pratica aggressiva, in mancanza di diligenza professionale e con l’effetto di falsare il comportamento economico del consumatore, risulta immune alle critiche prospettate.
14.4.- La Banca ha inoltrato ai clienti moduli senza possibilità di scegliere una opzione diversa da quella dell’autorizzazione all’addebito e ha dato luogo a sollecitazioni varie attraverso l’impiego di pop-up nel sistema internet banking che in modo del tutto logico e ragionevole sono state considerate da AGCM – poiché finalizzate, con insistenza, ad acquisire l’autorizzazione all’addebito – idonee a condizionare pesantemente l’operato del consumatore.
14.5.- E’ del tutto evidente che detto modus operandi , compreso il mancato utilizzo del termine « anatocismo », così come la mancata previsione dell’opzione volta a negare il consenso unitamente alla spiegazione degli effetti di ogni soluzione, non potevano rivelarsi neutrali – nel giudizio di AGCM – rispetto alla sfera soggettiva del consumatore, hanno chiaramente indotto, con modalità sollecitatorie e ripetute, all’autorizzazione all’addebito. In tal senso, la posizione dell’appellante circa la rilevanza della carenza di effetti sostanziali sul consumatore discendenti dalla condotta della Banca non può trovare condivisione dovendosi guardare all’astratta idoneità dell’operato dell’Istituto di credito a conformare, in violazione della disciplina consumeristica di riferimento, le scelte dei consumatori.
14.6.- A ciò va aggiunto che Banca d’Italia aveva sospeso, a tutela dei consumatori, in via provvisoria le segnalazioni alla centrale dei rischi delle informazioni negative « in modo da non far emergere informazioni negative derivanti unicamente dalla mancata autorizzazione all’addebito » (cfr. nota della Banca d’Italia n. 226588 del 21 febbraio 2017, in atti): quei medesimi clienti, come opportunamente osservato dalla memoria di AGCM (pag. 14), « cui Unicredit non consentiva una tale valutazione, in quanto destinatari di moduli precompilati e/o pop-up in cui era presente la sola opzione di autorizzazione all’addebito in c/c senza alcuna possibilità alternativa, con il contestuale avviso circa le sole possibili conseguenze negative in caso di mancata autorizzazione, tra cui la segnalazione alle banche dati finanziarie e creditizie sui cattivi pagatori ».
15.- Tali considerazioni mostrano pure l’infondatezza del terzo motivo d’appello: la revocabilità del consenso reso dal cliente e l’assenza di meccanismi di autorizzazione tacita nelle interlocuzioni svolte in vario modo con i clienti, correttamente sono stati ritenuti non elidere l’illiceità della condotta in termini di contenuti e di aggressività, considerati i modi e i contenuti del condizionamento posto in essere nella percezione del consumatore.
16.- Il quarto motivo d’appello è volto a criticare la sentenza impugnata poiché la stessa non avrebbe preso in adeguata considerazione le modalità materiali di sollecitazione al rilascio dell’autorizzazione, attraverso moduli precompilati e l’impiego di pop-up in internet banking , ossia la circostanza che in tutte le diverse situazioni sarebbe stato necessario, in vario modo, un atto del cliente espressivo della sua volontà.
16.1.- Il motivo è infondato.
16.2- Correttamente il T.a.r. ha riscostruito la scansione diacronica delle comunicazioni cartacee e dei banner informatici, evidenziando come, in ogni caso, non fosse prevista la possibilità di un diniego dell’autorizzazione all’addebito « il sito non prospettava in alcuna sua parte tale scelta in via alternativa (consenso-diniego), ma indirizzava insistentemente solo e sempre verso il consenso » (cfr. sentenza appellata). La connotazione di aggressività correttamente è stata correlata a una valutazione globale dell’attività posta in essere da Unicredit, sia sul piano materiale, sia sul piano dei contenuti.
16.3- La condotta seguita si mostrava, agli occhi del consumatore, come volta a ritenere il rilascio dell’autorizzazione quale modalità ordinaria, naturale, e pressoché dovuta, priva di effetti negativi, a pena di segnalazione, laddove sussistenti i presupposti, alla centrale dei rischi ivi menzionata.
16.4.- Il tutto senza peraltro indicare che in caso di autorizzazione del correntista – e addebito degli interessi – la somma inizialmente dovuta sarebbe aumentata a suo carico (aspetto, questo, puntualmente trattato sul piano sostanziale nel provvedimento di AGCM, pag. 41).
16.5.- Anche l’esame del dettaglio delle modalità comunicative (richiamate in seno alla descrizione del motivo in rassegna) – che parte appellante valorizza nel senso che esse non avrebbero escluso ed anzi avrebbero imposto che il consumatore esercitasse un atto di volontà, anche attraverso un « click » – restituisce un assetto nel quale esse correttamente sono state ritenute, in modo più o meno esplicito ma compiuto, inidonee a dar luogo ad una dequotazione (o elisione) del carattere illecito della condotta e ciò avuto riguardo alla altrettanto correttamente evidenziata idoneità della stessa, complessivamente intesa a condizionare in modo forte la scelta dei clienti conformandone l’esercizio della volontà, in mancanza – in ogni caso – di un’opzione volta a negare immediatamente il consenso.
16.6.- In tal senso nessuna concreta rilevanza poteva assumere la dedotta non riconducibilità della fattispecie ad una delle previsioni della c.d. lista nera di condotte contemplata dal Codice del consumo in presenza – qui – di tutti i presupposti per la connotazione delle azioni di Unicredit come pratica commerciale aggressiva sia sul piano strutturale, sia sul piano funzionale.
16.7.- A ciò deve essere aggiunto che la percentuale di clienti che ha deciso di non concedere l’autorizzazione, pur incrementato del numero di coloro che non avevano effettuato una scelta, è del tutto neutra nell’economia complessiva del procedimento, rispetto alla condotta contestata. D’altronde, si verte qui in un illecito pericolo e non di danno: cfr. in tal senso, tra le diverse, Cons. Stato, sez. VI, n. 5396 del 2018, secondo cui « la natura di illeciti di pericolo, e non di danno, delle condotte in questione comporta che l’Autorità, nell’accertare il carattere scorretto e ingannevole della pratica, è chiamata a valutare l’impatto della condotta posta in essere con riguardo al potenziale condizionamento dell’autodeterminazione del consumatore, anche a prescindere dagli effetti concreti, in termini di vantaggio economico, verificatisi per il professionista ».
17.- Né in tal senso, anticipando qui il sesto motivo d’appello – sul versante delle effettive conseguenze sul cliente – l’idea che i correntisti non potessero subire dall’autorizzazione un pregiudizio sul piano sostanziale (e così non è) poteva ragionevolmente indurre a conclusioni differenti: a parte l’esistenza del potenziale pregiudizio (incremento delle somme dovute), una comunicazione correttamente resa avrebbe dovuto renderli edotti, con modalità non aggressive, di ogni possibilità a costoro concessa e relativi effetti correlati: ciò che è stato dimostrato non essere avvenuto in conformità alle regole di condotta, a tutto vantaggio dell’esclusivo interesse della Banca.
18.- Il quinto motivo d’appello è volto a sostenere la carenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione nella misura massima
18.1.- Il motivo è infondato.
18.2.- Il T.a.r. ha evidenziato che:
- AGCM « ha considerato, in generale, la gravità della violazione e la durata della stessa »;
- « con riferimento alla gravità della violazione, il provvedimento ha evidenziato la dimensione economica del professionista, correlata al fatturato realizzato, e desunta dal fatto che si tratta di uno dei più importanti operatori nel contesto bancario italiano ed europeo, considerato dalla BCE di rilevanza strategica»; «ha poi tenuto conto della particolare rilevanza della pratica, come apprezzata nella valutazione conclusiva, del grado di diffusione della stessa e della sua durata (iniziata nell’ottobre 2016 e ancora in corso al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, ottobre 2017) »;
- sarebbe stato posto in essere un corretto apprezzamento « della gravità della pratica, considerata anche la puntuale e argomentata motivazione del provvedimento in ordine all’idoneità della condotta posta in essere dal professionista a produrre l’indebito condizionamento dei consumatori »;
- « la riconducibilità della fattispecie ad un illecito di pericolo esclude, poi, la prospettata marginalità dell’impatto delle condotte sanzionate »;
- la somma irrogata non « importa una violazione del principio di ragionevolezza, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini di un’efficace funzione deterrente, la sanzione va parametrata al fatturato realizzato dall’impresa e non al prodotto di volta in volta coinvolto nella condotta accertata »;
- « ugualmente deve essere respinta la contestazione circa la mancata concessione di attenuanti per gli interventi “migliorativi” che il Professionista avrebbe posto in essere, attesa l’inidoneità della semplice introduzione del tasto “X” (sulla finestra pop-up del sito internet) ad eliminare i profili di scorrettezza della pratica »;
- « un eventuale vizio di disparità di trattamento postula in ogni caso l'identità delle situazioni di base poste a raffronto e la completa sovrapponibilità di tutti gli elementi di rilievo delle fattispecie […];in ogni caso, neppure sussiste un interesse giuridicamente rilevante a contestare l’entità della sanzione irrogata a un’altra impresa, atteso che quand’anche la diversità di trattamento fosse in concreto dimostrata, ciò resterebbe del tutto irrilevante ai fini del giudizio di legittimità del trattamento asseritamente deteriore patito dalla parte ricorrente ».
18.3.- Tale iter argomentativo merita condivisione.
18.4.- Va, sul punto, evidenziato che la quantificazione complessiva della sanzione irrogata dall’Autorità è congrua e ragionevole e supportata da adeguata motivazione: in sede di quantificazione della sanzione, AGCM ha preso in considerazione congiuntamente una pluralità di aspetti operando, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità riconosciutale dalla legge (e, segnatamente, dall'art. 11, l. 689 del 1981, richiamato dall'art. 27, comma 13, del Codice del consumo), una valutazione sintetica, globale e proporzionata.
18.5.- I criteri generali di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie sono rinvenibili nell’ambito dell’art. 11 l. 689 del 1981, per il quale, « nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche » (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 24 agosto 2011 n. 4799).
18.6.- Ora, nella vicenda per cui è causa, AGCM ha fatto corretto utilizzo dei parametri di legge valorizzando diversi concreti e elementi che, a differenza di quanto ritenuto da Unicredit, concorrevano, tutti, alla perimetrazione del giudizio di gravità
a) la dimensione economica del professionista;b) l’indebito condizionamento – in termini di gravità della condotta – nei confronti della clientela;c) il grado di diffusione della pratica estesa a tutta la clientela ;d) la durata della condotta (« a decorrere dal mese di ottobre 2016, data di inizio dell’invio dei moduli personalizzati e precompilati in allegato alle citate comunicazioni effettuate ai sensi dell'articolo 118 del T.U.B. circa la modifica delle clausole contrattuali relative al calcolo degli interessi nei rapporti di conto corrente e di apertura di credito in conto corrente », « ancora in corso »).
Quanto a quest’ultimo profilo temporale il giudizio di durata della condotta non muta in ragione degli adeguamenti delle informazioni informatiche evidenziate dalla Banca avuto riguardo alla irrilevanza degli stessi circa la persistenza degli elementi di illiceità della condotta che hanno continuato a essere presenti. In ogni caso opportunamente AGCM ha ricordato la giurisprudenza di questa Sezione – alla quale va data continuità – secondo cui « ai sensi dell’art. 11 della L. 24 novembre 1981, n. 689, richiamato dall’art. 27, comma 13, del Codice del consumo, i comportamenti (idonei a eliminare o attenuare le conseguenze della violazione) che possono rilevare ai fini della diminuzione della sanzione, sono solo quelli che l'agente assume consapevolmente, spontaneamente e operativamente prima dell'apertura del procedimento sanzionatorio nei suoi confronti » (così Cons. Stato sez. VI, n. 1425 del 2020).
Quanto all’importanza del professionista anche sul piano internazionale, tale connotazione indicata nel provvedimento impugnato in prime cure è da ritenersi riferita alla dimensione economica del professionista, costituente parametro sul quale pure determinare la sanzione (art. 11 l. n. 689 del 1981).
19.- La sanzione irrogata a Unicredit s.p.a. va, dunque, confermata in euro cinque milioni.
20.- Conclusivamente l’appello va rigettato con conseguente conferma della sentenza impugnata.
21.- Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate, nei confronti di AGCM, nella misura indicata in dispositivo. Non è luogo a statuizione sulle spese nei confronti di Movimento consumatori APS, non costituito in giudizio.