Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-06, n. 202301226

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-06, n. 202301226
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301226
Data del deposito : 6 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/02/2023

N. 01226/2023REG.PROV.COLL.

N. 05977/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5977 del 2018, proposto da T M, A M, R M, rappresentati e difesi dagli avvocati S S e L A, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via della Scrofa 47

contro

Roma Capitale, in persona del sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato A M, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma (sezione seconda) n. 2559/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm. del giorno 13 gennaio 2023 il consigliere F F e uditi per la parte appellante gli avvocati Scocchera e Anelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Gli appellanti in epigrafe impugnano nel presente giudizio la determinazione di Roma Capitale del 12 dicembre 2001, n. 273, con cui è stata respinta l’istanza di condono presentata nel 1986 dal loro padre e dante causa Romano Magnante, per il complesso aziendale dell’estensione di mq. 4880 sito in Roma, via Trionfale 10104, realizzato dall’istante e dallo stesso esercitato sotto dell’omonima ditta individuale, edificato su un’area appartenuta al Pio Istituto di Santo Spirito ed Ospedali Riuniti di Roma, e da quest’ultimo in allora concessa in affitto al medesimo signor Romano Magnante.

2. Il diniego di condono era fondato sul parere negativo a concedere onerosamente l’uso del suolo su cui insistono le costruzioni, ai sensi dell’art. 32, comma 6, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ( Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie ), espresso dalla stessa Roma Capitale (con nota prot. 7597 del 16 ottobre 2000, anch’essa impugnata). Il parere veniva a sua volta reso da quest’ultima amministrazione in qualità di ente gestore dell’area per conto degli enti del servizio sanitario regionale del Lazio, cui questa è stata infine trasferita, in attuazione delle leggi istitutive del servizio sanitario nazionale e di successivo riordino dello stesso, con la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali (rispettivamente: legge 23 dicembre 1978, n. 833;
e decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502).

3. In primo grado, l’adito Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma ha respinto il ricorso, in allora proposto dalla madre degli odierni appellanti, con la sentenza in epigrafe.

4. Questa ha statuito che in base alla legislazione applicabile alla presente fattispecie, sia all’epoca in cui queste sono state realizzate che quando è stata definita la domanda di condono edilizio, l’area interessata dalle opere abusive apparteneva a Roma Capitale, che pertanto era l’« ente proprietario » competente a manifestare la disponibilità all’uso dell’area, ai sensi del sopra citato art. 32, comma 6, della legge sul primo condono edilizio. Ha inoltre respinto le ulteriori censure formulate con il ricorso, relative all’ultrattività dei contratti di affitto a favore del dante causa e al trattamento diverso ad esso riservato rispetto ad un abuso analogo.

5. Per la riforma della sentenza così sintetizzata è stato quindi proposto appello dagli aventi causa indicati in epigrafe del richiedente il condono, già costituitisi in primo grado in prosecuzione della madre.

6. Con esso si reitera innanzitutto l’assunto secondo cui sul condono si sarebbe dovuto esprimere ai sensi della citata legge 28 febbraio 1985, n. 47, la comunione delle aziende sanitarie locali del Lazio, in favore del quale è avvenuto il trasferimento del terreno, e non già l’amministrazione comunale, che nelle more del perfezionamento dell’effetto traslativo ha unicamente svolto le funzioni di ente gestore dell’immobile, e tale si è infatti qualificato nel sopra menzionato parere. Si deduce inoltre che per effetto di proroghe legali il rapporto di affitto tra il dante causa e l’ora soppresso Pio Istituto di Santo Spirito ed Ospedali Riuniti di Roma sarebbe ancora in essere, come accertato in sede giurisdizionale civile. Viene infine riproposta la censura di disparità di trattamento con un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio, in relazione al quale il condono è stato rilasciato, e si censura la sentenza di primo grado per non avere tratto il giusto convincimento dell’insufficiente riscontro dell’amministrazione resistente agli ordini istruttori al riguardo emessi dal Tribunale amministrativo.

7. Roma Capitale si è costituita in resistenza all’appello.

DIRITTO

1. Con il primo motivo d’appello è riproposta la tesi dell’illegittimità del diniego di condono edilizio impugnato per incompetenza di Roma Capitale ad esprimere il parere ex art. 32, comma 6, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella versione applicabile ratione temporis , così formulato: «(p) er le opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione » .

2. Viene al riguardo dedotto che il trasferimento a favore delle aziende sanitarie locali, ai sensi del sopra citato decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e precisamente dell’art. 5, nonché dell’art. 23 della legge attuativa per la regione Lazio, 16 giugno 1994, n. 18, avrebbe avuto effetto immediato, mentre la successiva individuazione dei beni in concreto trasferiti alle aziende sanitarie, mediante atto regionale, avrebbe carattere meramente ricognitivo di una vicenda traslativa già perfezionatasi per legge. In ragione di ciò sarebbe stata la competente azienda sanitaria locale - e precisamente, la comunione delle aziende sanitarie locali, ai sensi della determinazione regionale di trasferimento dei beni immobili in questione, n. 385 del 21 febbraio 2007 - a dovere esprimere l’assenso alla sanatoria edilizia, secondo la disposizione della legge sul primo condono da ultimo menzionata, e non già Roma Capitale, come avvenuto nel caso di specie.

3. Le censure così sintetizzate sono fondate ed assorbenti rispetto a quelle ulteriormente riproposte con l’appello.

4. Deve ritenersi innanzitutto che la più volte citata disposizione di legge applicabile alla fattispecie controversa afferisca alle facoltà dominicali di godimento e di disposizione della cosa insite nel diritto di proprietà. La considerazione ora svolta è resa evidente (ai sensi dell’art. 12 delle preleggi) dal riferimento in essa contenuto alla « disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione » abusivamente realizzata.

5. Come si evince dalla formulazione della norma, la manifestazione di disponibilità da essa richiesta per il rilascio del condono si sostanzia nell’espressione di volontà di mantenere nel godimento del bene l’autore della costruzione realizzata in assenza di titolo edilizio, attraverso l’attribuzione ad esso dell’uso del sottostante suolo. Affinché il procedimento amministrativo relativo al profilo urbanistico-edilizio possa perfezionarsi è quindi richiesto un assenso che non può che provenire dal soggetto inciso dal punto di vista civilistico dalla costruzione abusiva, ovvero il proprietario del suolo da essa interessato. A ciò non può invece ritenersi titolato il mero gestore del bene, posto che l’amministrazione di esso non implica la facoltà di disporne nei termini indicati dalla norma.

6. Nondimeno l’assenso previsto dal più volte citato art. 32, comma 6, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, è stato nel caso di specie espresso da quest’ultimo e sotto questo profilo il diniego di condono impugnato risulta illegittimo.

7. A quest’ultimo riguardo, si rivelano infatti fondate le deduzioni dell’appello intese a sostenere che con la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali, ai sensi della sopra citata legislazione nazionale e regionale attuativa, si sarebbe determinato il trasferimento a favore di queste ultime del patrimonio degli enti, casse mutue e gestioni soppressi con la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale 23 dicembre 1978, n. 833, parimenti richiamata in precedenza.

8. Quest’ultima aveva in origine disposto il trasferimento del patrimonio dei beni degli enti soppressi a favore « dei comuni competenti per territorio, con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali » (art. 65, comma 1), con rinvio agli « atti legislativi ed amministrativi » delle regioni, « necessari per realizzare i trasferimenti » (art. 66, comma 4). A ciò è tuttavia seguita un’ulteriore vicenda traslativa, sancita sul piano nazionale dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, il quale ha stabilito che « il patrimonio delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere è costituito da tutti i beni mobili ed immobili ad esse appartenenti, ivi compresi quelli da trasferire o trasferiti loro dallo Stato o da altri enti pubblici »;
e, nella medesima linea, sul piano regionale, in particolare per il Lazio, dalla legge attuativa 16 giugno 1994, n. 18, il cui art. 23, comma 1, ha previsto quanto segue: «(t) utti i beni mobili, immobili, ivi compresi quelli da reddito di cui all’art. 24, e le attrezzature che alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 502 del 1992, facevano parte del patrimonio dei comuni o delle province con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali, sono trasferiti al patrimonio delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere. Sono parimenti trasferiti al patrimonio delle aziende unità sanitarie locali i beni di cui all’art. 65, comma 1, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, come sostituito dall'art. 21 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638 ».

9. La sentenza di primo grado ha considerato realizzato solo il trasferimento previsto dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, e non anche quello previsto in occasione del riordino del servizio sanitario nazionale con l’istituzione di enti con personalità giuridica quali le aziende sanitarie locali, in luogo delle unità sanitarie locali, invece prive di tale attributo. In questo senso è stato attribuito rilievo decisivo al fatto che solo in epoca successiva alla presentazione della domanda di condono e alla sua definizione è stato adottato il provvedimento regionale di trasferimento, ovvero la sopra citata determinazione del 21 febbraio 2007, n. 385, emanata in attuazione della legge regionale 16 giugno 1994, n. 18 (in particolare l’art. 24, ora abrogato).

10. In ciò risiede l’errore della decisione di rigetto del ricorso. Come infatti deduce l’appello, secondo la giurisprudenza della Cassazione, i provvedimenti legislativi ed amministrativi necessari per realizzare il trasferimento di competenza regionale costituiscono « atti esecutivi e dichiarativi del trasferimento già avvenuto per legge » (così Cass., SS.UU., ord. 23 febbraio 2007, n. 4206). Il principio ora richiamato, espresso con riguardo al sopra citato art. 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, si fonda sull’esigenza di escludere che la dotazione del patrimonio degli enti del servizio sanitario nazionale sia rimessa alla discrezionalità delle amministrazioni cui è stato attribuito il compito della relativa costituzione. Esso è dunque estensibile al successivo trasferimento alle aziende sanitarie locali previsto dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e dalla successiva legislazione regionale attuativa.

11. L’appello deve pertanto essere accolto. Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado va accolto il ricorso ed annullato il diniego di condono con esso impugnato, unitamente al presupposto parere ex art. 32, comma 6, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che in esecuzione della presente sentenza dovrà essere espresso dalla comunione delle aziende sanitarie locali della Regione Lazio. L’indubbia peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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