Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-01-25, n. 202300817
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 25/01/2023
N. 00817/2023REG.PROV.COLL.
N. 01951/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1951 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato R L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Questura di Caserta, non costituito in giudizio;
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 11 aprile 2017, l’odierno appellante ha presentato istanza alla Questura di Caserta - Commissariato di Pubblica Sicurezza di -OMISSIS-, con cui ha chiesto il rilascio della licenza di porto di fucile per uso sportivo.
Nel corso dell’istruttoria è emerso che:
- negli anni precedenti (2006, 2011 e 2013) l’interessato è stato sottoposto a tre procedimenti penali;
- è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per produzione e distruzione di prodotti pericolosi, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, emissione fatture per operazioni inesistenti, violazioni a leggi urbanistiche, introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi e truffa;
- in occasione di un accertamento, è stato trovato dall’Autorità di pubblica sicurezza in compagnia di un soggetto pregiudicato per rissa.
Con nota del 27 aprile 2017, l’Amministrazione ha notificato all’interessato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 10–bis l. n. 241/1990, a seguito della quale l’interessato ha depositato osservazioni scritte, volte a far determinare l’Amministrazione in senso a sé favorevole.
Con provvedimento notificato il 17 luglio 2018, la Questura di Caserta ha respinto l’istanza di rilascio della licenza di porto fucile per uso sportivo.
Avverso il suddetto provvedimento di rigetto, l’interessato è insorto proponendo ricorso innanzi al T.A.R. Campania – Napoli, volto a censurare il difetto di motivazione e la carente istruttoria del contestato decreto.
Il T.A.R., con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso, rilevando che:
- la Questura, facendo applicazione dei principi generali che regolano la materia de qua, ha correttamente motivato il provvedimento di diniego, laddove ha ritenuto che i numerosi deferimenti del ricorrente all’Autorità Giudiziaria, unitamente all’accertata frequentazione con un soggetto pregiudicato per rissa siano indicativi di una condotta di vita incline a comportamenti illeciti ed antisociali, incompatibili con un esito positivo della valutazione circa l’affidabilità del soggetto;
- gli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. prevedono che la licenza di porto d’armi può essere negata o revocata dal Questore nei confronti di coloro che non danno affidamento di non abusare delle armi, analogamente a quanto previsto dall’art. 39 del T.U.L.P.S., che attribuisce al Prefetto la facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, alle persone ritenute capaci di abusarne;pertanto, nel caso di specie l’Amministrazione ha svolto una valutazione volta a prevenire l’abuso di armi da parte di un soggetto ritenuto non pienamente affidabile;
- è del tutto logico e conforme a criteri di ragionevolezza e proporzionalità che anche episodi di modesto o addirittura di nessun rilievo criminale possano giustificare l’adozione di provvedimenti restrittivi o interdittivi dell’uso delle armi.
Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto l’annullamento e la riforma della sentenza impugnata e, per l’effetto, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, resistendo all’appello.
All’udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Con un unico motivo di gravame, l’appellante deduce l’erronea applicazione dei presupposti di fatto, il difetto di istruttoria, nonché l’irragionevolezza del provvedimento impugnato in primo grado, la violazione degli artt. 11 e 43 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, la violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 e dei sovraordinati principi di cui all’art. 97 Cost.
Secondo la ricostruzione fornita dall’appellante, il Giudice di prime cure si sarebbe limitato ad avallare il giudizio di non affidabilità dell’interessato, basandosi unicamente sulla sussistenza di procedimenti penali a suo carico, senza approfondire la risalenza nel tempo delle contestazioni e senza valutare che i fatti contestati non sarebbero sintomatici di una personalità violenta né di una inaffidabilità all’uso corretto delle armi. Né varrebbe, a suffragare il giudizio di inaffidabilità formulato dalla Questura, la circostanza per cui l’interessato è stato controllato in compagnia di un soggetto pregiudicato per rissa, essendosi trattato, ad avviso dell’appellante, di un episodio isolato, dal quale non può desumersi la frequentazione abituale con soggetti attinti da rilievi penali.
L’appellante censura la pronuncia impugnata per non avere il Giudice di primo grado dato atto della lacunosità dell’istruttoria.
Nella specie, sostiene l’appellante che se fossero stati adeguatamente esaminati i fatti relativi alle condotte penali ritenute ostative al rilascio della licenza, il T.A.R. sarebbe giunto ad una diversa conclusione, poiché, con riferimento al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, la responsabilità penale non è stata definitivamente accertata. Ancora, evidenzia l’appellante che alcune delle circostanze riportate nel provvedimento impugnato in primo grado, quali “la produzione, distruzione di prodotti pericolosi” e “l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi e truffa” non gli sarebbero mai state contestate.
Le censure non sono condivisibili.
La materia del rilascio del porto d’armi è disciplinata dagli artt. 11 e 43 di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773. Il legislatore nella materia de qua affida all’Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all’affidamento che il soggetto richiedente può dare.
Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110/1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.
La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti».
Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che «deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi».
La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972;Cons. St., Sez. III, 7 giugno 2018, n. 3435).
Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici.
Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l’Amministrazione compie nell’adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso. La peculiarità deriva dal fatto che, stante l’assenza di un diritto assoluto al porto d’armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell’arma per attività di diporto o sportiva.
L’apprezzamento discrezionale rimesso all’Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene o aspira a ottenere il porto d’armi. A tal fine, l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo di abuso delle armi, che deve essere desunta da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di abuso delle armi è valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere a un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di abuso delle armi.
In questa prospettiva, si chiede al giudice una valutazione sull’esercizio del potere amministrativo che, muovendo da un accesso pieno ai fatti rivelatori del pericolo, ne dimostri la ragionevolezza e la proporzionalità.
È opportuno rilevare che il principio di proporzionalità – compreso tra i principi di diritto europeo, ma già insito nella Costituzione, quale corollario del buon andamento ex art. 97 Cost. – si compone di tre elementi: idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto. È idonea la misura che permette il raggiungimento del fine, il conseguimento del risultato prefissato. La misura deve essere poi necessaria, vale a dire l’unica possibile per il raggiungimento del risultato prefissato. La proporzionalità in senso stretto richiede, invece, che la scelta amministrativa non rappresenti un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato.
Il principio di ragionevolezza postula, invece, una coerenza tra la valutazione compiuta dall’Amministrazione e la decisione assunta.
Alla luce di quanto fin qui esposto e dei fatti valorizzati dal provvedimento gravato in primo grado, ritiene il Collegio che la prognosi inferenziale compiuta dall’Amministrazione resista al vaglio di questo giudice. Infatti, nel caso in esame, la valutazione negativa di affidabilità del soggetto circa l’uso corretto delle armi è stata legittimamente ancorata a fatti dai quali l’Amministrazione ha desunto un giudizio prognostico motivato, plausibile e ragionevole in punto di sussistenza di controindicazioni al rilascio di una licenza di porto di fucile ad uso sportivo.
Applicando i principi suesposti al caso di specie, non coglie nel segno la doglianza secondo cui dalle condotte penali contestate non potrebbe evincersi con certezza l’inaffidabilità dell’appellante, dal momento che le stesse denotano comunque una inclinazione all’inosservanza delle leggi da parte dell’interessato, tale da determinare un fondato giudizio di disvalore sull’affidabilità del medesimo, che non consente di confermare la sussistenza in capo ad esso dei requisiti soggettivi richiesti per la titolarità del porto di fucile per uso sportivo.
Ne discende che, a prescindere dal fatto che alcuni degli addebiti mossi all’appellante non siano stati ancora accertati in sede penale, l’Amministrazione ha ritenuto, secondo una prognosi inferenziale immune da vizi, che le circostanze fattuali valorizzate nel provvedimento non consentissero di formulare un giudizio di piena affidabilità del soggetto all’utilizzo delle armi.
Quanto poi al rilievo secondo cui il provvedimento gravato avrebbe preso in considerazione circostanze mai contestate all’appellante, ritiene il Collegio che l’argomento non sia in grado di scalfire la legittimità dell’avversato decreto, in quanto non sostenuta da una adeguata prova.
Da ultimo, non colgono nel segno le obiezioni dell’appellante, secondo cui non vi sarebbe alcuna frequentazione abituale con il soggetto pregiudicato per rissa, in quanto esse non sarebbero comunque in grado di inficiare la legittimità di una valutazione che è stata fondata su una pluralità di motivi, con la conseguenza che per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale, è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni.
Alla luce di quanto precede, il provvedimento reiettivo si rivela immune dal vizio di irragionevolezza, risultando adeguatamente motivato e fondato su circostanze di fatto idonee a suffragare il giudizio di inaffidabilità formulato dall’Amministrazione.
Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
La condanna al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio segue la soccombenza.