Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-07-15, n. 201303837

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-07-15, n. 201303837
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303837
Data del deposito : 15 luglio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03251/2001 REG.RIC.

N. 03837/2013REG.PROV.COLL.

N. 03251/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3251 del 2001, proposto da G L, rappresentato e difeso dagli avv. G P e P R, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Lutezia 5;

contro

Comune di S.Marinella, rappresentato e difeso dall'avv. P S R, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, viale G. Mazzini 11;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II BIS, n. 7652/2000, resa tra le parti, concernente annullamento di concessione edilizia e licenza di agibilità.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il Cons. Nicola Gaviano, e uditi per le parti l’avv. Selvaggi per l’avv. Pallotta, nonché l’avv. Di Rienzo per l’avv. Stella Richter;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Sindaco del Comune di Santa Marinella (Roma) con provvedimento n. 1610 dell’11 gennaio 1997 disponeva l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia in sanatoria n. 730/1995 rilasciata al sig. Lauro Gallori il precedente 25 gennaio 1996, ed inoltre della connessa licenza di agibilità del 6 luglio 1996, titoli relativi al locale seminterrato di proprietà dell’interessato ubicato alla Via Lungomare Marconi n. 8.

La concessione annullata era stata accordata in accoglimento di una domanda di condono edilizio presentata ai sensi della legge n. 724/1994 per il cambio di destinazione d’uso del locale da autorimessa artigianale a locale commerciale (in precedenza, difatti, la proprietà dell’immobile, in attuazione della legge n. 47/1985, con domanda del 16 maggio 1986 aveva chiesto -ed ottenuto- la sanatoria per la destinazione dello stesso locale ad uso autorimessa).

Il provvedimento sindacale di annullamento si fondava sul rilievo centrale che il mutamento di destinazione d’uso oggetto della nuova domanda di sanatoria (da autorimessa artigianale a locale commerciale) non si era in realtà mai verificato, onde il secondo condono era stato chiesto non per sanare un abuso già commesso, bensì per munire di titolo un intervento solo programmato per il futuro.

Avverso tale atto di annullamento l’interessato proponeva ricorso dinanzi al T.A.R. per il Lazio, articolando quattro mezzi d’impugnativa.

Con il primo si deduceva: che il locale in questione era stato in concreto utilizzato come autofficina, destinazione comportante anche la vendita di pezzi di ricambio e, quindi, un’attività di vendita di beni e servizi assimilabile ad un’attività commerciale;
che la nuova domanda di condono era stata presentata non tanto per legittimare una destinazione diversa da quella permessa, quanto per acquisire il titolo necessario a correggere l’errore iniziale compiuto nell’indicare la destinazione del locale in sede di agibilità e di accatastamento;
infine, che il provvedimento impugnato non indicava alcuna ragione giustificativa del disposto annullamento se non quella di impedire l’apertura in sito di un nuovo esercizio commerciale, motivo in sé inidoneo a giustificare il ricorso all’autotutela.

Con il secondo mezzo veniva denunziata una violazione del canone dell’affidamento, per avere il ricorrente, nel frattempo, già concluso un contratto di locazione commerciale del locale.

Il successivo mezzo era inteso a contestare specificamente la validità del richiamo, da parte del provvedimento impugnato, al pericolo di alterazione dell’equilibrio commerciale che sarebbe scaturito dall’apertura di un nuovo esercizio commerciale nel locale.

Con il quarto ed ultimo rilievo, infine, si ribadiva la critica del difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico alla base dell’annullamento.

Interveniva ad adiuvandum la società Mandeon Service a r.l., nuova conduttrice del locale.

La domanda cautelare proposta dal ricorrente veniva respinta con ordinanza in data 8 maggio 1997.

All’esito, il Tribunale adìto con la sentenza in epigrafe respingeva il ricorso.

Veniva infatti ritenuta fondata, e decisiva, la considerazione comunale per cui la concessione in sanatoria rilasciata nel 1996 era stata resa per un cambiamento di destinazione d’uso che non era, in realtà, mai intervenuto: sicché tale concessione risultava viziata nel suo primo ed essenziale presupposto, essendo propria dell’istituto del condono edilizio la funzione di sanare abusi già commessi, e non quella di autorizzare interventi soltanto concepiti per una realizzazione ancora da venire.

Il punto veniva reputato già da solo sufficiente a sorreggere la legittimità dell’impugnato provvedimento di autotutela, con la conseguenza che le ulteriori ragioni addotte dal Comune a base del proprio atto di annullamento erano valutate come ininfluenti.

Il T.A.R., pertanto, dopo avere respinto anche la tesi di parte circa la natura sostanzialmente commerciale dell’attività di autofficina svolta fino ad allora nel locale, puntualizzando la distinzione esistente tra attività artigianali e commerciali, concludeva per l’inammissibilità dei restanti motivi di ricorso (a partire dal secondo).

Ne seguiva la proposizione del presente appello da parte del soccombente avverso la sentenza di prime cure.

Con il primo motivo di appello l’interessato si doleva che il Tribunale avesse omesso di considerare (ovvero, avesse disatteso senza alcuna motivazione) un preciso profilo del primo mezzo dell’originario atto introduttivo: quello con il quale era stato fatto notare che il locale in rilievo era stato assentito già ab origine come negozio, acquistando quindi sul nascere una destinazione commerciale che era stata ribadita anche dalla licenza in variante del 21 marzo 1967.

Con il successivo motivo di appello si adduceva che in tema di destinazione d’uso degli immobili non vi sarebbe stato spazio, né nella disciplina generale né in quella comunale, per tenere distinti tra loro l’uso commerciale e quello artigianale.

L’ultimo motivo era infine inteso ad avversare la declaratoria di inammissibilità emessa dal T.A.R. rispetto agli originari motivi secondo, terzo e quarto, l’appellante osservando che quantomeno il secondo ed il terzo avrebbero dovuto comunque essere scrutinati nel merito.

Il Comune si costituiva in giudizio in resistenza alla nuova impugnativa.

Con decreto n. 1248 del 16 maggio 2012 l’appello veniva dichiarato perento.

Tale declaratoria veniva tuttavia di lì a poco revocata, dinanzi alla dichiarazione di parte del persistente interesse alla trattazione della causa, con il successivo decreto n. 2333 del 13 settembre 2012, con il quale veniva disposta la reiscrizione dell’affare sul ruolo di merito.

Il Comune appellato eccepiva l’inammissibilità del primo motivo di appello per la sua novità ed altri profili, e comunque opponeva l’integrale infondatezza dell’impugnativa avversaria, concludendo perché la stessa venisse respinta.

Alla pubblica udienza del 21 maggio 2013 l’appello è stato trattenuto in decisione.

Rileva la Sezione che la sicura infondatezza del presente appello consiglia di concentrarsi subito sulla disamina dei suoi motivi, prescindendo dal vaglio delle eccezioni di inammissibilità opposte dall’Amministrazione appellata.

1 Con la prima delle censure dedotte dall’appellante, come si è visto, viene lamentata l’omessa considerazione da parte del Tribunale dell’originaria destinazione commerciale del locale, assentito appunto sul nascere come negozio, con destinazione che era stata poi ribadita dalla licenza in variante del 21 marzo 1967.

Il rilievo, il cui esame compete ormai al Giudice d’appello secondo il principio devolutivo, è però privo di pregio.

L’atto impugnato già ricordava, nel suo preambolo, come la proprietà del locale, sul fondamento della legge n. 47/1985, avesse chiesto e ottenuto, a suo tempo, una prima sanatoria edilizia per la realizzazione, al di sotto del piano stradale, di un’autorimessa.

E nel precedente grado di giudizio la difesa comunale, con la sua memoria del 16 aprile 1997, aveva diffusamente illustrato tale richiamo. La difesa dell’Amministrazione aveva appunto contestato all’avversaria di avere “dimenticato”, nella propria ricostruzione, il fatto di avere presentato, il 16 maggio 1986, una prima domanda di condono edilizio intesa a sanare l’abusivo mutamento di destinazione d’uso che era stato realizzato, con opere, con l’adibire il locale a sede di attività industriale-artigianale (“autorimessa”).

Dinanzi a tali precise obiezioni la ricorrente non ha però fatto alcuna puntuale replica, lasciando sostanzialmente incontestate le circostanziate affermazioni che erano state svolte dal Comune intorno all’oggetto della sua prima pratica di sanatoria.

L’appellante si è limitato insomma, in questa sede, a richiamare la destinazione originariamente commerciale del locale.

Non pare dubbio, tuttavia, che a fronte del predetto primo condono, con il quale la primitiva destinazione d’uso del locale era stata dunque modificata, e segnatamente trasformata in destinazione artigianale/industriale, il richiamo del ricorrente alla destinazione originariamente assentita non possa che manifestarsi (giusta eccezione dell’appellata) privo di rilievo ai fini di causa.

2a Prima di affrontare i restanti, particolari rilievi a base del presente appello, la Sezione reputa utile ricordare la ragione giustificativa di fondo del provvedimento sindacale impugnato.

L’annullamento della concessione in sanatoria del 25 gennaio 1996 e della connessa licenza di agibilità riposa sul rilievo centrale che il mutamento di destinazione oggetto della nuova domanda di sanatoria (da autorimessa artigianale a locale commerciale) non si era in realtà mai verificato, onde il secondo condono era risultato richiesto non per sanare un abuso già commesso, bensì per munire di titolo un intervento solamente programmato per il futuro (approfittando della sanatoria per creare la premessa per una sua illegittima realizzazione successiva).

L’interessato aveva dunque rappresentato in maniera inesatta la situazione in atto, inducendo il Comune a ritenere –contrariamente al vero- che il locale avesse da ultimo acquisito una nuova destinazione, avente natura commerciale, e facendo così incorrere l’Amministrazione in errore al riguardo.

2b Il Collegio condivide senz’altro le conclusioni del primo Giudice circa la validità dell’indicata ragione giustificativa dell’annullamento (ragione che in questa sede è stata avversata solo sotto particolari e tutto sommato marginali profili), come pure circa la sua assorbente decisività ai fini di causa.

Né l’ambiguità della linea seguita dal privato potrebbe recuperare linearità e coerenza con l’assunto che “ la domanda di concessione in sanatoria del ’95 tendeva non già al riconoscimento di abusivo mutamento di destinazione d’uso, ma a sanare l’erroneo certificato di agibilità e l’altrettanto erroneo accatastamento ad autorimessa e a trarre dalla concessione in sanatoria titolo idoneo a correggere tale errore iniziale ” (pag. 8 del ricorso di primo grado). Tale assunto conferma infatti comunque l’uso improprio e distorto fatto in concreto dello schema della procedura di sanatoria, piegato a fini diversi da quelli ad esso propri.

3 Con il secondo motivo di appello viene sostenuto che in tema di destinazione d’uso degli immobili non vi sarebbe stato spazio, a livello normativo, per tenere distinti tra loro l’uso commerciale e quello artigianale.

Una simile contestazione si pone peraltro in contraddizione con quanto lo stesso ricorrente ha compiuto.

In occasione della sua seconda domanda di condono edilizio proprio l’interessato aveva dichiarato di aver operato un mutamento di destinazione d’uso del locale, descrivendo l’abuso oggetto della propria richiesta di sanatoria come un “ cambio di destinazione d’uso da autorimessa artigianale a (locale) commerciale ”.

Di tale specifico abuso egli aveva pertanto richiesto il condono.

E’ quindi immediato notare il conflitto logico in cui il corrente motivo d’appello si pone rispetto alla domanda di sanatoria delle cui sorti si controverte, domanda della quale l’appellante finisce per assumere l’inutilità (sulla nuova premessa costituita dalla presunta non distinguibilità tra uso artigianale ed uso commerciale).

Si rendono allora applicabili alla fattispecie le considerazioni con cui la giurisprudenza, in casi simili, ha escluso che in sede di contenzioso sull’esito del condono il soggetto che l’aveva richiesto potesse essere ammesso a porre in discussione l’esistenza stessa dell’abuso formante oggetto della domanda di sanatoria (cfr. C.d.S., IV, 14 aprile 2010, n. 2086;
V, 28 marzo 2008, n. 1344).

Il mezzo di gravame è manifestamente infondato.

Nel processo di impugnazione del diniego di concessione edilizia in sanatoria sono invero inammissibili le censure, che contestino il carattere abusivo del manufatto.

Ciò è quanto si verifica nel caso in esame, in cui la parte interessata, surrettiziamente sostenendo l'inutilità del diniego di condono ed il carattere meramente tuzioristico della sua richiesta in assenza di abuso, tenta di superare le ragioni ostative opposte dall'Amministrazione al rilascio del titolo, rimettendo in discussione innanzitutto la necessità del nulla osta o della licenza comunale all'atto della realizzazione del manufatto, di cui è stata richiesta la sanatoria.

5.1.1 - Omette così l'appellante di considerare che il procedimento per condono edilizio ex l. n. 47 del 1985 è ad istanza di parte ( la sanabilità delle opere abusivamente realizzate potendo essere verificata dall'Amministrazione solo su istanza dell'interessato ), che dev'essere corredata da una dichiarazione sostitutiva d'atto notorio relativa alla descrizione e collocazione temporale dell'abuso, che s'intende sanare.

Nella specie, la dichiarazione della parte odierna appellante … assume carattere e natura di atto confessorio per ciò che concerne la realizzazione dell'abuso e la sua collocazione temporale ( Cons. St., V, n. 1344/08 ).

Infatti, nella domanda di condono edilizio, la parte richiedente dichiara che sussistono i requisiti previsti dalla legge per l'applicazione del beneficio richiesto (tra i quali, per quanto rileva nella fattispecie all'esame, la condizione di obiettiva abusività, in cui l'opera deve trovarsi alla data del 1 ottobre 1983) e siffatta dichiarazione è chiaramente destinata a provare la verità dei fatti attestati, producendo immediatamente effetti rilevanti sul piano giuridico ( Cass. Pen., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 9527 ).

5.1.2 - Ciò premesso, è fuori discussione che, ove difettasse in concreto siffatta condizione, quale che ne fosse la ragione, verrebbe meno in radice ( stante l'eccezionalità delle norme sul condono, per questo suscettibili solo di stretta interpretazione ) il presupposto stesso fondante la legittimazione all'attivazione del procedimento amministrativo di accesso ai benefici di legge;
presupposto, tuttavia, il cui accertamento è sottratto a qualsivoglia tipo di scrutinio in sede di impugnazione dell'atto conclusivo di quel procedimento, nel quale la predetta dichiarazione del privato, produttiva di effetti non revocabili sul piano giuridico ( nemmeno in caso di ritiro della domanda di condono, che non varrebbe ad elidere il carattere confessorio della stessa quanto all'avvenuta realizzazione dell'abuso ), è stata trasfusa.

Tali essendo il contenuto, lo scopo e l'oggetto del procedimento amministrativo di condono e del provvedimento conclusivo negativo ( c.d. "atto di ripulsa" ) in questa sede impugnato, dev'essere interamente condiviso l'orientamento della sentenza appellata, laddove ha ritenuto non contestabile la abusività dell'opera ( per mancanza del titolo abilitante richiesto all'epoca della realizzazione ) implicitamente ma chiaramente affermata con la presentazione della domanda di condono;
l'abuso edilizio costituisce, invero, non soltanto presupposto implicito del diniego, ma la ragione stessa del potere ( e del suo esercizio ), da parte dell'Ente, di concedere la sanatoria, che rinviene causa ed oggetto nelle dichiarazioni del privato, sulla base delle quali la P.A. lo ammette alla procedura di sanatoria, indipendentemente dalle irrilevanti riserve mentali del richiedente
( v. Cons. St., n. 1344/98, cit. ).

La destinazione e lo scopo della dichiarazione del privato, e gli effetti di essa sul piano giuridico ( che impongono una particolare tutela, anche penale: v. art. 483 cod. pen. ), precludono, in definitiva, in sede di impugnazione del provvedimento di diniego di condono, la possibilità di rimettere in discussione il carattere abusivo dell'opera come tale denunciata e dichiarata;
preclusione, questa, che va poi logicamente estesa alla sede dell'impugnazione dell'ordine di demolizione, che rinvenga nel diniego di sanatoria il suo presupposto
.” (sentenza n. 2086/2010 cit.).

Ne consegue che anche questo motivo d’appello è infondato.

Senza dire, infine, che l’assunto di parte inteso a negare fondamento sul piano normativo, in tema di destinazioni d’uso degli immobili, alla distinzione tra l’uso commerciale e quello artigianale, non trova nemmeno riscontro nelle doglianze che erano state articolate in primo grado, quando lo stesso ricorrente aveva argomentato, invece, nel ben diverso senso che l’attività di autofficina disimpegnata in concreto nel locale costituiva, grazie alla vendita dei ricambi ad essa inerente, un’attività sostanzialmente equiparabile ad una comune attività commerciale.

4 Il terzo ed ultimo motivo di appello è diretto ad avversare la declaratoria di inammissibilità emessa dal T.A.R. rispetto agli originari motivi secondo, terzo e quarto.

L’appellante deduce che l’osservazione del Tribunale sulla ininfluenza delle ulteriori ragioni addotte dal Sindaco a base del proprio annullamento sarebbe potuta valere per reputare inammissibile il quarto motivo, ma il secondo ed il terzo avrebbero dovuto comunque essere scrutinati nel merito.

Nemmeno questa critica può però essere condivisa.

Costituisce principio ampiamente consolidato (la cui notorietà dispenserebbe da citazioni: cfr. peraltro da ultimo C.d.S., IV, 5 febbraio 2013, n. 694) quello per cui, in presenza di un provvedimento amministrativo fondato su una pluralità di motivi singolarmente già sufficienti a sostenerlo, qualora almeno uno di essi si riveli immune da vizi, le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all’invalidazione dell’atto.

Tanto premesso, la Sezione non ha comunque difficoltà a registrare l’inconsistenza dell’addebito di sviamento dall’interesse pubblico che costituisce il nucleo delle doglianze qui riproposte.

L’appellante insiste, infatti, con l’asserto che il reale intendimento dell’Amministrazione sarebbe stato quello di salvaguardare l’interesse privato delle locali associazioni di commercianti, impedendo l’apertura del nuovo esercizio.

Esattamente obietta la difesa comunale, però, che un provvedimento non è inficiato da sviamento per la mera circostanza di avvantaggiare di riflesso interessi privati, bensì solo ove questi ultimi siano stati perseguiti a discapito di quello pubblico (in tal senso cfr. ad es. C.d.S., Sez. V, 1° aprile 1996, n. 324)

Ciò posto, il provvedimento reca una puntuale enunciazione delle ragioni di interesse pubblico che hanno indotto il Comune al proprio intervento in autotutela, ragioni riconducibili, in sintesi, alla circostanza che nella zona in cui ricade il locale (Lungomare) non esistono idonei parcheggi né aree necessarie al carico e scarico delle merci, e già sussiste una notevole mole di traffico, sicché la nuova iniziativa, per la quale sarebbe prevedibile una notevole affluenza di clientela, non farebbe altro che “ aumentare il già notevole disagio dello stato dei luoghi ”.

La critica di sviamento risulta dunque gratuita.

Né ha pregio la censura di violazione del canone dell’affidamento a suo tempo introdotta con il secondo mezzo sul rilievo che il ricorrente, nel frattempo, aveva già concluso un contratto di locazione commerciale del locale. Non poteva esserci, difatti, affidamento meritevole di protezione in capo all’interessato, dal momento che era stata proprio la sua infedele prospettazione in sede di domanda di condono a dare causa al vizio di legittimità giustificante la successiva iniziativa di autotutela dell’Amministrazione.

Quanto alle residue argomentazioni critiche parimenti riprese con il terzo motivo d’appello, e concernenti le molteplici componenti motivazionali poste dal Comune, a suo tempo, a supporto del proprio atto annullatorio, la Sezione non può che confermare la conclusione del primo Giudice nel senso dell’inammissibilità di simili doglianze, alla luce del consolidato principio ricordato in apertura del presente paragrafo.

5 In conclusione, per le ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto.

Si ravvisano, nondimeno, ragioni tali da giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali del presente grado.

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