Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-12-27, n. 202311200

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-12-27, n. 202311200
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202311200
Data del deposito : 27 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/12/2023

N. 11200/2023REG.PROV.COLL.

N. 00294/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 294 del 2018, proposto da:
M C, in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della MDC s.r.l. F C e P C, tutti in qualità di eredi dell’originario appellante S C e aventi causa nel rapporto di concessione demaniale marittima già nella contitolarità dell’altro originario appellante A C, rappresentati e difesi dall’avvocato A D L, con domicilio come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Amalfi, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 01307/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Amalfi;

Vista l’ordinanza collegiale di interruzione del giudizio n. 2851/2023;

Visto l’atto di riassunzione dei signori M C, in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della MDC s.r.l., F C e P C, eredi dell’originario appellante S C e aventi causa nel rapporto di concessione demaniale marittima già nella contitolarità dell’altro originario appellante A C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2023 il Consigliere Lorenzo Cordì e uditi, per parte appellante, l’avvocato A D L;

Viste le conclusioni rassegnate dalle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I signori Silvio e A C hanno appellato la sentenza n. 1307/2017 con la quale il T.A.R. per la Campania – sede di Salerno ha respinto il ricorso da loro proposto avverso l’ordinanza n. 18/2014 (e i relativi atti presupposti), con cui il Comune di Amalfi aveva ordinato la demolizione dell’intero stabilimento balneare denominato “ Mar di Cobalto ” e il ripristino dello stato dei luoghi.

2. In punto di fatto gli appellanti hanno dedotto: i ) di gestire da anni uno stabilimento balneare con annesso bar - ristorante sulla spiaggia principale (“ Marina Grande ”) di Amalfi, denominato “ Mar di Cobalto ”; ii ) di aver realizzato, nel corso degli anni, l’attuale struttura dietro il rilascio di rituali atti di assenso; iii ) di aver ricevuto l’atto n. 1708 del 12.02.08 con il quale il Comune aveva comunicato l’avvio di un procedimento volto alla verifica della regolarità delle opere eseguite, ritenuto necessario in ragione della relazione tecnica ricevuta dalla competente Soprintendenza; iv ) di aver trasmesso, in data 25.8.2008, una memoria con la quale avevano contestato i rilievi della Soprintendenza; v ) di aver ricevuto dal Comune l’ordinanza n. 88 del 21 luglio 2008 con la quale si era ingiunta la demolizione delle opere realizzate senza titolo; vi ) di aver proposto ricorso, integrato da motivi aggiunti, al T.A.R. per la Campania – Sezione distaccata di Salerno che, con sentenza n. 946/2012, aveva accolto l’impugnazione avverso l’ordinanza di demolizione, fatti salvi i successivi provvedimenti dell’Amministrazione; vii ) di aver ricevuto l’ordinanza comunale n. 18/2014 con la quale il Comune ha ingiunto la demolizione dell’intero manufatto; viii ) di aver ricevuto, altresì, la nota n. 5048 del 30.6.2014, con la quale il Dirigente del Servizio Ufficio Commercio-Comando Polizia Municipale ha comunicato l’avvio del procedimento finalizzato alla revoca delle licenze di pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande, per la somministrazione di vendita di superalcolici e dell’autorizzazione sanitaria, e la nota n. 5228 del 3.7.2014, con la quale il Responsabile dell’Ufficio Demanio del Comune di Amalfi ha comunicato l’avvio del procedimento di decadenza della concessione demaniale marittima n. 3/2009; ix ) di aver proposto ricorso al T.A.R. per la Campania – Sezione distaccata di Salerno che, con la sentenza appellata, ha respinto il ricorso.

3. La sentenza di primo grado ha respinto il ricorso osservando come: i ) non si potesse condividere la censura fondata sul difetto di motivazione del provvedimento atteso che, secondo la costante giurisprudenza, l’interesse pubblico alla rimozione di manufatti abusivi deve ritenersi in re ipsa , e considerato che l’ordinanza aveva indicato in modo analitico le opere ritenute prive di titolo o difformi dai titoli, spiegando, altresì, le ragioni a sostegno della sanzione; ii ) non potesse condividersi la censura fondata sull’intervenuto annullamento della precedente ordinanza-ingiunzione n. 88/2008 da parte della sentenza n. 946/2012 del T.A.R. per la Campania – Sezione distaccata di Salerno, atteso che tale pronuncia si era limitata ad imporre all’Amministrazione di verificare preventivamente le opere oggetto di precedenti autorizzazioni, demandando, quindi, al Comune la possibilità di adottare un nuovo provvedimento, emendato da tali deficit motivazionali; iii ) non potesse accogliersi la tesi secondo la quale gli abusi non avrebbero comportato aumenti di volume o di superficie o mutamenti della destinazione d’uso, stante i plurimi abusi riscontrati e l’assenza delle necessarie autorizzazioni paesaggistiche; iv ) lo stabilimento balneare occupasse abusivamente il suolo demaniale per una superficie di circa 169,00 mq e fosse risultato, per le sue complessive caratteristiche strutturali, opera stabilmente ancorata al suolo e di difficile rimozione, in difformità da quanto previsto dai titoli edilizi e demaniali che ne avevano prescritto la rimovibilità alla fine di ogni stagione balneare; v ) fosse stato debitamente contestato il mancato adempimento delle verifiche annuali prescritto dalla previsione di cui all’art. 7 della concessione demaniale n. 3/2009, essendo state riscontrate una serie di criticità con riferimento ad alcune tubazioni abusive in eternit a livello dell’arenile lesionate e fatiscenti e ad altre parti strutturali con evidenti segni di ruggine ed erosione; vi ) fosse fuori dall’oggetto del giudizio la questione relativa alla validità e all’efficacia della concessione demaniale n. 3/2009, atteso che il giudizio era, invece, incentrato sull’inadempimento a talune delle prescrizioni in essa contenute; vii ) il decorso del tempo non avesse alcun rilievo e non rendesse, quindi, illegittimo l’intervento repressivo comunale; viii ) l’ingiunzione di demolizione non dovesse essere preceduta da alcuna comunicazione di avvio del procedimento; ix ) risultasse parimenti infondato il motivo relativo alla violazione della previsione di cui all’art. 35 del D.P.R. n. 380/2001 dovendosi ritenere che la separata diffida non costituisse requisito di legittimità dell’ordine di demolizione.

4. I signori Cobalto hanno proposto appello affidato a cinque motivi.

4.1. Con il primo motivo hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha condiviso la valutazione di abusività delle opere senza, tuttavia, operare una verifica della correttezza di tale affermazione e senza tener conto dell’omesso assolvimento dell’onere della prova da parte del Comune, cui sarebbe spettato fornire evidenze a sostegno del provvedimento assunto.

4.2. Con il secondo motivo hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittima l’ordinanza di demolizione che non aveva chiarito in cosa consistessero le difformità accertate rispetto agli atti autorizzatori.

4.3. Con il terzo motivo hanno dedotto l’erroneità della sentenza osservando come, in realtà, la struttura fosse stata assentita da vari titoli rilasciati nel corso del tempo.

4.4. Con il quarto motivo hanno dedotto l’illegittimità dell’ordinanza comunale nella parte in cui aveva fatto riferimento alla mancanza di un parere dell’Intendenza di finanza nel rilascio della concessione demaniale, alla difficile rimozione dello stabilimento stesso, all’asserita presenza di lesioni e di impianti (elettrico in particolare) non a norma, all’assenza del deposito del progetto di calcolo strutturale. Inoltre, l’appellante ha osservato come, con successivo atto, il Comune avesse escluso la sussistenza di rischi per l’incolumità ma tale circostanza fosse stata ignorata dal Giudice di primo grado.

4.5. Con il quinto motivo hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non necessaria la comunicazione della diffida ex art. 35 del D.P.R. n. 380/2001.

5. Si è costituito in giudizio il Comune di Amalfi chiedendo di respingere il ricorso in appello.

6. In vista dell’udienza pubblica del 16.3.2023 gli appellanti hanno depositato in giudizio il provvedimento comunale del 18.9.2020 che ha esteso la durata della concessione demaniale marittima fino al 31.12.2023.

6.1. L’Amministrazione comunale ha depositato memoria conclusiva eccependo la parziale improcedibilità del ricorso in appello stante l’intervenuta proroga della concessione. Nel merito l’Amministrazione ha esposto le proprie difese in ordine ai motivi di impugnazione.

6.2. Gli appellanti hanno depositato la sola memoria di replica evidenziando come il rinnovo della concessione comportasse la cessazione della materia del contendere ritenendo che tale provvedimento avesse integralmente soddisfatto le pretese fatte valere in giudizio. Gli appellanti hanno, inoltre, illustrato ulteriormente le proprie argomentazioni in ordine all’erroneità della sentenza appellata.

6.4. In data 10.3.2023 gli appellanti hanno depositato il certificato di morte del sig. S C e la cessione della concessione del sig. A C in favore degli eredi del sig. S C.

6.5. All’udienza del 16.3.2023 il difensore degli appellanti ha chiesto di dichiarare il giudizio interrotto stante il decesso dell’originario appellante sig. S C.

6.6. Con ordinanza collegiale n. 2851/2023 la Sezione ha dichiarato il giudizio interrotto.

6.7. In data 16.6.2023 hanno riassunto il giudizio i signori M C, in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della MDC s.r.l., F C e P C, quali eredi dell’originario appellante S C e aventi causa nel rapporto di concessione demaniale marittima già nella contitolarità dell’altro originario appellante A C.

6.8. In vista della nuova udienza pubblica del 6.12.2023 le parti hanno depositato memorie finali, insistendo nelle rispettive conclusioni.

7. Procedendo ad esaminare i motivi di ricorso in appello il Collegio rileva, in primo luogo, come molte delle questioni oggetto del presente giudizio siano già state affrontate e decise dalla Sezione con le sentenze, del 18 aprile 2023, n. 3901, del 19 aprile 2023, n. 3964, e del 13 luglio 2023, n. 6862, relative a controversie analoghe. Non si ravvisano ragioni per discostarsi dai principi affermati da tali sentenze, che saranno esposti nel prosieguo della trattazione.

8. In via preliminare occorre verificare se il rinnovo della concessione demaniale comporti una parziale improcedibilità del ricorso in appello (come dedotto dal Comune) o la cessazione della materia del contendere per soddisfazione integrale della pretesa (come dedotto da parte appellante). Sul punto possono richiamarsi i principi già affermati dalle sentenze n. 3901/2023 e n. 3964/2023 della Sezione.

8.1. La Sezione ha osservato come l’inesauribilità del potere amministrativo, persistente in capo alla parte pubblica anche in pendenza del giudizio, pone l’Amministrazione in condizione di riesaminare i provvedimenti censurati in sede giurisdizionale, pervenendo ad una rinnovata regolazione del rapporto sostanziale. Al fine di ricostruire il regime giuridico delle determinazioni sopravvenute e di verificare gli effetti che tali atti sono suscettibili di produrre sul giudizio pendente, occorre distinguere a seconda che il riesame in sede amministrativa: i ) si concluda con un atto favorevole al privato, in quanto idoneo a realizzare l’interesse sostanziale sotteso alla proposizione del ricorso, ovvero dia luogo ad un atto sfavorevole, perché ostativo al conseguimento del bene della vita ambito con l’azione giudiziaria; ii ) sia imposto da un ordine giudiziale ovvero sia il risultato di una decisione autonomamente assunta dall’Amministrazione procedente.

8.2. In ordine al primo profilo si osserva come, di regola, i provvedimenti assunti in corso di giudizio sono idonei a determinare la cessata materia del contendere soltanto ove, autonomamente assunti dall’Amministrazione, determinino la realizzazione piena dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell’azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere in via amministrativa il bene della vita atteso, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 agosto 2020, n. 5031). I provvedimenti sopravvenuti determinano, invece, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, qualora attuino un assetto di interesse inoppugnabile, ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio - anziché per l’ottenimento - per l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente.

8.3. Questo Consiglio precisa che l’inutilità di una pronuncia di merito sulla domanda articolata dalla parte può affermarsi solo all’esito di una indagine “ condotta con il massimo rigore, onde evitare che la declaratoria in oggetto si risolva in un’ipotesi di denegata giustizia e quindi nella violazione di un diritto costituzionalmente garantito ” (Consiglio di Stato, Sez. VII, 10 agosto 2022, n. 7076;
Id., Sez. VI, 12 settembre 2022, n. 7895). In particolare, “ la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse presuppone che, per eventi successivi alla instaurazione del giudizio, debba essere esclusa l’utilità dell’atto impugnato, ancorché meramente strumentale o morale, ovvero che sia chiara e certa l’inutilità di una pronuncia di annullamento dell’atto impugnato ” (Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, 3 luglio 2020, n. 536).

8.4. La cessata materia del contendere e l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse trovano, dunque, giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell’operato amministrativo, bensì tende a tutelare la posizione giuridica del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio dell’azione autoritativa oggetto di censura. Adendo la sede giurisdizionale, la parte ricorrente fa valere una pretesa sostanziale, avente ad oggetto la conservazione di un bene della vita già compreso nel proprio patrimonio individuale, pregiudicato dall’esercizio del potere amministrativo, ovvero l’acquisizione (o comunque la chance di acquisizione) di un bene della vita soggetto a pubblica intermediazione. Come precisato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, “ nel nostro sistema di giurisdizione soggettiva, la verifica della legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati non va compiuta nell’astratto interesse generale, ma è finalizzata all’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, ritualmente, dalla parte attrice. Poiché il ricorso non è mera “occasione” del sindacato giurisdizionale sull’azione amministrativa, il controllo della legittimazione al ricorso assume sempre carattere pregiudiziale rispetto all’esame del merito della domanda, in coerenza con i principi della giurisdizione soggettiva e dell’impulso di parte ” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4). La pronuncia giudiziaria risulta utile qualora, nel riscontrare l’illegittimità dell’azione amministrativa, consenta la realizzazione dell’interesse sostanziale di cui è portatrice la parte ricorrente, impedendo la sottrazione o garantendo l’acquisizione (o chance di acquisizione) di utilità giuridicamente rilevanti e salvaguardando, per l’effetto, la sfera giuridica individuale da azioni autoritative difformi dal paradigma normativo di riferimento. Qualora, invece, tale interesse sia stato già realizzato ovvero non possa piò essere soddisfatto, il giudizio non può concludersi con l’esame, nel merito, delle censure svolte nell’atto di parte, la cui fondatezza non potrebbe, comunque, arrecare alcuna utilità concreta in capo al ricorrente.

8.5. Declinando i principi esposti al caso di specie si osserva che la questione relativa alla durata della concessione demaniale in esame non è, invero, oggetto di giudizio atteso che l’ordinanza si limita ad imporre la demolizione delle opere abusive e che l’apposito procedimento per la revoca della concessione risulta avviato dal Comune ma non concluso. In sostanza, si tratta, in primo luogo, di due aspetti distinti: da un lato vi è il tema relativo alla conformità edilizia-urbanistica (oggetto dell’ordinanza n. 18/2014);
dall’altro il tema relativo alla possibile decadenza della concessione che non risulta, tuttavia, disposta essendo stato il procedimento soltanto avviato. Ne consegue che la proroga della concessione demaniale non è atto idoneo a far venir meno il provvedimento che sanziona dal punto di vista edilizio le opere realizzate;
né, del resto, si tratta di provvedimento che incide su una decadenza soltanto ipotizzata e non disposta dal Comune.

8.6. Inoltre, va considerato che la proroga della concessione disposta dal Comune in data 18 settembre 2020, risulta tamquam non esset , in applicazione dei principi enunciati dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza del 9 novembre 2021, n. 17 (che, a differenza della sentenza n. 18/2021, annullata per diniego di giurisdizione dalla sentenza delle SS.UU. n. 32559/2023, non risulta impugnata), secondo la quale: i ) le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - compresa la moratoria introdotta in correlazione con l'emergenza epidemiologica da Covid-19 dall'art. 182, comma 2, D.L. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 - sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l'art. 49 TFUE e con l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE;
tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione; ii ) ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari;
non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l'effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata;
la non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset , senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell'effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l'esistenza di un giudicato ( cfr ., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 1 marzo 2023 n. 2192, che ha disapplicato anche la più recente disposizione normativa recante una previsione di proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo contenuta nell'art. 10- quater , comma 3, del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito, con modificazioni, in l. 24 febbraio 2023, n. 14; cfr ., inoltre, Id., Sez. VI, 19 aprile 2023, n. 3964;
Id., Sez. VII, 7 luglio 2023, n. 6675;
Id., Sez. VI, 28 agosto 2023, n. 7992).

8.7. Pertanto, anche perché si tratta di un atto tamquam non esset , la proroga disposta non è, in alcun modo, idonea ad eliminare i precedenti provvedimenti assunti dall’Amministrazione e a decretare né la sopravvenuta carenza di interesse, né tanto meno la cessazione della materia del contendere.

9. Passando ad esaminare il merito del ricorso in appello il Collegio ritiene di poter trattare congiuntamente i primi tre motivi in quanto tutti afferenti alle questioni legate alla conformità edilizia delle opere realizzate.

9.1. Osserva il Collegio come, dal provvedimento impugnato e dalla relazione del responsabile dell’area tecnica del Comune, risulti che gli abusi riscontrati siano di due tipi. Alcune opere risultano al Comune in difformità dai titoli;
altre opere risultano, invece, integralmente prive di titoli.

9.2. In particolare, sono integralmente prive di titolo le seguenti opere: i ) vasca di sollevamento impianto fognario in c.a, parzialmente interrata nell'arenile di superficie di circa mq. 22,00; ii ) manufatto ubicato al primo livello di dimensioni di circa 8,00 m. x 5,10 m., di altezza netta di m. 2,30 circa, con una volumetria complessiva di circa 94,00 mc., completamente chiuso su tutti i lati da pareti in materiale plastico, muratura, vetri ed infissi in pvc., suddiviso internamente in tre locali wc, un locale laboratorio, un locale deposito — spogliatoio, ricavato nel sottoscala di accesso alla struttura, ed un ambiente adibito a bar; iii ) manufatto ubicato al primo livello di dimensioni di circa 2,00 m. x 4,35 m., di altezza netta di m. 2,60 circa, con una volumetria complessiva di circa 23,00 mc., completamente chiuso su tre lati da pareti in materiale plastico, vetri ed infissi in pvc, adibito a snack-bar; iv ) manufatto ubicato al secondo livello di dimensioni di circa 8,00 m, x 5,35 m., di altezza netta media di m. 2,30 circa, con una volumetria complessiva di circa 98,50 mc., completamente chiuso su tutti i lati da pareti in materiale plastico, muratura, vetri ed infissi in pvc., suddiviso internamente in un locale wc, un locale deposito, una sala bar ed un ambiente ingresso-bar;(abuso totale); v ) l’installazione di tubazioni, canalizzazioni, centraline, contatori, dispositivi, raccorderie e apparecchiature di vario genere, inerenti gli impianti di scarico fognario, del gas, dell'energia elettrica, di illuminazione, di condizionamento, di acqua, di telecomunicazioni, ecc, dislocati in tutti gli ambienti e a tutti i piani dello stabilimento.

9.3. Sono, invece, ritenute eseguite in difformità dai titoli le seguenti opere: i ) i 5 pilastri in ferro e cls inseriti in tubazione di eternit;
ii) i 12 pilastri in ferro con riempimento in calcestruzzo;
iii) i 4 pilastri in ferro e cls;
iv) il pilastrino in c.a. di sostegno scala di accesso all'arenile;
v) la scala in ferro e legno di accesso all'arenile;
vi) la scala di accesso allo stabilimento;
vii) i due solai in laterocemento e putrelle di acciaio di circa 40,00 mq. di superficie ciascuno;
viii) la tettoia in materiale plastico coibentato con struttura di sostegno in profilati metallici di superficie complessiva di mq. 75,00 circa a copertura parziale del terrazzo;
ix) il solaio in legno e ferro di circa 32,00 mq. di superficie, sostenuto da tre pilastri in legno, in ampliamento del preesistente solaio;
x) le 25 fondazioni dei pali.

9.4. Il complesso delle opere realizzate – molte delle quali non sorrette da alcun titolo – conduce a decretare l’infondatezza del ricorso in appello. Infatti, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio “ la valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2022, n. 8848; cfr ., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 luglio 2022, n. 6681;
Id, 12 aprile 2021, n. 2974;
Id., 1 aprile 2021, n. 2721;
Id., 19 ottobre 2020, n. 6300;
Id., 30 giugno 2020, n. 4170;
Id., 30 giugno 2020, n. 4170;
Id., 7 novembre 2019, n. 7601;
Id., Sez. V, 12 ottobre 2018, n. 5887). Applicando il principio al caso di specie, risulta evidente come l’insieme complessivo delle opere realizzate comporti la creazione di un organismo del tutto diverso da quello originariamente assentito e giustifichi, pertanto, il provvedimento repressivo del Comune. Né, del resto, l’assenza di titoli o le difformità sono smentite dagli appellanti i quali si sono limitati a deduzioni solo parziali e, comunque, non idonee a scalfire l’accertamento del Comune, ritenuto legittimo dal Giudice di primo grado. Infatti, i signori Cobalto non hanno depositato in giudizio i titoli edilizi che assentirebbero le numerose opere prive di titolo né che comproverebbero le difformità riscontrate dall’Amministrazione, limitandosi a far riferimento agli elaborati grafici della precedente concessione ma senza fornire evidenze certe in ordine alla legittimità del complesso di interventi realizzati. Fermo restando, inoltre, la circostanza che le opere dovevano essere rimosse alla fine di ogni stagione e avere, quindi, quel carattere di facile amovibilità che è, invero, smentito dalla ricostruzione fattuale in precedenza compiuta.

9.5. Pertanto, anche tali deduzioni non consentono di superare la complessiva valutazione effettuata dalla quale, come evidenziato, emerge un complesso di opere prive di titolo o, comunque, difformi dai titoli, né facilmente amovibili.

9.6. Neppure fondati risultano i rilievi relativi alla motivazione del provvedimento che indica analiticamente le opere prive di titolo e che, comunque, giunge a decretare una sanzione repressiva che si giustifica in considerazione della necessità di operare un apprezzamento complessivo degli abusi, come indicato in precedenza.

9.7. Né assume rilievo la precedente sentenza del T.A.R. per la Campania – sede di Salerno n. 942/2012 che aveva annullato la precedente ordinanza imponendo all’Amministrazione di operare un raffronto con i precedenti titoli. Tuttavia, tale raffronto risulta operato essendo state indicate sia le opere prive di titolo che quelle difformi e, pertanto, non può condividersi l’assunto secondo il quale la nuova ordinanza replicherebbe i vizi della precedente.

9.8. In ultimo le difformità di suolo demaniale occupato sono analiticamente indicate nel provvedimento che muove da quanto assentito nella concessione (169,00 metri con opere di facile rimozione) e lo confronta con l’insieme delle opere realizzate che non risultano facilmente amovibili, compromettendo anche l’interesse paesaggistico in ragione del quale si era imposta la rimozione delle strutture al termine della stagione balneare.

10. Passando al quarto motivo di ricorso il Collegio lo ritiene inammissibile in quanto relativo ad aspetti del provvedimento ove sono state evidenziate possibili inadempienze rispetto agli obblighi previsti dalla concessione che, tuttavia, non è stata revocata. Pertanto, tali accertamenti non sono confluiti in un atto di decadenza e non vi è alcun interesse all’esame di questioni che non sono poste a fondamento di un provvedimento lesivo. Come spiegato il provvedimento comunale si incentra, nella parte dispositiva, sulle sole questioni edilizie che risultano sufficienti per decretare l’illegittimità – sotto tale profilo – delle opere realizzate.

11. Parimenti non condivisibile è l’ultimo motivo di ricorso in appello atteso che il provvedimento ex art. 35 del D.P.R. n. 380/2001 non prevede alcun termine per adempiere ma solo la comunicazione di una previa diffida che, come esposto dal T.A.R., è funzionale a consentire al soggetto interessato di provvedere. Nel caso di specie, il Comune concede, comunque, un termine di novanta giorni, predisponendo un atto che in sé ingloba l’ordine di ingiunzione e la diffida e che non risulta illegittimo sia in ragione della circostanza che la possibilità di adempiere è, comunque, consentita mediante l’indicazione del termine di giorni novanta (assolvendo, in tal modo, alle stesse finalità della diffida), sia in quanto, secondo la giurisprudenza della Sezione che il Collegio condivide, deve ritenersi che non possa attribuirsi valenza invalidante alla dedotta violazione della scansione procedimentale di cui all’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001;
in presenza di un provvedimento al quale, per quanto sopra detto, va riconosciuta natura di atto dovuto nell’adozione e vincolato nel contenuto, i suindicati vizi procedimentali non potrebbero comunque condurre alla sua caducazione in virtù della regola di non annullabilità stabilita dall’art. 21- octies , comma 2, della l. n. 241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 novembre 2022, n. 9921).

12. In definitiva il ricorso in appello deve essere respinto.

13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo

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