Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-02, n. 201800003

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-02, n. 201800003
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800003
Data del deposito : 2 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/01/2018

N. 00003/2018REG.PROV.COLL.

N. 09513/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9513 del 2016, proposto da O C B, rappresentato e difeso dagli avvocati L C e F T, con domicilio eletto presso lo studio Angioletto C/O Studio Cento Calandrini in Roma, via Amiterno, 2;
S N, rappresentata e difesa dall'avvocato L C, con domicilio eletto presso lo studio Angioletto C/O Studio Cento Calandrini in Roma, via Amiterno, 2;

contro

il Comune di Morcone, in persona del Sindaco “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'avvocato R P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Formiconi in Roma, via Cremera, 11;
P G, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Ruta e Margherita Zezza, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Michele Lioi in Roma, viale Bruno Buozzi, 32;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI - SEZIONE VIII, n. 4647/2016, resa tra le parti, con la quale è stato respinto, con la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese in favore del Comune, il ricorso proposto avverso: a) il provvedimento del Comune prot. n. 7548 del 5 giugno 2015, recante diniego di permesso di costruire in sanatoria;
b) l’art. 17, lettere a) e b), delle NTA del PRG, del Comune di Morcone, “in quanto interpretati nel senso di prescrivere per le nuove prescrizioni in zona agricola un limite massimo volumetrico in funzione del diverso status e/o categoria soggettiva”;
e c) l’ordinanza del Segretario generale del Comune n. 2 del 23 dicembre 2015 di demolizione di fabbricato abusivo e non sanabile;


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Vista “la memoria di costituzione con appello incidentale” del Comune;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Giovanni Pilla;

Vista l’ordinanza cautelare di accoglimento della Sezione n. 719 del 2017;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 19 ottobre 2017 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Coletta e Ruta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Le circostanze per le quali è causa sono descritte nei termini che seguono, integrati con talune precisazioni, nella sentenza impugnata.

O C B è proprietario di un fabbricato sito nella contrada Canepino del Comune di Morcone, identificato in catasto al fg.11, mappale n. 366, ricadente in zona agricola "E" del vigente PRG, dove risiede unitamente alla convivente (altra ricorrente) S N e alla figlia…

Il signor B (quale erede in linea diretta di agricoltori a titolo principale, ex art. 17/C) delle NTA del PRG) ha realizzato l’immobile in forza della concessione edilizia n. 13 del 5 marzo 1993, che ha assentito la realizzazione di un fabbricato (rurale) con una volumetria di mc. 491,73 per pertinenze e mc. 392,31 ad uso residenziale, (e) della concessione in variante n. 24 del 30 aprile 1994, per la realizzazione di una cubatura di mc. 421,50 destinati a pertinenze e mc. 491,79 (per abitazione), suddivisa in un piano seminterrato, un piano terra e un piano sottotetto (definito “sottotetto ispezionabile”: cfr. relazione di verifica istruttoria Città di Morcone – Settore Tecnico e Attività Produttive, del 5 febbraio 2013, prot. n. 1573, in atti).

In data 9 dicembre 2008 il signor B ha presentato una D.I.A. per lavori di "ristrutturazione interna a completamento di un fabbricato rurale”.

In seguito a un sopralluogo in data 12 novembre 2012, è stata accertata la totale difformità delle opere edificate rispetto ai titoli abilitativi ottenuti, ovverosia rispetto alla concessione edilizia n. 13/1993 e successiva variante n. 24/1994, presentando il medesimo una destinazione d'uso totalmente difforme da quanto autorizzato e, in particolare, l’intervenuta realizzazione di mc. 293,40 di volume pertinenziale e di mc. 1028,36 di volume per abitazione.

(Dalla citata relazione di verifica urbanistica emerge una situazione di fatto riassumibile come segue: a) è stata realizzata una volumetria destinata ad abitazione di circa 1028 mc., maggiore dei 500 mc. consentiti dal PRG per abitazioni in zona agricola;
b) il 9 dicembre 2008 è stata depositata una DIA per realizzare una semplice ristrutturazione interna. E’ stato invece effettuato un cambio di destinazione d’uso di volumetrie non utilizzabili ai fini a fini abitativi - il sottotetto e il piano terra. Diversamente dalla destinazione d’uso prevista dal progetto di variante n. 24/1994, al piano terra si trova un ambiente “living” intorno al quale sono distribuiti la cucina e tre camere da letto con bagno, mentre al piano sottotetto, originariamente inteso come semplice sottotetto accessibile, si trovano tre camere da letto con bagno e un disimpegno che si affaccia sul “living” al piano inferiore. Nella sostanza, il fabbricato oggetto della ristrutturazione ha perso completamente le caratteristiche della ruralità;
c) non è stato computato il volume del seminterrato quando, in realtà, andava conteggiato, sebbene al 50 %;
d) è stata modificata la pianta del piano terra aumentando la superficie di calpestio dell’ambiente “living” per una lunghezza di circa 2,50 ml. , vale a dire con un incremento della superficie longitudinale da 9,40 ml. a 11,90 ml. ;
e) non sono stati rispettati i rapporti di cubatura ricavabili dai mq. 23.674,41 indicati nel progetto principale del 1993. La sola parte destinata ad abitazione richiederebbe, qualora fosse realizzabile, una superficie di mq. 34.278,67 (1028, 36/0,03).

Il Comune, con ordinanza n. 1 del 6 marzo 2015, ha annullato d’ufficio la D.I.A. del 9 dicembre 2008 e ordinato la demolizione dell’immobile.

Le parti ricorrenti hanno presentato, in data 31 marzo 2015, domanda di accertamento di conformità, ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001, sulla base di un progetto comportante la realizzazione di un piano seminterrato pertinenziale adibito a ricovero di mezzi agricoli, un piano terra residenziale per complessivi mc 786,59, e un sottotetto da recuperare come abitazione in applicazione della legge regionale n. 15/2000.

Il Comune di Morcone, con provvedimento prot. 7548/2015 del 5.6.2015, ha rigettato l’istanza di permesso di costruire in sanatoria (e questo “ per le motivazioni già riportate nella relazione tecnica di verifica urbanistico edilizia del 5 febbraio 2013 ”. Nel diniego si evidenzia inoltre: che le superfici da asservire per giustificare l’entità della cubatura edificata, sulla base del parametro dell’indice fondiario, erano disponibili in misura insufficiente con riferimento al momento della realizzazione del fabbricato, con la conseguente insussistenza del requisito della c. d. doppia conformità;
che proprietario dell’immobile, e responsabile dell’abuso, era il signor B, il quale, non essendo agricoltore a titolo principale, non poteva chiedere l’applicazione dell’art. 17/A) delle NTA del PRG, che consente la realizzazione, a fini abitativi, di un fabbricato con una volumetria massima di 800 mc. per gli agricoltori. Nella specie trova applicazione la lett. C) del medesimo art. 17 che consente la realizzazione a fini abitativi, a favore di soggetto non agricoltore, di un fabbricato con un volume massimo di mc. 500;
che, quanto al sottotetto, adibito ad abitazione, non ricorre la condizione di cui all’art. 3/B) della l. r. n. 15 del 2000, inerente alla preventiva sanatoria ex l. n. 47 del 1985 e 724 del 1994).

2.Le parti ricorrenti hanno impugnato, con cinque motivi, il diniego di permesso di costruire in sanatoria e l’art. 17, lettere A) e B), delle NTA del PRG del Comune di Morcone, “ in quanto interpretate nel senso di prescrivere per le nuove costruzioni in zona agricola un limite massimo volumetrico, in funzione del diverso status e/o categoria soggettiva” , unitamente a ogni altro atto antecedente e/o susseguente.

Si è costituito il Comune, resistendo al ricorso e sollevando alcune eccezione di inammissibilità.

L’Amministrazione comunale, in particolare, nel muovere dall’assunto per cui il diniego di permesso di costruire in sanatoria costituisce un atto “plurimotivato”, ha eccepito la inammissibilità del ricorso in quanto non avrebbero formato oggetto di censura le motivazioni indicate nell’ordinanza di demolizione n. 1 del 2015, richiamate “ per relationem ” nella prima parte del diniego, mediante rinvio alla relazione di verifica urbanistica del 5 febbraio 2013.

Nel merito, il Comune ha concluso per il rigetto del ricorso.

E’ intervenuto in giudizio, “ ad opponendum ”, Giovanni Pilla, titolare di un allevamento avicolo situato poco distante dall’immobile del B.

Il Comune, in seguito al rigetto dell’istanza di sanatoria, nel dare atto di quell’indirizzo giurisprudenziale che ritiene in ogni caso necessario, nell’ipotesi di presentazione di domanda di accertamento di conformità, adottare un nuovo provvedimento ripristinatorio, ha emesso una ordinanza di demolizione ulteriore, la n. 2 del 23 dicembre 2015, ribadendo che il B aveva realizzato in zona agricola, in totale difformità rispetto al progetto assentito, e in violazione delle disposizioni del PRG, un villino avente una volumetria residenziale di oltre 1.000 mc. , e assegnando un termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordine per procedere alla demolizione del fabbricato.

(Con atto in data 9 dicembre 2016, il Comune ha accertato l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 2/2015 e ha disposto l’acquisizione di diritto, al patrimonio del Comune, del fabbricato e dell’area di sedime. L’atto è stato impugnato con ricorso dinanzi al TAR Campania. Si tratta del ric. n. r. g. 574/2017, tuttora pendente).

Le parti ricorrenti hanno impugnato anche l’ordinanza di demolizione n. 2/2015 con motivi aggiunti.

Il Comune ha svolto difese ulteriori.

3.Con la sentenza in epigrafe il TAR ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti.

3.1. In via preliminare (v. p. 1. , da pag. 6 a pag. 9 sent.), il giudice di primo grado ha disatteso le eccezioni preliminari sollevate dal Comune rilevando:

-che il diniego di permesso di costruire in sanatoria prot. n. 7548 del 5 giugno 2015 “(era) qualificabile come atto finale di diniego, con effetti provvedimentali ”, e non semplicemente come un preavviso di rigetto;

-che, pertanto, sulla base della qualificazione dell’atto alla stregua di un vero e proprio provvedimento esplicito di diniego, non poteva essersi formato il silenzio rigetto sulla istanza di accertamento di conformità;

-che, diversamente da quanto ritenuto dal Comune, la signora S era legittimata a presentare istanza di accertamento di conformità e a ricorrere contro il diniego, in quanto affittuaria dei terreni in questione, con l’evidente consenso del proprietario;

-che lo stesso B era legittimato a impugnare il diniego, quale proprietario del fabbricato;

-quanto all’eccezione civica formulata sugli assunti per cui il diniego si fondava su una pluralità di ragioni tra loro autonome;
le parti ricorrenti non avrebbero mosso censure nei confronti di tutte le motivazioni poste a base del diniego medesimo;
e in presenza di un atto c. d. “plurimotivato”, anche la legittimità di una sola delle motivazioni è idonea a sorreggerlo, ovvero basta che nei riguardi di una delle motivazioni poste a base dell’atto non venga sollevata alcuna censura, in sentenza si legge che, ferma l’indubbia valenza, a livello generale, del principio dell’ “atto plurimotivato” e della “ragione sufficiente”, “ la relazione tecnica richiamata è un atto istruttorio posto a base dell’adozione di un ordine di demolizione e non può essere validamente richiamata per relationem per motivare il provvedimento di rigetto di una istanza di sanatoria dei confronti del medesimo abuso. La determinazione di rigetto si presenta, infatti, quale provvedimento avente presupposti del tutto differenti ed assunto secondo un iter procedimentale del tutto autonomo. Il provvedimento di rigetto di una istanza di accertamento di conformità può quindi, eventualmente, fare riferimento a presupposti in fatto accertati in sede di adozione di ordine di demolizione – e in tal senso richiamare anche atti quali la relazione tecnica in esame – ma non può legittimamente operare un vero e proprio rinvio per relationem, onde integrare la parte motivazionale del provvedimento medesimo, indicando delle ragioni in grado di giustificare in via autonoma l’atto gravato. Ciò è tanto vero che, nel caso di specie, la relazione tecnica non riporta espressamente alcuna motivazione di diniego a una possibile domanda di accertamento di conformità, incentrandosi sull’esistenza dell’abuso commesso…” ;

-che non risponde al vero il rilievo civico per cui “ le parti ricorrenti non avrebbero censurato il capo della motivazione del provvedimento relativo alla circostanza che l’istanza di sanatoria riportava una superficie del fondo asservito alla costruzione ben superiore a quella del lotto iniziale, pari a mq. 23.774,71…” .

3.2.Nel merito, il TAR ha respinto il ricorso, con la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese a favore del Comune.

Queste le argomentazioni essenziali della decisione (v. p. 2. , da pag. 9 a pag. 18 sent.):

-i ricorrenti non avevano dimostrato la disponibilità del suolo, al momento della realizzazione dell’intervento, per una superficie di oltre 67.000 mq. , tale da giustificare l’entità della cubatura edificata, sulla base del parametro dell’indice fondiario, superficie ben più ampia del lotto asservito indicato nel progetto del 1993 (v. p. 2.1.);

-il B non era agricoltore a titolo principale (v. p. 2.2.). Il TAR conviene con il Comune nel rilevare che le disposizioni, seppure di non facile interpretazione, di cui alle lettere A), B) e C) dell’art. 17 delle NTA del PRG, pongono limiti massimi di cubatura, ai fini abitativi, pari a 800 mc. per gli agricoltori e a mc. 500 per i non agricoltori, purché provenienti in linea diretta da nucleo familiare esplicante attività agricola a titolo principale. Nella specie, come detto, le dimensioni del fabbricato eccedevano i 500 mc. ;

-non è illegittima la previsione di un diverso limite di volumetria massima realizzabile, per le costruzioni in ZTO “E”, in funzione della differenza di “status” o di categoria soggettiva dell’avente titolo, differenziandosi in particolare il proprietario coltivatore diretto rispetto al proprietario che non possieda tale qualifica (v. p. 2.3.);

-la presentazione della istanza ex art. 36 a nome della S, affittuaria del fondo e iscritta come imprenditrice agricola dal 2015, non consentiva di usufruire della maggiorazione di volumetria fino a 800 mc. , poiché la deroga era consentita soltanto a favore del proprietario dell’area che sia anche coltivatore a titolo principale (v. p.3.). E anche a voler ammettere che la qualità di imprenditrice agricola e di affittuaria del terreno ponesse la signora S nella condizione prevista dall’art. 17/A) delle NTA del PRG, “ ugualmente –afferma il TAR – non sarebbe stato possibile il rilascio dell’accertamento di conformità, (non sussistendo) comunque il requisito della doppia conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001. L’opera abusiva non sarebbe stata realizzata da un coltivatore diretto, e tale qualifica sarebbe intervenuta solo successivamente in capo al soggetto che ha chiesto la sanatoria. Al momento della realizzazione dell’abuso l’opera non sarebbe stata assentibile per difformità dalla disciplina urbanistica ed edilizia vigente” . L’opera è stata realizzata dal B, non dalla S;

-è corretta anche la ragione sulla quale si basa il diniego della sanatoria relativamente al sottotetto (v. p. 4.). La l. r. n. 15/2000 non consente, di per sé, la sanatoria di immobili abusivi;

-va respinta anche la censura basata sulla violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, potendosi fare applicazione, nella fattispecie, della disposizione di cui all’art. 21 – octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, venendo in considerazione un provvedimento avente carattere vincolato, e risultando che il provvedimento finale non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (v. p. 5.);

-anche i motivi aggiunti proposti contro l’ordinanza di demolizione n. 2/2015 non possono trovare accoglimento. In particolare, il Segretario generale del Comune ha adottato l’ingiunzione di demolizione in sostituzione del responsabile dell’UTC, il quale si era doverosamente astenuto, “ dopo essere stato denunciato in sede penale dalla parte ricorrente ”. Né, a fronte della situazione che aveva portato all’astensione, doveva essere indicata la ragione della sottoscrizione dell’ordinanza n. 2/2015 da parte del Segretario generale.

4.Gli appellanti hanno impugnato la sentenza con quattro motivi, concernenti violazione di legge e delle NTA del PRG, nonché perplessità, insufficienza e illogicità della motivazione.

Sub I si sostiene, in sintesi, che la sentenza sarebbe erronea là dove ha ritenuto insussistente il requisito della c. d. doppia conformità, ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, non avendo le parti fornito prova rigorosa dell’esistenza, “ al momento della realizzazione dell’abuso, di una estensione dei fondi asserviti di mq. 67.493, in grado di giustificare l’entità delle opere realizzate in base ai valori dell’indice fondiario di zona… ” . Parte appellante sostiene come dagli atti si evinca la disponibilità, in capo al B, non solo del lotto iniziale di 23.744 mq. , ma di una superficie ben più ampia, di oltre 50.000 mq. . Dagli atti risulta inoltre che nel 2007 il B ha acquisito la proprietà di terreni ulteriori per un’estensione complessiva di circa 66.000 mq. sicché, al momento della realizzazione dell’intervento, collocabile temporalmente tra il 2011 -2012 e il 2009, il B era nella piena giuridica disponibilità delle superfici anzidette.

Sub II, parte appellante, nel dedurre la violazione dell’art. 17 delle NTA del PRG, sottolinea che, diversamente da ciò che ha ritenuto il TAR, per il quale si ricade nella ipotesi di cui all’art. 17/C) delle NTA, sui 500 mc. assentibili in zona agricola per necessità abitativa di persona non coltivatrice diretta, purché proveniente in linea diretta da nucleo familiare esplicante attività agricola a titolo principale, non si rientra nella fattispecie di cui alla lettera A) del medesimo art. 17, il quale fissa comunque un limite massimo di cubatura pari a mc. 800 a favore dei proprietari agricoltori a titolo principale. La sentenza sarebbe erronea anche nella parte in cui riferisce l’edificazione fino a 3.000 mc. “ ai nuclei abitativi, onde evitare di stravolgere, tramite asservimenti, il carattere agricolo dell’area, e non a singoli fabbricati e prevede, infatti, per la sua applicazione la redazione di un progetto planovolumetrico d’insieme e di uno strumento urbanistico esecutivo di iniziativa privata. Si deve, quindi, ritenere che il limite massimo di fabbricabilità, necessario all’ordinato sviluppo del territorio, venga previsto proprio nelle lettere A e C dell’art. 17 delle NTA, differenziando la posizione dei soggetti agricoltori da quella degli altri soggetti, secondo una comprensibile logica di preferenza (o meglio dire “premialità”) per i soggetti dediti in pianta stabile all’agricoltura…” . A differenza di ciò che si ritiene in sentenza, il citato art. 17 delle NTA consente, in zona agricola, la realizzazione di volumetrie, invero, non solo abitative, per ben 3.000 mc., mediante l’istituto dell’asservimento di aree contigue, e ciò a favore di chiunque rientri nel novero dei soggetti legittimati a edificare in zona agricola, e di chiunque disponga della superficie necessaria e utile secondo l’indice di fabbricabilità fondiaria, sicché, concludono sul punto gli appellanti, nella ZTO “E”, sempre che si disponga del requisito soggettivo e della superficie necessaria, è consentito realizzare anche complessi edilizi purché entro il limite massimo dei 3.000 mc. . Per esigenze di coerenza e di non contraddizione, la previsione di cui al citato art. 17/C) delle NTA, relativa al limite dei 500 mc., non può che attenere alla ipotesi di asservimento di particelle non contigue. Quanto sin qui argomentato trova conferma nella l. r. n. 14 del 1982.

Sub III, parte appellante contesta la sentenza là dove il TAR afferma che, “ anche accedendo alla tesi delle parti ricorrenti … la norma in questione (ossia il citato art. 17) impedirebbe la realizzabilità per questi soggetti di una cubatura ad uso abitativo non superiore a mc. 500 solo nel caso di asservimento di lotti non contigui – tale limite si applicherebbe comunque agli stessi ricorrenti confermando l’insanabilità dell’intervento…” , non risultando comprovato, a giudizio del TAR, che si tratti di lotti contigui. Diversamente da quanto opina il giudice di primo grado, le aree in questione sono qualificabili come contigue posto che può parlarsi di contiguità non necessariamente fisica, anche in casi di “ significativa vicinanza ”, “ che non coincide tuttavia con l’adiacenza e/o la stretta vicinanza ”. Nella specie, i terreni del ricorrente e odierno appellante possono considerarsi alla stregua di un comparto unitario, in quanto tutti collocati in una ZTO agricola del Comune di Morcone e, quindi, accomunati dal medesimo regime urbanistico, e significativamente vicini. Ne consegue, conclude sul punto la parte appellante, che nulla osterebbe al riconoscimento di una volumetria trasferibile mediante asservimento di aree non contigue correttamente intese.

Sub IV, infine, quanto cioè al motivo di ricorso, respinto e riproposto, inerente al recupero del sottotetto, nell’appello si sostiene che la sentenza avrebbe trascurato di considerare il fatto che al momento della entrata in vigore della l. r. n. 15/2000 il sottotetto era esistente e inserito in un fabbricato destinato in parte a residenza e realizzato in base a regolare concessione edilizia rilasciata nel 1994. Nell’atto di appello si legge che la difformità edilizia, consistita nel diverso uso di volumi esistenti, è stata compiuta e accertata solo alcuni anni dopo, e che gli appellanti non hanno inteso avvalersi di sanatorie ulteriori, ma hanno soltanto domandato la conversione in senso abitativo di locali regolarmente assentiti.

5.Il Comune si è costituito per resistere e ha proposto appello in via incidentale contestando le statuizioni della sentenza di primo grado con le quali il TAR, come si è segnalato sopra, al p. 3.1., ha respinto le eccezioni preliminari sollevate dal Comune medesimo.

L’Amministrazione ha impugnato le statuizioni di rigetto delle eccezioni civiche in rito con cinque diversi motivi.

In particolare, per ciò che qui più rileva, la P. A. ha riproposto l’eccezione, disattesa dal TAR, con la quale aveva dedotto “ l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione delle ragioni indicate nella relazione tecnica (del 5 febbraio 2013) indicata per relationem” .

Il Comune ha controdedotto nel merito e ha concluso chiedendo, in via principale, a questa Sezione, di accogliere l’appello incidentale e, in riforma della sentenza impugnata, di dichiarare inammissibile il ricorso di primo grado;
e in via subordinata, di rigettare l’appello.

L’istanza di misure cautelari è stata accolta e l’esecuzione della sentenza impugnata, e dell’ordinanza di demolizione n. 2/2015, sospesa.

In prossimità dell’udienza di discussione le parti si sono scambiate memorie e repliche e all’udienza del 19 ottobre 2017 l’appello principale e l’appello incidentale sono stati trattenuti in decisione.

6.In via pregiudiziale il Collegio ritiene che potrebbe essere accolto il secondo motivo dell’appello incidentale - con la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse - , motivo con il quale il Comune, nel contestare la corrispondente statuizione di rigetto della sentenza, di cui al p. 1.3., pag. 8 dec. TAR, ha nella sostanza ripresentato l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado e ciò, come si è anticipato sopra, ai punti 3.1. e 5. , sulla base dei noti principi dell’atto c. d. “plurimotivato” e della “ragione sufficiente”.

In base a essi, quando un provvedimento amministrativo si fonda su una pluralità di motivazioni autonome (c. d. atto plurimotivato), per giurisprudenza pacifica è sufficiente a sostenere la legittimità dell’atto stesso la conformità a legge anche di una sola delle ragioni addotte, con la conseguenza che “ nel giudizio promosso contro un siffatto provvedimento, il giudice, ove ritenga infondate le censure dedotte avverso una delle autonome ragioni poste alla base dell’atto impugnato, idonea, di per sé, a sorreggere la legittimità del provvedimento impugnato, ha la potestà di respingere il ricorso su tale base, con declaratoria di <assorbimento>
delle censure dedotte contro altro capo del provvedimento, indipendentemente dall’ordine in cui le censure sono articolate dall’interessato nel ricorso, in quanto la conservazione dell’atto (indipendentemente dalla eventuale invalidità di taluna delle autonome argomentazioni che lo sorreggono) fa venir meno l’interesse del ricorrente all’esame dei motivi dedotti contro tali ulteriori argomentazioni”
.

A identica conclusione, nel senso cioè che basta la legittimità di una sola delle motivazioni per sorreggere l’atto lesivo, occorre giungere quando, nei riguardi di una delle motivazioni autonome poste a fondamento dell’atto medesimo, non sia stata sollevata censura alcuna.

Guardando adesso più da vicino il caso in esame, nelle premesse del diniego del 5 giugno 2015 il Comune aveva fatto presente che l'istanza di permesso di costruire in sanatoria non poteva essere accolta per le motivazioni già riportate nella relazione tecnica di verifica urbanistico - edilizia del 5/2/2013...che integralmente si riconfermano .

L’autorità emanante ha poi indicato ulteriori ragioni ostative all'accoglimento della istanza, e

i ricorrenti non hanno mosso alcuna censura avverso le motivazioni riportate nella relazione di verifica del 5 febbraio 2013, in particolare con riguardo alle considerazioni svolte in ordine al cambio di destinazione dell’immobile, ampliato volumetricamente (v. sopra, p. 1., sulla sintesi della relazione di verifica istruttoria).

Il Comune, come rilevato, aveva eccepito la inammissibilità del ricorso deducendo che il ricorso giurisdizionale contro un atto che si basi su una pluralità di motivi, ognuno autonomo rispetto all'altro, deve investire tutti i motivi che sorreggono l’atto lesivo, poiché l’eventuale riconoscimento della fondatezza della censura formulata contro uno solo di detti motivi non esclude l'esistenza della restante causa giustificatrice dell'atto, sicché, per giurisprudenza pacifica, il motivo di ricorso che riguardi una sola o anche più, di tali ordini di ragioni, ma non tutte, é inammissibile.

Nel caso di un provvedimento amministrativo che si basi su una pluralità di motivazioni autonome (c.d. atto plurimotivato), è sufficiente a sostenere la legittimità dello stesso la conformità a legge anche di una sola di esse.

Il TAR ha disatteso l'eccezione civica, osservando che la relazione tecnica richiamata è un atto istruttorio posto a base dell'adozione di un ordine di demolizione e non può essere validamente richiamata per relationem per motivare il provvedimento di rigetto di una istanza di sanatoria nei confronti del medesimo abuso. La determinazione di rigetto si presenta, infatti, quale provvedimento avente presupposti del tutto differenti ed assunto secondo un iter procedimentale del tutto autonomo.

Il provvedimento di rigetto di una istanza di accertamento di conformità può quindi, eventualmente, fare riferimento a presupposti in fatto accertati in sede di adozione di un ordine di demolizione - e in tal senso richiamare anche atti quali la relazione tecnica in esame - ma non può legittimamente operare un vero e proprio rinvio per relationem, onde integrare la parte motivazionale del provvedimento medesimo, indicando delle ragioni in grado di giustificare in via autonoma l'atto gravato. Ciò è tanto vero che, nel caso di specie, la relazione tecnica non riporta espressamente alcuna motivazione di diniego a una possibile domanda di accertamento di conformità, incentrandosi sull'esistenza dell'abuso commesso .

Argomentazioni e conclusione del TAR non appaiono condivisibili.

Da un lato, l’autorità emanante, nelle premesse del diniego, richiama “ per relationem ”, in maniera tutt’altro che irrituale (arg. ex art. 3 della l. n. 241 del 1990), le argomentazioni svolte nella relazione di verifica urbanistica.

Dall’altro, nella relazione, il Comune si era soffermato sul mutamento di destinazione d’uso dell’immobile a seguito della presentazione della DIA e per effetto dell’incremento volumetrico, e sulla conseguente violazione dell’art. 31, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, e su questo aspetto parte ricorrente non sembra in effetti avere addotto argomenti specifici a confutazione.

7.Tuttavia, nonostante il carattere dirimente di ciò che si è appena esposto, il Collegio ritiene che i motivi proposti con l’appello principale siano in ogni caso infondati, e che l’impugnazione vada respinta.

La sentenza di primo grado resiste, infatti, alle critiche che le sono state rivolte.

A questo riguardo, appare risolutivo osservare che, diversamente da quanto sostengono gli appellanti, e conformemente a quanto ritenuto dal TAR, dall’esame dell’art. 17 delle NTA del PRG emerge che la ZTO “E” è destinata prevalentemente alla conduzione dei fondi e all’esercizio delle attività agricole oltre che all’insediamento di nuclei, edifici e attrezzature strumentali e necessari all’esercizio delle attività anzidette, come si ricava anche dalla elencazione delle tipologie di fabbricati e di costruzioni, essenzialmente connessi a esigenze di conduzione dei fondi, la realizzazione dei quali è consentita nella zona “ de qua ”.

Sia pure entro un contesto interpretativo tutt’altro che agevole, dalla lettura del citato art. 17 si evince che la realizzazione di più di 500 mc. di costruzione è assentibile per le necessità abitative esclusivamente del proprietario coltivatore diretto, qualifica, questa, sicuramente non posseduta dal dr. B.

Nella specie, non si ricade nella ipotesi di cui alla lettera A) dell’art. 17 delle NTA del PRG, ma in quella di cui alla lett. C) del medesimo art. 17, disposizione che si riferisce alle necessità abitative di persone che non siano agricoltori a titolo principale o coltivatori diretti (come non lo è il dr. B), a condizione che si tratti di persona proveniente in linea diretta da un nucleo familiare esplicante attività agricola a titolo principale (come avviene per il B).

Quanto poi al limite dei 3.000 mc. di edificazione, il citato art. 17 pone il limite suddetto per nuclei abitativi, ovvero per gruppi di fabbricati (“ nuclei di non più di 3.000 mc. complessivi… ”).

La disposizione mira a salvaguardare l’utilizzo agricolo dei suoli e prevede, quindi, che più costruzioni possano essere concentrate in un unico “nucleo”, come accade quando, intorno a una “corte comune”, vi sono una pluralità di fabbricati rurali: ma, per evitare che si possano creare zone urbanizzate, o lottizzazioni abusive, pone il limite dei 3.000 mc. il quale, dunque, riguarda la somma della volumetria dei fabbricati che si possono edificare entro un “borgo agricolo”, e non la volumetria di ogni singolo fabbricato.

Inoltre, la disposizione di PRG consente anche l’asservimento di lotti di terreno non contigui, ma soltanto per le necessità abitative del proprietario coltivatore a titolo principale, e con il limite degli 800 mc. .

Quanto poi alla posizione della signora S, affittuaria del fondo e imprenditrice agricola a partire, a quanto consta, dal 2015, in modo corretto si rileva in sentenza che “ non sarebbe stato (comunque) possibile il rilascio dell’accertamento di conformità, non sussistendo … il requisito della doppia conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001. L’opera abusiva non sarebbe stata realizzata da un coltivatore diretto, e tale qualifica sarebbe intervenuta solo successivamente in capo al soggetto che ha chiesto la sanatoria. Al momento della realizzazione dell’abuso l’opera non sarebbe stata assentibile per difformità dalla disciplina urbanistica ed edilizia vigente ”. L’opera è stata realizzata dal B, non dalla S.

Ed è corretto rilevare, come fa il Comune, che, diversamente opinando, verrebbe in considerazione un sostanziale aggiramento dei limiti di edificazione in zona agricola.

Chiarito dunque che ci si trova in presenza di una disciplina ostativa all’assentibilità di costruzioni a scopo abitativo che superino il limite volumetrico dei 500 mc., cubatura, quest’ultima, concedibile, come detto, in base al disposto, chiaramente eccezionale e derogatorio, di cui all’art. 17/C) delle NTA, per necessità abitative anche di persone che non siano agricoltori a titolo principale o coltivatori diretti (come non lo è il dr. B), a condizione però che si tratti di persona proveniente in linea diretta da un nucleo familiare esplicante attività agricola a titolo principale (e sulla concedibilità, nella specie, dei 500 mc. di volumetria “ per abitazione in zona agricola ” la relazione di verifica urbanistica è esplicita: v. pag. 3, lett. a) relaz. cit.), perde rilievo il motivo di appello sub I), con il quale gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui il TAR ha ritenuto insussistente il requisito della c. d. doppia conformità, ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, per non avere, le parti, comprovato la disponibilità, al momento della realizzazione dell’abuso, di una superficie di terreno sufficiente in relazione alla volumetria effettivamente realizzata;
per non avere fornito la prova di disporre di una “ estensione dei fondi asserviti di mq. 67.493, in grado di giustificare l’entità delle opere realizzate in base ai valori dell’indice fondiario di zona…” .

Una volta appurato che in zona “E” non è consentito realizzare una volumetria superiore ai 500 mc. indicati all’art. 17/C) delle NTA, quando, al contrario, parte ricorrente ha costruito un villino avente una volumetria residenziale di oltre 1.000 mc, e con 16 vani, perde rilievo lo stabilire se, e a partire da quale momento, il B potesse disporre di una superficie di terreno (dapprima di circa 50.000 mq. , poi di 66.000 ma, comunque,) superiore ai 23.674 mq. indicati nel progetto del 1993.

Analogamente, una volta stabilito che l’asservimento di lotti non contigui è possibile solo a favore di coltivatori diretti a titolo principale, è irrilevante (cfr. II motivo) lo stabilire se il B era proprietario di altri terreni, contigui o no, e quale fosse la maggiore estensione dei terreni medesimi.

Quanto infine al recupero abitativo del sottotetto (IV motivo), in primo luogo non può non venire in considerazione un intervento edilizio considerato nel suo complesso, senza cioè, suddivisioni nel senso –posto bene in risalto dalla difesa civica- di chiedere in parte, l’accertamento di conformità, e in parte l’applicazione della l. r. n. 15/2000 sul recupero dei sottotetti.

L’intervento edilizio, e la disciplina applicabili, vanno cioè considerati in modo unitario e globale, e senza frammentazioni improprie.

In ogni caso, occorre rilevare che, da una parte, al momento della entrata in vigore della l. r. n. 15/2000, risultava assentito soltanto un “sottotetto ispezionabile”.

D’altra parte, al momento del sopralluogo (2012), le caratteristiche di utilizzo della porzione di fabbricato erano completamente mutate.

E’ corretto dunque rilevare, come fa il TAR, che nella specie viene in considerazione la fattispecie della realizzazione abusiva di un sottotetto, non preventivamente sanato ex l. n. 47/1985 o ex l. n. 724/1994, con conseguente impedimento all’assentibilità del recupero (conf. sent. impugnata, p. 4., pag. 16, e relazione di verifica urbanistica del 5 febbraio 2013, cit.).

Dalla reiezione dell’appello principale discende l’improcedibilità dell’appello incidentale per sopravvenuta carenza di interesse.

Nonostante l’esito del ricorso, talune peculiarità della vicenda e la non piena perspicuità di alcuni profili dell’appello giustificano in via eccezionale la compensazione tra le parti delle spese e dei compensi del grado del giudizio.

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