Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-06-13, n. 202405298

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-06-13, n. 202405298
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202405298
Data del deposito : 13 giugno 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/06/2024

N. 05298/2024REG.PROV.COLL.

N. 05316/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale -OMISSIS-, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F F e F F, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;

contro

Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato M C, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, sez. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia;

Vista l’ordinanza cautelare della V sezione del -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria ex art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm. del giorno 5 giugno 2024 il consigliere Fabio Franconiero, sulle istanze di passaggio in decisione delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La ditta appellante agisce nel presente giudizio per l’annullamento del provvedimento con cui la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia le ha revocato l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto, precedentemente concessale dalla Provincia di Pordenone con determinazione del -OMISSIS-

2. La revoca impugnata (prot. n. -OMISSIS-) è stata disposta in ragione della condanna penale definitiva, condizionalmente sospesa, riportata dal titolare per un delitto contro la pubblica amministrazione (peculato ex art. 314 cod. pen.), e conseguente perdita del requisito di moralità richiesto per lo svolgimento dell’attività professionale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c), della legge 8 agosto 1991, n. 264 ( Disciplina dell’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto ).

3. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia veniva dedotta l’illegittimità del provvedimento, sull’assunto che la sospensione condizionale della pena non priverebbe l’interessato del menzionato requisito, e che in ragione del beneficio penale la revoca sarebbe sproporzionata.

4. Le censure così sintetizzabili sono state giudicate dall’adito Tribunale amministrativo e il ricorso è stato quindi respinto con la sentenza i cui estremi sono indicati in epigrafe.

5. La sentenza ha innanzitutto escluso che la sospensione condizionale della pena abbia riflessi sul permanere del requisito sopra menzionato per esercitare la consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto, a differenza della sola ipotesi di riacquisto del requisito stesso previsto dalla citata disposizione di legge e data dalla riabilitazione. Quindi ha respinto la censura di difetto di proporzionalità sulla base dell’automatismo previsto dalla citata legge tra perdita del requisito e revoca dell’autorizzazione (art. 9, comma 3).

6. Contro la pronuncia di primo grado i cui contenuti sono così sintetizzabili la ditta originaria ricorrente ha proposto il presente appello, recante i motivi già respinti e critiche alla decisione impugnata, ed in resistenza del quale si è costituita la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia.

DIRITTO

1. L’appello censura la statuizione di rigetto del ricorso di primo grado per essersi appiattita « in modo acritico e preconcetto » sulle difese dell’amministrazione regionale resistente e per essersi fondati su precedenti di giurisprudenza non pertinenti al caso di specie. Più nello specifico, con il primo motivo d’appello si ribadisce che la sospensione condizionale osterebbe alla revoca dell’autorizzazione in forza del combinato disposto degli artt. 3, della legge 8 agosto 1991, n. 264, e dell’art. 166, comma 2, cod. pen.;
nella descritta prospettiva, l’istituto previsto da quest’ultima disposizione impedirebbe qualunque « provvedimento latu sensu di natura afflittiva-sanzionatoria », in assenza di un’espressa e contraria previsione legislativa, non ricavabile dai citati artt. 3, comma 1, lett. c), e 9, comma 3, della medesima legge 8 agosto 1991, n. 264. La sentenza avrebbe pertanto erroneamente attribuito a queste ultime disposizioni un’interpretazione estensiva e analogica in malam partem .

2. Del pari la pronuncia di primo grado avrebbe errato nell’assorbire le censure di carenza di proporzionalità della revoca, che avrebbe in ipotesi potuto essere adottata sulla base di una motivazione puntuale in ragione dei parametri della idoneità, necessarietà e adeguatezza, nel caso di specie mancante. A questo riguardo sottolinea che le somme oggetto della condotta appropriativa per la quale è stata riconosciuta la responsabilità del titolare della ditta ricorrente per il delitto di peculato sono state poi restituite con il pagamento della relativa penale, e che la condanna è stata in sostanza inflitta per il mero ritardo nel versamento delle somme dovute. In ragione della tenuità del fatto - si conclude - è stata quindi applicata la sospensione condizionale della pena.

3. Le censure così sintetizzate sono infondate.

4. Esse muovono per un verso da un presupposto errato, con cui si pretende di estendere gli effetti della sospensione condizionale al di fuori dell’ambito penale, nel quale il beneficio va invece circoscritto, posto che esso si fonda su una prognosi del giudice penale di futura astensione dalla commissione di nuovi reati (art. 164 cod. pen.), ricavata da una pluralità di elementi quali la tenuità del fatto, che come si sottolinea è stata nel caso di specie riconosciuta in favore del titolare della ditta ricorrente.

5. Ciò non ha tuttavia rilievo sul diverso versante amministrativo. La permanenza del requisito di onorabilità per l’esercizio dell’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto ai sensi della legge 8 agosto 1991, n. 264, in presenza di una condanna penale è infatti condizionata in via esclusiva dell’intervenuta riabilitazione. Ciò è quanto prevede il più volte menzionato art. 3, comma 1, lett. c), della medesima legge, che invece non reca alcun riferimento alla sospensione condizionale.

6. La ragione del diverso trattamento tra i due istituti penalistici risiede nella loro diversa natura. Come infatti già rilevato nell’ordinanza cautelare ex art. 98 cod. proc. amm. della V sezione (cui l’appello è stato inizialmente assegnato) del -OMISSIS-, indicata in preambolo, mentre la sospensione condizionale della pena è pronunciata in sede di condanna, prima quindi della verifica della successiva condotta del condannato, la riabilitazione richiede all’opposto un accertamento, con apposita pronuncia giudiziale, che quest’ultimo abbia « dato prove effettive e costanti di buona condotta » (art. 179, comma 1, cod. pen.). In coerenza con la diversa sostanza dei due istituti ora posta in rilievo, solo in questo secondo caso il legislatore ha coerentemente considerato non ostativa sul piano della moralità professionale ai fini dello svolgimento di un’attività sottoposta a regime amministrativo la condanna penale per un reato altrimenti incidente su tale requisito soggettivo.

7. Tutto ciò premesso, è pacifico che nel caso di specie nessuna riabilitazione sia stata ottenuta per la condanna penale riportata dal titolare della ditta ricorrente. La revoca è pertanto legittima sotto il profilo ora rilevato, come lo è anche sotto il diverso aspetto della proporzionalità, oggetto delle ulteriori censure riproposte in appello, alla luce dell’automatismo ricavabile dal combinato dei più volte menzionati artt. 3, comma 1, lett. c), e 9, comma 3, della medesima legge 8 agosto 1991, n. 264, secondo quanto correttamente statuito dalla sentenza di primo grado.

8. L’appello deve quindi essere respinto, ma per la peculiarità della vicenda controversa le spese del presente grado d’appello possono essere compensate.

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