Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-07-15, n. 201904963

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-07-15, n. 201904963
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904963
Data del deposito : 15 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/07/2019

N. 04963/2019REG.PROV.COLL.

N. 00432/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 432 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati C V e G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G C in Roma, via Cicerone n. 44;

contro

Ministero dell'Interno e Ufficio Territoriale del Governo di Torino, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Questura di Asti, U.T.G. - Prefettura di Asti, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Torino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2019 il Cons. Ezio Fedullo e uditi l’Avvocato G C, per la parte appellante, e l'Avvocato dello Stato Melania Nicoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza appellata, il T.A.R. Piemonte si è pronunciato sul ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il provvedimento della Prefettura di Torino del 1° agosto 2016, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materiali esplodenti, avverso il provvedimento della Questura della Provincia di Asti del 21 maggio 2016, recante il diniego di rilascio di licenza di porto di fucile per uso sportivo, ed infine avverso il provvedimento della Prefettura della Provincia di Asti del 16 giugno 2016, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materiali esplodenti.

Premesso che i provvedimenti impugnati traggono origine dalla misura cautelare degli arresti domiciliari cui, in data 31 marzo 2016, l’interessato veniva sottoposto dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, in quanto gravemente indiziato del delitto di associazione per delinquere finalizzata a commettere reati finanziari e truffe ai danni dei consumatori nonché del concorso nel delitto in abusiva attività finanziaria transnazionale, e che la misura medesima veniva revocata in data 9 giugno 2016 per la cessazione delle esigenze cautelari ad essa sottese, il T.A.R. ha dichiarato l’improcedibilità della domanda di annullamento concernente il provvedimento della Prefettura di Torino del 1° agosto 2016, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materiali esplodenti, in quanto successivamente revocato in autotutela con decreto della medesima Autorità del 20 settembre 2016, sul rilievo che esso era scaturito da un procedimento meramente duplicativo di quello instaurato dalla Prefettura di Asti.

Quanto invece ai motivi di ricorso rivolti avverso il provvedimento del Questore di Asti del 21 maggio 2016, di diniego di rilascio della licenza di porto di fucile per l’esercizio dello sport del tiro a volo, il T.A.R. li ha dichiarati infondati sulla scorta della sua ravvisata correttezza, sotto i profili censurabili (e concretamente censurati in ricorso) in sede di giudizio di legittimità, evidenziando che “il giudizio prognostico di non affidabilità nell’uso delle armi è stato correttamente reso dalla Questura sulla scorta di indizi ricavabili dalla esistenza di numerose indagini penali per delitti patrimoniali, societari e fallimentari e dalla esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe finanziarie in più di uno Stato” ed aggiungendo che “il riferimento alle condotte poste in essere all’interno di un sodalizio criminale, dedito al commercio transnazionale di fideiussioni abusivamente rilasciate, al quale il signor -OMISSIS- collaborava attivamente abusando della sua qualità di presidente del collegio sindacale di una società finanziaria, è sufficiente ad evidenziare un’indole non rispettosa delle regole del vivere civile ed una condotta di vita professionalmente rivolta a commettere illeciti”.

Quanto invece all’intervenuta revoca della misura cautelare, il T.A.R., con la sentenza appellata, ne ha sottolineato l’irrilevanza perché disposta, a seguito delle dimissioni del ricorrente dalla carica di presidente del collegio sindacale e della cessazione dell’attività sociale, per effetto del venir meno dell’esigenza cautelare del pericolo di commissione di gravi delitti ( ergo , non per considerazioni attinenti al fumus boni iuris ), ed analoghe conclusioni sono tratte dal T.A.R. con riferimento all’archiviazione dei procedimenti per i delitti fallimentari, derivata dal rilievo della mancanza dell’elemento soggettivo.

Infine, il T.A.R. ha rilevato che “il possesso di un’arma in un contesto di complessi rapporti con i partecipi dell’associazione per delinquere, con i concorrenti negli altri delitti a sfondo patrimoniale e con le numerose vittime delle truffe rende altamente probabile il rischio che il ricorrente abusi dell’arma, quantomeno per scopi difensivi”.

Analoghe considerazioni reiettive, che qui è inutile ripetere, sono state formulate dal T.A.R. con riguardo alle censure rivolte avverso il provvedimento della Prefettura della Provincia di Asti del 16 giugno 2016, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materiali esplodenti.

Mediante i motivi di appello, qui sinteticamente richiamati, la parte appellante contesta in primo luogo la legittimità del provvedimento di divieto di detenere armi e munizioni, rilevandone la carenza motivazionale quanto al nesso tra le ipotesi criminose contestate ed il pericolo di abuso delle armi, non potendosi dalle prime ricavare alcuna indicazione indiretta riguardo ad una supposta propensione all’abuso delle armi medesime, né costituendo la buona condotta un presupposto per la legittima detenzione delle armi.

Quanto invece al provvedimento di diniego di rilascio della licenza di porto di fucile per uso sportivo (tiro al volo), incentrato, oltre che sulla citata ordinanza cautelare, sulla segnalazione del 22 aprile 2010 della Polizia Tributaria di Macerata per reati di natura finanziaria, l’appellante, oltre ad evidenziare che il procedimento cui quest’ultima inerisce è stato archiviato, ribadisce l’illegittimità di qualunque automatismo tra procedimento penale per reati non attinenti alle armi e giudizio di inaffidabilità, allegando altresì che le affermazioni contenute nella sentenza appellata in ordine all’”indole non rispettosa delle regole del vivere civile” ed alla “condotta di vita professionalmente rivolta a commettere illeciti” dell’appellante, oltre ad essere estranee al corredo motivazionale del provvedimento impugnato, confliggono con il principio di cui all’art. 27 Cost..

Analoghe deduzioni, quanto alla loro estraneità al contenuto motivazionale del provvedimento, vengono svolte con l’atto di appello in relazione alla affermata (dal giudice di primo grado) possibile utilizzazione delle armi da parte dell’appellante per finalità difensive.

La difesa erariale si oppone all’accoglimento dell’appello.

Tanto premesso, l’appello è parzialmente meritevole di accoglimento.

Sono in particolare fondate, ad avviso della Sezione, le censure formulate avverso la sentenza appellata nella parte in cui ha respinto la domanda di annullamento concernente il provvedimento impositivo del divieto di detenere armi e munizioni.

Deve premettersi che, ai sensi dell’art. 39 R.D. n. 773 del 18 giugno 1931, “il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”.

Il cd. pericolo di abuso, elevato dalla disposizione citata a presupposto legittimante l’adozione del divieto, si fonda su una ragionevole valutazione condotta dall’Amministrazione, di cui deve essere data esaustiva esternazione nel provvedimento inibitorio, in ordine alla mancanza del necessario affidamento dato dal suo destinatario circa l’esercizio della facoltà detentiva in condizioni di totale sicurezza, ovvero senza che la stessa possa rappresentare la condizione per la realizzazione di situazioni o condotte atte a compromettere i beni dell’ordine, della sicurezza pubblica e della pubblica e privata incolumità, alla cui primaria tutela quel divieto è preordinato.

E’ noto che, ai fini dell’accertamento del presupposto del divieto, l’Amministrazione esercita un potere connotato in senso tipicamente discrezionale, essendo demandate alla stessa l’accurata acquisizione e l’attenta ponderazione delle circostanze rilevanti ai fini del compimento della suddetta valutazione, in vista della individuazione, particolarmente nelle situazioni in cui il presupposto legittimante l’esercizio del potere inibitorio non sia plasticamente configurabile né ictu oculi rilevabile, di un ragionevole punto di equilibrio tra esigenze contrapposte, pur nella considerazione della natura cedevole dell’interesse del cittadino, proteso alla conservazione/acquisizione della facoltà di detenzione delle armi, a fronte del preminente interesse pubblico come dianzi delineato.

La necessità di uno specifico apprezzamento ed esplicitazione del “pericolo di abuso”, non esauribile nella mera menzione di eventuali addebiti mossi in sede penale all’interessato (quale che sia lo stato del relativo procedimento), emerge con evidenza dalla comparazione della disposizione citata con quelle (artt. 11, comma 2, e 43, comma 2, D.R. cit.) disciplinatrici delle condizioni per il rilascio del titolo di polizia avente ad oggetto il porto delle armi (a mente delle quali, rispettivamente, “le autorizzazioni di polizia possono essere negate…a chi non può provare la sua buona condotta” e “la licenza può essere ricusata… a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”): invero, il “pericolo di abuso”, rispetto alla (mancanza di) “buona condotta”, costituisce un elemento ostativo di carattere qualificato, perché presuppone non solo che l’interessato sia destinatario di rilievi suscettibili di compromettere ( hic et nunc ) la sua immagine di moralità e incensuratezza, indipendentemente dalla sussistenza di specifici elementi di collegamento con la materia delle armi (ed il pericolo di abusarne), ma che dalle contestazioni formulate nei suoi confronti in sede penale - alla luce dei relativi profili caratterizzanti, sul piano fattuale e giuridico - siano evincibili concreti elementi indicativi del rischio di utilizzare le armi in modo improprio, se non addirittura offensivo.

Tanto premesso, applicando le descritte coordinate interpretative alla fattispecie oggetto di giudizio, deve osservarsi che la condotta penalmente illecita attribuita all’appellante (ed ancora oggetto di accertamento nella pertinente sede processuale) si è esplicata in un ambito, inerente alla commissione di reati contro il patrimonio ed all’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria, da cui non è possibile dedurre in modo meccanico implicazioni in ordine al pericolo di abuso delle armi da parte dell’appellante;
né l’Amministrazione ha indicato, nel provvedimento impugnato in primo grado, le concrete ragioni per le quali ha ritenuto di desumere dalle circostanze fattuali contestate in sede penale elementi indiziari della ridotta affidabilità in materia di detenzione di armi.

Basti considerare che il provvedimento di divieto (da cui emerge peraltro una non chiara distinzione della fattispecie de qua da quella relativa al rilascio del titolo di polizia, come si evince dal richiamo da esso operato, ai fini giustificativi della sua adozione, al requisito della “buona condotta”) si fonda sul reiterato quanto apodittico accenno al venir meno della affidabilità dell’appellante, omettendo di considerare che non di generico intuitus fiduciae si tratta, quale presupposto condizionante la detenibilità delle armi, ma di specifico affidamento di non abusare di queste ultime.

Quanto poi alla giustificazione del provvedimento di divieto, che il giudice di primo grado ha ritenuto di ravvisare nel rischio di conflittualità che potrebbe determinarsi tra l’appellante e le (presunte) vittime delle truffe, trattasi di rilievo privo di valenza giustificativa, sia perché estraneo al corredo motivazionale degli atti impugnati, sia perché fondato su una ricostruzione presuntiva del pericolo di abuso dai contorni eccessivamente sfumati (siccome operata, cioè, sulla scorta della attribuzione di una indole aggressiva ai consumatori prima ancora che all’appellante).

Deve solo evidenziarsi che le considerazioni svolte sono in linea con quelle formulate, in analoga fattispecie, da questa Sezione (cfr. sentenza n. 3092 del 12 luglio 2016), allorché è stato affermato che “si può dare per certo che nessun addebito specifico sia mai stato mosso al ricorrente - legittimo detentore di armi per decenni (dal 1967) per l’esercizio della caccia - riguardo alla correttezza ed avvedutezza nella custodia e nel maneggio delle armi medesime. L’unico elemento a suo carico, alla data di adozione dell'atto impugnato, risultava essere la condanna "patteggiata" (emessa nei suoi confronti in qualità di rappresentante legale di una società) per frode fiscale (evasione di IVA) continuata mediante falso (emissione di fatture per operazioni inesistenti), nonché per associazione a delinquere finalizzata alla frode con l’applicazione della pena di anni due e mesi nove di reclusione, più le pene accessorie del caso. Ai fini dell'applicazione dell’art. 39, T.U.L.P.S. si richiede il ragionevole sospetto (desunto anche da elementi indiziari, non necessariamente di rilevanza penale) che il soggetto non dia pieno affidamento di non abusare delle armi. Non è, dunque, necessario che vi siano stati episodi di abuso effettivo delle armi ovvero di trascuratezza nella loro custodia, essendo sufficiente il mero rischio di tale abuso, mentre sono certamente rilevanti anche le manifestazioni di aggressività verso le persone, seppure senza l’impiego di armi;
ovvero manifestazioni di scarso equilibrio, scarsa capacità di autocontrollo oppure la vicinanza ad ambienti della criminalità organizzata. Peraltro, come espone l’appellante, non ricorrono neanche i presupposti per l’applicazione delle ipotesi ostative contemplate nell’art.11 e nell’art.43 TULPS, in quanto la condanna penale riportata non riguarda i reati indicati nelle citate disposizioni come fattispecie automaticamente ostative al rilascio del porto di armi. Invece, poiché i reati addebitati all'attuale appellante non sembrano di per se stessi significativi del pericolo di abuso delle armi, l’impugnato diniego di rinnovo del permesso di detenere armi per uso caccia risulta carente di adeguata motivazione, ove si consideri che il Prefetto non ha illustrato il percorso logico-giuridico attraverso il quale il progetto illecito della frode fiscale mediante falso documentale viene assunta come un elemento indiziario della ridotta affidabilità in materia di detenzione di armi”.

L’appello quindi, limitatamente al provvedimento di divieto di detenere armi e munizioni, è meritevole di accoglimento, potendo dichiararsi l’assorbimento degli ulteriori motivi di appello che lo riguardano;
resta ferma la possibilità per l’Amministrazione di rideterminarsi indicando le concrete ragioni per le quali ritiene di desumere dalle circostanze fattuali contestate in sede penale elementi indiziari della ridotta affidabilità in materia di detenzione di armi.

A diverse conclusioni deve pervenirsi in relazione al provvedimento di diniego di rilascio della licenza di porto di fucile per uso sportivo.

Come si è detto, la relativa potestà autorizzatrice è ancorata alla sussistenza di un presupposto diverso e più restrittivo di quello previsto in materia di divieto di detenzione di armi, normativamente sintetizzato nel requisito della cd. buona condotta.

Invero, come già evidenziato, tale requisito presenta una latitudine applicativa maggiormente estesa di quello relativo al cd. pericolo di abuso, potendo essere compromesso anche da fatti che, senza determinare il secondo, siano suscettibili di minare seriamente il rapporto di fiducia, incentrato sull’assenza di rilievi in ordine all’atteggiamento di perfetta adesione dell’interessato ai precetti dell’ honeste vivere , che deve sussistere con l’Amministrazione autorizzante.

Ebbene, nella specie tale rapporto deve ritenersi compromesso dalle contestazioni formulate in sede penale nei confronti dell’appellante, tanto più in quanto incentrate non su fatti criminosi di carattere episodico, ma aggravati dalla loro (ipotizzata) commissione entro una cornice di carattere associativo, che rispecchia un’indole irrispettosa delle norme maggiormente radicata.

Non rileva, da questo punto di vista, che i fatti contestati non abbiano ricevuto il crisma dell’accertamento definitivo, trovando fondamento comunque in un’ordinanza applicativa della misura restrittiva degli arresti domiciliari, adottata sulla scorta della sussistenza di gravi indizi di responsabilità.

Né assume rilievo decisivo il fatto che il provvedimento di diniego, come già accennato, sconti un certo grado di confusione tra i presupposti applicativi del divieto di detenere armi e munizioni e del provvedimento di diniego di rilascio della licenza di porto d’armi, laddove richiama il cd. pericolo di abuso e la non affidabilità dell’appellante (piuttosto che la carenza del requisito della buona condotta): basti osservare che ciò che rileva, ai fini giustificativi del provvedimento impugnato, è l’indicazione degli elementi di fatto assunti a suo fondamento e la loro idoneità ad integrare il (giusto) presupposto del diniego.

Nemmeno può attribuirsi rilievo, in senso favorevole all’appellante, alla sentenza del Tribunale di Macerata n. -OMISSIS- del 5 aprile 2019, depositata agli atti del giudizio in data 16 maggio 2019, con la quale il medesimo è stato assolto dal reato di bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della società -OMISSIS-, contestato sulla scorta della carica rivestita dal suddetto di presidente del consiglio di amministrazione, perché i fatti non sussistono.

Premesso che, con successive memorie, l’appellante ha chiarito che la sentenza concerne i fatti (per alcuni dei quali è già precedentemente intervenuta l’archiviazione) oggetto della nota del 22 aprile 2010 del Nucleo di Polizia Tributaria di Macerata, con la quale l’appellante sarebbe stato “segnalato” per i reati di false comunicazioni sociali, bancarotta fraudolenta e truffa, deve osservarsi che l’intervenuta assoluzione concerne solo una parte delle contestazioni mosse all’appellante, laddove il provvedimento impugnato si incentra, in termini assolutamente prevalenti, sui (diversi) fatti oggetto dell’ordinanza cautelare suindicata.

L’appello, in conclusione, deve essere accolto in parte, potendo dichiararsi l’assorbimento delle censure non esaminate concernenti il provvedimento di divieto di detenere armi e munizioni.

Sussistono, in ragione dell’esito della controversia, giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.

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