Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-02-14, n. 201800965

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-02-14, n. 201800965
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800965
Data del deposito : 14 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/02/2018

N. 00965/2018REG.PROV.COLL.

N. 04746/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4746 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avvocati G V e G R, con domicilio eletto presso l’Avvocato M M nello studio legale Francesco Malatesta in Roma, viale Giulio Cesare, n. 21;

contro

Ufficio territoriale di Governo (U.T.G.) - Prefettura di Vibo Valentia e Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la CALABRIA – Sede di CATANZARO :SEZIONE I -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’informativa interdittiva antimafia – e per il risarcimento dei danni conseguenti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. - Prefettura di Vibo Valentia e del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti l’Avvocato G R e l'Avvocato dello Stato Tito Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’appellante propone ricorso per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria -OMISSIS-, depositata il -OMISSIS-, notificata il -OMISSIS-, con la quale era respinto il gravame proposto in primo grado ed integrato da due ricorsi per motivi aggiunti per l’annullamento dei seguenti atti: - interdittiva del -OMISSIS-emessa dalla Prefettura di Vibo Valentia, a seguito della quale il Comune di -OMISSIS- revocava l’affidamento, avvenuto a trattativa privata, della fornitura di gasolio per riscaldamento delle scuole e della sede municipale;

- informative della Guardia di Finanza del -OMISSIS-(primi motivi aggiunti);

- informativa del Prefetto di Vibo Valentia emessa in data -OMISSIS-ad esito del riesame disposto con ordinanza (ulteriori motivi aggiunti).

Le informative impugnate comunicavano che il fratello dell’amministratrice della società, socio e rappresentante della società odierna appellante, convivente della stessa, era stato tratto in arresto unitamente ad altre persone, in data -OMISSIS-, in esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’ufficio del G.I.P. distrettuale di Catanzaro, nel contesto di articolata manovra investigativa convenzionalmente denominata “-OMISSIS-”, volta ad intervenire sulla struttura di vertice locale, facente capo alla famiglia mafiosa “-OMISSIS-” di -OMISSIS-, poiché ritenuto responsabile di associazione per delinquere di tipo mafioso denominata “-OMISSIS--OMISSIS-”.

L’informativa comunicava, altresì, che l’autorità giudiziaria. aveva disposto il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del relativo compendio aziendale della Società di cui lo stesso era amministratore unico.

La Società appellante deduce i motivi di appello di seguito indicati.

1 – In primo luogo, l’illegittimità derivata dall’ illegittimità degli atti impugnati in primo grado, per le censure lì formulate: violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 84, art. 91 d.lgs. n. 159/2011 come modificato dal d.lgs. n. 218/2012, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, la violazione della circolare del Ministero dell’Interno n. 11001/119/20 dell’ 8 febbraio 2013, il travisamento dei fatti, l’irragionevolezza, il difetto di istruzione, il difetto e la falsità dei presupposti, la disparità di trattamento, l’irregolarità del procedimento, l’illogicità manifesta e la contraddittorietà, la violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, in quanto “gli elementi di generico sospetto risultanti dall’informativa di cui si discute non assurgono ad una portata di rilevanza tale da poter inquadrare la fattispecie nel novero di quelle in cui vi sia anche solo la possibilità di trovarsi in presenza di un’impresa, che possa anche in via indiretta favorire la criminalità”.

2 – La violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 84, art. 91 d.lgs. n. 159/2011 come modificato dal d.lgs. n. 218/2012, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, la violazione della circolare del Ministero dell’Interno n. 11001/119/20 dell’8 febbraio 2013, nonché del d.lgs. n. 159 del 2011, della l. n. 136 del 2010, dell’art. 4, d.lgs. 490 del 1994, dell’art. 10, d.P.R. 252 del 1998;
la violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, poiché dalle interdittive non risulterebbero gli elementi per la loro emanazione ed anzi emergerebbe una carenza probatoria.

A sostegno della predetta censura, la parte appellante deduce una serie di circostanze, che sinteticamente qui si enunciano:

con sentenza del -OMISSIS-il soggetto interessato dal riferito procedimento è stato assolto per non aver commesso il fatto dal Tribunale di Catanzaro ed è stato ordinato il dissequestro dei beni;

ulteriori elementi a favore dello stesso dovrebbero essere dedotti dalla revisione dell’ordinanza di custodia cautelare;

erroneamente il comando provinciale della Guardia di finanza di Vibo avrebbe determinato il valore dell’operazione svolta dall’interessato, in ragione di una cessione d’azienda, anziché di recesso dalla qualità di socio;

il recesso suddetto, peraltro, sarebbe avvenuto pochi mesi dopo l’emanazione dell’interdittiva e prima della sua conoscenza;

nessun legame economico, dunque, potrebbe provarsi tra i due fratelli (-OMISSIS- e -OMISSIS-) che si occupano dell’azienda, peraltro appartenenti asseritamente a famiglia di seri imprenditori di -OMISSIS-;

-OMISSIS- al momento della morte del padre aveva assunto la guida dell’impresa edile, comparendo nella -OMISSIS-solo per motivi di successione;

la sorella sarebbe del tutto estranea ad imputazioni ed anzi si sarebbe costituita parte civile nel processo a carico di-OMISSIS-, esponente di una nota famiglia malavitosa del Vibonese.

Da tutti questi elementi deriverebbe la carenza istruttoria delle misure assunte e conseguentemente, la carenza motivazionale della sentenza gravata.

3 – La violazione della normativa antimafia e segnatamente della circolare ministeriale 8 febbraio 2013;
eccesso di potere nelle già richiamate figure sintomatiche.

Si è costituito il Ministero per resistere ed ha sottolineato l’irrilevanza della conclusione del processo penale nella fattispecie per cui è causa, nonché la circostanza che, al momento della cessione della quota da parte dell’interessato, quest’ultimo era perfettamente a conoscenza della sottoposizione a processo penale (anche se non dell’emanazione dell’interdittiva) per essere stato sottoposto a misura cautelare in carcere.

Con successiva memoria, la parte appellante ha prodotto sentenza della Corte d’appello di Catanzaro di conferma dell’assoluzione (n. -OMISSIS-passata in giudicato il -OMISSIS-).

Sempre con memoria per l’udienza di discussione l’appellante ha evidenziato che non è risultato provato in sede di processo l’assunto accusatorio ed i rapporti con il “M” rispetto al quale sarebbe venuta meno l’interdittiva.

La causa è stata, dunque, trattenuta in decisione all’udienza del 18 gennaio 2018.

DIRITTO

I - Ritiene il Collegio di dover premettere che la consolidata giurisprudenza della Sezione è nel senso di affermare che “l’impianto motivazionale dell’informazione antimafia deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, imputabile all’autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso”. Ne discende che il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussiste tenuto conto di tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona specificamente dedotte a sostegno dell’adottato provvedimento amministrativo (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).

L’Autorità prefettizia, dunque, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario nell'ambito del quale assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, essendo estranea al sistema delle informazioni antimafia - non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori - qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica, propria del giudizio penale, vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

Proprio dal quadro ordinamentale richiamato da parte appellante emerge con chiarezza che – sia in sede amministrativa che in sede giurisdizionale – rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri.

II - O, nel caso che occupa, nei provvedimenti gravati – ritenuti sufficientemente motivati dal primo giudice – si evidenziava la contiguità tra la società colpita da interdittiva ed il fratello della legale rappresentante, che era “stato tratto in arresto unitamente ad altre persone, in data -OMISSIS-, in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall'Ufficio del giudice delle indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, "per avere, in qualità di partecipe, posto la propria impresa al servizio dell'associazione, assicurando lo svolgimento delle attività necessarie al gruppo mafioso per insinuarsi negli affari immobiliari di maggiore interesse, assicurando alla -OMISSIS-parte dei proventi ottenuti attraverso le attività svolte a seguito della imposizione a terzi"”, pertanto, lo stesso risultava sottoposto a procedimento penale per “partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso.”

Quanto alla società posta sotto sequestro penale, dall’informativa emergeva “l’esistenza di legami affettivi”, che, pertanto, in quanto tali risultavano idonei a supportare l’indizio di una regia familiare dell’impresa. Tale elemento, peraltro, è considerato particolarmente rilevante in ragione della struttura a base familistica delle associazioni mafiose e delle frequentazioni e dei rapporti con soggetti malavitosi disvelanti una vicinanza alle cosche.

III – Svolte siffatte precisazioni di carattere generale, l’appello proposto si rileva infondato limitandosi a dare una diversa lettura dei fatti, che tuttavia non risultano smentiti, neppure ad esito del procedimento penale favorevole all’appellante.

Infondato risulta, anzitutto, il rilievo in ordine all’irrilevanza della partecipazione societaria in contestazione.

Invero, nella fattispecie, l’autorità amministrativa ha, nella realtà, valutato sinergicamente la constatazione dei legami di affari tra tali soggetti legati da rapporti parentali;
la cessione (recesso) immediatamente dopo l’avvenuta conoscenza dell’avvio del procedimento penale (l'informativa è stata emessa il -OMISSIS-;
l'esclusione di -OMISSIS- dalla società è avvenuta il -OMISSIS-) e non immediatamente dopo il coinvolgimento dello stesso nell'operazione giudiziaria (l'arresto è avvenuto il -OMISSIS-);
il fatto che – difformemente da quanto affermato da parte appellante – da dichiarazione sostitutiva di certificazione, a firma di -OMISSIS- -OMISSIS-, legale rappresentante della società d’interesse, risultava che, alla data del -OMISSIS-, -OMISSIS- era convivente con la sorella -OMISSIS-, dove ha la sede legale la società -OMISSIS-. della quale lo stesso era legale rappresentante.

L’insieme di queste circostanze legittima la deduzione prefettizia di una sorta di continuità dei rapporti societari che, da un lato, smentisce il rilievo della mancanza di rilevanza penale e di elementi probatori idonei a condurre ad una condanna e, dall’altro, proprio per il tramite delle concrete modalità dell’operata cessione (“recesso”), consente di confermarne la valenza potenzialmente condizionante (dando luogo ad un intreccio parentale tipico della criminalità organizzata calabrese, come confermato dal giudice di prime cure) (cfr. in terminis, Cons. St., sez. III, 19 ottobre 2015, n. 4792) .

IV - Infondata è anche la censura riferita all’esito del procedimento penale;
la mancata condanna penale non fa venir meno il pericolo del condizionamento mafioso che è posto alla base del provvedimento impugnato e che proprio sull’esistenza di tali rapporti di affari trova fondamento. Ne’ in tale contesto possono assumere rilievo la cessazione del sequestro dei beni o il venir meno dell’interdittiva per altro coimputato, né altresì la mancata attivazione del procedimento penale nei confronti della attuale rappresentante legale (dato questo che è affermato da parte appellante e non ha conferma in atti).

Come evidenziato nella memoria dell’Avvocatura, nel giudizio di primo grado era prodotta la nota del -OMISSIS-con la quale la Divisione anticrimine della Questura di Vibo Valentia, in risposta a specifica sollecitazione della Prefettura conseguente all’ordinanza di riesame pronunciata dal Tribunale di prime cure, esplicitava in maniera molto puntuale le ragioni per le quali nonostante l’assoluzione in sede penale, gli esiti delle indagini avevano comunque fatto emergere un quadro indiziante che evidenziava la vicinanza di -OMISSIS- -OMISSIS- alla -OMISSIS-egemone nella provincia, riportando nel dettaglio il contenuto di numerose intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva il rapporto di sudditanza tra -OMISSIS- -OMISSIS- e la famiglia mafiosa dei “-OMISSIS- di -OMISSIS-” ed in particolare con l’articolazione facente capo a -OMISSIS- -OMISSIS-.

Quanto dedotto da parte appellante, dunque, non ha alcun rilievo sul pericolo di condizionamento nell’ambito dell’evidenziata lettura sinergica del quadro fattuale posto a fondamento dei provvedimenti impugnati, tesi per l’appunto a prevenire l’infiltrazione criminale.

Vale ricordare, per completezza, che la Sezione ha avuto modo di precisare, peraltro, che “Anche soggetti semplicemente conniventi con la mafia (dovendosi intendere con tale termine ogni similare organizzazione criminale «comunque localmente denominata»), per quanto non concorrenti, nemmeno esterni, con siffatta forma di criminalità, e persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia. Infatti, la mafia, per condurre le sue lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si vale solo di soggetti organici o affiliati ad essa, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, tipizzate dal legislatore, comprendono dunque una serie di elementi del più vario genere e, spesso, anche di segno opposto, frutto e cristallizzazione normativa di una lunga e vasta esperienza in questa materia, situazioni che spaziano dalla condanna, anche non definitiva, per taluni delitti da considerare sicuri indicatori della presenza mafiosa (art. 84, comma 4, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011), alla mancata denuncia di delitti di concussione e di estorsione, da parte dell’imprenditore, dalle condanne per reati strumentali alle organizzazioni criminali (art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011), alla sussistenza di vicende organizzative, gestionali o anche solo operative che, per le loro modalità, evidenzino l’intento elusivo della legislazione antimafia. Esistono poi, come insegna l’esperienza applicativa della legislazione in materia e la vasta giurisprudenza formatasi sul punto nel corso di oltre venti anni, numerose altre situazioni, non tipizzate dal legislatore, che sono altrettante ‘spie’ dell’infiltrazione (nella duplice forma del condizionamento o del favoreggiamento dell’impresa). Gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento. Quello voluto dal legislatore, ben consapevole di questo, è dunque un catalogo aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso” (Consiglio di Stato Sez. III del 9 maggio 2016 n. 1846).

V - Per quanto concerne la valenza temporale, deve precisarsi che il primo provvedimento interdittivo risultava perfettamente efficacie al momento dell’assunzione del provvedimento di revoca da parte dell’amministrazione. Di seguito la situazione è stata sottoposta a nuovo vaglio, come già rilevato.

Ne discende che l’appello deve essere respinto.

VI – Le spese del presente grado di giudizi seguono la soccombenza;
pertanto, la Società appellante è condannata al pagamento a favore delle amministrazioni resistenti della somma complessiva di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00).

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