Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-06-13, n. 201903962
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 13/06/2019
N. 03962/2019REG.PROV.COLL.
N. 09862/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9862 del 2010, proposto da
Impresa Costruzioni Edili Bee Briccio S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati I P, R R, A M, con domicilio eletto presso lo studio A M in Roma, via Federico Confalonieri 5;
contro
Comune di San Martino Buon Albergo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati S B, P S R, con domicilio eletto presso lo studio P S R in Roma, viale Mazzini, 11;
Provincia di Verona, non costituita in giudizio;
Ministero per i Beni e le attivita' culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 02389/2010, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di San Martino Buon Albergo e del Ministero per i beni e le attivita' culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2019 il Cons. G O e uditi per le parti gli avvocati A M, P S R;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L'impresa ricorrente è proprietaria di un'area nel comune di San Martino Buon Albergo che, in data 10 novembre 2000, ha locato alla società Benini Sergio snc in quanto funzionale all'attività di recupero di materiali provenienti da demolizioni e scavi svolta da quest'ultima.
Con l'autorizzazione della Provincia e previe prescrizioni della Commissione tecnica provinciale per l'ambiente, l'area interessata dalla movimentazione dei mezzi di trasporto è stata pavimentata. Tuttavia, il Comune con il sopralluogo del 6 aprile 2004 ha rivelato che, senza titolo edilizio e senza autorizzazione ambientale, la società conduttrice aveva eseguito una sopraelevazione di circa 2 m. con relativa asfaltatura di un'area delle dimensioni di circa metri 400 per metri 250 da utilizzare per il deposito di materiali.
Il piano regolatore generale classifica l'area in questione come sotto zona agricola E 2 integralmente sottoposta a vincolo paesaggistico e in parte collocata all'interno della fascia di rispetto del fiume Fibbio. Conseguentemente, il Comune ha inviato sia alla proprietà che alla società conduttrice la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio in data 13 aprile 2004. In data 9 dicembre 2004 la società proprietaria ha presentato per le stesse opere istanza di condono edilizio ai sensi della legge n. 326 del 2003 e della legge regionale n. 21 del 2004. In data 11 agosto 2006 l'istanza è stata integrata con una relazione tecnico-illustrativa e con la richiesta di parere ambientale.
Il 17 agosto 2006 la commissione edilizia ha espresso parere negativo sull’ istanza. Il parere è stato comunicato ai sensi dell'articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990 alla stessa società Bee Briccio Srl. Con provvedimenti del 16 settembre 2006 e del 2 ottobre 2006 (di correzione di taluni errori materiali) il Comune ha respinto l'istanza di condono e, il 3 novembre 2006, previo parere della commissione edilizia, ha adottato l'ordinanza di demolizione.
2. I due provvedimenti sono stati impugnati con il primo ricorso anche con istanza cautelare, che è stata respinta sia dal Tar che dalla IV Sezione di questo Consiglio in data 15 maggio 2007.
A seguito di verifica dell’inottemperanza dell'ordinanza di demolizione, il Comune ha quindi disposto l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area e comunicato l'avvio del procedimento per l'adozione dell'ingiunzione sul programma di smaltimento rifiuti che è stata poi emessa in data 25 giugno 2007. Tale provvedimento è stato impugnato da entrambe le società.
L'appello in epigrafe è volto ad ottenere l'annullamento della sentenza n. 2389 del 2010 del Tar veneto con la quale è stato respinto il ricorso con il quale gli odierni appellanti avevano richiesto l'annullamento del provvedimento di rigetto dell'istanza di sanatoria, dell'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, nonché degli atti connessi e del ricorso contro il provvedimento con il quale era stata disposta l'acquisizione al patrimonio comunale dell’area di proprietà della società ricorrente, della comunicazione di avvio del procedimento e dell'ordinanza con il quale il sindaco ha ingiunto la presentazione, nel termine di 90 giorni, di un programma di smaltimento di rifiuti accumulati nell'area, nonché di tutti i provvedimenti connessi.
3. Con la sentenza del, Tar oggetto dell'appello in esame, previa riunione dei ricorsi, è stato respinto il primo e parzialmente accolto il secondo limitatamente alla parte relativa alla quantificazione dell’area da acquisire "che l'amministrazione dovrà conseguentemente e motivatamente rideterminare".
4. L'appello è affidato a tre motivi di censura.
4.1. Con il primo si sostiene l'errata ricostruzione dei fatti compiuta nella sentenza impugnata, la violazione ed errata interpretazione dell'articolo 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, la contraddittorietà della motivazione della sentenza. L'appellante ribadisce di non aver realizzato le opere in questione, non avendo la disponibilità dell'area e di essersi limitata a avviare il procedimento di condono edilizio dato che non avrebbe potuto, in ogni caso, attivarsi per favorire l'esecuzione della ordinanza di demolizione. Inoltre, in data 25 maggio 2007 la società ha comunicato la propria volontà di procedere al ripristino dell'area appena conclusasi la fase del giudizio cautelare e, per questa ragione, dopo i 90 giorni prescritti. Viene anche evidenziato che in data 18 aprile 2007 l'area è stata sottoposta a sequestro penale e da quel momento è stata anche avviata l'attività di ripristino sotto il controllo della Procura della Repubblica.
4.2. Con il secondo motivo si censura l'errata motivazione della sentenza in ordine alla censura di violazione dell'articolo 3 della legge n. 241 del 1990 e dell'eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria in capo agli atti impugnati in primo grado ed in particolare del diniego di condono. La sentenza di primo grado avrebbe erroneamente confermato la valutazione dell'amministrazione concernente la "manifesta infedeltà" dell'istanza di sanatoria sostituendosi nella individuazione di alcuni elementi che proverebbero tale infedeltà e che erano invece del tutto assenti nel provvedimento di diniego impugnato. Lamenta in particolare l'assenza di contraddittorio che si è registrata al riguardo.
4.3. Con il terzo motivo viene lamentata la erroneità della motivazione della sentenza con riguardo alla censura di difetto di istruttoria dell'ordinanza di demolizione.
5. L'appellante e il Comune hanno presentato documenti in data 1 aprile 2019 e 3 aprile 2019. Memorie sono state presentate dal Ministero per i beni e le attività culturali, dal Comune e dall'appellante. Il Ministero chiede, in particolare, l’estromissione dal giudizio.
6. Nell'udienza pubblica del 14 maggio 2019 la causa viene trattenuta per la decisione.
7. L'appello è infondato.
7.1. Deve essere respinto, infatti, il primo motivo di ricorso che contesta la corretta applicazione dell'articolo 31 del d.P.R. n. 380 del 2001. Secondo tale disposizione " 3. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune …”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito da tempo che l'acquisizione gratuita al patrimonio del comune dell'area sulla quale insiste la costruzione abusiva " non è una misura strumentale per consentire al Comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, bensì costituisce una sanzione autonoma che consegue ad un duplice ordine di condotte, poste in essere da chi, dapprima esegue un'opera abusiva e, poi, non adempie all'obbligo di demolirla …" (Cons. Stato VI Sez. n. 1263 del 2018) in questa stessa sentenza (citata anche in una memoria dell'appellante) la VI Sezione ha precisato ulteriormente che tale misura sanzionatoria " non può essere disposta quando non è possibile muovere alcun addebito di responsabilità nei confronti di chi la subisce ". E tuttavia, è stato anche chiarito che la responsabilità da cui discende la sanzione in questione non è soltanto quella di aver posto in essere le opere abusive, ma anche quella di non essersi attivati per rimuoverle. La medesima sentenza, infatti, si sofferma sul comportamento attivo, in quel caso, della ricorrente da cui deriverebbe non solo la sua estraneità all'abuso, ma anche la sua effettiva intenzione di ripristinare la situazione edilizia preesistente. La giurisprudenza, peraltro, ha affermato in modo pacifico che " in materia di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario, la posizione di quest'ultimo può ritenersi neutra rispetto alle sanzioni previste dalla legge n. 47 del 1985 ed ora dal d.P.R. n.380 del 2001, anche con riferimento all'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insiste il bene, a condizione che risulti, in modo inequivocabile, la sua estraneità rispetto al compimento dell'opera abusiva ovvero risulti che essendone venuto a conoscenza si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offerti dall'ordinamento " (Cons. Stato, IV Sez. n. 4547 del 2017, VI Sez., n. 358 del 2016).
Nel caso di specie ciò non è avvenuto. Infatti, è la società appellante a presentare istanza di sanatoria degli abusi commessi dalla conduttrice e se è vero che era nella condizione di poterlo fare è difficile sostenere che ciò sia indicativo della volontà di attivarsi per rimuovere gli abusi. Inoltre, la società appellante si è limitata a dichiarare, peraltro dopo la scadenza dei 90 giorni previsti, la sua intenzione al riguardo ma non ha posto in essere atti concreti e rivolto alla società conduttrice alcuna sollecitazione. Nè risulta che, dopo il sequestro del bene abbia chiesto il dissequestro al fine di procedere alla rimozione dell'abuso. È significativo di tale atteggiamento passivo, inoltre, che l'appellante si sia anche, successivamente, opposta ai provvedimenti finalizzati ad eliminare le fonti di inquinamento che si erano determinate.
7.2. Da respingere è anche il secondo motivo. Non si ravvisano infatti i difetti istruttori e di motivazione rilevati dall'appellante: i provvedimenti impugnati rinviano al parere della commissione edilizia, nel quale è precisato che le opere di pavimentazione e di elevazione del terreno sono in contrasto con i vincoli insistenti sulla zona. È condivisibile, peraltro, l'avviso del giudice di primo grado in ordine alla completezza dell'istruttoria, che non è inficiata dagli errori materiali contenuti nel primo provvedimento poi corretto dalla stessa amministrazione. Quanto alla "infedeltà" della istanza, occorre precisare che essa emerge dagli atti depositati ed in particolare dal verbale redatto dal comando del Corpo di polizia provinciale di Verona nel quale si evidenzia che alla data del 19 gennaio 2004 i lavori in questione erano in corso contrariamente a quanto affermato nell'istanza di sanatoria. Come rilevato anche dal Tar, l'amministrazione ha provveduto a comunicare sia i motivi ostativi sia l'avvio del procedimento sanzionatorio senza che siano pervenute osservazioni da parte della società ricorrente.
7.3. Anche il terzo motivo non può essere accolto. Con esso viene imputato alla sentenza di primo grado di non aver adeguatamente considerato l'errore contenuto nell'ordinanza di demolizione concernente la identificazione catastale delle aree oggetto dello stesso provvedimento. In realtà, il Tar ha precisato che le opere per le quali è ingiunta la demolizione sono individuate con la formula della "porzione di asfaltatura presente nell'area" e nello "strato di terreno di circa 2 m" e che l'ordinanza impugnata si riferisce espressamente all'area "identificata nell'elaborato grafico prodotto dalla proprietà in data 11 agosto 2006, protocollo n. 21072". Quanto all'incidenza sulla acquisizione dell'area di sedime per effetto della mancata ottemperanza, cui pure si accenna brevemente nel motivo, si deve precisare che la sentenza, accogliendo in parte il secondo ricorso, ha ordinato all'amministrazione di individuarla correttamente con successivo provvedimento.
8. Sulla base delle suesposte considerazioni l'appello, previa estromissione dal giudizio del Ministero dei beni e le attività culturali, deve pertanto essere respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza nella misura fissata in dispositivo.