Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-05-06, n. 201902900
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Pubblicato il 06/05/2019
N. 02900/2019REG.PROV.COLL.
N. 02459/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2459 del 2009, proposto da
“-OMISSIS-” S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati G M, P N, con domicilio eletto presso lo studio Negretti Studio in Roma, via Oppido Mamertina, 4;
contro
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 01020/2009, resa tra le parti, concernente chiusura temporanea di esercizio commerciale per illecita vendita di tabacchi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 il Cons. Carla Ciuffetti e uditi per le parti gli avvocati Nitolli, avv.to dello Stato Francesco De Luca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Società appellante aveva impugnato in primo grado il provvedimento dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato che disponeva la chiusura dell'esercizio commerciale “-OMISSIS-” da essa gestito, a seguito di constatazione, da parte della Guardia di Finanza, in data 18 ottobre 2003, di illegittima detenzione di tabacchi lavorati. La chiusura veniva disposta per la durata di 35 giorni, considerando l’illecito constatato come reiterazione di precedente illecito, già oggetto di provvedimento di chiusura per 5 giorni, adottato in data 27 maggio 2002, ai sensi dell’art. 5, comma 2, della l. n. 50/1994.
La sentenza impugnata aveva respinto il ricorso ritenendo infondate le doglianze circa: la mancanza di prova che il tabacco rinvenuto nell’esercizio commerciale fosse destinato alla vendita;l’applicazione dell’art. 5 della l. n. 50/1994 alla fattispecie della cessione abusiva, ma non anche alla detenzione dei tabacchi;il difetto di una congrua motivazione del provvedimento da cui si potesse dedurre che i tabacchi fossero effettivamente in vendita;la durata della sanzione della chiusura dell’esercizio commerciale e la considerazione della violazione come reiterazione benché la precedente violazione fosse stata posta in essere dal precedente proprietario.
A motivo del rigetto la sentenza affermava che: l’art. 5 della l. n.50/1994 sanziona anche la mera detenzione destinata alla vendita, senza prescritta autorizzazione, di generi di monopolio di legittima provenienza e che, per l’accertamento dell'illecito in questione, non occorre la flagranza di reato dato che la presenza dei tabacchi “costituisce una circostanza sufficientemente ed obiettivamente indicativa dell'intenzione del titolare del locale di (o della sua disponibilità ad) offrirla in vendita ai frequentatori” al fine di integrare la fattispecie di reato di pericolo configurata dal citato art. 5;la motivazione del provvedimento si fondava sul verbale della Guardia di Finanza contenente la contestazione dell'addebito, la previsione della sanzione, la descrizione circostanziata del fatto accertato e le valutazioni dell’Autorità;la sanzione non poteva ritenersi eccessivamente dura in quanto di poco superiore al minimo edittale di 30 giorni;questo Consiglio aveva già affermato che la sanzione in questione è applicabile nei confronti dell’esercizio commerciale “indipendentemente dalla permanenza nel tempo dello stesso titolare” in quanto “diversamente opinando si potrebbe eludere facilmente la legge trasferendo la titolarità dell’esercizio” (Cons. Stato, 6 novembre 2001, n.916). In particolare, in merito a quest’ultimo punto, la sentenza impugnata concludeva che “se, dunque, il sistema della legge prevede che la sanzione resti, per così dire, comunque “collegata” al locale nel quale ha sede l’esercizio commerciale ove l’abuso è stato compiuto, tanto che la cessione dello stesso, pur se anteriore alla comminazione, costituisce un fatto non opponibile dal nuovo proprietario all’Amministrazione procedente, ne consegue che correttamente quest'ultima ha tenuto conto della circostanza che il locale in questione era stato già sede di attività analogamente illecita ed era stato già “colpito” da una precedente sanzione”.
2. Con il presente appello, con istanza cautelare accolta (Cons. St., sez. IV, 21 febbraio 2009, n. 2028), con un primo motivo, la Società appellante, denunciando i vizi di violazione di legge con riferimento agli art. 27 Cost., 3 della l. n.689/1981 e 5 della l. n.50/94, di eccesso di potere per grave violazione del principio di ragionevolezza ed adeguatezza del provvedimento impugnato, illogicità ed insufficienza della motivazione, evidenzia di non aver ricevuto mai precedenti contestazioni dell’illecito in questione. Perciò erroneamente con il provvedimento impugnato in primo grado, sarebbe stato applicato l’art. 5, comma 2, l. n.50/1994. La precedente violazione era stata accertata in data 11 febbraio 2002, quando la proprietà dell’esercizio commerciale era in capo alla società -OMISSIS-.. Rispetto a quest’ultima, che aveva ceduto l’esercizio commerciale alla Società appellante in data 31 luglio 2002, non si poteva ritenere che vi fosse alcuna continuità nell’attività commerciale in quanto esse avevano in comune solo il nome della ditta con la quale svolgevano la loro attività. Inoltre, ai fini della legittimità del provvedimento adottato contro la Società appellante, si sarebbe dovuta attendere la conclusione del contenzioso avviato davanti al Tar Lazio dalla -OMISSIS-., a seguito di impugnazione del primo provvedimento di chiusura ad essa notificato.
Con un secondo motivo di appello si contesta la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che la sanzione fosse collegata al locale sede dell'esercizio commerciale in cui la violazione era avvenuta, facendo applicazione dell’orientamento del Consiglio di Stato espresso dal parere n. 916 del 6 novembre 2001. Ciò in quanto tale parere si riferiva al caso in cui, nelle more della conclusione del procedimento avviato con la constatazione di violazione da parte della Guardia di Finanza, prima che fosse adottato il provvedimento di irrogazione della sanzione, era cambiato il titolare dell’esercizio commerciale. Poiché, invece, nella fattispecie, si trattava di due provvedimenti distinti, adottati a distanza di tempo, nell’ambito di diversi procedimenti, avviati nei confronti di diversi proprietari, l’atto impugnato doveva ritenersi affetto da straripamento di potere, violazione della citata legge n.689/81 e illogicità manifesta. Con memoria in data 19 febbraio 2019, la Società ha insistito per l’accoglimento dell’appello. Inoltre essa ha affermato che non potrebbe essere applicata la sanzione in questione perché l’Amministrazione dei Monopoli dello Stato aveva autorizzato, da ultimo nel 2015, lo svolgimento di attività di rivendita di tabacchi proprio all’interno dell’esercizio commerciale oggetto del provvedimento sanzionatorio. Il rilascio di tale autorizzazione costituirebbe un atto di rinuncia implicita alla sanzione da parte dell’amministrazione.
3. L’Amministrazione, con memoria di costituzione in data 16 aprile 2009, ha chiesto il rigetto dell’appello. Oltre al citato parere n. 916 in data 6 novembre 2001, l’Amministrazione invoca anche il parere di questo Consiglio n. 3750, in data 9 dicembre 2008, che ha ribadito che “la disposizione della chiusura prevista dall’ art. 5 della legge 18/1/1994, n. 50, trova applicazione nei confronti di un esercizio commerciale indipendentemente dalla permanenza nel tempo dello stesso titolare”, con l’effetto che, in caso di cessione dell’esercizio commerciale, il cedente sarebbe tenuto ad avvisare il cessionario dell’avvenuta violazione della norma e dell’eventualità dell'irrogazione della sanzione;dal canto suo, l’avente causa dovrebbe controllare il certificato della locale Camera di commercio, industria e artigianato che riporta le sanzioni irrogate. Ciò, anche in caso di violazione reiterata, altrimenti sarebbe sempre possibile eludere la sanzione più grave, con il mero cambiamento della ragione sociale della società o del numero dei soci.
4. L’appello è infondato.
4.1. Dalla documentazione versata in atti e dalla memoria in data 19 febbraio 2019 emerge che: l’appellante società “-OMISSIS-” srl era stata costituita tra i signori -OMISSIS-in data 23 gennaio 2002;ad essa la società -OMISSIS- aveva ceduto l’azienda riguardante l’esercizio commerciale “-OMISSIS-” in data 31 luglio 2002;la società -OMISSIS- veniva sciolta in data 22 dicembre 2003 e veniva delegata, ai sensi dell’art. 2 l. n. 287/1991, la signora -OMISSIS-, proprietaria di quote della cessata società;in data 4 agosto 2015 la medesima Società aveva ceduto alla signora Laura Masini un’area del locale sede dell’esercizio commerciale “-OMISSIS-”, condotto in locazione dalla Società appellante, con atto di comodato d’uso gratuito sottoscritto anche dai proprietari del locale sede dell’esercizio commerciale, tra cui la citata signora -OMISSIS-;nello stesso anno l’Amministrazione dei Monopoli dello Stato rilasciava un’autorizzazione alla vendita di generi di monopolio all’interno dell’esercizio commerciale “-OMISSIS-”, in favore della Sig.ra -OMISSIS-, acquirente della Rivendita Ordinaria n. 2, ubicata in area dello stesso locale del suddetto esercizio commerciale.
Risulta inoltre la perenzione del ricorso presentato dalla -OMISSIS- avverso il provvedimento di chiusura del bar “-OMISSIS-” (Tar Lazio, 30 dicembre 2014, n. 21807, decr.) .
4.2. Preliminarmente va dichiarata infondata l’eccezione formulata dall’appellante con la memoria in data 19 febbraio 2019 secondo la quale il rilascio dell’autorizzazione alla vendita di tabacchi comporterebbe rinuncia implicita alla sanzione della chiusura dell’esercizio commerciale, in quanto l’Amministrazione non può disporre dell’applicazione di sanzioni amministrative irrogate in base alla legge.
4.3. Tutti i motivi d’appello sono infondati. Dalla giurisprudenza di questo Consiglio, dalla quale la Sezione non ravvisa motivi per discostarsi, emerge la natura reale degli effetti della sanzione della chiusura dell’esercizio commerciale, in quanto diretta a colpire il cattivo uso dei locali e dell'autorizzazione commerciale e ad evitare il “passaggio di consegne” nella gestione di un esercizio commerciale per elidere il potere sanzionatorio statuale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 2010, n. 3470 e 29 novembre 2016 n. 5015);ciò ad esprimere il principio del “collegamento” della sanzione al locale di svolgimento dell’attività commerciale, il che comporta che la sanzione debba trovare applicazione nei confronti di un esercizio commerciale indipendentemente dalla permanenza nel tempo dello stesso titolare, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata. Ne consegue che tale principio trova applicazione anche ove sia in questione la reiterazione dell’illecito, in fattispecie come quella oggetto della presente controversia, nella quale il provvedimento impugnato in prime cure è stato adottato nel presupposto della continuità dell’attività commerciale svolta dalle due società esercenti il bar “-OMISSIS-”.
Pertanto l’appello è infondato e va respinto.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.