Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-25, n. 201303453
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N. 03453/2013REG.PROV.COLL.
N. 08330/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 8330 del 2012, proposto dalla AMMINISTRAZIONE FRAZIONALE DI ASSERGI, in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. R L, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13,
contro
- il COMUNE DI L’AQUILA, in persona del Sindaco
pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. D d N, con domicilio eletto presso l’avv. Annalisa Pace in Roma, via Tremiti, 10,
per la riforma e l’annullamento
della sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo emessa sul ricorso nr. 539/06, proposto dall’Amministrazione Frazionale di Assergi, nr. 391/2012, emessa in data 18 aprile 2012 e depositata il 6 giugno 2012, non notificata.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di L’Aquila e l’appello incidentale dallo stesso proposto;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.;
Relatore, alla camera di consiglio del giorno 28 maggio 2013, il Consigliere Raffaele Greco;
Preso atto che nessuno è comparso per le parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’Amministrazione Frazionale di Assergi ha impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. dell’Abruzzo, decidendo sui ricorsi proposti dalla stessa Amministrazione e dal Comune di L’Aquila avverso gli atti posti in essere dal Commissario ad acta nominato per l’esecuzione della sentenza nr. 891 del 15 luglio 2004 dello stesso T.A.R., ne ha dichiarato l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
A sostegno dell’appello, ha dedotto l’erroneità della declinatoria di giurisdizione in quanto gli atti posti in essere dal Commissario ad acta devono ritenersi impugnabili dinanzi allo stesso giudice che ne ha disposto la nomina, e inoltre il T.A.R. adito aveva già ritenuto la propria giurisdizione sulla controversia decidendo, con la già citata sentenza nr. 891 del 2004, sul ricorso proposto dall’Amministrazione Frazionale di Assergi avverso il silenzio-inadempimento del Comune.
Nel costituirsi, il Comune di L’Aquila ha proposto appello incidentale, a sua volta deducendo:
1) violazione della competenza funzionale del giudice dell’ottemperanza a conoscere di tutte le questioni inerenti agli atti del Commissario ad acta; violazione dell’art. 114, comma 6, e dell’art. 117, comma 4, cod. proc. amm.;
2) erronea declinatoria della giurisdizione da parte del T.A.R. e, quindi, omessa pronuncia sul ricorso comunale.
Alla camera di consiglio del 28 maggio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Gli appelli qui all’attenzione, proposti dall’Amministrazione Frazionale di Assergi e in via incidentale dal Comune di L’Aquila, s’innestano su un risalente contenzioso tra i due enti, del quale è opportuno ricostruire per sommi capi lo svolgimento.
1.1. Con un primo ricorso, l’Amministrazione di Assergi aveva lamentato l’illegittima inerzia serbata dal Comune di L’Aquila a fronte della richiesta di reintegra di suoli appartenenti all’Amministrazione istante, oggetto di occupazione sine titulo, nonché di corresponsione dell’indennità dovuta per tale illegittima occupazione.
Il T.A.R. dell’Abruzzo, accogliendo il ricorso con la sentenza nr. 891 del 15 luglio 2004, ha accertato l’illegittimità del silenzio ed ha ordinato all’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza in questione.
1.2. Successivamente, persistendo l’inerzia del Comune, il medesimo T.A.R., su richiesta della parte vittoriosa, ha nominato un Commissario ad acta perché desse esecuzione alla richiamata sentenza nr. 891 del 2004, ormai passata in giudicato, sostituendosi all’Amministrazione soccombente (ordinanza nr. 553 del 5 luglio 2005).
1.3. Tuttavia, gli atti adottati dal Commissario sono stati oggetto di due distinti ricorsi da parte del Comune e della stessa Amministrazione Frazionale, che ne hanno lamentato l’illegittimità per diversi profili.
1.4. A questo punto il T.A.R. dell’Abruzzo, riuniti i due ricorsi, ha declinato la propria giurisdizione con la sentenza oggetto delle odierne impugnazioni.
2. Tutto ciò premesso, gli appelli si appalesano fondati e pertanto meritevoli di accoglimento.
3. Ed invero, a sostegno della declaratoria di inammissibilità il primo giudice assume che nella specie si tratterebbe di atti posti in essere all’interno di un rapporto paritetico tra p.a. e privati, e quindi relativi a diritti soggettivi, come tali estranei alla cognizione del giudice amministrativo (in effetti, come sopra accennato, l’intero contenzioso nasceva da occupazione abusiva di suoli in proprietà dell’Amministrazione Frazionale di Assergi).
Tuttavia, la Sezione è dell’avviso che nella specie sussistessero assorbenti ragioni di ordine processuale preclusive di ogni possibilità di svolgere valutazioni sul punto.
3.1. E, difatti, è di palmare evidenza che con l’originaria sentenza nr. 891 del 2004, provvedendo favorevolmente sul ricorso proposto dall’Amministrazione di Assergi avverso il silenzio-inadempimento del Comune, il T.A.R. aveva implicitamente ritenuto la propria giurisdizione in materia (al riguardo, non è fuori luogo richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale che considera ammissibile l’azione avverso il silenzio della p.a. nelle sole ipotesi in cui la pretesa sostanziale oggetto di controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2009, nr. 7057).
Poco rileva, in questa sede, la condivisibilità o meno delle conclusioni all’epoca raggiunte dal T.A.R. in punto di giurisdizione (a mero titolo di cronaca, può osservarsi che la citata sentenza nr. 891 del 2004 è solo di pochi giorni successiva alla nota sentenza della Corte costituzionale nr. 204 del 9 luglio 2004, che ha comportato l’espunzione dalla giurisdizione amministrativa esclusiva in materia urbanistica delle controversie relative ai meri “ comportamenti ” della p.a.);ciò che conta è che la sentenza così resa dal giudice abruzzese non è stata appellata, con la conseguenza che sull’obbligo del Comune di provvedere si è formato il giudicato anche per quanto attiene alla giurisdizione implicitamente ritenuta dal giudice adito.
Ne discende che correttamente, con la pure citata ordinanza nr. 553 del 2005, lo stesso T.A.R., preso atto dell’inottemperanza all’ordine giudiziale, ha nominato un Commissario ad acta perché si esprimesse sull’istanza dell’Amministrazione Frazionale;ne discende, ancora, che la questione della giurisdizione in subiecta materia non può essere rimessa in discussione in relazione all’impugnazione degli atti commissariali, i quali costituiscono soltanto esecuzione del decisum di cui alla ricordata sentenza nr. 891 del 2004.
3.2. Le conclusioni che precedono appaiono confortate dall’attuale quadro processuale, pur entrato in vigore in epoca successiva alla proposizione dei ricorsi per cui qui è causa, laddove agli atti commissariali è espressamente riconosciuta valenza sempre esecutiva del decisum giudiziale, al punto da devolvere al giudice dell’ottemperanza ogni questione involgente gli stessi tra le parti del giudizio originario (art. 114, comma 6, cod. proc. amm., come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 15 novembre 2011, nr. 195).
Dal che discende che, malgrado l’inapplicabilità ratione temporis dell’evocato meccanismo di “attrazione” alla competenza del giudice dell’ottemperanza di tutte le controversie relative agli atti commissariali (essendo stati gli stessi censurati, nella fattispecie, con impugnazione proposta nelle forme ordinarie), la giurisdizione a monte ritenuta dal T.A.R. in sede di impugnativa del silenzio dell’Amministrazione non può che comportare, ineluttabilmente, l’estensione della cognizione del medesimo giudice in ogni caso anche agli atti posti in essere dal Commissario ad acta.
4. Per le ragioni sopra esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al primo giudice, dinanzi al quale la causa dovrà essere riassunta ai sensi dell’art. 105, comma 3, cod. proc. amm.
5. In considerazione della peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.