Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-05-12, n. 202304793

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-05-12, n. 202304793
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304793
Data del deposito : 12 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/05/2023

N. 04793/2023REG.PROV.COLL.

N. 00902/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 902 del 2019, proposto da
M M e I S, rappresentati e difesi dagli avvocati R T, G M e L F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Como, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M C e G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

A N, rappresentata e difesa dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Seconda, n. 2706 del 30 novembre 2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Como e della signora A N;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023, il Cons. R C e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli appellanti espongono che il signor M M è proprietario per una quota indivisa del 50% dell’immobile sito in Como, via Leonardo Da Vinci n. 28, e che la signora I S è titolare del diritto di usufrutto vitalizio della restante quota indivisa del 50% del medesimo immobile.

I signori M e S soggiungono che, in data 9 marzo 2015, hanno segnalato al Comune di Como come sul fondo adiacente fosse in corso una ristrutturazione con ampliamento volumetrico, assentita con permesso di costruire n. 8824 del 4 luglio 2014, rilasciato in favore della signora A N e che tale intervento violava la distanza dalle pareti finestrate dell’edificio di loro proprietà.

Peraltro, con comunicazione del 30 aprile 2015, il Comune di Como ha segnalato la riscontrata difformità nella proprietà degli appellanti tra quanto eseguito e quanto concesso nei titoli edilizi del 1955 e del 1956, consistenti: a) nel posizionamento a quota inferiore della finestra esistente delle dimensioni di m 2 x m 1, autorizzata a quota superiore nella parete nord;
b) nell’apertura di finestra di m 1 x m 1, non prevista nell’autorizzazione e nel permesso di costruire in sanatoria suddetti nella parete nord;
c) nella realizzazione di altre aperture nella parete est.

A seguito di istanza di accertamento di conformità presentata dagli interessati, l’Amministrazione comunale, in data 24 luglio 2015, ha emesso il permesso di costruire in sanatoria “con esclusione della modifica e della realizzazione delle aperture sul fronte nord, poiché, in assenza di sentenza dell’A.G. in sede civile che abbia accertato la natura di vedute e ne abbia dichiarato l’usucapione, il mancato deposito della convenzione con i titolari del fondo finitimo non ne consente la sanabilità” e, con successiva ordinanza del 17 settembre 2015, ha ingiunto ai signori M e S la rimozione delle opere abusivamente realizzate nonché il ripristino dello stato dei luoghi.

Successivamente, preso atto del parziale diniego di sanatoria e della conseguente ordinanza di ripristino, con provvedimento del 28 settembre 2015, il Comune di Como ha comunicato agli interessati che il permesso di costruire P.G. 8834 del 2014, rilasciato alla signora A N il 4 luglio 2014, “è da ritenersi confermato nella sua legittimità ed efficacia”, in quanto “le predette opere abusive … non possono comportare un pregiudizio per la confinante N …”.

L’Amministrazione comasca ha poi adottato, in data 4 agosto 2016, un provvedimento di annullamento parziale del permesso di costruire rilasciato alla controinteressata signora A N, la quale ha presentato una scia edilizia, in pretesa adozione del provvedimento di autotutela, assunto dal Comune il 4 agosto 2016.

In esito alla diffida degli odierni appellanti ad esercitare il potere inibitorio di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il Comune, in data 15 giugno 2017, ha stabilito che “non appare opportuno procedere al riesame della SCIA P.G. 51061/2016 nelle more della definizione dei ricorsi innanzi al Tar Lombardia e del procedimento avanti al Tribunale di Como in sede civile”.

Gli atti richiamati sono stati impugnati dai signori M e S dinnanzi al Tar Lombardia con due ricorsi e motivi aggiunti.

2. Il Tar Lombardia, Sezione Seconda, con la sentenza n. 2706 del 30 novembre 2018, riuniti i ricorsi, ha respinto gli stessi ed i proposti motivi aggiunti.

Di talché, i signori M M e I S hanno interposto il presente appello, con cui hanno contestato i capi della sentenza gravata.

In particolare, gli appellanti hanno proposto le doglianze così sinteticamente riassunte:

Con riferimento al parziale rigetto della domanda di condono per la realizzazione abusiva di aperture sul fronte nord del fabbricato (l’una traslata, l’altra prevista in totale assenza di titolo abilitativo) :

- l’Amministrazione ed il Tar pretenderebbero quale illegittima condizione per il rilascio del titolo domandato dai coniugi M la necessaria certezza del diritto di veduta, invece che verificarne l’attendibilità, come richiesto dalla giurisprudenza;

- non si capirebbe come possa pretendersi un titolo giudiziale o negoziale per un diritto che si costituirebbe pienamente senza necessità dell’uno o dell’altro;

- in applicazione dei principi dettati dal Consiglio di Stato, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’Amministrazione non avrebbe potuto subordinare il rilascio della concessione in sanatoria ad una sentenza del giudice civile che accerti il diritto dei coniugi M a mantenere le finestre esistenti;

- il diniego parziale di sanatoria sarebbe altresì illegittimo per violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, atteso che l’apporto collaborativo del privato avrebbe potuto portare ad una diversa conclusione della vicenda

Con riferimento all’ingiunzione di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi :

- l’illegittimità del diniego parziale di sanatoria si rifletterebbe come vizio derivato sull’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi;

- la traslazione di una finestra a quota inferiore e la creazione di una nuova finestra andrebbero inquadrate nella nozione di “manutenzione straordinaria” di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001;

- tali interventi sarebbero disciplinati dall’art. 22 del Testo Unico Edilizia e sarebbero assoggettati, ove eseguiti in difetto di preventiva comunicazione, a sanzione pecuniaria ex art. 37 del citato TUE;

- in subordine, gli interventi realizzati rientrerebbero nella c.d. “ristrutturazione leggera” di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente applicazione di misure di carattere pecuniario ai sensi dell’art. 37, comma 1, del TUE;

- gli interventi realizzati, apertura di una finestra e traslazione di un’altra, comporterebbero l’inserimento/traslazione di elementi accessori, senza aumento di volumetria o mutamento di destinazione d’uso.

Con riferimento al provvedimento di conferma della legittimità del permesso di costruire rilasciato alla signora A N :

- l’illegittimità del diniego parziale di sanatoria e dell’ordinanza di demolizione e ripristino si rifletterebbe in via derivata sul provvedimento di conferma della legittimità del permesso di costruire rilasciato alla signora N;

- l’Amministrazione comunale avrebbe confermato il permesso di costruire rilasciato alla signora N, in quanto le finestre esistenti sulla facciata nord dell’immobile sarebbero abusive e, conseguentemente, non sarebbe applicabile l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 in tema di distanze tra pareti finestrate;

- per un granitico orientamento giurisprudenziale, l’eventuale natura abusiva dell’edificio e violazione delle norme inderogabili sulle distanze si muoverebbero su piani diversi, destinati a non interferire reciprocamente, atteso che la finalità del DM n. 1444 del 1968 è quella di tutelare sia l’interesse pubblico ad un ordinato sviluppo dell’edilizia, sia l’interesse pubblico alla salute dei cittadini, evitando il prodursi di intercapedini malsane e lesive della salute degli abitanti degli immobili;

- le relative distanze, pertanto, sarebbero coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione;

- il carattere abusivo dell’edificio di riferimento non potrebbe costituire una giustificazione per sottrarsi al rispetto della normativa pubblicistica sulle distanze, ferma restando per i controinteressati la possibilità di attivare gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per tutelare i loro diritti;

- la pretesa natura abusiva delle finestre sarebbe irrilevante nel presente giudizio, in quanto tali finestre sarebbero pacificamente esistenti e non sarebbero state rappresentate nella domanda di permesso di costruire presentata dalla signora N;

- negli elaborati progettuali presentati al Comune, la controinteressata avrebbe offerto un’erronea rappresentazione dello stato dei luoghi, evitando di rappresentare le finestre esistenti nella parete nord dell’edificio dei ricorrenti, circostanza che avrebbe dovuto condurre, di per sé, all’annullamento d’ufficio del titolo edilizio rilasciato alla signora N, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla abusività o meno di dette aperture;

Con riferimento al provvedimento di parziale annullamento del diniego di autotutela inizialmente opposto ai ricorrenti :

- la presenza di due finestre nella parete sul lato nord degli appellanti, che fronteggia la proprietà N, sarebbe documentata e dette aperture avrebbero le caratteristiche di vedute poiché consentirebbero l’affaccio, perché la parete fronteggiante della controinteressata dovrebbe rispettare la distanza minima di dieci metri, stabilita dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968;

- l’illegittimità del provvedimento di parziale annullamento deriverebbe altresì dall’illegittimo parziale diniego della sanatoria chiesta dai signori M e S e della conseguente ordinanza di ripristino;

- l’art. 15.3 delle norme tecniche comunali, da un lato, stabilirebbero una distanza tra edifici maggiore di tre metri, così come ammesso dall’art. 873 c.c., dall’altro, confermerebbero il limite inderogabile di dieci metri sancito dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968;

- se il vizio riguarda il progetto edilizio presentato ed illegittimamente assentito dall’Amministrazione, non si comprenderebbe quale rilevanza possa avere la generica dichiarazione di “disponibilità ad adeguare il progetto edilizio” fatta dal privato.

Con riferimento al provvedimento con cui il Comune ha escluso di procedere al riesame della SCIA:

- i vizi che affliggerebbero gli att pregressi si riverbererebbero, necessariamente, sull’ultimo provvedimento assunto dal Comune.

3. La controinteressata signora N ha analiticamente controdedotto, concludendo per il rigetto dell’appello e, così come gli appellanti, ha prodotto ulteriori memorie a sostegno delle proprie ragioni.

4. Il Comune di Como si è costituito in giudizio per resistere all’appello e, in particolare, ha sostenuto che la sopravvenuta sentenza del Tribunale Civile di Como n. 235 del 2022 sarebbe ininfluente ai fini del decidere, posto che non imporrebbe alcun obbligo all’Amministrazione, né di riesame, né di altrimenti conformarsi alla detta decisione.

5. All’udienza pubblica del 9 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione,

6. L’appello è fondato e va di conseguenza accolto.

6.1. La questione centrale del presente contenzioso afferisce alla legittimità del provvedimento del 24 luglio 2015, con cui il Comune di Como ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria al signor M M in relazione all’avvenuta realizzazione di opere interne (solaio), modifiche di alcune aperture di facciata e traslazione ad una quota inferiore della porzione di fabbricato rivolta a nord rispetto alla licenza edilizia n. 1726 del 1955, eseguite in via Leonardo Da Vinci, 28, “ con esclusione della modifica e della realizzazione delle aperture sul fronte nord, poiché in assenza di sentenza dell’A.G. in sede civile che abbia accertato la natura di “vedute” e ne abbia dichiarato l’usucapione, il mancato deposito della convenzione con i titolari del fondo finitimo non ne consente la sanabilità ”.

La centralità della questione discende dalla considerazione che l’eventuale fondatezza dei vizi dedotti dagli appellanti ed il conseguente annullamento dell’atto in questione sarebbe destinato a riflettersi in via derivata sulla legittimità di tutti gli atti successivi, che hanno, nel detto diniego parziale di concessione in sanatoria, un atto presupposto essenziale.

Infatti, ove almeno una delle aperture del fronte nord del fabbricato M fosse qualificabile come “veduta”, la distanza minima tra pareti finestrate dovrebbe essere di 10 metri, come previsto dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, con conseguente illegittimità del permesso di costruire e dei successivi atti rilasciati nei confronti della controinteressata signora N, la cui parete assentita si pone a distanza inferiore a quella minima di legge.

Il Tar, in tale ottica, ha rappresentato, come si vedrà nel successivo capo, che il rilascio del permesso di costruire alla signora N, risulta adottato in ragione dell’impossibilità di affermare, allo stato degli atti e dei fatti, la sussistenza di un diritto di servitù di veduta in capo ai ricorrenti.

6.2. La sentenza del giudice di primo grado ha respinto le censure dedotte avverso il parziale diniego di concessione in sanatoria, in quanto:

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in sede di rilascio di titoli edilizi, l’Amministrazione è esonerata dall’obbligo di effettuare complessi ed approfonditi accertamenti sull’esistenza e validità di diritti reali in ragione della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 11, comma 3, del D.P.R. 380/2001 (cfr. T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano Sez. II, 1 giugno 2018, n. 1398). La verifica compiuta dall’Amministrazione è, quindi, compiuta in ragione dello stato degli atti e dei fatti dalla stessa agevolmente accertabile e senza necessità di operare degli accertamenti complessi che, del resto, sono di competenza del Giudice ordinario. Nel caso in esame, il rilascio del permesso di costruire alla signora N risulta rilasciato in ragione dell’impossibilità di affermare, allo stato degli atti e dei fatti (come correttamente evidenziato dal Comune), la sussistenza di un diritto di servitù di veduta in capo ai ricorrenti. L’accertamento effettuato dall’Amministrazione non conduce, infatti, ad asserire con la necessaria certezza la sussistenza di un diritto opponibile alle richieste edificatorie della controinteressata. Il provvedimento risulta, quindi, legittimo in quanto conforme agli esiti dell’accertamento richiesto all’Amministrazione. Né, come già accennato, la stessa può essere onerata di un’analitica verifica circa la sussistenza dei presupposti per qualificare le aperture come vedute e circa l’intervenuta usucapione del relativo diritto. Si tratta, infatti, di un accertamento riservato al Giudice ordinario che, del resto, è adito dai ricorrenti per far dichiarare la sussistenza di un diritto che, con ogni evidenza, non poteva ritenersi, prima facie, nella titolarità dei ricorrenti al momento dell’emanazione del provvedimento.

… Tale constatazione spiega, inoltre, il riferimento – effettuato nel provvedimento impugnato e stigmatizzato dai ricorrenti – in ordine alla necessità di un accertamento giudiziale del diritto o di un accordo inter partes. Infatti, soltanto un titolo giudiziale o negoziale antecedente rispetto ai provvedimenti emessi avrebbe consentito all’Amministrazione di affermare con certezza la sussistenza del diritto invocato e, pertanto, negare il permesso di costruire richiesto e, per converso, sanare le aperture in quanto non lesive dei diritti dei terzi. La mancanza di un simile titolo impone, quindi, di effettuare una valutazione allo stato degli atti e in considerazione dei fatti all’attenzione dell’Amministrazione che, come già detto, non sono tali da consentire di affermare la sussistenza del diritto dei ricorrenti. Del resto, la certezza in ordine alla sussistenza di tale diritto non sembra neppure acquisita nel corso del giudizio ove si consideri che la causa civile promossa per l’accertamento di tale diritto risulta introdotta soltanto dopo l’emanazione degli atti impugnati e, allo stato, non è ancora decisa essendo stata rinviata al 28 novembre 2018 per la precisazione delle conclusioni. Né tale accertamento deve effettuarsi in via incidentale atteso che per la verifica della legittimità dei provvedimenti impugnati non risulta necessario risolvere la suddetta questione in quanto, come già esposto, l’accertamento dell’Amministrazione risulta conforme alla previsione di cui all’articolo 11 del D.P.R. 380 del 2001 in ragione della situazione fattuale esistente e dell’insussistenza di certezze per la possibile qualificazione delle aperture come vedute. Ovviamente, un esito del giudizio civile favorevole alla tesi dei ricorrenti non lascia gli stessi privi di tutela che va, tuttavia, rinvenuta negli appositi rimedi civilistici apprestati dall’ordinamento e non nella richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati che sono rispondenti alla situazione fattuale e giuridica che governa l’operato dell’Amministrazione ”.

6.3. Il Collegio, tuttavia, ritiene che le doglianze degli appellanti sono fondate laddove hanno dedotto che l’Amministrazione, ed il Tar, avrebbero preteso quale illegittima condizione per il rilascio del titolo domandato dai coniugi M la necessaria certezza del diritto di veduta, invece che verificarne l’attendibilità, sicché, in presenza di un diritto che si costituirebbe a prescindere dal titolo giudiziale o negoziale, l’Amministrazione non avrebbe potuto subordinare il rilascio della concessione in sanatoria ad una sentenza del giudice civile che accerti il diritto dei coniugi M a mantenere le finestre esistenti.

Il Tribunale ordinario di Como, Sezione Prima Civile, con la sentenza n. 235 del 1° marzo 2022, pronunciata nel giudizio promosso da M M ed I S contro la signora A N, ha accertato e dichiarato che l’immobile sito in Como, in via Valeria n. 5/A di proprietà della convenuta A N, è gravato da servitù di veduta esercitata dalla finestra sub 2) descritta in motivazione a favore dell’immobile sito in Como, in via Leonardo Da Vinci n. 28 di proprietà attorea, per destinazione del padre di famiglia ai sensi dell’art. 1062 c.c.

Il Tribunale di Como, in particolare, ha evidenziato che, dalla relazione del CTU e dai successivi chiarimenti resi all’udienza, è emerso che:

1) la finestra più bassa è di dimensioni pari a mt. 2,00 x 1,40 realizzata con grata in cemento prefabbricato ed una porzione apribile a vasistas verso l’interno, con telaio e anta in ferro;

2) la finestra più alta è di dimensioni pari a mt. 1,00 x 1,00 con parapetto interno di circa mt. 1,00 dal piano pavimento.

La sentenza del giudice civile ha quindi specificato che “la finestra sub 1) consente il passaggio di luce ed aria ma non consente il comodo affaccio dovendo essere rimosse le aperture a vasistas, non può configurarsi una veduta”, mentre “poiché la finestra sub 2) consente non solo il passaggio di luce ed aria ma anche l’affaccio, va considerata una veduta”. In proposito, ha specificato che: “Infatti, affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della “inspectio”, anche quello della “prospectio” sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione (arg. ex Cass Civ n. 346/2017). In relazione a tale veduta deve ritenersi costituita ai sensi dell’art. 1062 c.c., una servitù per destinazione del padre di famiglia che come noto ha luogo quando due fondi, attualmente divisi, sono stati precedentemente posseduti dallo stesso proprietario e questi abbia posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù”.

Pertanto, il Tribunale ha ritenuto che: “ posto che i due fondi di cui si tratta cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s’intende stabilita, a favore e sopra ciascuno dei fondi oggi separati, sulla finestra sub 2), opera visibile e permanente ”.

La descritta sentenza, come da certificazione del 1° luglio 2022 depositata in pari data, è passata in giudicato, atteso che non è stato proposto, nei termini di legge, appello o ricorso per Cassazione né istanza di revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.

Ora, se è vero che, come sostanzialmente sostenuto dal Comune di Como nelle proprie difese (e come è ricavabile dalle statuizioni di primo grado), il procedimento amministrativo è basato sul principio tempus regit actum , per cui l’intervenuta sentenza del giudice civile non può costituire un vizio di legittimità sopravvenuto dell’atto, è altrettanto vero che la detta sentenza comprova l’attendibilità della prospettazione dei signori M e S circa l’esistenza di vedute sulla propria parete nord.

In altri termini, il diniego parziale di permesso in sanatoria si rivela illegittimo, in quanto l’Amministrazione comunale non ha valutato, come pure avrebbe potuto, la presenza di “vedute” sul fronte nord di proprietà M e, in particolare, non ha individuato come “veduta” la finestra indicata nella sentenza del giudice civile come sub 2), vale a dire la finestra più alta, di dimensioni pari a mt. 1,00 x 1,00 con parapetto interno di circa mt. 1,00 dal piano pavimento.

D’altra parte, la sentenza di accertamento di un diritto non innova la realtà giuridica preesistente, in quanto la sua funzione è quella di ristabilire una certezza giuridica, la quale sia stata incrinata da una contestazione altrui, produttiva di quel pregiudizio che consiste proprio nello stato di incertezza determinatosi.

Di talché, attraverso il giudicato formatosi sulla sentenza di accertamento e dichiarativa di un diritto non vi è alcuna “creazione” della posizione giuridica soggettiva sostanziale, ma è eliminata qualunque incertezza sulla sua esistenza e sulla sua consistenza.

La fondatezza della detta censura determina la fondatezza dell’appello proposto avverso il capo della sentenza che ha respinto l’azione di annullamento avverso il provvedimento del 24 luglio 2015 di diniego parziale di sanatoria, in quanto basato sulla inesatta rappresentazione della inesistenza di una “veduta”, con conseguente obbligo per l’Amministrazione comunale di riesame, nella parte sfavorevole agli interessati, dell’istanza inoltrata dagli stessi in data 14 maggio 2015, da condurre tenendo conto delle statuizioni contenute nella presente sentenza, così come del giudicato civile formatosi sulla sentenza del Tribunale di Como n. 235 del 2022.

6.4. L’annullamento del diniego parziale di sanatoria determina la fondatezza delle ulteriori doglianze di illegittimità derivata proposte avverso i successivi atti impugnati in primo grado.

6.4.1. Infatti, l’ordinanza-ingiunzione di rimozione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità dal titolo abilitativo ha la propria fonte nel fatto che, in data 24 luglio 2015, il permesso di costruire in sanatoria è stato rilasciato con esclusione della modifica e della realizzazione delle aperture finestrate sul fronte nord e dalla consente necessità di procedere ad intimare la rimozione delle opere abusive realizzate e non suscettibili di sanatoria.

Ne consegue che l’illegittimità del diniego parziale del permesso di costruire in sanatoria determina, in via derivata, l’illegittimità anche dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi del 17 settembre 2015.

6.4.2. Analogamente, la qualificazione in termini di veduta di una finestra sul fronte nord determina, in via derivata, l’illegittimità dell’atto del 28 settembre 2015, con cui il Comune di Como ha confermato la legittimità del permesso di costruire P.G. 8834/2014, rilasciato in favore della signora A N, a seguito di procedimento di riesame in autotutela.

Infatti, il provvedimento di conferma è stato emesso “rilevato che dal riesame della documentazione agli atti è risultato che le due aperture finestrate sul fronte nord del fabbricato di proprietà M effettivamente risultano realizzate l’una in difformità dal titolo abilitativo ottenuto nel 1952, l’altra in assenza di titolo edilizio” e “considerato che: - le stesse aperture sono state oggetto di richiesta di rilascio di permesso di costruire in sanatoria P.G. 24404/15 in data 14.5.2015, da parte della proprietà M-S;
la citata richiesta di sanatoria è stata diniegata dall’UTC in data 24.7.2015;
- conseguentemente, in data 17.9.2015 è stata emessa ordinanza n. 75/15 di rimozione di tali opere abusivamente realizzate e non suscettibili di sanatoria”.

Il Comune, quindi, ha “ritenuto – come da consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa – che le predette aperture finestrate “abusive” non possono comportare un pregiudizio per la confinante N, che si vedrebbe costretta ad arretrare il proprio manufatto in sopraelevazione a causa di abuso edilizio da altri commesso”.

Pertanto, considerato che il diniego parziale di permesso di costruire in sanatoria si presenta illegittimo, salvo il riesercizio del potere, per la parte sfavorevole agli interessati, sull’istanza del 14 maggio 2015, si rivela evidentemente illegittimo, in via derivata, anche il provvedimento di conferma del titolo edilizio della signora N del 28 settembre 2015.

6.4.3. Ancora in via derivata risultano illegittimi sia l’annullamento parziale del 4 agosto 2016, con cui il Comune di Como ha annullato parzialmente il provvedimento di conferma del permesso di costruire P.G. 8834/14 nella parte in cui non prevede l’applicazione della distanza di mt. 3,00 tra pareti non finestrate e, per l’effetto, ha annullato il permesso di costruire citato nella sola parte in cui viola il disposto dell’art. 15.2.3 del P.G.T. comunale, rimanendo invariato il resto, sia il provvedimento in data 15 giugno 2017, con cui l’Amministrazione comunale ha comunicato che “non appare opportuno procedere al riesame della SCIA P.G. 51061/2016 nelle more della definizione dei ricorsi innanzi al TAR Lombardia e del procedimento avanti al Tribunale di Como in sede civile”.

7. In definitiva, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, devono essere accolti i ricorsi proposti in primo grado, con relativi motivi aggiunti, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

8. Le spese del doppio grado di giudizio, considerata la particolare complessità ed evoluzione della vicenda contenziosa, possono essere integralmente compensate tra le parti.

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