Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-12-10, n. 201908403
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Pubblicato il 10/12/2019
N. 08403/2019REG.PROV.COLL.
N. 02028/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2028 del 2019, proposto da
Imago Company s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato M F, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia;
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è elettivamente domiciliato;
Commissione di Revisione di I Grado presso la Direzione Generale per il Cinema e Commissione di Revisione di II Grado presso la Direzione Generale per il Cinema, in persona di rispettivi rappresentanti legali
pro tempore
, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma (Sezione Seconda), n. 11007/2018, resa tra le parti, concernente il nulla osta alla proiezione di un film con divieto di visione ai minori degli anni diciotto.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. A M e uditi per le parti l’avvocato M F e l’avvocato dello Stato Giovanni Greco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Imago Company s.r.l. (di seguito solo Imago) ha presentato al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali domanda di revisione cinematografica ai sensi della L. 21/4/1962, n. 161, relativa a un film denominato “ Transgression ” (costituente, secondo le sue stesse affermazioni, il sequel di altra precedente produzione del medesimo regista, avente a oggetto il tema della liberazione sessuale in relazione al rapporto dell’uomo con la sessualità e il corpo femminile).
In riscontro all’istanza il detto Ministero ha adottato la nota 13/4/2019 n. 82/113170 con la quale ha rilasciato il nulla osta alla proiezione in pubblico con divieto di visione ai minori degli anni diciotto.
Al fine di superare l’anzidetto divieto la Imago ha presentato una nuova domanda di revisione eliminando dalla pellicola 17 scene di natura sessuale e riducendone la durata da 100 a 77 minuti.
Ciononostante il Ministero ha nuovamente posto il divieto di visione ai minori di anni diciotto.
La società ha, quindi, proposto ricorso alla Commissione di revisione di II grado, ma con nota 13/6/2018, n. 145/113241 il Ministero ha confermato il divieto.
Ritenendo gli atti sopra menzionati illegittimi, la Imago li ha impugnati con ricorso al T.A.R. Lazio – Roma, il quale, con sentenza 14/11/2018, n. 11007, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello la Imago.
Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
Quest’ultimo, con successiva memoria, ha meglio illustrato le proprie tesi difensive.
Con ordinanza 15/7/2019, n. 4986 la Sezione ha disposto l’acquisizione del fascicolo di primo grado con le copie del film ivi prodotte.
Alla pubblica udienza del 28/11/2019 la causa è passata definitivamente in decisione.
In via preliminare il Collegio rileva che la citata ordinanza non è stata eseguita;tuttavia, non si reputa necessario reiterare l’ordine con essa dato, essendo presenti agli atti elementi sufficienti per decidere.
Giova ancora premettere che nella materia per cui è causa il giudice amministrativo esercita, ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. e), c.p.a. (e prima ancora dell’art. 8 della L. 21/4/1962, n. 161) giurisdizione estesa al merito, il che gli consente, se del caso, e in relazione alle censure dedotte, di emanare un provvedimento diverso da quello adottato dal Ministero, ovvero di valutare diversamente i fatti da quest’ultimo esaminati e pervenire, sulla base di considerazioni differenti, alla medesima conclusione cui è giunta l’autorità amministrativa (Cons Stato, Sez. IV,;10/4/1998, n. 583;8/2/1996 , n. 139 e 10/12/1991, n. 1086).
Ciò posto può procedersi all’esame delle censure prospettate.
Col primo motivo l’appellante deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere legittimo l’avversato divieto di visione ai minori degli anni diciotto sul presupposto della:
a) propagazione del modello di relazione uomo-donna basato sulla mercificazione del copro femminile;
b) soppressione di qualunque tratto caratteristico dei personaggi;
c) assenza di un soggetto e/o di una trama.
Il giudice di prime cure non avrebbe considerato la natura sostanzialmente documentaristica del film, la quale, di per sé, escluderebbe la possibilità di emersione dei tratti caratteristici dei personaggi (salvo quello dell’attore che è anche regista e protagonista) e giustificherebbe l’assenza di dialoghi (con l’eccezione dei monologhi dell’attore).
Analoghe considerazioni varrebbero in relazione all’assunto secondo cui il film diffonderebbe “ un modello di relazione uomo-donna basato sulla mercificazione del copro femminile ”. Infatti il film, lungi dal rappresentare la suddetta “ mercificazione ” si limita a descrivere il rapporto personale e autobiografico del protagonista con la sessualità.
In tale contesto la donna avrebbe un ruolo del tutto marginale inidoneo a far emergere l’idea di una mercificazione del corpo femminile.
Senza contare che le scene di sesso più spinte sarebbero state tagliate cosicché il film non recherebbe nemmeno offesa al buon costume.
Col secondo motivo si lamenta l’erroneità della valutazione compiuta dal Tribunale il quale non avrebbe considerato che:
a) ormai anche le emittenti televisive trasmettono, in notturna, programmi dal contenuto erotico liberamenti fruibili;
b) sarebbe mutato il concetto di “ buon costume ” come si ricaverebbe dalla recente programmazione da parte della TV pubblica del film “ L’ultimo tango a Parigi ”, un tempo ritenuto pornografico;
c) l’appellante si sarebbe dichiarata disponibile ad apportare ulteriori tagli alla pellicola.
Le doglianze così sinteticamente riassunte, entrambe infondate, si prestano a una trattazione congiunta.
Al riguardo va osservato che non è rilevante la predicata natura documentaristica della pellicola, poiché ciò che conta – secondo la valutazione discrezionale degli uffici ministeriali a ciò preposti - è il messaggio complessivo che l’opera è idonea a trasmettere allo spettatore e nella specie, dalla stessa descrizione delle scene del film ricavabile dalle affermazioni dell’appellante, emerge una rappresentazione della relazione sessuale uomo/donna inadatta alla visione da parte di un pubblico non adulto, siccome incentrata sulla mercificazione del corpo femminile come ben messo in risalto dall’autorità ministeriale laddove ha rilevato che “ il film, al di là della riconduzione al genere documentario come proposta della produzione, deve essere considerato come una rappresentazione dal contenuto pornografico;e ciò non solo che perla incessante, continua proposizione di scene di sesso ma anche per il contenuto complessivo esposto nella narrazione che accompagna quelle scene dalle considerazioni svolte dall’autore a commento delle stesse, dall’immagine della donna che, ben oltre dall’apparente finzione di ispiratrice del genere letterario – cinematografico erotico finisce per costituire un mero oggetto della rappresentazione priva di ogni ruolo che non sia riconducibile alla sola idea di mercificazione, sconfinando in una pratica vuoyeristica (rectius voyeuristica)”.
Tale valutazione è stata ritenuta non viziata dal Tribunale che, nell’ambito della propria cognizione estesa al merito, ha osservato che: << anche a voler superare le ripetute esplicite scene di rapporti sessuali con nudo integrale, particolarmente insistenti, è proprio il messaggio complessivo dell’opera a risultare inadatto ad un pubblico non adulto, sia per la rappresentazione dei personaggi femminili (a tutta evidenza professioniste del settore, come si evince anche dalla dichiarazione delle preferenze sessuali, che coincidono con i desiderata maschili, viste solo come corpi trasformati in strumento di piacere anziché come persone) e maschili (il protagonista, in fuga dall’avvilimento dal trascorrere del tempo ed insoddisfatto della sua forma fisica, cerca evasione in rapporti puramente fisici e trova la felicità nella soddisfazione dei propri bisogni sessuali a mezzo di una ragazza disinibita più giovane di 40 anni, priva di ulteriori qualità personali), sia per lo squallido epilogo finale (il rapporto uomo anziano e giovane ragazza disinibita basato sullo scambio tra potere nel settore cinematografico del primo e mercificazione sessuale della seconda). A quest’ultimo riguardo va ribadito che il criterio meramente “quantitativo” della frequenza statistica di tale modalità di rapporto personale (uomo di potere anziano/giovane ambiziosa disposta allo scambio) e la sua recente diffusione nella società non comporta affatto la sua “legittimazione” sotto il profilo dell’accettabilità del modello, tanto meno della desiderabilità della sua diffusione tra gli adolescenti.
In sostanza, l’inadeguatezza dell’opera, sotto il profilo dei criteri previsti dall'art. 9 del D.P.R 11 novembre 1963, n. 2029 non va ravvisata tanto nell’esplicito carattere pornografico dell’opera – in cui le scene di puro sesso rappresentano l’unica azione ripetuta per quasi tutta la durata del film e che comunque di per sé sole giustificherebbero il diniego di nulla osta (cfr., anche in settori in cui le valutazioni di tali caratteri del film non sono soggette a giurisdizione di merito, T.A.R. Lazio, sez. III ter, n. 32811/2010, nel senso che “l’esibizione dei corpi umani (recante l’ostentazione di nudità e di parti intime) non presentava carattere di neutralità ma si accompagnava a pose e atteggiamenti richiamanti, in modo esplicito e oggettivo l’attività sessuale)- quanto per la propagazione del modello di relazione uomo-donna basato sulla mercificazione del corpo femminile (che risulta di tutta evidenza per gli atteggiamenti, i comportamenti e le dichiarazioni rese dalle donne interessate, che sono chiaramente operatrici del settore, anche se non si vede il materiale passaggio di denaro a pagamento delle prestazioni rese dalle stesse), la soppressione di qualunque tratto caratteristico dei personaggi (le “protagoniste” femminili si propongono in termini identici in luoghi “non luoghi” sostanzialmente identici nei diversi Paesi visitati, ai quali non si fa alcun riferimento oltre le camere da letto), la mancanza di soggetto e trama, l’inesistenza di dialoghi (non potendosi considerare tali le mere interviste relative alle preferenze sessuali) >>.
Alla luce di tali condivisibili osservazioni, diviene inconferente ogni riferimento:
a) alla trasmissione, da parte delle emittenti televisive, di programmi dal contenuto erotico liberamente fruibili;
b) al mutato concetto di “ buon costume ”;
c) alla disponibilità mostrata dall’appellante a effettuare ulteriori tagli alla pellicola.
Difatti, ciò che giustifica l’imposizione del divieto di visione ai minori degli anni diciotto, è il messaggio di fondo (come sopra descritto) che l’opera è idonea a trasmettere allo spettatore.
Col terzo motivo si critica l’impugnata sentenza per aver escluso la violazione dell’art. 10- bis della L. 7/8/1990, n. 241. Infatti, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, l’effettuazione di ulteriori tagli di pellicola avrebbe potuto consentire il rilascio dell’autorizzazione alla proiezione senza divieti.
Non sarebbe condivisibile nemmeno l’assunto secondo cui l’applicazione alla fattispecie dell’invocato art. 10-bis sarebbe esclusa dalle garanzie partecipative previste per il procedimento in esame.
La pronuncia risulterebbe, infine, erronea nella parte in cui ha ritenuto insussistente la dedotta disparità di trattamento con altro analogo film (denominato “ Exibition ”).
La conclusione è motivata con riguardo sia all’indimostrata sussistenza dell’identità della fattispecie posta a raffronto, sia alla concreta inconfigurabilità del vizio in conseguenza della natura eminentemente individuale della valutazione richiesta ai fini del rilascio del nulla osta alla programmazione, sia infine al fatto che in ogni caso, l’eventuale omissione del divieto in relazione a film molto più crudi ed espliciti, non potrebbe giustificare l’adozione di ulteriori provvedimenti in contrasto con la legge.
La conclusione non sarebbe, però, condivisibile in quanto in sede procedimentale la società richiedente avrebbe fatto rifermento al film Exibition , per il quale era stato posto il divieto di visione ai minori degli anni quattordici, che sarebbe del tutto analogo a quello oggetto della presente controversia, per cui l’amministrazione avrebbe dovuto motivare il diverso trattamento.
Il nulla osta rilasciato al film Exibition del resto non sarebbe illegittimo per cui non sarebbe pertinente il richiamo al principio secondo cui la necessità di comportamenti omogenei non potrebbe giustificare l’adozione di un secondo provvedimento illegittimo.
La censura non merita accoglimento.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 10- bis della L. n. 241/1990, è sufficiente rilevare che la detta norma non trova applicazione nella fattispecie, atteso che il procedimento per ottenere il nulla osta alla proiezione in pubblico di film, descritto dalla L. n. 161/1962, garantisce già ampiamente le pretese partecipative dell’interessato, consentendogli di impugnare le decisioni della Commissione di primo grado davanti a quella di secondo grado (art. 7 della citata L. n. 161/1962), facoltà, peraltro, di cui l’odierna appellante si è, nel caso concreto, avvalsa.
A prescindere da quanto sopra occorre, comunque, rilevare che in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale le garanzie procedimentali non possono ridursi a mero rituale formalistico, con la conseguenza, nella prospettiva del buon andamento dell'azione amministrativa, che il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle proprie pretese partecipative, ma è anche tenuto ad indicare o allegare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (Cons. Stato, Sez. V, 5/6/2018, n. 3399;Sez. IV, 3/12/2018, n. 6824).
Tale onere nella specie non risulta assolto.
Altrettanto insussistente risulta la dedotta disparità di trattamento.
E invero, il Tribunale ha ritenuto che il vizio sia << “configurabile solo in presenza di due fattispecie che ricevono trattamento differenziato pur avendo l’identico presupposto di fatto comune”, evenienza la cui verificazione, nel caso di specie non è stata affatto dimostrata >>.
Ebbene tale affermazione non è stata smentita, nemmeno in questa sede, dall’odierna appellante e ciò preclude la possibilità di valutare la sussistenza del dedotto vizio, atteso che per pacifica giurisprudenza la disparità di trattamento presuppone l’assoluta identità delle fattispecie poste a confronto ( ex plurimis Consiglio di Stato, Sez. II, 22/7/2019, n. 5157).
L’appellante ha poi riproposto i motivi prospettati in primo grado che, tuttavia, risultano inammissibili, atteso che, ai sensi dell’art. 101, comma 1, c.p.a., i motivi di gravame devono essere rivolti contro la sentenza e non nei confronti del provvedimento amministrativo impugnato in primo grado, essendo consentito riproporre in appello le censure dedotte davanti al primo giudice, solo laddove quest’ultimo abbia omesso di esaminarle.
L’appello va, in definitiva, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.