Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-01-14, n. 201900315

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-01-14, n. 201900315
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900315
Data del deposito : 14 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/01/2019

N. 00315/2019REG.PROV.COLL.

N. 02200/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2200 del 2012, proposto dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

S s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F P, con domicilio eletto presso lo studio Studio Berenghi e Soci Studio Berenghi e Soci in Roma, via IV Novembre, 149;
S s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Marcello Clarich e Angelo Raffaele Cassano, con domicilio eletto presso lo studio Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, 32;

nei confronti

Consorzio Area Sviluppo Industriale di Cagliari, Regione Autonoma della Sardegna, Provincia di Cagliari, Comune di Assemini, Syndial s.p.a., non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza 22 settembre 2011, n. 939, del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, Cagliari, Sezione II.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2018 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Giorgio Santini dell'Avvocatura Generale dello Stato, Angelo Raffaele Cassano e Marcello Clarich.


FATTO

1.− La società S (di seguito anche solo S o Società) svolge attività relativa alla produzione di un’ampia gamma di prodotti refrattari necessari alla costruzione, manutenzione ed esercizio di impianti appartenenti a diversi settori industriali.

Tale società è proprietaria di un’area e di uno stabilimento industriale ricompreso nel sito di interesse nazionale del « Sulcius Iglesiente Guspinese », individuato con decreto del Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare del 12 marzo 2003.

Il Ministro, con decreto 11 marzo 2008, recependo gli esiti del verbale 19 febbraio 2008 della conferenza di servizi indetta dallo stesso Ministro, ha ingiunto alla Società di procedere alla bonifica, messa in sicurezza e alla caratterizzazione dell’area in questione.

2.− S ha impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, deducendo la loro illegittimità per mancanza del presupposto costituito dalla accertata responsabilità in capo al destinatari degli ordini emessi.

Nel corso del giudizio il Ministero, all’esito della conferenza decisoria del 25 novembre 2009, ha imposto alla Società il solo obbligo di redigere il piano di caratterizzazione.

3.− Il Tribunale amministrativo, con sentenza 22 settembre 2011, n. 939, ha accolto il ricorso e annullato i provvedimenti censurati.

4.− Il Ministero ha proposto appello.

5.− Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado, deducendo che: i ) con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 20 febbraio 2015, essa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 3 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, che rimanda, per quanto da esso non espressamente previsto, al decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270; ii ) con sentenza 5 marzo 2015, n. 5 il Tribunale di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza.

La stessa società, con successiva memoria del 6 marzo 2018, ha chiesto: i ) in via principale, che venga dichiarato estinto il giudizio per mancata tempestiva riassunzione da parte del Ministero; ii ) in via subordinata, che venga dichiarata l’interruzione del processo; iii ) in via ulteriormente subordinata, l’improcedibilità ovvero l’infondatezza nel merito dell’appello proposto.

6.− La Sezione, con ordinanza 18 aprile 2018, n. 2341, non ha dichiarato l’interruzione del processo, rilevando come lo svolgimento di difesa nel merito da parte della società resistente dovesse essere intesa come “prosecuzione del giudizio”. La causa è stata, però, rinviata per consentire un pieno esercizio, ad entrambe le parti e, in particolare al Ministero, del diritto di difesa.

7.− La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 6 dicembre 2018.

DIRITTO

1.− La questione all’esame della Sezione attiene alla legittimità degli atti del Ministero dell’ambiente con i quali è stato imposto alla S di redigere un piano di caratterizzazione relativo all’area descritta nella parte in fatto.

2.− L’appello, a prescindere dall’eccezioni preliminari sollevate dalla società, non è fondato.

3.− Con un primo motivo, l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto la Società responsabile dell’inquinamento. Ciò in quanto: i ) lo stabilimento di proprietà della S si troverebbe all’interno di uno dei siti di bonifica di interesse nazionale; ii ) sussisterebbe corrispondenza tra le sostanze contaminanti riscontrante nel sito e quelle trattate nel ciclo di produzione della Società. Secondo il Ministero appellante quelle esposte sarebbero, ai sensi dell’art. 2727 cod. civ., presunzioni di corresponsabilità nel processo causale di contaminazione.

Il motivo non è fondato.

La disciplina del piano di caratterizzazione è contenuta nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’ambiente).

Il Codice prevede che per valutare se un sito, inteso come area geograficamente determinata da tutelare, è inquinata sono previsti due parametri diversi: le Csc (concentrazioni soglia di contaminazione) e le Csr (concentrazioni soglia di rischio).

Le Csc esprimono valori fissi di sostanze inquinanti indicate nell’allegato V della Parte IV del Codice stesso. Se viene superata una determina soglia il sito è potenzialmente contaminato.

In questo caso, il Codice dispone che sia « il responsabile dell’inquinamento » a presentare, dopo avere dato notizia al Comune ed alle Province competenti per territorio, un piano di caratterizzazione. La Regione, all’esito della conferenza di servizi, autorizza il suddetto piano. Sulla base delle risultanze della caratterizzazione al sito, è applicata la procedura di analisi del rischio specifica per la determinazione delle Csr. Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di Csr, il soggetto responsabile sottopone alla Regione il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito (art. 242).

Tali interventi sono imposti al responsabile dell’inquinamento e non al proprietario.

Il Codice prevede, infatti, che il proprietario dell’area, incolpevole, deve solo darne comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione. Viene riconosciuta al proprietario (o ad altro soggetto interessato) esclusivamente la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione gli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità (art. 245, comma 2).

La Corte di Giustizia, con riferimento agli obblighi di bonifica, ha ritenuto che la mancata imposizione di tali misure anche al proprietario non contrasti con il diritto europeo, in quanto non sono configurabili fattispecie di responsabilità svincolata da un contributo causale alla determinazione del danno ambientale (Corte giust. un. eur., sez. III, sentenza 4 marzo 2015).

Nella fattispecie in esame, l’amministrazione non ha dimostrato che la S sia responsabilità dell’inquinamento.

Non è sufficiente ritenere che lo stabilimento si trovi all’interno di un sito di bonifica di interesse nazionale e che vi sia corrispondenza tra sostanze riscontrate nel sito e quelle trattate nel ciclo di produzione. Il primo elemento dimostra solo la titolarità di un diritto di proprietà sull’area che, come esposto, non è sufficiente a dimostrare anche la riconducibilità causale dell’inquinamento alla Società stessa. Il secondo elemento ha valenza meramente presuntiva e, in quanto tale, da solo non può fondare la prova della responsabilità dell’inquinamento.

La debolezza di queste deduzioni si evidenzia anche alla luce dei contrari elementi acquisiti agli atti del processo dai quali risulta che tale responsabilità non sussiste. In particolare: ii ) nei verbali delle conferenze di servizi che si sono tenute si afferma più volte che la presenza di composti organici inquinanti è sempre stata accertata in riferimento a zone circoscritte gestite dalla società Syndial; ii ) il grave sversamento verificatosi nell’anno 1995 è riferibile, per ammissione della stessa amministrazione, ad un oleodotto gestito anch’esso dalla suddetta società.

4.− Con un secondo motivo l’appellante ha dedotto come la responsabilità della società possa essere affermata anche in ragione della posizione di garanzia, che ai sensi degli artt. 2050 e 2051 cod. civ., essa riveste quale proprietaria ed utilizzatrice del sito.

Il motivo non è fondato.

Gli artt. 2050 e 2051 cod. civ. prevedono ipotesi di responsabilità per esercizio di attività pericolose e per cose in custodia. Si tratta di forme speciali di responsabilità di natura oggettiva o, secondo altro orientamento, soggettiva presunta rispetto al modello generale di responsabilità per colpa di cui all’art. 2043 cod. civ.

Tale disposizioni non possono trovare applicazione nell’ambito del sistema di responsabilità ambientale.

Il decreto legislativo n. 152 del 2006, in attuazione di prescrizioni europee, ha previsto regole autonome rispetto al modello codicistico che si basano su diverse prescrizioni che contemplano modalità differenti di interventi modulati sulle specifiche esigenze di tutela dell’ambiente. Non possono, pertanto, trovare applicazione le disposizioni generali contenute nel codice civile.

5.− La particolare natura della controversia e l’esito del giudizio dipendente dal mancato raggiungimento della prova del fatto contestato giustifica l’integrale compensazione tra le parti del giudizio delle spese del presente grado del processo.

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