Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-04-28, n. 202304330
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Pubblicato il 28/04/2023
N. 04330/2023REG.PROV.COLL.
N. 06982/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6982 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M L e A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università Cattolica del Sacro Cuore, in persona del Rettore
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati M A B, D V e C V S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D V in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia -OMISSIS- n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 il Cons. D D C;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente agisce, previa declaratoria della nullità o illegittimità o inefficacia dei contratti di
diritto privato stipulati ai sensi dell’art. 25 e seguenti del d.P.R. n. 382/1980 fra il medesimo e l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel periodo ricompreso fra il 15 settembre
1984 e il 31 luglio 2015, per l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, con inquadramento nella qualifica di professore ordinario di prima fascia a tempo definito o determinato, nonché, per la condanna dell’Ateneo al pagamento delle relative differenze retributive.
2. A sostegno del ricorso, il ricorrente ha riferito di avere iniziato a lavorare in favore del succitato Ateneo a far data dall’anno accademico 1974/1975, in qualità di addetto alle esercitazioni tecniche, a completamento dell'attività didattica dell'insegnamento ufficiale di “-OMISSIS-”, presso la Facoltà di Economia e Commercio, e che tale attività si è protratta, senza soluzione di continuità, sino all'anno accademico 1983/1984.
A partire dall'anno accademico 1984/1985 e fino all'anno accademico 2014/2015, invece, il medesimo è stato addetto, senza soluzione di continuità, all'insegnamento ufficiale di “-OMISSIS-”, poi denominato “-OMISSIS-”, presso la Facoltà di Economia e Commercio, asserendosi lo svolgimento delle stesse attività demandate ai professori di ruolo, sotto la direzione e il controllo del Preside della Facoltà e sulla base del calendario stabilito dagli organi accademici.
In ragione di ciò, ha lamentato la violazione dell'art. 6 della legge n. 28 del 1980 e degli artt. 25 e ss. del d.P.R. n. 382/1980: il ricorrente è stato assunto ogni anno e per 31 anni consecutivamente con contratti di lavoro a tempo determinato, ai sensi degli art. 25 e ss. del d.P.R. n. 382/1980, ove si prevede che, per i professori a contratto, i contratti hanno la durata massima di un anno accademico e non possono essere rinnovati per più di due volte in un quinquennio con la stessa Università. Deroghe a tale limite possono essere concesse con decreti del Ministro della pubblica istruzione su proposta del Consiglio universitario nazionale, esclusivamente ove risulti impossibile impartire altrimenti insegnamenti di particolare specializzazione e ad alto contenuto tecnologico, in settori per i quali l'Università non disponga delle idonee competenze.
Inoltre, ha dedotto la violazione dell'art. 100, lett. d) del d.P.R. 382/1980, in quanto l’ambito applicativo della disposizione in questione riguarderebbe esclusivamente le facoltà e i corsi di nuova istituzione, fattispecie in cui non ricadrebbe, a suo dire, la Facoltà di Economia e Commercio, così come il corso di “-OMISSIS-”, in quanto istituiti sin dall'anno accademico 1985/1985. Inoltre, l'attivazione dei cd. contratti di diritto privato a tempo determinato è subordinata al previo “nulla-osta” del Ministero della pubblica istruzione che, nella specie, non è mai stato rilasciato. La deroga all'applicazione dei cd. contratti di diritto privato a tempo determinato, infine, andrebbe riferita esclusivamente alle Università statali e non anche a quelle private, atteso che la succitata norma richiama il solo art. 25 del d.P.R. 382/80, e non anche l'art. 29. Ad ogni modo, resterebbe comunque fermo il limite temporale della rinnovabilità dei contratti (non più di due nell'arco di un quinquennio), che nel caso di specie sarebbe stato ampiamente superato.
Si deduce, ancora, la violazione dell'art. 1, comma 32, della legge n. 549/1995, in quanto l'intento del legislatore sarebbe stato quello di estendere l'utilizzo della fattispecie contrattuale, che fino a quel momento era limitato ai corsi integrativi, anche all'insegnamento dei corsi ufficiali “non fondamentali o caratterizzanti”. Tale estensione è, tuttavia, limitata a particolari e comprovate esigenze didattiche, di cui non vi sarebbe traccia nei contratti sottoscritti dall’istante.
Si deduce poi la violazione del D.M. n. 2592/2017, anche in questo caso sotto il profilo dell’ambito soggettivo di efficacia della normativa, destinata a trovare applicazione solo nei confronti delle Università statali.
Ciò comporterebbe che, con l'abrogazione degli artt. 25 e 100 del d.P.R 382/1980, contenuta nella riforma, non vi sarebbe la possibilità per le università private di stipulare contratti di diritto privato a tempo determinato, così come regolati dalle norme oggetto di abrogazione. In ogni caso, anche ammesso che la riforma in questione possa trovare applicazione anche nei confronti dell’Ateneo resistente, non si potrebbero ignorare i limiti imposti dal D.M. n. 248/1998, primo fra tutti la natura eccezionale dello strumento contrattuale e, in secondo luogo, il suo utilizzo limitato nel tempo (non essendo rinnovabili per più di sei anni), entrambi, si assume, disattesi nella fattispecie.
3. Con la sentenza di cui in epigrafe, il T, previo assorbimento delle preliminari eccezioni di decadenza dall’azione e prescrizione dei crediti sollevata dall’Ateneo resistente, nonché della domanda avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità dei contratti proposta dal ricorrente, ha respinto il ricorso nella parte concernente la pretesa al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e al pagamento delle relative differenze retributive. Il T ha compensato, tuttavia, le spese del giudizio.
4. Nel censurare la correttezza del ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice, il ricorrente ha riproposto tutti gli originari motivi di ricorso, articolandoli come specifiche censure avverso la sentenza impugnata, lamentando, in particolare, che la medesima i) non si sarebbe pronunciata, nonostante la specifica domanda sul punto, sulla legittimità dei contratti di lavoro a termine;avrebbe erroneamente escluso la sussistenza degli indici sintomatici della subordinazione;iii) avrebbe illegittimamente pretermesso di dare seguito alle istanze istruttorie avanzate dal ricorrente.
5. L’Università del Sacro Cuore di Milano si è costituita in resistenza, insistendo per la reiezione del gravame.
6. All’udienza pubblica del 21 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. L’appello non è fondato.
8. Il primo motivo di appello, con cui si censura erroneità della sentenza per aver omesso di pronunciarsi sulla legittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato, non è fondato.
Anzitutto, sulla base della piana lettura della sentenza impugnata, si evince come il T abbia assorbito le preliminari eccezioni di decadenza dall’azione e prescrizione dei diritti di credito sollevate dall’Ateneo intimato e la domanda di accertamento della invalidità dei contratti, esaminando direttamente il merito della controversia, ovverossia la fondatezza della pretesa avanzata dal ricorrente al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e al pagamento delle differenze retributive. Da questo punto di vista, il ragionamento del T si rivela esente da vizi logico-giuridici, in quanto l’accertamento della natura sostanziale del rapporto controverso rappresenta un prius logico, ancor prima che giuridico, rispetto alla azionabilità delle pretese giuridiche ed economiche derivanti dal regime giuridico applicabile al rapporto di lavoro.
In secondo luogo, va escluso che l’assorbimento delle suddette questioni abbia potuto compromettere, come pure si sostiene nell’atto di appello, il diritto di difesa del ricorrente “ in quanto il previo e richiesto accertamento dell’invalidità dei contratti di lavoro fatti sottoscrivere all’appellante per violazione della normativa di legge applicata avrebbe determinato in modo automatico una presunzione relativa di subordinazione in favore del Dr. -OMISSIS-, con conseguente inversione dell’onere della prova in capo all’appellata ”.
In particolare, l’appellante asserisce l’esistenza di una presunzione relativa circa la natura subordinata del rapporto di lavoro, quale effetto automatico dell’accertamento dell’invalidità dei contratti, senza tuttavia indicare la norma di legge, o altra previsione normativa, sulla quale della quale la suddetta presunzione relativa opererebbe.
Va osservato, al contrario, che nel quadro normativo di riferimento vigente non sussiste alcuna presunzione automatica che operi nel senso appena prospettato, trattandosi di due accertamenti giuridici autonomi e distinti: l’uno riguardante il regime della validità ed efficacia dei contratti, l’altro la natura subordinata del rapporto di lavoro.
A conferma della correttezza del ragionamento, vi è poi che la tutela accordata dall’art. 2126 c.c. riguarda la fattispecie particolare della prestazione di fatto, ossia della prestazione lavorativa che è stata eseguita dal lavoratore in virtù di un contratto di lavoro invalido. In tale ipotesi, la legge prevede, a tutela del lavoratore quale parte debole del rapporto, che, in deroga al principio generale civilistico, la nullità del contratto non produce effetto per il periodo in cui la prestazione lavorativa è stata eseguita, salvo la che nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
Nel caso all’esame, non viene in rilievo tale fattispecie, in quanto la materia del contendere non riguarda il pagamento delle competenze che traggono titolo dai contratti stipulati fra l’Ateneo e il lavoratore, incontestabilmente dovute dal datore di lavoro, bensì il pagamento di competenze diverse, che traggono titolo da una diversa qualificazione giuridica del rapporto principale, ossia il preteso rapporto di natura subordinata.
Senonché, a questo specifico riguardo, non può essere sottaciuto, per un verso, che con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente non ha domandato l’accertamento in via autonoma della invalidità dei contratti, avendolo per l’appunto funzionalizzato all’accoglimento delle domande di riconoscimento della subordinazione del rapporto di lavoro e della spettanza delle relative differenze retributive (“previo accertamento”);per un altro verso, invece, che l’accoglimento delle pretese finali vantate dal ricorrente (riconoscimento del vincolo di subordinazione e spettanza della differente retribuzione) dipende per l’appunto dalla dimostrazione degli elementi costitutivi previsti dall’art. 2094 c.c., ai sensi del quale il lavoratore che assume la qualificazione del rapporto di lavoro come avente natura subordinata, è onerato della dimostrazione del fatto che il lavoro sia stato svolto alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.
9. Ad avviso del Collegio, anche sotto questo profilo, che rappresenta il nucleo sul quale si appuntano gli altri due motivi di appello, la decisione reiettiva del T si rivela corretta, in quanto basata su elementi oggettivi e specifici che dimostrano come le modalità di esecuzione della prestazione siano state scevre da elementi atti a caratterizzarle in senso subordinato alla direzione eteronoma del datore di lavoro.
In particolare, sulla base degli atti processuali e dei documenti versati al giudizio, non risultano episodi concreti, nemmeno allegati, che possano avvalorare la tesi che il ricorrente abbia dovuto giustificare un’assenza o una malattia;abbia richiesto ferie o permessi;abbia mai ricevuto una qualche “autorizzazione da parte dell’ufficio del personale” o un qualche ordine di servizio, o almeno la mera comunicazione di un orario di lavoro fisso ed etero-determinato;abbia svolto la prestazione lavorativa per un numero di ore superiore a quello pattuito (quando pattuito) o risultante dai registri da lui stesso compilati o che potesse impegnarlo, almeno verosimilmente, in modo esclusivo;abbia ricevuto un compenso con modalità e tempistiche differenti da quelle formalmente pattuite;abbia partecipato a progetti di ricerca e ad attività di aggiornamento;abbia dovuto rendicontare alcuna delle attività normalmente assegnate e svolte dai professori di ruolo;abbia ricevuto alcuna disposizione di alcun tipo (organizzativa, direttiva, disciplinare) e financo alcuna comunicazione, nemmeno meramente informativa, da parte di ipotetici superiori gerarchici;sia stato sottoposto a controllo o abbia altrimenti ricevuto anche solo una volta istruzioni o indicazioni di sorta.
Viceversa, i registri delle presenze (doc. 7 e ss.) e i documenti di pagamento (doc. 8) confermano un impegno lavorativo del ricorrente non assimilabile a quello del professore di ruolo a tempo definito, e anzi compatibile con l’attività di lavoro autonomo.
In definitiva, le conclusioni alle quali è giunto il T circa l’assenza degli indici propri della subordinazione (fra cui, il compenso mensile predeterminato, la prestazione in orario e giorni predeterminati, le mansioni corrispondenti a quelle della qualifica rivendicata e l'esclusività della prestazione lavorativa), si rivelano corrette e adeguatamente motivate, con conseguente reiezione anche del secondo e del terzo motivo di appello.
10. In conclusione, l’appello va respinto.
11. La complessità e novità delle questioni trattate giustifica, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione delle spese del giudizio.