Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-12-17, n. 202008114
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Pubblicato il 17/12/2020
N. 08114/2020REG.PROV.COLL.
N. 01865/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1865 del 2020, proposto dalla società -O- s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
l’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia Romagna (ARPAE), in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G F e P O, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Ministero della Difesa, Regione Carabinieri Forestali dell’Emilia Romagna, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
la Società -O-s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Benassi e Antonella Benassi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di -O-, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, sede staccata di Parma, n. -O-, resa tra le parti, concernente l’individuazione del responsabile di un inquinamento, ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006, e il conseguente ordine di bonifica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia Romagna (ARPAE), del Ministero della Difesa e della Società -O-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2020 il consigliere Nicola D'Angelo e uditi, per la società appellante, l’avvocato E S, per ARPAE, l’avvocato G F, per la Società -O-, gli avvocati Stefania Benassi e Antonella Benassi e, per il Ministero della Difesa, l'avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società -O- ha chiesto al Tar per l’Emilia Romagna, sede staccata di Parma, l’annullamento dell'ordinanza n. 20976 del 21 dicembre 2018 con la quale l’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia Romagna (di seguito ARPAE) l’ha individuata quale soggetto responsabile dell'inquinamento di alcuni terreni nel Comune di -O-, ordinando contestualmente la bonifica di siti contaminati previa presentazione, entro novanta giorni, del piano di caratterizzazione conforme all’Allegato 2 al Titolo V della parte quarta del d.lgs. n. 152/2006 (di seguito testo unico dell’ambiente).
1.1. In particolare, la società -O- è autorizzata presso il Comune di -O- all’attività di trattamento e recupero dei rifiuti e nell’ambito della stessa utilizza due capannoni affittati dalla Società -O-nel Comune di -O- per lo stoccaggio del fertilizzante (gessi di defecazione) prodotto dal trattamento di materiali biologici.
1.2. A seguito di una attività di controllo effettuata nell’agosto 2017 da parte della Regione Carabinieri Forestali dell’Emilia Romagna, nucleo di -O-, è stato disposto il sequestro preventivo (misura confermata dal Tribunale del riesame) dei gessi di defecazione presenti nei suddetti capannoni in ragione del riscontrato inquinamento dei terreni limitrofi.
1.3. Nel corso del successivo procedimento penale (n. 4418/2017) l’ufficio del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia ha disposto l’esecuzione di una perizia nelle forme dell’incidente probatorio per l’accertamento della natura e delle caratteristiche dei materiali sotto sequestro. Tale accertamento ha tuttavia escluso un nesso di causalità tra la presenza dei gessi di defecazione nei capannoni e i parametri relativi all’inquinamento delle aree limitrofe.
1.4. Con ordinanza n. 21 del 4 luglio 2018 il Comune di -O- ha disposto comunque a carico della -O- l’attivazione delle procedure di messa in sicurezza e bonifica dei suoli (l’ordinanza comunale è stata adottata a seguito di richiesta dei Carabinieri Forestali di Reggio Emilia che avevano evidenziato la presenza di composti inorganici idrocarburi C10-C40 “ con superamento preoccupante della soglia CSC nei terreni limitrofi ai capannoni ”).
1.5. La società ha quindi impugnato l’ordinanza dinanzi al Tar per l’Emilia Romagna, sede staccata di Parma, che con sentenza n. -O-ha accolto il ricorso (per incompetenza del Comune ad emettere il provvedimento).
1.6. Nel frattempo ARPAE ha dato avvio al procedimento di individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, ai sensi dell’art. 244, comma 2, del testo unico dell’ambiente, nei confronti della società -O- e della Società -O-. In riscontro alla comunicazione di avvio del procedimento, la -O- ha evidenziato le risultanze peritali dell’incidente probatorio in ordine all’assenza di responsabilità nella contaminazione delle aree prossime ai capannoni (in sostanza, l’inesistenza di fenomeni di dispersione nell’ambiente esterno).
1.7. L’ARPA ha comunque provveduto ad adottare l’ordinanza impugnata anche sulla base della nota dei Carabinieri Forestali di Reggio Emilia n. 4613 del 17 settembre 2018.
1.8. Contro l’ordinanza, la società -O- ha proposto ricorso sulla base dei seguenti motivi di censura.
1.8.1. Con il primo motivo ha contestato che ARPAE avrebbe individuato il soggetto responsabile in base ad un’arbitraria presunzione, in violazione della normativa di riferimento (art. 242 ss. del testo unico dell’ambiente) e alla giurisprudenza in materia, che richiederebbe invece un accertamento rigoroso ed effettivo del responsabile;
1.8.2. Con il secondo motivo ha eccepito che l’impiego delle soglie di contaminazione relative al verde pubblico residenziale contrastava apertamente con la concreta destinazione artigianale/produttiva delle aree circostanti i capannoni, in specie a seguito dell’introduzione del DM n. 46 del 2019, che ha previsto una disciplina innovativa in materia di bonifiche delle aree agricole valorizzando l’effettivo scenario di esposizione.
1.8.3. Con il terzo motivo, ha rilevato un’illegittima assimilazione da parte di ARPAE tra i gessi di defecazione, disciplinati a livello nazionale dal d.lgs. n. 75/2010 e i fanghi di depurazione (rifiuti).
2. Il Tar di Parma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso.
2.1. Lo stesso Tribunale, dopo avere ritenuto non applicabile il DM n. 46 dell’1 marzo 2019 e i relativi livelli di concentrazioni soglie contaminazioni (CSC) ai terreni interessati dall’inquinamento, ha considerato infondata la dedotta l’illegittimità del provvedimento per errata valutazione dei presupposti di fatto volti all’individuazione del responsabile ed ha invece ritenuto corretto il rinvio ai parametri di riferimento utilizzati per valutare l’inquinamento. Ha infine ha rilevato che nell’ordinanza di ARPAE non vi era l’assimilazione tra gessi di defecazione e fanghi di depurazione, ai fini dell’individuazione dei limiti soglia da considerare per accertare la contaminazione dei terreni.
3. La predetta sentenza è stata impugnata dalla società -O- sulla base dei seguenti motivi di appello.
3.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 242, 244 e 245 del d.lgs. n. 152/2006. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990 ed eccesso di potere nelle figure sintomatiche del travisamento di fatto e dell’illogicità manifesta.
3.1.1. La sentenza impugnata appare innanzitutto erronea in relazione all’accertamento svolto in sede penale nel corso dell’incidente probatorio.
3.1.2. ARPAE avrebbe adottato il provvedimento impugnato in aperta violazione delle disposizioni che regolano le “Procedure operative ed amministrative” di cui agli artt. 242 e seguenti del testo unico dell’ambiente, nonché, più in generale, della normativa che conforma l’obbligo di completezza dell’istruttoria e della motivazione, ai sensi degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990.
3.1.3. In particolare, l’art. 242 fa gravare gli oneri e le responsabilità degli interventi preliminari e di bonifica delle aree contaminate esclusivamente in capo al “responsabile dell’inquinamento” (cioè sul soggetto che abbia effettivamente cagionato la contaminazione delle matrici ambientali). Per questa ragione, l’Amministrazione è tenuta ad individuare rigorosamente il soggetto inquinatore e il nesso eziologico tra le condotte, attive ovvero omissive, e la contaminazione. E tale accertamento presuppone un'adeguata istruttoria, non essendo configurabile una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell'immobile in ragione della sua sola qualità. In caso contrario, le opere di recupero ambientale devono essere eseguite dall'Amministrazione competente, che potrà poi rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi.
3.1.4. In coerenza con la lettera e la ratio della normativa richiamata, la giurisprudenza ha poi chiarito che gli obblighi di cui agli artt. 242 e seguenti del testo unico dell’ambiente non possono essere imposti sulla base di logiche presuntive, ma all’esito di un rigoroso accertamento scientifico, dovendo trovare applicazione il principio fondamentale, di matrice europea, del “ chi inquina paga ”.
3.1.5. Nel caso di specie, nonostante le risultanze peritali dell’incidente probatorio avessero escluso “ oltre ogni ragionevole dubbio ” qualsivoglia fenomeno di dispersione dei fertilizzanti contenuti nei capannoni, il Tar ha ritenuto che la società appellante fosse responsabile della contaminazione attraverso un accertamento presuntivo e sommario, considerando oggettiva, alla luce delle analisi effettuate, la contaminazione dei terreni limitrofi ai capannoni in cui sono stati depositati i gessi di defecazione (“ Quanto alla causa di tale contaminazione, le amministrazione resistenti hanno dimostrato in giudizio che la segnalazione del Nucleo investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale intervenuto, sulla cui base è stata adottata l’ordinanza impugnata, era sorretta da elementi idonei a dimostrare, secondo il principio del più probabile che non (principio diverso da quello della dimostrazione del nesso di causalità al di là di ogni ragionevole dubbio, che è pacificamente “confinato” al giudizio penale), che l’inquinamento oggettivamente rilevato fosse riconducibile ad un fenomeno di dispersione nei terreni di alcune sostanze inquinanti riconducibili ai gessi di defecazione (nello specifico, composti organici Idrocarburi C10-C40 e Toluene).
In particolare, gli elementi non contestabili che suffragano tale tesi sono i seguenti:
- l’area di riferimento non era stata interessata da precedenti attività agricole o produttive da parte del proprietario o di altri soggetti;
- la ricognizione fotografica del nucleo investigativo intervenuto sul luogo, e nell’immediatezza dei primi accertamenti, ha fatto emergere fenomeni di dispersione (cd. “percolato”) dal sito in cui erano stati depositati i gessi di defecazione;
- le condizioni dei capannoni (anche per la evidente precarietà della copertura superiore, che ha potuto facilitare l’ingresso di acqua piovana) e le modalità impiegate per la conservazione dei gessi all’interno degli stessi (mancanza di ordinati sistemi di contenimento) erano tali da potere ragionevolmente determinare fenomeni di fuoriuscita dei materiali dall’interno verso l’esterno;
- la presenza di schiuma di poliuretano espansa in corrispondenza delle zone in cui è stata rilevata dal nucleo investigativo la dispersione dei gessi attesta l’utilizzo di un rimedio volto a limitare le fuoriuscite di liquido, come dichiarato anche dal dipendente della Società -O-. in sede di sopralluogo (cfr. documento depositato in data 16 agosto 2019 dalla difesa erariale), rimedio che può avere un senso soltanto se tale dispersione era stata ritenuta possibile ed effettiva dalla stessa società ricorrente ” - pagg. 6 e 7 della sentenza).
3.1.6. Secondo parte appellante, tale motivazione appare in realtà fondata su mere presunzioni e comunque contraddittoria rispetto alle evidenze richiamate dal perito dell’incidente probatorio in relazione alle cause della contaminazione e al campionamento effettuato che ha escluso l'ipotesi che si siano verificati processi di dispersione o percolamento nell'ambiente vicino al deposito.
3.1.7. Sarebbe quindi erronea la conclusione del Tar in ordine alla sussistenza di elementi non contestabili che consentirebbero di affermare che “ più probabilmente che non ” la contaminazione discenderebbe dai fertilizzanti contenuti nei capannoni.
3.2. Violazione e falsa applicazione della Tabella 1, colonne A e B, dell’allegato 5 al Titolo V della parte quarta del d.lgs. n. 152/2006. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990 ed eccesso di potere nelle figure sintomatiche del travisamento di fatto, irragionevolezza e sviamento di potere. Violazione e falsa applicazione dell’art. 41 del DL n. 89/2018. Violazione e falsa applicazione del DM n. 46/2019.
3.2.1. Secondo l’appellante, la sentenza impugnata sarebbe anche erronea con riferimento al parametro adottato al fine di identificare le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), in specie in seguito all’introduzione del DM n. 46/2019.
3.2.2. Per il TAR Parma, “ i nuovi limiti di CSC introdotti per le aree agricole non possono che riferirsi a porzioni di territorio fattivamente destinati alle produzioni agroalimentari, e non anche solo astrattamente a tanto destinabili ” sicché nella loro lettura risulterebbe corretta “ l’operazione di inquadramento normativo effettuata dall’amministrazione che ha adottato l’ordinanza impugnata, in relazione al fatto che trattasi pacificamente di terreni ad astratta destinazione agricola, come tali equiparabili,[…] ai siti destinati ad uso di verde pubblico, privato e residenziale, e che la destinazione di tali aree non è mai stata incerta oppure oggetto di modificazione nel corso degli anni”.
3.2.3. In concreto, l’affermazione del Tar secondo cui le “ aree sono poste in un contesto completamente scevro da fattori di industrializzazione” non sarebbe fondata in quanto, secondo l’appellante, i fabbricati nei quali sono collocati i gessi di defecazione ed in prossimità dei quali (tre metri dalla parete esterna) sono stati effettuati i campionamenti sarebbero capannoni produttivi e l’effettiva destinazione della porzione di sito su cui insistono (delimitata peraltro da recinzione) sarebbe chiaramente destinata a scopi produttivi e non assimilabile né a terreno agricolo (non c’è coltivazione né allevamento), né tanto meno a verde pubblico e residenziale (non c’è area ricreativa o abitazioni).
3.2.4. D’altra parte, evidenzia la società ricorrente, nel corso del procedimento è intervenuto il DM n. 46/2019, recante, per la prima volta, il “ Regolamento relativo agli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d’emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, ai sensi dell’articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ”. Di conseguenza, il fondamento logico giuridico su cui ha poggiato l’intera costruzione di ARPAE che i terreni in esame fossero da considerare in astratto come terreni agricoli, con la conseguente necessità di applicare agli stessi i valori riportati nella colonna A della Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del testo unico dell’ambiente non sarebbe corretta.
3.2.5. Con l’introduzione del DM n. 46 del 2019, che, disciplinando per la prima volta i limiti relativi alle aree agricole, ha colmato una grave lacuna ordinamentale, che aveva condotto la giurisprudenza all’applicazione alle aree agricole dei limiti previsti per le aree destinate al verde pubblico residenziale, si sarebbe chiarito che la teorica destinazione urbanistica di un’area non è elemento sufficiente per determinare l’applicazione della Tabella I colonna A o B dell’allegato 5 al Titolo V della parte quarta del testo unico dell’ambiente, essendo a tal fine indispensabile valutare l’effettivo uso a cui il sito è destinato (cioè non l’applicazione delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per il suolo e il sottosuolo riferite alla specifica destinazione d’uso – verde pubblico privato e residenziale (A) o siti ad uso commerciale (B) – in assenza di una specificazione per i suoli a destinazione d’uso agricolo).
3.2.6. Proprio l’irragionevolezza dell’applicazione alle aree agricole dei limiti previsti per il verde residenziale/pubblico avrebbe condotto, secondo l’appellante, il legislatore ad adottare il citato DM n. 46/2019, che prevede espressamente all’art. 1 che “1. Il presente regolamento disciplina gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e di ripristino ambientale delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento” e all’art. 2 che per “ area agricola ” deve intendersi solo ed esclusivamente “la porzione di territorio destinata alle produzioni agroalimentari”.
3.3. Violazione e falsa applicazione dell’Allegato 3 del d.lgs. 29 aprile 2010, n. 75, recante “ riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88 ”. Eccesso di potere nelle figure sintomatiche della carenza di motivazione e del travisamento dei fatti.
3.3.1. Secondo la società appellante, la sentenza impugnata sarebbe erronea anche in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’Allegato 3 del d.lgs. 29 aprile 2010, n. 75 poiché, nel definire i limiti degli idrocarburi e del toluene ai fini della valutazione sull’eventuale contaminazione dei terreni, avrebbe equiparato illogicamente i fanghi di depurazione (rifiuti) con i gessi di defecazione (prodotti).
3.3.2. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza che ha negato l’assimilazione nell’ordinanza di ARPAE, tra gessi di defecazione e fanghi di depurazione ai fini dell’individuazione dei limiti di soglia per la contaminazione dei terreni, in concreto l’ordinanza impugnata avrebbe esplicitamente richiamato talune sentenze della Cassazione (n.178 del 28/01/2009, n.255 dell’11/02/2010, n.34390 del 20/09/2011 e n. 27958 del 06/06/2017) in cui la stessa ha affermato che, per le sostanze non normate da specifiche leggi di riferimento, i limiti da rispettare sarebbero stati quelli indicati nella Tabella 1, Colonna A dell’Allegato 5 del titolo V della parte quarta del Decreto Legislativo 152/2006. Quindi che i valori contaminanti dovessero essere quelli relativi ai fanghi, pur essendo le sentenze richiamate relative esclusivamente a questi ultimi e non ai gessi di defecazione.
4. ARPAE si è costituita in giudizio il 10 marzo 2020, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato una memoria il 23 marzo 2020 e documenti il 14 luglio 2020.
5. Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio il 23 marzo 2020, chiedendo anch’esso il rigetto del ricorso.
6. La Società -O-si è costituita in giudizio l’11 maggio 2020, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato una memoria il 22 settembre 2020.
7. La società -O- ha depositato ulteriori memorie l’11 maggio 2020 e il 24 luglio 2020.
8. Sia ARPAE che la società appellante hanno infine depositato memorie di replica il 3 settembre 2020.
9. Con nota depositata il 23 settembre 2020, l’avvocatura erariale ha chiesto lo stralcio di una memoria erroneamente depositata nel presente giudizio il 12 maggio 2020 dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
10. Con decreto presidenziale n. 353 del 15 febbraio 2020 è stata accolta l’istanza di autorizzazione a derogare i limiti dimensionali del ricorso e degli altri atti difensivi.
11. Con ordinanza cautelare -O-questa Sezione ha respinto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso, con la seguente motivazione: “ Considerato che risulta prevalente, nella presente fase cautelare, l’interesse pubblico alla bonifica dell’area interessata ”.
12. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 24 settembre 2020.
13. Preliminarmente, il Collegio procede allo stralcio della memoria del 12 maggio 2020 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in quanto estranea al presente giudizio.
13.1. Rileva poi la tardività del deposito della memoria della Società -O-del 22 settembre 2020, per violazione dei termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., escludendola di conseguenza dall’esame degli atti di causa.
14. L’appello non è fondato.
15. La società -O- ha impugnato l’ordinanza prot. PGRE/16976/2018 del 21 dicembre 2018 con cui ARPAE la individuava quale soggetto responsabile dell’inquinamento di alcuni terreni siti nel Comune di -O- ed ordinava alla stessa di provvedere alla loro bonifica, con la presentazione entro novanta giorni del piano di caratterizzazione conforme all’Allegato 2 del Titolo V del testo unico dell’ambiente.
15.1. In particolare la -O-, con sede nel Comune di -O-, svolge diverse attività in campo ambientale tra le quali rientra anche la produzione di gessi di defecazione, ossia di prodotti ottenuti da idrolisi di fanghi da depurazione e materiali cellulosici destinati al miglioramento delle condizioni di fertilità dei terreni. Nell’ambito di tale attività, ha acquisito in locazione dalla Società -O-due immobili ad uso agricolo ubicati nel Comune di -O- unitamente alle relative aree pertinenziali. Tali capannoni sono stati utilizzati esclusivamente come luogo di stoccaggio dei gessi di defecazione prodotti negli stabilimenti in Provincia di Brescia.
15.1. In seguito alle segnalazioni di cittadini, soprattutto connesse a problemi di emissione di odori, in data 15 settembre 2017 il Nucleo Investigativo Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale dei Carabinieri Forestali dell’Emilia Romagna effettuava un sopralluogo presso i capannoni locati alla -O- ed eseguiva il sequestro di 15.000 tonnellate di gessi di defecazione derivanti dal trattamento dei rifiuti consistenti in fanghi di depurazione civili, in quanto ritenuti non idonei e potenzialmente pericolosi poiché contenenti sostanze tossiche. Contestualmente all’esecuzione del sequestro preventivo, convalidato dalla competente Autorità Giudiziaria, il Nucleo Investigativo della Forestale formulava notizia di reato nei confronti del legale rappresentante della società per attività di recupero, commercio, trasporto e smaltimento di rifiuti speciali potenzialmente pericolosi in assenza della prescritta autorizzazione ex art. 208 del testo unico dell’ambiente, nonché per la movimentazione e smaltimento, mediante spandimento su terreni ad esclusivo uso agricolo, di rifiuti potenzialmente pericolosi con superamento del limite della normale tollerabilità.
15.2. Veniva quindi avviato un procedimento penale presso il Tribunale di Reggio Emilia (n. 4418/2017) nell’ambito del quale, in sede di incidente probatorio, veniva acquisita la perizia del CTU, prof. -O-, e le osservazioni alla sua relazione formulate dal consulente tecnico del PM, ing. -O-.
15.3. Secondo i Carabinieri Forestali dagli esiti di entrambe le suddette perizie sarebbe emersa la presenza delle sostanze inquinanti nei terreni adiacenti agli immobili. Alla luce di tali evidenze, il Nucleo Investigativo Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale richiedeva quindi ad ARPAE l’avvio delle procedure amministrative di competenza ai fini dell’individuazione del responsabile della contaminazione ai sensi degli artt. 242 e seguenti del testo unico dell’ambiente. La richiesta veniva corredata dagli esiti delle operazioni analitiche svolte sui materiali contenuti nei capannoni e sui terreni limitrofi e, con riferimento a questi ultimi, dai valori di superamento delle CSC. L’indagine penale si è poi chiusa in sede preliminare con la fissazione della citazione diretta a giudizio della società.
15.4. Dopo aver ricevuto la segnalazione da parte del Nucleo dei Carabinieri Forestali, ARPAE, con nota prot. PGRE/2018/10021 del 2 agosto 2018 avviava il procedimento di individuazione del responsabile della contaminazione predisponendo apposita comunicazione alla -O- e contestualmente chiedendo la partecipazione all’istruttoria anche al Comune di -O- e all’Azienda -O-.
15.5. In relazione alla comunicazione di avvio del procedimento, la società appellante presentava quindi le proprie controdeduzioni soprattutto evidenziando le risultanze del citato incidente probatorio che avrebbero escluso un nesso tra inquinamento riscontrato e lo stoccaggio nei capannoni dei gessi di defecazione.
15.6. Seguiva quindi, sulla base delle segnalazioni dei Carabinieri Forestali e dei contributi istruttori del Comune e della Società -O-, il provvedimento di ARPAE impugnato, che in applicazione del criterio del “ più probabile che non ”, individuava la responsabilità degli eventi di contaminazione in capo alla società -O-.
15.7. In particolare, l’ordinanza ha innanzitutto preso atto della nota n. 3393 del 2 luglio 2018 del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale di Reggio Emilia in cui si chiedeva l’emissione immediata di un’ordinanza motivata con diffida al responsabile della
potenziale contaminazione, a provvedere all’attivazione delle procedure amministrative ed
operative ai sensi del codice dell’ambiente, nonché si trasmettevano le risultanze degli accertamenti espletati dagli stessi Carabinieri Forestali in riscontro al superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) dei suoli, riferiti alla colonna A della Tabella 1 dell'allegato 5, Titolo V, parte quarta del testo unico dell’ambiente per i parametri toluene ed idrocarburi (C10 – C40) nei terreni agricoli limitrofi ai capannoni (segnatamente in quattro campioni di terreno, il superamento del parametro per il toluene per: 9,07 mg/kg, 11,86 mg/kg, 9,04 mg/kg, 7,1 mg/kg ss, rispetto a limite di 0,5mg/kg;per idrocarburi pesanti (C10-C40) per: 171 mg/kg ss, 183 mg/kg ss;158 mg/kg ss;187 mg/kg ss, rispetto a limite di 50 mg/kg ss).
15.8. L’ordinanza ha poi preso atto delle risultanze dell’incidente probatorio al fine di verificare l'eventuale dispersione degli inquinanti presenti nei gessi di defecazione depositati nei capannoni rilevando che il giorno 23 marzo 2018 il CTU aveva effettuato sul terreno circostante alle strutture, a tre metri dalle pareti degli stessi, quattro campionamenti di terreni che avevano dimostrato che i terreni erano contaminati sopra i limiti di concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) indicati nella Tabella 1, colonna A dell'Allegato 5, parte quarta, del testo unico dell’ambiente e l'area ad uso era stata contaminata dai composti inorganici idrocarburi C10-C40 e toluene.
15.9. Inoltre, il toluene, secondo l’ordinanza, sarebbe stato ritrovato, con altre analisi, in concentrazioni abbondanti nei gessi di defecazione stoccati all'interno delle strutture e fonte di percolamenti confluiti sui terreni circostanti, terreni questi ultimi che avrebbero avuto sempre una destinazione prettamente e unicamente agricola e rurale.
15.10 Lo stesso provvedimento ha poi dato atto della successiva nota dei Carabinieri Forestali di Reggio Emilia, prot. 4613 del 17 settembre 2018, di controdeduzione alle osservazioni della società -O- (nota contenente elementi di confutazione tratti anche dalla relazione del consulente tecnico del Pubblico Ministero, ing. -O-), nonché dalla circostanza che per le sostanze non normate da specifiche leggi di riferimento, i limiti da rispettare dovessero essere quelli indicati nella Tabella 1 Colonna A dell’Allegato 5 del Titolo V della parte quarta del testo unico dell’ambiente, con un richiamo sul punto alla sentenza della Corte di Cassazione del 31 gennaio 2017, n.27958.
16. Il Tar di Parma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso contro la suddetta ordinanza con una motivazione che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non risulta definita in esito ad una sommaria istruttoria.
16.1. In particolare, nel giudizio di primo grado, è stata dapprima respinta l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato (ordinanza n. -O-), istanza invece accolta in appello dal Consiglio di Stato con ordinanza cautelare n. -O-“ Ritenuto, con la sommarietà propria della fase, che nel bilanciamento dei contrapposti interessi le esigenze cautelari della ricorrente possano essere adeguatamente soddisfatte con la sollecita trattazione nel merito del ricorso di prime cure, alla luce della natura degli adempimenti richiesti con l’atto impugnato ed in considerazione, altresì, della necessità di approfondire, nell’opportuna sede, le questioni afferenti all’effettiva possibilità fisica che i gessi stoccati nei capannoni de quibus producano percolato ed al fatto che, nei suoli circostanti, sono state riscontrate tracce apprezzabili solo di alcune delle sostanze componenti i gessi stessi ”.
16.2. Il Tar ha quindi ritenuto con ordinanza collegiale n. -O-di richiedere, preliminarmente alla decisione finale, ad ARPAE ed ai Carabinieri Forestali chiarimenti su alcuni profili specifici. Nell’ordinanza istruttoria, che si riporta di seguito nella sua motivazione integrale, il Tar ha:
“ Rilevato che non risulta acquisita al fascicolo di causa l’annotazione del Nucleo investigativo di Polizia ambientale e forestale di Reggio Emilia, dalla quale emergerebbe, secondo quanto esposto nella relazione integrativa depositata in giudizio il 31 maggio 2019, che il sig. -O-, dipendente o comunque collaboratore della società ricorrente, avrebbe dichiarato alla polizia giudiziaria procedente che il poliuretano espanso sarebbe stato sistemato nelle fessure alla base dei portoni di accesso e delle mura per contenere le fuoriuscite di liquidi provenienti dai gessi di defecazione depositati all’interno dei capannoni detenuti dalla ricorrente;
Considerato: che il decreto n. 46 adottato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in data 1 marzo 2019 ha finalmente colmato, in esecuzione di quanto disposto dall’art. 241 del d.lgs. n. 152 del 2006, la lacuna afferente alla disciplina degli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d’emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento;
che, sotto questo specifico profilo, sono stati individuati limiti di CSC prima facie differenti rispetto a quelli utilizzati nel provvedimento impugnato, quali parametri di riferimento, da ARPAE”
Ritenuto: che risulta necessario, ai fini del decidere, acquisire al fascicolo di causa l’annotazione citata in premessa del Nucleo investigativo di Polizia ambientale e forestale di Reggio Emilia;
che tale annotazione dovrà essere depositata agli atti entro quarantacinque giorni dalla comunicazione nelle forme di legge della presente ordinanza, con onere da porre congiuntamente a carico di ARPAE e del Comando Regione Carabinieri Forestale Emilia Romagna;
che risulta altresì necessario acquisire, entro lo stesso termine sopra stabilito, una relazione da ARPAE, nella quale vengano descritte – anche con riferimento al contenzioso in corso –, quali siano le conseguenze, a livello operativo e procedurale, dell’intervenuta adozione del citato decreto n. 46 del 2019, con documentazione immediata dell’eventuale avvio di procedimenti in autotutela con riferimento ai nuovi limiti stabiliti, o, in caso contrario, con esposizione delle ragioni per cui non si ritengano sussistenti interferenze rispetto alle ordinanze adottate ai sensi dell'art. 244 del d.lgs. 152/2006 e già in corso di esecuzione ”
16.3 L’incombente istruttorio è stato adempiuto dai Carabinieri Forestali che hanno depositato l’annotazione di polizia giudiziaria e dall’ARPAE che ha prodotto la relazione sulla disciplina introdotta dal D.M. n. 46/2019.
17. Ciò premesso, con il primo motivo di appello la società ricorrente censura la sentenza di primo grado ritenendone contraddittorio ed illogico il percorso argomentativo. La decisione sarebbe fondata su una valutazione incompleta e carente dell’istruttoria che ha condotto ARPAE ad individuarla quale soggetto responsabile della potenziale contaminazione dei terreni nonostante gli esiti del sopra ricordato indicente probatorio.
17.1. Il motivo non è fondato. Da quanto sopra esposto, risulta innanzitutto che formalmente ARPAE ha svolto l’istruttoria prodromica all’adozione del provvedimento impugnato anche attraverso la partecipazione degli altri soggetti interessati (tra cui, in primo luogo, la stessa società ricorrente, la società proprietaria dei capannoni e il Comune di -O-).
17.2. Relativamente al profilo sostanziale, ARPAE ha poi fatto ricorso al criterio c.d. “più probabile che non” per l’imputazione della responsabilità, ricorrendone nel caso di specie i presupposti alla luce delle indicazioni contente nella stessa ordinanza impugnata.
17.3. Se è vero, infatti, che per poter affermare la sussistenza della responsabilità dell'inquinamento è necessario accertare il nesso di causalità fra l'attività esercitata dal presunto responsabile e il danno ambientale riscontrato, è altrettanto vero che per dimostrare la sussistenza dello stesso rapporto causale si può fare ricorso, oltre che ovviamente alle prove dirette, alle presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c. ed anche al principio del “ più probabile che non ” elaborato dalla giurisprudenza civile in materia di responsabilità aquiliana, secondo il quale, per affermare il legame fra azione ed evento, non è necessario raggiungere il livello della certezza, bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121;id. 4 dicembre 2017, n. 5668).
17.3. Nello specifico, a sostegno della tesi in ordine alla responsabilità della -O-, l’ordinanza ha rilevato che:
- le risultanze degli accertamenti del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale di Reggio Emilia avevano accertato, in sede di indagini di polizia giudiziari, il superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nei terreni agricoli limitrofi ai capannoni per i parametri toluene ed idrocarburi (C10 – C40);
- i risultati della perizia tecnica, resa dal CTU nell’ambito dell’incidente probatorio, aveva confermato che i terreni limitrofi presentavano un superamento dei limiti di concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) previsti per i terreni ad uso agricolo, anche se non ritenuti applicabili;
- i risultati di altre analisi dei Carabinieri Forestali (cfr. nota n. 3393 del 2 luglio 2018) avevano evidenziato che il toluene era stato ritrovato in concentrazioni abbondanti nei gessi di defecazione stoccati all'interno delle strutture e fonte di percolamenti confluiti sui terreni circostanti;
- secondo i Carabinieri comparando i dati emersi e valutato che storicamente l'intera area aveva avuto sempre una destinazione ed un uso prettamente e unicamente agricolo e rurale era ragionevole presupporre che vi fosse stata correlatività fra la presenza dei gessi di defecazione stoccati nelle due strutture agricole e il superamento per alcuni composti inorganici della soglia di CSC per percolamento;
- la relazione del consulente tecnico del Pubblico Ministero aveva rilevato che tutti i terreni campionati erano stati contaminati dalle percolazioni dei gessi depositati nei capannoni proprio dagli inquinanti presenti in essi, in particolare dal toluene e dagli idrocarburi C10-C40.
17.4. Parte appellante, al contrario ha sostenuto l’assenza di un nesso di causalità tra lo stoccaggio dei gessi di defecazione e l’inquinamento dei terreni circostanti soprattutto basandosi su quanto affermato dal CTU nell’incidente probatorio. In particolare, lo stesso ha evidenziato nella relazione tecnica datata 18 giugno 2018 che:
- gli esiti dell’accertamento effettuato in sede di incidente probatorio avevano confermato che, sulla base della normativa di riferimento applicabile, il materiale stoccato era da considerarsi un gesso di defecazione, contemplato tra i correttivi del terreno in base al trattamento subito;
- da una serie di campionamenti nell’area esterna ai capannoni (a ter metri dalle pareti esterne) poteva essere esclusa, senza alcun dubbio, l'ipotesi che si fossero verificati processi di dispersione per percolamento nell'ambiente;
- relativamente ai superamenti delle concentrazioni di soglia di contaminazione (CSC) indicati nella colonna A “siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale” oppure della colonna B “Siti ad uso commerciale ed industriale”, della tabella 1 dell’allegato 5 Titolo V Parte IV del codice dell’ambiente, la giurisprudenza avesse ripetutamente affermato che la teorica destinazione urbanistica di un area non fosse elemento sufficiente per determinare l’applicazione della colonna A o B della predetta tabella, ma che a tal fine dovesse essere valutato l’effettivo uso a cui il sito è destinato;
- i fabbricati nei quali sono collocati i gessi di defecazione ed in prossimità dei quali (tre metri dalla parete esterna) sono stati effettuati i campionamenti erano palesemente capannoni produttivi e l’effettiva destinazione della porzione di sito su cui insistono fosse chiaramente destinata a scopi
produttivi e non assimilabile a terreno agricolo, con la conseguenza che i valori rilevati nei
terreni per gli idrocarburi apparivano largamente inferiori al valore limite previsto (750 mg/kg
s.s.) per le aree produttive dal testo unico dell’ambiente.
17.5. Prescindendo dalla natura di atti di polizia giudiziaria che caratterizza i rilievi posti in essere dall’Arma e dai limiti in ordine alla loro contestabilità, la contraddizione tra quanto affermato da ARPA e dai Carabinieri Forestali e dall’appellante appare in realtà essere risolta dalla sussistenza di alcune circostanze.
17.6. Innanzitutto, non è in contestazione che nei capannoni utilizzati dalla ditta -O- fossero stoccati gessi di defecazione contenenti alcuni dei fattori inquinanti riscontrati, come non è contestata la circostanza che i terreni risultati inquinati fossero nell’immediata vicinanza degli stessi fabbricati.
17.7. Analoghe circostanze sono state assunte in via generale tra i parametri di imputabilità della responsabilità ambientale anche dalla Corte di Giustizia Europea. La Corte ha in particolare affermato come l’Amministrazione possa disporre di presunzioni derivanti proprio dalla vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e dalla corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati dallo stesso operatore nell’esercizio della sua attività (Corte giustizia UE, n. 534 del 2015;cfr. anche, in precedenza, la decisione del 9 marzo 2010, in causa C-378/08 – le quali affermano che per poter presumere l'esistenza di un siffatto nesso di causalità “ l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all'art. 4, n. 5, della direttiva n. 2004/35/CE, un'ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione ”.
17.8. Ovviamente, laddove la tesi viene confutata (sulla base dell’incidente probatorio) ciò non basta ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile anche nel quadro della regola probatoria del “ più probabile che non ”. Ma è di tutta evidenza come la suddetta presunzione abbia il suo peso, seppure nell’ambito di un più approfondito accertamento.
17.9. Nel caso di specie, tuttavia ad integrare quel grado di probabilità maggiore della metà necessario per affermare il principio “ più probabile che non ” concorrono altre circostanze. In primo luogo gli accertamenti dei Carabinieri Forestali che hanno offerto ad ARPAE concludenti elementi di valutazione anche in ordine agli esiti degli esami disposti dal CTU.
17.10. Su tale profilo non sussiste una contraddizione nell’operato di ARPAE che avrebbe richiamato gli esiti delle analisi richieste dal perito senza condividerne le conclusioni. Ben poteva infatti la stessa Amministrazione non aderire alle affermazioni del CTU pur potendo richiamare gli oggettivi riscontri emersi in sede di analisi (nei quattro campioni di terreno erano stati rilevati, come sopra detto, i seguenti valori: per il parametro Toluene da 9,07 mg/kg, a 11,86 mg/kg ss, a 9,04 mg/kg ss, a 7,1 mg/kg , rispetto a limite di 0,5 mg/kg ss delle CSC di colonna A della tabella 1 dell’Allegato 5, titolo V parte quarta del codice dell’ambiente - per il parametro Idrocarburi pesanti (C10-C40): nel da 171 mg/kg ss, a 183 mg/kg ss, a 158 mg/kg ss, a 187 mg/kg , rispetto a limite di 50 mg/kg ss delle CSC di colonna A della tabella 1 dell’Allegato 5, Titolo V, parte quarta del codice dell’ambiente).
17.11. In sostanza, dalle misurazioni effettuate dal CTU emergeva che l’area nella quale si trovano i capannoni fosse contaminata dai composti organici Idrocarburi C10-C40, con superamento della soglia CSC del 370% circa, e Toluene con superamento significativo della soglia CSC pari al 2370% circa. Gli stessi inquinanti corrispondevano poi a quelli ritrovati nei gessi di defecazione stoccati.
17.12. In secondo luogo, ARPAE ha sostanzialmente confutato le conclusioni del CTU, richiamando innanzitutto quanto affermato dal consulente del Pubblico Ministero nella sua successiva relazione (trasmessa dalla Regione Carabinieri Forestali Emilia Romagna, Gruppo di Reggio Emilia con prot. 4613 del 17 settembre 2018):
“- come emerge dagli stessi accertamenti svolti dal CTU, i gessi hanno già inquinato i terreni intorno ai capannoni di -O- sopra i limiti delle CSC di contaminazione dei suoli agricoli e quindi su questi terreni vanno ora attivate le procedure per i siti contaminati previsti dall’art. 242 del D.Lgs. 152/06;
- tutti i terreni campionati sono stati contaminati dalle percolazioni dei gessi depositati nei capannoni proprio dagli inquinanti presenti in essi, in particolare dal Toluene e dagli Idrocarburi C10-C40;questi ultimi sono gli inquinanti ritrovati più abbondanti nei gessi;
- il loro solo deposito nei capannoni ha provocato la contaminazione dei terreni circostanti a causa delle perdite dei liquidi provenienti dal deposito che si sono dispersi nel terreno;
- per quanto riguarda la insussistenza del nesso fra i gessi di defecazione stoccati nei fabbricati e la contaminazione dei terreni circostanti che la ditta -O- obietta nella sua nota, si rappresenta che è stata illustrata nella relazione del CTU la presenza, con valori considerevoli, degli stessi composti in entrambe le materie prelevate ed analizzate, infatti comparando i dati emersi dalle due analisi, rispettivamente, dei gessi e dei campioni di terreno, e valutato che storicamente l’intera area ha avuto sempre una destinazione ed un uso prettamente e unicamente agricolo e rurale, si ritiene che vi sia correlatività fra la presenza dei gessi di defecazione stoccati nelle due strutture agricole e il superamento per alcuni composti organici della soglia di CSC provocato dal predetto percolamento;
- relativamente alla sentenza del TAR del Veneto n. 4242/2005 appare che tale sentenza non possa essere applicata al caso in oggetto, in quanto la destinazione d’uso dei terreni in argomento è ben definita, e non è cambiata nel tempo. L’area di cui trattasi (sita in Via -O-, censita al catasto del Comune di -O- foglio 24 particella 91 e foglio 23 particella 45), destinata ad uso agricolo, non è stata utilizzata negli anni per altri usi e i terreni limitrofi sono sfruttati con colture destinate sia all’uomo che alla zootecnia da reddito;
- per verificare l’eventuale dispersione degli inquinanti presenti nei gessi depositati nei capannoni di -O-, il CTU prof. -O- il giorno 23 marzo 2018 ha effettuate sul terreno limitrofo, a 3 metri dalle pareti dei capannoni, ed in prossimità degli indizi dei percolamenti di liquidi provenienti dai gessi, quattro campionamenti di terreni;
- la conclusione del CTU che: “Analisi effettuate sul terreno limitrofo (3 metri dalle pareti dei due capannoni) hanno escluso la presenza degli inquinanti indagati sopra i limiti dei terreni ad uso agricolo. Viene quindi esclusa l’ipotesi che si siano verificati processi di dispersione nell’ambiente vicino al deposito” è in contrasto le stesse chiare evidenze di superamento delle CSC per i terreni ad uso agricolo, riportate nella sua medesima relazione ”.
17.13. ARPAE ha poi confutato le conclusioni del CTU sulla insussistenza di un percolamento dei gessi nei terreni limitrofi, oltre che per gli effetti della composizione acquosa pari al 65% degli stessi, anche sulla base dei sopralluoghi svolti dai Carabinieri Forestali. In particolare, dal materiale fotografico realizzato dagli stessi si è rilevata la quantità rilevante di gessi all’esterno durante le operazioni di scarico del materiale dai camion (foto 13), nonché il riscontro dell’esistenza di percolato da punti adiacenti ai capannoni (foto 1, 2, 5, 6, 7, 8 e 12) e di problematiche nella copertura degli stessi presenti all’atto del sopralluogo.
17.14. In questo quadro dunque per la gestione di tale materiale non sarebbe stato sufficiente, come affermato dall’appellante, l’apposizione di schiume, ma la manutenzione degli immobili e la realizzazione di apposite griglie e reti fognarie (peraltro sul punto è di rilievo anche quanto contenuto nell’annotazione del Nucleo investigativo di Polizia ambientale e forestale di Reggio Emilia, acquisita in sede istruttoria dal Tar, dalla quale emergerebbe, secondo quanto esposto nella relazione integrativa depositata in giudizio il 31 maggio 2019, che il signor -O-, dipendente o comunque collaboratore della società ricorrente, avrebbe dichiarato alla polizia giudiziaria procedente che il poliuretano espanso sarebbe stato sistemato nelle fessure alla base dei portoni di accesso e delle mura per contenere le fuoriuscite di liquidi provenienti dai gessi di defecazione depositati all’interno dei capannoni detenuti dalla ricorrente).
17.15. A quanto sopra delineato, va anche aggiunto che si è pure affermato che la messa in sicurezza di un sito inquinato non ha di per sé natura sanzionatoria (con relativo accertamento della responsabilità), ma costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell'azione preventiva. Tant’è che nell’ordinanza impugnata si fa espresso riferimento al principio dell’azione ambientale di cui all’art. 3- ter del testo unico ambientale, secondo il quale la tutela dell’ambiente può essere garantita mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione e dell’azione preventiva in coerenza con l’art. 174, paragrafo 2, del Trattato CE.
17.16. E, nel caso di specie, tale principio di precauzione trova maggiore giustificazione posto che non sussiste, per le ragioni sopra descritte, una oggettiva incertezza sulle evenienze considerate da ARPA.
18. Con il secondo motivo di appello la società ricorrente lamenta che il Tar avrebbe erroneamente identificato le soglie di contaminazione (CSC) dei terreni limitrofi ai capannoni. In sostanza, l’appellante ritiene che i valori di riferimento avrebbero dovuto essere quelli stabiliti per i siti ad uso commerciale e industriale (colonna B della Tabella dell’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del codice dell’ambiente) e non quelli previsti per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (colonna A). La teorica destinazione urbanistica dell’area (agricola) non avrebbe dovuto, infatti, essere considerata ai fini dell’applicazione dei limiti relativi alle aree verdi, considerando anche che i capannoni che contenevano i gessi sarebbero stati fabbricati produttivi e di conseguenza l’effettiva destinazione della porzione di sito su cui insistono sarebbe stata destinata a scopi produttivi. A conforto di quanto dedotto, parte appellante richiama anche le previsioni contenute nel D.M. n. 46/2019 emanato nel corso dello svolgimento del giudizio di primo grado.
18.1. Il Tar avrebbe quindi erroneamente interpretato l’effetto di quest’ultimo decreto che secondo lo stesso Tribunale non avrebbe inciso sull’individuazione dei parametri da applicare al caso concreto rinvenuti invece nel codice dell’ambiente (secondo la ricorrente il DM n. 46/2019 avrebbe introdotto per la prima volta i limiti relativi alle aree agricole, colmando una lacuna ordinamentale, che aveva condotto la giurisprudenza all’applicazione alle aree agricole dei limiti previsti per le aree destinate al verde pubblico residenziale. In concreto, si sarebbe chiarito che la teorica destinazione urbanistica di un’area non è elemento sufficiente per determinare l’applicazione della Tabella I colonna A o B dell’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del testo unico dell’ambiente, essendo a tal fine indispensabile valutare l’effettivo uso a cui il sito è destinato).
18.2. La tesi dell’appellante non può essere condivisa. Come correttamente evidenziato dal Tar, il DM n. 46/2019 ha dato attuazione all’art. 241 del codice dell’ambiente relativamente alla bonifica delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, che in precedenza venivano considerate soggette all’applicazione di indicatori e procedure mutuate dai parametri utilizzati per le aree verdi. Presupposto per la sua applicazione è tuttavia che l’area interessata sia agricola, intendendosi per tale quella “ porzione di territorio destinata alle produzioni agroalimentari ” (cfr. art. 2, comma 1, lett. a). Nel caso di specie, ARPAE ha ritenuto correttamente che gli stessi indicatori potessero essere applicabili solo laddove i fondi fossero fattivamente destinati alle produzioni agroalimentari, e non anche solo astrattamente a tanto destinabili.
18.3. La disciplina di attuazione al testo unico dell’ambiente è infatti specificamente prevista dall’art. 241 per le aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, quindi riferita alla concreta destinazione a tali attività. Nel caso di specie, invece, i terreni hanno in astratto una destinazione agricola, ma non sono stati destinati nella loro generalità alla produzione agricola o all’allevamento.
18.4. D’altra parte, sull’esatta configurazione delle aree circostanti ai capannoni ARPAE, nel corso dell’istruttoria, ha acquisito i dati dal Comune di -O- dai quali è emerso che le stesse aree identificate al foglio 24 mappale 91 e foglio 23 mappale 45 sono di proprietà della Società -O-ed hanno destinazione di territorio rurale ai sensi dell’art. IV.4 del vigente Piano Strutturale Comunale
18.5. Di conseguenza, tali terreni con destinazione agricola, in assenza di colture, sono equiparati ai siti destinati ad uso di verde pubblico, privato e residenziale e quindi ai valori indicati nella colonna A della Tabella 1 dell’Allegato 5, Titolo V, parte quarta del codice dell’ambiente.
18.6. Tale impostazione ha poi formato oggetto, come sopra evidenziato, anche dell’istruttoria disposta in primo grado dal Tar che ha indotto ARPAE ha predisporre una relazione sugli effetti dell’entrata in vigore del D.M. n. 46/2019 in ordine agli accertamenti relativi ai terreni di cui è causa. Da queste considerazioni, che hanno corroborato la motivazione della sentenza impugnata, è emerso che le circostanze evidenziate nel provvedimento non potevano ritenersi modificate, tenuto conto peraltro che anche dal mappale acquisito agli atti del giudizio di primo grado, l’eventuale destinazione del ridotto sito dei capannoni (artigianale/produttivo) non potrebbe comunque incidere sulla complessiva destinazione dei terreni circostanti.
19. Con il terzo motivo di appello, la ricorrente lamenta che la sentenza ha illegittimamente considerato non applicabile l’Allegato 3 del d.lgs. n. 75/2010. In pratica, che le caratteristiche del prodotto fertilizzante “gesso di defecazione” avrebbero dovuto essere disciplinate da quest’ultima fonte normativa, restando nettamente distinte dai fanghi di depurazione (i quali sarebbero da considerarsi rifiuti). ARPAE, invece, avrebbe assimilato, nell’ordinanza impugnata, questi due prodotti in violazione disciplina di cui allo stesso d.lgs. n. 75/2010, inerente alla definizione di gessi di defecazione.
19.1. Il motivo non può ritenersi fondato. Va preliminarmente evidenziato che la presenza di inquinanti nei suoli determina l’avvio delle procedure amministrative di bonifica dei siti contaminati qualora siano superate le CSC della Tabella 1 dell’Allegato 5 alla parte quarta del testo unico dell’ambiente. Cosa diversa è invece la contaminazione dei materiali stoccati, cioè dei gessi di defecazione che sono il risultato dei fanghi di depurazione e che sono destinati ad essere utilizzati come fertilizzanti dei terreni.
19.2. Con riferimento ai materiali stoccati è dunque sorta la questione relativa alla distinzione tra fanghi di depurazione e gessi di defecazione. I capannoni contengono gessi di defecazione e non fanghi, questi ultimi ascrivibili alla categoria dei rifiuti e suscettibili di riutilizzo in agricoltura secondo la regolamentazione tecnica nel d.lgs. n. 99/1992. I due tipi di materiali sono tra loro distinti. I gessi di defecazione sono qualificabili come correttivi ottenuti mediante il trattamento dei fanghi di depurazione attraverso idrolisi alcalina, precipitazione con acido solforico, ed integrazione con additivi in una complessa sequenza di processo produttivo e di conseguenti reazioni chimico-fisiche fra fanghi e sostanze reagenti aggiunte. Tale procedimento determina una differenza sostanziale del gesso di defecazione rispetto al fango dal quale è originato e ne determina la natura di correttivo del terreno (i gessi risultano infatti inseriti nell’elenco dei correttivi del d.lgs. n. 75/2010). In sostanza, a seguito del trattamento, il prodotto finito (il gesso) non può essere considerato rifiuto con conseguente fuoriuscita dal campo di applicazione della disciplina ambientale relativa ai fanghi.
19.3. Per questa ragione, il Tar ha rilevato che non era applicabile quanto richiamato dalla ricorrente in ordine all’applicazione dell’art. 41 del DL n. 109/2018 (convertito nella legge n. 130/2018), giacché si tratta di una norma che contiene la previsione di limiti più favorevoli soltanto con riferimento agli inquinanti consentiti nei fanghi di depurazione, mentre non si occupa del diverso profilo della contaminazione dei terreni.
19.4. Nell’ordinanza di ARPAE poi non vi è la contestata assimilazione tra gessi di defecazione e fanghi di depurazione, ai fini dell’individuazione dei limiti soglia da considerare per accertare la contaminazione dei terreni. Il richiamo nella stessa ordinanza alla giurisprudenza penale in materia di fanghi non è stato operato per assimilarne la regolamentazione rispetto ai gessi, ma per sottolineare la necessità che questi ultimi, in quanto correttivi, siano regolati da una disciplina diversa rispetto a quella dei materiali di origine.
19.5. In particolare, il richiamo alla sentenza penale della Corte di Cassazione n. 27958 del 6 giugno 2017 (c.d. "sentenza Pagnin"), citata peraltro dal consulente tecnico del Pubblico Ministero insieme alle altre sentenza della Suprema Corte, è stato utilizzato da ARPAE per evidenziare come per le sostanze non normate nella specifica legge di riferimento, ad esempio i fanghi destinati all’agricoltura , i valori degli idrocarburi e del toluene da rispettare per lo spandimento nel terreno dovessero essere quelli della Tabella 1, colonna A dell’allegato 5 del Titolo V della parte quarta del testo unico dell’ambiente, cioè quelli previsti per terreni ad uso verde residenziale.
19.6. La vicenda oggetto della richiamata sentenza della Cassazione in ogni caso ha riguardato comunque i fanghi di depurazione in agricoltura, non il prodotto costituito dai gessi di defecazione (fertilizzanti c.d. correttivi, contenenti calcio-solfo-magnesio e disciplinati dall’Allegato 3 del d.lgs. n. 75/2010). Tant’è che la successiva sentenza n. 4238/2019 della Corte di Cassazione ha preso atto del nuovo quadro di riferimento normativo di cui al DL n. 109/2018 e dei parametri in esso indicati “ considerando comunque che gli stessi riguardano l'utilizzazione dei fanghi e devono pertanto essere rispettati in tale fase ultimativa della loro gestione ”.
20. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
21. In considerazione della complessità della controversia, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.