Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-01-11, n. 201800108
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Pubblicato il 11/01/2018
N. 00108/2018REG.PROV.COLL.
N. 03717/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3717 del 2007, proposto da:
L G, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio eletto presso lo studio Salvatore Napoli in Roma, via Costantino Morin 1;
contro
Comune di Formia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati S C, D D R, con domicilio eletto presso lo studio S C in Roma, viale Mazzini, 55;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - SEZ. STACCATA DI LATINA n. 00173/2006, resa tra le parti, concernente sospensione lavori per variante in corso d'opera
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati Feola per delega di Scipione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con l’appello in esame, il signor Giovanni L impugna la sentenza 28 febbraio 2006 n. 173, con la quale il TAR per il Lazio, sezione di Latina, ha dichiarato inammissibili il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed i motivi aggiunti (proposti, rispettivamente, avverso le note del Comune di Formia 3 ottobre 2003 n. 8172 e 4 dicembre 2003 n. 9484) ed ha rigettato i motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento 31 marzo 2004 prot. n. 63/04 e l’ordinanza 4 giugno 2004 n. 180.
La presente controversia riguarda la realizzazione nel Comune di Formia, da parte del signor L, di una villa bifamiliare, composta – secondo l’originaria concessione edilizia n. 136/2002 - da “piano seminterrato ad uso garage (altezza interna m. 2,30), piano terra con antistanti portici, piano primo e sottotetto non accessibile e non abitabile.
La predetta concessione prevedeva, prima dell’inizio dei lavori, la redazione di un verbale di linee e quote, avvenuta in data 10 settembre 2002.
Successivamente, dopo che tecnici comunali in data 23 gennaio 2003, in sede di sopraluogo, verificavano che lo stato dei luoghi ictu oculi era difforme da quanto autorizzato, il signor L presentava (31 gennaio 2003) una istanza volta al rilascio di concessione edilizia in variante.
Dopo un ulteriore sopraluogo – che tra le altre difformità accertava, in particolare, che il piano previsto come seminterrato era stato in realtà posizionato fuori terra per un’altezza media di circa m. 2 -2,20 ed aveva altezza di circa m. 2,75 al grezzo in luogo dell’altezza autorizzata di m. 2,30 – veniva emessa ordinanza di sospensione lavori (impugnata con ricorso, poi dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse con sentenza del Tar Latina n. 647/2005).
Successivamente, il Comune di Formia, con nota 29 aprile 2003, comunicava al L di voler provvedere ad una verifica del rispetto di quanto previsto dal verbale di linee e quote del 10 settembre 2002, evidenziando la possibilità di un eventuale annullamento di quest’ultimo, in ordine al quale erano emerse talune irregolarità, tra le quali la sottoscrizione da parte di dipendente comunale diverso da quello incaricato.
Dopo uno scambio di note, il Comune di Formia:
- con determinazione 22 luglio 2003 sospendeva per 180 giorni il termine per l’esame della istanza di concessione in variante (l’atto, tuttavia, - secondo la sentenza impugnata - parla sia di interruzione che di differimento di 180 giorni del termine di conclusione, risolvendosi in una sostanziale sospensione del procedimento);
- con nota 3 ottobre 2003 (oggetto del ricorso instaurativo del giudizio di I grado), ribadiva la sospensione dell’istruttoria della pratica di concessione edilizia in variante fino alla definizione del procedimento già avviato per la redazione di un nuovo verbale di linee e quote;
- con nota 4 dicembre 2003 (impugnata con i primi motivi aggiunti) precisava che il termine di sospensione del procedimento per l’esame dell’istanza di variante era collegato alla verifica sul verbale di linee e quote, e comunque era fissata la data ultima del 22 gennaio 2004;
- con provvedimento 31 marzo 2004 (oggetto dei secondi motivi aggiunti), respingeva l’istanza di concessione in variante per eccesso di volumetria di circa 316 mc., realizzata rispetto a quella consentita;
- infine, emanava l’ordinanza di demolizione 4 giugno 2004 n. 180 (impugnata con i terzi motivi aggiunti).
La sentenza impugnata afferma, in particolare:
- il ricorso originario ed i primi motivi aggiunti sono inammissibili, poiché proposti avverso due note del Comune di Formia (3 ottobre 2003 e 1 dicembre 2003) costituenti “mera conferma della determinazione di sospensione del 22 luglio 2003, che il ricorrente non ha tempestivamente impugnato”;
- l’atto di diniego di variante e la successiva e conseguente ordinanza di demolizione sono legittimi, in quanto – indipendentemente dalla qualificazione astratta del verbale di linee e quote (che il ricorrente ritiene costituire un accordo privatistico, non modificabile unilateralmente dall’amministrazione, che integrerebbe/modificherebbe la concessione edilizia originaria) – al predetto verbale non può “riconoscersi alcuna attitudine a modificare la concessione edilizia variando caratteristiche, peraltro essenziali e qualificanti, del progetto assentito”;
- più precisamente, “la funzione del verbale di linee e quote è quella di definire, nel rispetto delle (e in conformità alle) caratteristiche del progetto assentito, il concreto posizionamento del fabbricato, così indubbiamente integrando la concessione edilizia”;
- rispetto al progetto approvato con il rilascio della concessione, “quanto realizzato dal ricorrente non solo non è conforme ma determina una variazione essenziale, poiché si traduce nel mancato interramento del piano previsto in progetto come interrato e che la concessione prescriveva che fosse interrato (con conseguente incremento volumetrico)”;
- non sussiste alcun “affidamento” del ricorrente in quanto stabilito dal verbale di linee e quote (al quale il “realizzato” è conforme: v. pag. 12 sent.), poiché “la rilevanza giuridica dell’affidamento presuppone la non colpevolezza del medesimo (che esclude la buona fede) , presuppone cioè che chi abbia adeguato la propria condotta ad atti e comportamenti illegittimi dell’amministrazione, come avvenuto nel caso in esame in cui il ricorrente ha edificato un immobile in contrasto con la concessione edilizia facendo affidamento sulla legittimità del verbale di linee e quote – abbia agito diligentemente”, cioè escludendosi “che l’interessato avesse la possibilità di non cadere in errore”;
- nel caso di specie, il direttore dei lavori ha partecipato alla redazione del verbale di linee e quote “che si pone in chiara incompatibilità con quanto stabilito dalla concessione (le cui prescrizioni il verbale faceva comunque espressamente salve così come l’obbligo di interramento di un piano), dato che il posizionamento dell’estradosso del solaio del piano di calpestio del piano terra è stabilito in modo da non consentire il previsto interramento. In sostanza, il verbale di linee e quote stabilisce un posizionamento del fabbricato erroneo”. A fronte di ciò, nessuna iniziativa vi è stata da parte del ricorrente e del suo tecnico “allorchè essi si sono resi conto . . . che l’attuazione del verbale di linee e quote avrebbe inevitabilmente comportato la realizzazione di un fabbricato del tutto diverso da quello autorizzato dalla concessione”;
- inoltre, la stessa redazione del verbale “è avvenuta in un contesto chiaramente anomalo, avendo partecipato alla redazione del verbale un funzionario comunale diverso da quello incaricato della trattazione della pratica e all’epoca persino estraneo allo stesso ufficio competente”
2. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando , nella parte in cui viene dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale e dei primi motivi aggiunti;ciò in quanto le note impugnate (3 ottobre 2003 e 4 dicembre 2003) “non costituiscono affatto atti meramente confermativi della nota del 22 luglio 2003”;in particolare, la “differenza di contenuto” tra le note 3 ottobre 2003 e 22 luglio 2003 “è palese, atteso che, oltre a non esistere alcun richiamo nella nota impugnata a quella del 22 luglio 2003 ed a quanto con quest’ultima disposto e comunicato, con la prima viene ad essere comunicata una sospensione a tempo indeterminato, mentre con la seconda un mero differimento della conclusione del procedimento di 180 giorni”;né vi è alcun richiamo alla nota del luglio 2003 nella successiva nota 4 dicembre 2003. Pertanto, si ripropongono i motivi non esaminati contenuti nel ricorso principale e nel primo atto di motivi aggiunti (v. pagg. 14 – 34 appello);
b) error in iudicando ;eccesso di potere per erroneità ed inesistenza dei presupposti;difetto di istruttoria;vizio generale del procedimento;violazione e falsa applicazione art. 31, co. 2, DPR n. 380/2001, anche in relazione all’art. 9 l. n. 122/1989;ciò in quanto la costruzione “è stata realizzata conformemente al verbale di linee e quote del 10 settembre 2002, costituente parte integrante della concessione edilizia n. 136/2002”, tale verbale “ha rappresentato, di certo, il raggiungimento di un accordo che, oltre a spiegare appieno la sua validità ed i suoi effetti, non è suscettibile di revoca unilaterale”, poichè detti verbali “non costituiscono atto di natura provvedimentale, bensì accordi aventi una natura privatistica”. In definitiva, il piano previsto come seminterrato è conforme alla concessione edilizia, come integrata dal verbale di linee e quote ed in ogni caso, anche ai fini di una contestazione di difformità, “occorreva . . . attendere il completamento dell’intervento edilizio, essendo previsto l’interramento del piano terra solamente nella fase post operam ”;
c) error in iudicando ;violazione del principio generale di affidamento;manifesta ingiustizia;illegittimità derivata;poiché “non è possibile sostenere che un privato, una volta conseguito un atto da una pubblica amministrazione, abbia l’onere, dopo aver eseguito un intervento in base allo stesso, di doverne controllare il contenuto e gli effetti, sostituendosi di fatto alla P.A.;
d) riproposizione delle domande di risarcimento del danno non esaminate dalla sentenza impugnata, precisandosi che, per quanto concerne le richieste di risarcimento danni avanzate con i ricorsi proposti avverso le note 3 ottobre 2003 e 4 dicembre 2003 “trattasi di risarcimento danni cd. da ritardo”, mentre, relativamente alla domanda di risarcimento danni proposta con il secondo ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento n. 63/04, la domanda “è fondata non solo sull’illegittimità dell’atto, bensì sulla generale illiceità, quantomeno caratterizzata da colpa grave, della condotta tenuta sul punto dal Comune di Formia”.
L’appellante, inoltre:
- ripropone i motivi già proposti con il secondo ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento 31 marzo 2004 n. 63/04 e non esaminati (v. pagg. 47 – 56 appello);
- ripropone i motivi proposti con il terzo ricorso per motivi aggiunti avverso l’ordinanza 4 giugno 2004 n. 180 e non esaminati (v. pagg. 58 – 63 appello).
Infine, quanto al motivo con il quale si sono riproposte le “non esaminate” domande di risarcimento del danno, giova evidenziare che nel ricorso in appello sono altresì presenti:
- considerazioni sulla prima domanda di risarcimento del danno alle pagg. 33 – 34, con indicazione della necessità di “un ristoro dei danni nei termini richiesti con il ricorso principale”, e quest’ultimo (motivo riportato alle pagg. 23 – 25 app.) quantifica il danno in Euro 50.000, derivanti da aumento dei costi di costruzione e penale versata per il fermo del cantiere;
- considerazioni sulla seconda domanda di risarcimento danni alle pagg. 56 – 57 app.), precisandosi che la stessa, “ad integrazione della somma già richiesta”, possa essere determinata “anche in via equitativa”.
3. Si è costituito in giudizio il Comune di Formia, che ha concluso perché l’appello venga dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse (laddove si impugna il capo della sentenza che ha dichiarato inammissibili il ricorso ed i primi motivi aggiunti, con i quali sono state impugnate le due note 3 ottobre e 4 dicembre 2003) e perché il nedesimo appello venga rigettato nel resto, stante la sua infondatezza.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
4. L’appello deve essere in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, con riferimento al primo motivo di impugnazione proposto (sub lett. a) dell’esposizione in fatto), in parte rigettato, stante la sua infondatezza, sia in relazione al secondo e terzo motivo di ricorso (sub lett. b) e c), sia in relazione alle riproposte domande di risarcimento del danno (sub lett. d).
5. Come si è esposto, la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibili il ricorso originario ed i primi motivi aggiunti, poiché proposti avverso due note del Comune di Formia (3 ottobre 2003 e 4 dicembre 2003) costituenti “mera conferma della determinazione di sospensione del 22 luglio 2003, che il ricorrente non ha tempestivamente impugnato”.
Giova premettere, in fatto, con riferimento alla domanda di concessione edilizia in variante, presentata dall’attuale appellante, che:
- la nota 22 luglio 2003 (non impugnata) afferma: “l’esame della variante . . . è interrotto fino all’esito del procedimento amministrativo finalizzato alla verifica delle prescrizioni contenute nel verbale di LL.QQ. . .Per tali ragioni il termine per la conclusione del procedimento di esame della variante in corso d’opera . . . è differito di 180 giorni”;
- la nota 3 ottobre 2003 (impugnata) afferma: “si comunica la sospensione dell’istruttoria fino alla definizione del procedimento già avviato per la redazione del verbale di LL.QQ!
- la nota 4 dicembre 2003, anch’essa impugnata (precisandosi che questa, recante n. prot. 9484 ed un ulteriore n. 36217, è presente in atti sia in copia con la data 1 dicembre 2003 sia in copia con la data 4 dicembre 2003, laddove il numero “1” è corretto a mano in “4”, di modo che essa è citata in atti di volta in volta con una delle due date) afferma “si chiarisce che il termine di sospensione del procedimento della variante in corso d’opera è subordinato alla verifica amministrativa in corso sul verbale di ll. qq. e che comunque è fissato entro il giorno 22 gennaio 2004, come da nota prot. n. 7166 del 22 luglio 2003” .
Orbene – in disparte ogni considerazione in ordine alla natura confermativa delle due successive note rispetto alla precedente del 22 luglio 2003 non impugnata - ritiene il Collegio (anche in accoglimento dell’eccezione proposta dal Comune di Formia) che il primo motivo di appello deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.
Ed infatti, l’emanazione del provvedimento 31 marzo 2004, con il quale il Comune di Formia ha rigettato la domanda di concessione in variante proposta dal sig. L, rende non più sorretta da interesse ad agire la domanda di annullamento delle note più volte citate, posto che l’atto lesivo (contro il quale il L ha prontamente attivato la tutela giurisdizionale) è esaustivamente rappresentato dal suddetto provvedimento di diniego.
Né può sostenersi che l’interesse all’azione di annullamento persiste poiché è stata proposta anche domanda di risarcimento del danno, posto che l’art. 34, co. 3, Cpa riconosce al giudice il potere di accertare comunque l’illegittimità dell’atto (senza per questo procedere ad un annullamento del medesimo che “non risulta più utile per il ricorrente”), laddove “sussiste l’interesse a fini risarcitori” (e nel caso di specie tale domanda è stata proposta).
D’altra parte, se – come precisato dallo stesso appellante – il danno lamentato in relazione alle due note cui inerisce il primo motivo di appello è da intendersi quale “danno da ritardo”, per un verso, esso non può che “definirsi” con il provvedimento tardivamente adottato (ed impugnato);per altro verso, esso ha formato oggetto di apposito motivo di appello (sub lett. d) dell’esposizione in fatto).
6. Il secondo motivo di appello (sub lett. b) dell’esposizione in fatto è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
6.1. Con tale motivo, l’appellante – affermato che quanto realizzato corrisponde alla concessione edilizia n. 136/2002, come integrata dal verbale di linee e quote del 10 settembre 2002 – ritiene che detto verbale, avente natura di accordo tra pubblica amministrazione e privato non suscettibile di revoca unilaterale da parte della P.A., nell’integrare la concessione edilizia ha reso possibile e legittimo quanto realizzato in sua attuazione.
Giova innanzi tutto osservare, in punto di fatto, che la concessione edilizia n. 136/2002, nell’autorizzare il progetto proposto dal sig. L, sottoponeva lo stesso a una pluralità di prescrizioni, tra le quali – per quel che interessa nella presente sede – un “verbale preventivo di LL.QQ.” ( leggasi “linee e quote”).
Ciò in quanto, ragionevolmente, trattandosi della realizzazione di un edificio composto da “piano seminterrato ad uso garage (altezza interna m. 2,30), piano terra con antistanti portici, piano primo e sottotetto non accessibile e non abitabile” e considerato l’andamento del terreno (v. progetto allegato alla concessione edilizia), assumeva particolare rilevanza stabilire le “linee e quote”, onde poter verificare, successivamente, l’effettiva realizzazione di un seminterrato e, al contempo, la volumetria effettivamente realizzata fuori terra.
Il verbale, dunque, lungi dal proporsi come “accordo” tra privato e pubblica amministrazione, costituisce mero atto di accertamento tecnico propedeutico alla corretta esecuzione di quanto autorizzato con il provvedimento amministrativo;deve escludersene, quindi, sia la sua natura di “accordo”, sia la sua natura provvedimentale.
Il verbale, dunque, non ha alcuna possibilità di incidere sul provvedimento concessorio, del quale costituisce mero atto ausiliario ai fini della corretta esecuzione di quanto in esso disposto. Né ciò sarebbe, peraltro, possibile:
- sia in quanto, in ossequio al principio di legalità, non sono riconoscibili ad un funzionario, in fase esecutiva, poteri di “integrazione” di un provvedimento già emanato (in ordine al quale si è esaurito il potere provvedimentale), fuori dal contesto procedimentale tipico ed in assenza di previa attribuzione di competenza;
- sia in quanto tale “integrazione” non può essere il frutto di un accordo tra privato e P.A., posto che tali accordi, ai sensi dell’art. 11 l. n. 241/1990, riguardano il contenuto discrezionale del provvedimento e non possono, quindi, intervenire su un provvedimento autorizzatorio in materia edilizia, tenuto al pieno rispetto (e conformità progettuale) delle disposizioni in materia urbanistica ed edilizia.
6.2. Nel caso di specie, è pacifico che quanto effettivamente realizzato dal L è conseguente al “verbale di linee e quote” (v. pag. 12 sentenza), ma è altrettanto acclarato che ciò non corrisponde alla “originaria” concessione edilizia n. 136/2002, poiché si è realizzato un eccesso di volumetria per mc. 316,40, conseguente al “mancato interramento del previsto piano interrato” (v. motivazione provvedimento di diniego del 31 marzo 2004).
Ne consegue, dunque, la piena legittimità del provvedimento da ultimo citato (e della conseguente ordinanza di demolizione), con il quale – riscontrate le difformità del manufatto e l’eccesso di volumetria realizzato – si è negata la concessione edilizia in variante, stante la non conformità alle disposizioni urbanistico – edilizie.
Né può assumere rilievo quanto affermato dall’appellante, secondo il quale in ogni caso, anche ai fini di una contestazione di difformità, “occorreva . . . attendere il completamento dell’intervento edilizio, essendo previsto l’interramento del piano terra solamente nella fase post operam ”, poichè la realizzazione di piani interrati o semiinterrati va effettuata nel pieno rispetto del naturale (e preesistente) andamento del terreno, che va assunto come riferimento, né è consentito (o comunque utile a eliminare la difformità dell’intervento) un successivo “riporto” di terreno, volto a “compensare” il posizionamento del manufatto a quota più elevata (come contestato nel provvedimento di diniego).
7. Anche il terzo motivo di appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
L’appellante con tale motivo sostiene che vi sarebbe una violazione del generale principio di affidamento, poiché “non è possibile sostenere che un privato, una volta conseguito un atto da una pubblica amministrazione, abbia l’onere, dopo aver eseguito un intervento in base allo stesso, di doverne controllare il contenuto e gli effetti, sostituendosi di fatto alla P.A.”
Orbene, sul piano generale occorre ricordare che il principio dell’affidamento nella legittimità dell’attività posta in essere dalla Pubblica amministrazione incontra – come è possibile argomentare da una pluralità di disposizioni, e non ultimo dall’art. 21-quinquies l. n. 241/1990 - il duplice limite:
- dell’avere l’interessato concorso all’erronea valutazione di compatibilità dell’atto con le disposizioni di legge e con l’interesse pubblico;
- della conoscenza o conoscibilità, secondo un criterio di ordinaria diligenza, della contrarietà dell’atto alle disposizioni normative e/o all’interesse pubblico.
Nel caso di specie:
- in primo luogo, l’atto che avrebbe ingenerato l’affidamento (cioè il più volte richiamato verbale di linee e quote) è un mero accertamento tecnico in via preventiva all’esecuzione della concessione edilizia, che dunque non è tale da poter ingenerare alcun affidamento, essendosene esclusa la natura provvedimentale e la presenza di qualsivoglia espressione di volontà;
- in secondo luogo, che alla redazione dell’atto ha partecipato un tecnico di fiducia dell’appellante, soggetto professionalmente idoneo a percepire la difformità di quanto si accertava (e si sarebbe, dunque, realizzato) rispetto alla rilasciata concessione edilizia ed alle previsioni urbanistiche ed edilizie vigenti.
8. Il rigetto dei motivi di appello proposti avverso i capi della sentenza con i quali si sono rigettati i ricorsi proposti contro il provvedimento di diniego di concessione edilizia in variante e contro l’ordinanza di demolizione esclude l’esame dei motivi non esaminati dalla sentenza impugnata e riproposti in appello.
8.1. Tale rigetto determina, altresì, in difetto di danno ingiusto, il rigetto delle domande di risarcimento del danno.
Fermo ciò, occorre aggiungere, con specifico riguardo alla domanda di risarcimento del danno “da ritardo”, che l’appellante, pur citando le “voci” di danno (maggiori costi per la costruzione, fermo di cantiere) non ha fornito prova concreta del quantum.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ricordato (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2016 n. 4028 e 22 maggio 2014 n. 2638;in senso conforme, anche sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1768;Cgars, 16 maggio 2016 n. 139;sez. V, 9 marzo 2015 n. 1182), “l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum , in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)”
In definitiva, benchè l’art.