Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-12-29, n. 201706158

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-12-29, n. 201706158
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201706158
Data del deposito : 29 dicembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/12/2017

N. 06158/2017REG.PROV.COLL.

N. 07776/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7776 del 2016, proposto da:
S s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati F M e N B, con domicilio eletto presso lo studio F Cappellini, in Roma, via Salaria, 320;

contro

Diddi s.r.l. (in proprio e quale mandataria della costituenda ATI, con la Diddi Dino &
Figli s.r.l.) e Diddi Dino &
Figli s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali in carica, rappresentate e difese dagli avvocati F in Massimo P e C R, con domicilio eletto presso lo studio Umberto Richiello, in Roma, via Carlo Mirabella, 18;

nei confronti di

Comune di Pescia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Carrozza, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Battista Conte, in Roma, via E. Q. Visconti, 99;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Toscana, Sezione I, n. 01311/2016, resa tra le parti, concernente ottemperanza alla sentenza n.1028/2015 avente ad oggetto l’affidamento del servizio novennale di fornitura energia e di manutenzione degli impianti termici.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Diddi s.r.l., della Diddi Dino &
Figli s.r.l. e del Comune di Pescia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati N B, Umberto Richiello, su delega di F Massimo P, e Giovanni Battista Conte, su delega di Paolo Carrozza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Comune di Pescia ha aggiudicato alla SIRAM s.p.a. un appalto concernente l’affidamento del servizio novennale di fornitura energia e manutenzione impianti termici.

La Diddi s.r.l., e la Diddi Dino &
Figli s.r.l., che avevano partecipato alla gara in costituenda ATI fra loro, hanno impugnato l’aggiudicazione davanti al TAR Toscana, il quale, con sentenza 8 luglio 2015, n. 1028 l’ha annullata, ritendo che il giudizio di congruità espresso dalla stazione appaltante sull’offerta dell’aggiudicataria fosse viziato e quindi da ripetere.

Il RUP, ha, quindi, riesaminato l’offerta e, giudicatala congrua, ha confermato il precedente provvedimento di aggiudicazione.

Avverso il nuovo segmento procedimentale la Diddi e la Diddi Dino &
Figli hanno proposto ricorso in ottemperanza, che l’adito TAR ha accolto con sentenza 8 agosto 2016, n. 1311, con la quale ha, in sostanza, riconosciuto che la valutazione di congruità compiuta dal RUP dovesse ritenersi inattendibile, con conseguente violazione o elusione del giudicato, in quanto proveniente da soggetto (lo stesso RUP) precedentemente dichiaratosi privo dell’esperienza e delle conoscenze teorico-pratiche all’uopo occorrenti.

Avverso la sentenza n. 1311 del 2016 ha proposto appello la SIRAM.

Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio il Comune di Pescia, nonché la Diddi e la Diddi Dino &
Figli, le quali, per il caso di accoglimento dell’appello, hanno riproposto i motivi prospettati, in via subordinata, in primo grado che il TAR non ha esaminato.

Con sentenza 30 giugno 2017, n. 3177 questa Sezione ha accolto l’appello della S quanto al profilo concernente l’ottemperanza e ha disposto la rimessione della causa sul ruolo ordinario, con contestuale fissazione della nuova udienza del 5 dicembre 2017, per la trattazione dei motivi riproposti in quanto afferenti ad autonomi vizi di legittimità dei provvedimenti gravati.

Con ulteriori memorie tutte le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2017 la causa è passata in decisione.

In via pregiudiziale occorre affrontare l’eccezione con cui la Diddi e la Diddi Dini &
Figli, sul presupposto che questa Sezione avrebbe errato a non rimettere la causa al giudice di primo grado per la trattazione dei motivi riproposti, insistono perché si provveda in tal senso.

L’eccezione è infondata sotto due distinti profili.

In primo luogo la Sezione si è già definitivamente pronunciata sulla problematica con la sentenza n. 3177 del 2017, per cui in questa sede la questione non può più essere rimessa in discussione.

In secondo luogo l’eccezione è infondata nel merito.

Ed invero, sensi dell’art. 105, comma 1, del Cod. proc. amm. Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l'ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l'estinzione o la perenzione del giudizio ”.

Ne consegue che in tutti gli altri casi, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.), il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure.

Poiché quello di specie non rientra fra i tassativi casi per i quali la trascritta norma prevede la rimessione al primo giudice, non sussistono i presupposti per l’accoglimento dell’eccezione.

Può, dunque, procedersi all’esame dei motivi riproposti dalle appellate.

Con la prima censura si deduce che il nuovo giudizio sulla congruità dell’offerta della S sarebbe viziato in quanto in esso avrebbe assunto un ruolo centrale il consulente esterno ing. A, il quale avrebbe redatto, nella qualità di esperto incaricato dalla stazione appaltante, una relazione sulle giustificazioni prodotte dalla S le cui conclusioni sarebbero, poi, state recepite dal RUP e, quindi, dalla Commissione di gara.

Tale partecipazione inficerebbe il giudizio di anomalia sotto tre distinti profili.

1) L’ing. A non avrebbe potuto assumere, stante il contrasto col principio di imparzialità, la veste di consulente esterno in quanto, nell’ambito della stessa vicenda, aveva già svolto in sede giudiziale le funzioni di consulente di parte del Comune.

Tanto più che: a) l’oggetto dell’incarico era, nei due casi, il medesimo;
b) il nominativo del detto consulente era stato suggerito dalla stessa S;
c) le valutazioni da compiere erano connotate da ambiti di discrezionalità tecnica.

La stazione appaltante avrebbe, pertanto, dovuto richiedere preventivamente agli ordini professionali (e/o alle facoltà universitarie) una rosa di candidati tra cui scegliere il consulente esterno.

2) La concreta attività di verifica ssarebbe stata delegata ad un consulente esterno in violazione degli artt. 88 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e 121 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, i quali demandano alla stazione appaltante (o attraverso i propri uffici o per mezzo di un’apposita commissione) il compito di valutare l’anomalia dell’offerta.

3) Il conferimento dell’incarico all’ing. A si porrebbe in contrasto anche con l’art. 84 del citato d. lgs. n. 163 del 2006 in base al quale, “ In caso di rinnovo del procedimento di gara a seguito di annullamento dell’aggiudicazione … è riconvocata la medesima commissione ”.

La doglianza è infondata.

Ed invero, come si ricava dal confronto tra il parere reso dall’ing. A e la relazione del RUP [rispettivamente doc. i) e allegato 6, al doc. o) della produzione di primo grado del Comune], quest’ultimo ha autonomamente espresso le proprie valutazioni in ordine alla congruità dell’offerta della S, tant’è vero che i due citati documenti non sono fra loro sovrapponibili.

In ogni caso, contrariamente a quanto sostengono le appellate, non sussiste alcuna incompatibilità tra le funzioni svolte dall’ing. A come consulente esterno della commissione preposta ad apprezzare la sostenibilità della detta offerta e quelle espletate in qualità di consulente di parte della stazione appaltante nel giudizio concernente la medesima gara a cui inerisce l’avversato giudizio di congruità, di modo che la sua eventuale partecipazione (indiretta e da esterno) al procedimento di verifica non costituirebbe motivo di illegittimità del provvedimento che lo conclude.

Considerato che l’ing. A non ha partecipato al suddetto procedimento di verifica, risultano inconferenti i motivi con cui viene dedotta la violazione degli artt. 84 e 88 del d. lgs. n. 163 del 2006 e 121 del d.P.R. n. 207 del 2010, così come altrettanto inconferente è la censura con cui si lamenta (peraltro del tutto apoditticamente) che il nome del menzionato professionista sarebbe stato suggerito alla stazione appaltante dalla S.

Col secondo motivo le appellate denunciano che le giustificazioni prodotte dall’aggiudicataria rivelerebbero l’inattendibilità della sua offerta in quanto:

a) i dati di rendimento delle caldaie sarebbero stati forniti unilateralmente dalla S e non garantirebbero un valore oggettivo, ciò vieppiù in quanto la nuova verifica avrebbe dovuto superare le risultanze negative a cui era pervenuto il CTU nell’ambito del giudizio proposto dalle appellate contro l’aggiudicazione in favore della S (giudizio definito con sentenza 8 luglio 2015 n. 1028);

b) l’utilizzo di tali dati solo da parte della S darebbe luogo ad una palese disparità di trattamento a danno degli altri concorrenti che non hanno potuto usufruirne al fine di formulare le proprie offerte;

c) i dati di rendimento, la composizione e il costo del metano sarebbero variabili nel tempo, pertanto in sede di gara si dovrebbero prendere in considerazione i criteri dettati dalla normativa tecnica vigente, in ogni caso i costi della fornitura, come da capitolato, sarebbero adeguati al costo dei combustibili sul mercato;

d) i nuovi giustificativi risulterebbero inattendibili in quanto nei primi due scenari prospettati dalla S verrebbe considerato, come unità di misura, il Nmc invece che il Smc e ciò, oltre che non consentito, rappresenta un’inammissibile modifica dell’offerta in sede di verifica dell’anomalia;

e) nel primo e nel terzo scenario ipotizzati dalla stessa concorrente si eseguirebbero calcoli sulla base di rendimenti stagionali delle caldaie dalla medesima unilateralmente misurati a consuntivo e con uno strumento di cui non si conoscerebbero le caratteristiche, la sua conformità a norma e il certificato di taratura;

f) in ciascuno dei tre scenari l’odierna appellante avrebbe rimodulato via via le singole voci di costo variando illegittimamente i valori dei costi complessivi.

La doglianza così sinteticamente riassunta non merita accoglimento.

In termini generali occorre premettere che un consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non intende discostarsi, insegna che:

a) nelle gare pubbliche il giudizio circa l'anomalia o l'incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere esteso ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci (Cons. Stato, V, 17 novembre 2016, n. 4755;
III, 6 febbraio 2017, n. 514);

b) il procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non mira ad individuare specifiche e singole inesattezze nella sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto;

c) al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (Cons. Stato, V, 13 febbraio 2017, n. 607 e 25 gennaio 2016, n. 242;
III, 22 gennaio 2016, n. 211 e 10 novembre 2015, n. 5128).

Nel caso di specie, con apprezzamento tecnico insindacabile sotto il profilo del merito, la stazione appaltante, alla luce delle giustificazioni fornite dalla S, ha ritenuto congrua l’offerta da quest’ultima presentata.

Per contro, le appellate si sono limitate a criticare i dati esposti dall’aggiudicataria e le giustificazioni dalla medesima fornite, senza, tuttavia, allegare, in modo specifico e dettagliato, quale sarebbe il maggior onere complessivamente da sostenere per l’esecuzione della commessa, di modo che non risulta addotto alcun elemento atto a dimostrare che i più elevati costi sarebbero tali da erodere completamente l’utile d’impresa dichiarato.

Così facendo hanno, però, violato l’onere, sulle medesime gravante, di fornire puntuali elementi di riscontro in ordine alla sussistenza della predicata anomalia (Cons. Stato, V, 12 maggio 2017, n. 2228) e ciò pregiudica irrimediabilmente la possibilità di accogliere la censura.

In definitiva, quindi, i motivi di gravame riproposti dalle appellate risultano infondati.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

La particolarità e complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

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