Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-01-22, n. 202100690

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-01-22, n. 202100690
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100690
Data del deposito : 22 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/01/2021

N. 00690/2021REG.PROV.COLL.

N. 01511/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1511 del 2015, proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore , dalla Capitaneria di Porto di Imperia, in persona del Direttore di Porto pro tempore , dal Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche Lombardia e Liguria, in persona del Provveditore pro tempore , dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , dall’Agenzia del Demanio, in persona del Direttore pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Fallimento S.r.l. Fin.Im, in persona del Curatore fallimentare pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Alberto Quaglia e Tomaso Galletto, con domicilio digitale come da PEC estratta da Registri di Giustizia;
Il Comune di Ospedaletti, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Corrado Mauceri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14a/4;
La Regione Liguria, in persona del Presidente pro tempore , non costituito in giudizio;
Fallimento Fin.Im - Finanziaria Immobiliare S.r.l. in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Tomaso Galletto, Mario Alberto Quaglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum :
Società di Partecipazione Finanziaria S.r.l. - So.Par.Fi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Gerbi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Silvia Villani in Roma, via Asiago, n. 8;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Genova, Sezione I, n. 1078/2014, resa tra le parti, concernente acquisizione allo stato delle opere realizzate nell'ambito di concessioni rilasciate sul demanio marittimo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Fin.Im e del Comune di Ospedaletti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il consigliere Daniela Di Carlo;

Nessuno è presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La S.r.l. FIN.IM. in liquidazione (fallita nelle more del giudizio) era uno dei soggetti attuatori di un piano di iniziativa pubblica per la riqualificazione di un’area (ex discarica) mediante la realizzazione di un intervento denominato “Parco &
Marina d Baiaverde”, nel cui contesto era previsto anche l’insediamento di un porto turistico.

2. La società in questione ha impugnato il parere negativo espresso dalla Commissione istituita presso la Capitaneria di Porto di Imperia ai sensi dell’art. 49, cod. nav., circa l’opportunità dell’acquisizione al patrimonio dello Stato delle opere da essa realizzate nell’area demaniale marittima, nonché gli atti emanati dal Comune di Ospedaletti e dalla Capitaneria di Porto aventi ad oggetto la gestione delle aree rimaste nella sua disponibilità. Tra questi, in special modo, l’ordinanza contingibile e urgente impugnata con i motivi aggiunti, avente ad oggetto l’ordine di eseguire le opere strumentali alla messa in sicurezza dei luoghi.

Le opere erano state iniziate ma non completate dalla società concessionaria, perché con sentenza 22 gennaio 2013, n. 361 il Consiglio di Stato, Sezione IV, ha annullato gli atti amministrativi che avevano preceduto e seguito il rilascio della concessione demaniale marittima datata 1 febbraio 2007, rilasciata a suo tempo alla società FIN.IM. per la costruzione e gestione novantanovennale del menzionato porto turistico.

3. Il Tar per la Liguria, con la sentenza impugnata di cui in epigrafe, ha:

a) respinto l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Amministrazione statale, sul rilievo che la ricorrente, non essendo più concessionaria, non avrebbe interesse a contrastare i provvedimenti riguardanti la destinazione delle opere realizzate in forza della concessione annullata in via giurisdizionale. Il Tar ha ritenuto sussistente l’interesse a ricorrere, atteso che dall’impugnato parere negativo è scaturito l’obbligo, a carico della ricorrente, di demolire e di restituire il bene demaniale nell’originario stato di fatto.

b) respinto le censure incentrate sulla supposta non applicabilità, al caso di specie, del procedimento di devoluzione delle opere demaniali non amovibili disciplinato dall’art. 49, cod. nav.. Secondo il Tar, l’art. 49 cit., laddove impiega la perifrasi “quando venga a cessare la concessione”, va interpretato nel senso di ricomprendere anche la fattispecie, che qui rileva, della cessazione degli effetti della concessione a seguito di annullamento giurisdizionale, anziché soltanto quella – riduttiva – della naturale scadenza del termine. Di conseguenza, essendo la fattispecie già normata da una norma speciale, non trova applicazione l’ordinaria regola dell’accessione di cui all’art. 934 c.c., a termini della quale in caso di opere eseguite dal terzo con il consenso del proprietario del fondo o – in alternativa – in buona fede, non è prevista la rimozione di quanto realizzato.

c) Accolto, tuttavia, la censura di difetto di motivazione del parere negativo espresso dalla menzionata Commissione sull’acquisizione allo Stato delle opere realizzate nell’area demaniale marittima. Più in particolare, il Tar ha ritenuto che Commissione non abbia adeguatamente illustrato le ragioni ostative al pieno dispiegarsi dell’effetto - che è previsto ex lege - dell’acquisizione delle opere allo Stato.

d) Accolto anche le censure proposte avverso l’ordinanza contingibile e urgente, reputando insussistente in fatto il grave pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, che l’art. 54 TUEL espressamente presuppone.

e) Assorbito le ulteriori censure proposte.

f) Compensato le spese di lite.

4. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha appellato la sentenza, articolando le seguenti censure.

4.1. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 49 cod. nav. e dell’art. 31 del relativo regolamento di esecuzione – illogicità della decisione in punto di difetto di istruttoria”.

La sentenza, pur correttamente interpretando il disposto di cui all’art. 49 cod. nav. (nel senso di ritenere la norma applicabile alla fattispecie, che qui ricorre, della cessazione degli effetti della concessione demaniale per annullamento giurisdizionale della medesima), ha erroneamente ritenuto il difetto di istruttoria e di motivazione del parere negativo espresso dalla Commissione.

4.2. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 49 cod. nav. e dell’art. 31 del relativo regolamento di esecuzione – illogicità della decisione in punto di difetto di motivazione”.

La sentenza è erronea anche nella parte in cui pone a carico della Commissione istituita ai sensi dell’art. 49 cod. nav. la motivazione (in positivo) delle ragioni a sostegno della demolizione delle stesse, perché tale competenza è del Comune. La competenza della Commissione in parola è limitata alla valutazione (in negativo) delle sole circostanze che ostano all’incameramento delle opere al patrimonio dello Stato, in ipotesi di non convenienza dell’acquisto.

4.3. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 49 cod. nav. e dell’art. 31 del relativo regolamento di esecuzione;
dell’art. 14 comma 3 D.Lgs. 279/1997 – illogicità della decisione in punto di acquisizione dei manufatti allo stato attuale e sul concetto di proficuità”.

La sentenza travisa il concetto di ‘proficuità’ delle opere ed esprime un giudizio di merito che rientra nella sfera di competenza dell’Amministrazione.

4.4. “Sempre sul difetto di istruttoria - il ruolo della Regione Liguria e la mancata valutazione delle argomentazioni prodotte con la comunicazione dell'11 Aprile 2013”.

Il Tar non ha considerato che la comunicazione della Regione Liguria datata 11 aprile 2013 è stata portata a conoscenza della Commissione solo successivamente alla data in cui è stato espresso il parere negativo.

5.5. “Sempre in punto di difetto di istruttoria - mancata valutazione dell'incidenza delle opere di rimessione in pristino sull'ambiente, delle ipotesi di completamento delle opere e dei contrapposti

Interessi”.

Il parere espresso dalla Commissione verte sulla proficuità dell'acquisizione delle opere allo Stato in vista della soddisfazione dell’interesse pubblico demaniale, e non anche sulle valutazioni - di diversa natura e afferenti a diverse materie – rientranti nella sfera di competenze di altre Amministrazioni pubbliche.

6. La società appellata si è costituita in resistenza e ha espressamente riproposto i motivi rimasti assorbiti nel primo grado.

6.1. “Violazione dell'art. 49 Cod. Nav. - Violazione dell'art. 31 del Regolamento - Violazione del D.P.R. n. 509 del 1997 - Violazione dell'art. 822 e segg cod. civ. - Eccesso di potere per difetto di

istruttoria e carenza dei presupposti - Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà sviamento e difetto dei presupposti - Violazione di un autolimite - Violazione dell'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 - Violazione dell'art. 97 Cost.”.

Il parere negativo espresso dalla Commissione contrasta con la concessione demaniale, la quale prevedeva l’incameramento a favore dello Stato delle opere realizzate in area demaniale.

6.2. “Violazione dell'art. 49 Cod. Nav. - Violazione dell'art. 31 del Regolamento Cod. Nav. - Violazione degli artt. 3 e 4 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, Regolamento per l'Amministrazione del Patrimonio e della Contabilità dello Stato - Violazione dell'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza dei presupposti - Eccesso di potere per illogicità, sviamento e contraddittorietà tra atti”.

La Commissione, nell’esprimere il parere, avrebbe dovuto tenere conto delle specifiche circostanze di fatto, ovverossia che il mancato completamento delle opere e il loro mancato collaudo non sono dipesi esclusivamente dalla società concessionaria, bensì dall’annullamento della concessione demaniale e degli altri titoli.

6.3. “Violazione dell'art. 49 Cod. Nav. - Violazione dell'art. 31 del Regolamento Cod. Nav. Violazione degli artt. 3 e 4 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 - Eccesso di potere e/o violazione della Circolare n. 2012126837/DAO-CO-BD in data 2 ottobre 2012 relativa alla disciplina del procedimento di acquisizione di opere inamovibili ai sensi dell'art. 49 Cod. Nav. - Incompetenza. Invalidità derivata. Eccesso di potere per illogicità e difetto di istruttori”.

La Commissione ha deliberato il parere negativo senza il necessario apporto da parte del Comune di Ospedaletti.

6.4. “Con riferimento alla Nota del Comune di Ospedaletti prof. n. 3907 del 10 maggio 2013 - Invalidità propria. Violazione dell'art. 49 Cod. Nav. Violazione dell'art. 31 Reg. Nav. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di istruttoria e contraddittorietà. Violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per carenza di motivazione”.

Il Comune di Ospedaletti ha acriticamente recepito il parere espresso dalla Commissione, senza esprimere un’autonoma volontà.

6.5. “Violazione dell'art. 49 Cod. Nav.. Violazione dell'art. 31 del Regolamento del Cod. Nav .. Violazione del D.P.R. n. 509 del 1997. Violazione dell'art. 822 e segg., 934 e 936 cod. civ. Violazione dell'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza dei presupposti. Eccesso di potere per illogicità, sviamento e contraddittorietà. Violazione dell'art. 97 Cost.”.

Il parere negativo impugnato non ha considerato che le opere realizzate presentano un’intrinseca utilità per il demanio dello Stato, essendo state realizzate nell’ambito di un progetto di recupero e di riqualificazione di iniziativa pubblica.

6.6. “Violazione dell'art. 49 e 54 Cod. Nav .. Violazione dell'art. 31 del Regolamento del Cod. Nav. - Violazione del D.P.R. n. 509 del 1997. Violazione dell'art. 822 e segg., 934 e 936 cod. civ .. Violazione dell'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione dell'art. 3 del D.lgs n. 152 del 2006. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza dei presupposti. Eccesso di potere per illogicità, sviamento e contraddittorietà. Violazione dell'art. 97 Cost.”.

L’onere di rimessione in pristino grava sull’Amministrazione pubblica, perché il concessionario, nel realizzare le opere su area demaniale, ha agito per conto e nell’interesse dell’Amministrazione medesima.

6.7. “Violazione dell'art. 49 Cod. Nav.. Violazione dell'art. 31 del Regolamento del Cod. Nav .. Violazione del D.P.R. n. 509 del 1997. Violazione dell'art. 822 e segg, 934 e 936 cod. civ. Violazione dell'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del dlgs. 9 aprile 2008, n. 81. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza dei presupposti. Eccesso di potere per illogicità, sviamento e contraddittorietà. Violazione dell'art. 97 Cost.”.

L’effetto di incameramento si produce ex lege e osta a che vengano addossati a carico della società concessionaria i gravosi oneri manutentivi nelle more della definizione del procedimento.

6.8. “Con riferimento alla Nota della Capitaneria di Porto di Sanremo prot.

n. 3090del16 maggio 2013 - Violazione dell'art. 822 e segg. Cod. Civ. Violazione degli arti. 28 e

segg. Cod. Nav. - Eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità manifesta travisamento dei fatti”.

Sono illegittimi ed eccessivamente gravosi anche gli ulteriori obblighi imposti a carico della società (luci notturne, boe di segnalazione, rete di recinzione e altri presidi per la pubblica incolumità).

6.9. “Con riferimento all'Ordinanza sindacale n. 14, prot. n. 7015, del 9 settembre 2013 - Violazione degli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. 18 agosto 2000, n. 267. Violazione degli arti. 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti

e carenza di motivazione ed illogicità intrinseca”.

L’ordinanza sindacale è stata emanata senza che ricorresse la natura eccezionale e imprevedibile del pericolo per la pubblica incolumità.

6.10. “Violazione degli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. 18 agosto 2000, n. 267. Violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria”.

L’ordinanza sindacale non spiega le ragioni della necessità e dell’urgenza di provvedere.

6.11. Violazione degli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. 18 agosto 2000, n. 267. Violazione degli art. 1 e 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per sviamento, difetto dei presupposti e travisamento dei fatti. Carenza di potere. Nullità dell'atto”.

L’obbligo di recintare l’area interessata è troppo ampio e generico, tanto da essere inattuabile.

7. Il Comune di Ospedaletti si è costituito instando per l’accoglimento dell’appello e la conseguente riforma della sentenza impugnata.

8. La S.r.l. Società di Partecipazione Finanziaria è intervenuta ad adiuvandum delle ragioni sostenute dalla società appellata, e ha concluso per l’inammissibilità, l’improcedibilità o, comunque, per l’infondatezza dell’appello nel merito.

9. Nelle more del giudizio, la società appellata (già in liquidazione) è stata dichiarata fallita.

10. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di documenti, di memorie integrative e di replica.

10.1. Più in particolare, il Fallimento – costituitosi in giudizio – ha eccepito l’estinzione del giudizio di appello ai sensi dell’art. 80, comma 3, c.p.a., per non avere proceduto - le Amministrazioni appellanti – alla riassunzione del giudizio nel termine perentorio di novanta giorni ivi previsto, decorrente:

a) dall’avvenuta comunicazione (via pec) alle parti in causa della determinazione dirigenziale del Servizio Edilizia Privata del Comune di Ospedaletti n. 2 del 4 aprile 2016, che - tra l’altro - chiariva come la Società FIN-IM s.r.l. in liquidazione fosse stata dichiarata fallita (v. Nota del Comune di Ospedaletti in data 4 aprile 2016);

b) in alternativa, dall’intervenuto formale deposito nel presente giudizio, in data 20 aprile 2016, della sentenza del Tribunale di Imperia n. 14/2015 dichiarativa del fallimento.

10.2. Il Comune di Ospedaletti ha eccepito la carenza di interesse del Fallimento a sollevare l’eccezione di estinzione del giudizio, non essendo state le opere de qua ricomprese nella massa fallimentare. In ogni caso, ha sostenuto l’infondatezza dell’eccezione, per non essere il termine legalmente decorso in mancanza della pronuncia dell’ordinanza dichiarativa.

11. All’udienza pubblica del 15 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

12. In via preliminare, va scrutinata l’eccezione di estinzione del giudizio di appello per mancata tempestiva riassunzione del medesimo, a seguito dell’evento interruttivo che ha colpito la società appellata.

12.1. L’eccezione non è fondata e va, pertanto, respinta.

La disciplina dell’interruzione del giudizio è quella di consentire alla parte colpita dall'evento interruttivo di difendersi in giudizio usufruendo dei poteri e delle facoltà che la legge le riconosce (in tal senso cfr. Corte costituzionale n. 17 del 13 gennaio 2010).

Nel caso di specie, è accaduto che la società appellata, già in liquidazione, è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Imperia con sentenza del 9 luglio 2015, e dunque quando già pendeva l’odierno appello.

Il difensore della società ha depositato in giudizio l’estratto della sentenza dichiarativa del fallimento quasi un anno dopo, e più precisamente in data 20 aprile 2016, non instando per la declaratoria giurisdizionale dell’interruzione del giudizio.

Non è stata di fatto pronunciata l’ordinanza dichiarativa dell’interruzione, né su richiesta delle parti né per iniziativa dell’Ufficio.

L’evento interruttivo non è stato oggetto di notificazione alle controparti.

In data 24 gennaio 2018, la parte appellante ha depositato una memoria in cui ha dato atto di avere proceduto a rinnovare la notifica dell’appello alle controparti, ma senza fare menzione di un’eventuale pronuncia dichiarativa della supposta avvenuta interruzione del giudizio.

Il giudizio è proseguito, pertanto, senza interruzioni di sorta (cfr. anche l’attestazione di pendenza del giudizio depositata dal Comune di ospedaletti in data 13 marzo 2018).

Il Fallimento non ha interesse ad eccepire l’estinzione del giudizio, sotto vari profili.

In primo luogo, perché il giudizio riguarda beni che non fanno parte della massa fallimentare, avendo il Curatore reputato non conveniente la loro acquisizione (cfr. sull’interesse del fallimento ad eccepire l’estinzione anche Consiglio di Stato sez. II, 23 marzo 2020, n. 2011). Al di fuori delle tipiche ipotesi di sostituzione processuale previste dalla legge, non è consentito alla parte di sostituirsi alle iniziative rientranti nelle prerogative processuali della controparte o di un terzo.

In secondo luogo, perché il termine per la riassunzione del giudizio non è mai sostanzialmente iniziato a decorrere.

Secondo il consolidato indirizzo esegetico seguito dalla giurisprudenza civile e amministrativa, l'art. 4,3 comma 3, della legge fallimentare - nel testo introdotto dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che stabilisce che l'apertura del fallimento determina l'interruzione automatica del processo - va interpretato nel senso che, intervenuto il fallimento, l'interruzione è sottratta all'ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 c.p.c., nel senso che deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dall'evento, ma non anche che la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del Curatore, indipendentemente dal fatto che l'interruzione sia stata o meno dichiarata (Consiglio di Stato sez. II, 23 marzo 2020, n. 2011;
Cass. civ. Sez. I, Ord., 1° marzo 2017, n. 5288).

La giurisprudenza ha ricercato il ragionevole equilibrio tra l’effetto automatico dell’interruzione e la conoscenza legale dell’evento interruttivo a carico della parte processuale diversa da quella che ha subito l’evento in questione, ai fini della diligente riassunzione del giudizio.

La previsione dell'art. 43, comma 3, della legge fallimentare, nel prevedere un effetto interruttivo automatico provocato dal fallimento sulla lite pendente, ha inteso sottrarre alla discrezionalità della parte colpita dall'evento interruttivo la rappresentazione dello stesso all'interno del processo, mentre il decorso dei termini previsti dall'art. 305 c.p.c., ai fini della declaratoria di estinzione presuppone, rispetto alla parte contrapposta a quella colpita dall'evento interruttivo, non solo la conoscenza in forma legale del medesimo evento, ma anche una situazione di quiescenza del processo, che si verifica per effetto della formale constatazione da parte del giudice dell'avvenuta interruzione automatica della lite, comunque essa sia stata conosciuta (Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2018, n. 9016).

Il mero deposito dello stralcio della sentenza dichiarativa del fallimento, non accompagnata dalla richiesta dell’emissione dell’apposita ordinanza di interruzione del giudizio, non è elemento – di per sé solo – a far ritenere integrato il presupposto della conoscenza legale dell’evento.

A tale deposito in giudizio, infatti, non è seguita la pronuncia del provvedimento giurisdizionale in parola, che avrebbe determinato - mediante la comunicazione dell’avviso di Segreteria alle parti – la legale conoscenza dell’evento produttivo, con l’effetto di far scattare il decorso del termine per riassumere il giudizio (cfr. Cons. Stato Sez. II, 21 gennaio 2020, n. 472).

La Corte costituzionale, con la sentenza del 21 gennaio 2010, n. 17, ha precisato che il termine stabilito per la riassunzione o la prosecuzione del giudizio interrotto ai sensi dell’art. 305 c.p.c. decorre dal momento dell’effettiva conoscenza dell’evento da parte dell’interessato e non dal verificarsi dal medesimo evento.

Per «effettiva conoscenza» si intende la conoscenza legale, la quale è data da atti muniti di fede privilegiata quali dichiarazioni, notificazioni o certificazioni rappresentative dell’evento medesimo, alla quale non è equiparabile la conoscenza di fatto altrimenti acquisita.

La giurisprudenza si è data carico di individuare strumenti utili ad evitare ipotesi di estinzione determinate dall’inerzia della parte che, in conseguenza dell’automatismo dell’interruzione, non abbia riassunto per non aver avuto consapevolezza — o per non essere stata posta in condizione di avere consapevolezza — dell’interruzione prodottasi ipso iure in dipendenza del verificarsi dell’evento interruttivo.

Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso de quo, il Collegio ritiene che non rientrano nel concetto di legale conoscenza:

a) il mero deposito della sentenza, non accompagnato dall’istanza di pronunciare l’ordinanza di interruzione, mai di fatto - comunque – pronunciata;

b) la comunicazione alle parti del documento rappresentato dalla determinazione dirigenziale del Servizio Edilizia Privata del Comune di Ospedaletti n. 2 del 4 aprile 2016, il cui contenuto principale non era quello di rendere edotta la parte dell’evento interruttivo. Manca, in questo caso, il presupposto della necessaria univocità della comunicazione a rappresentare alla controparte lo specifico fatto processuale, non ammettendosi conoscenze legali percepite aliunde o in via puramente deduttiva.

Di conseguenza, non essendo stato l’evento interruttivo portato a legale conoscenza della parte diversa da quella colpita dall’evento medesimo, non può considerarsi decorso il termine per l’eventuale riassunzione del giudizio, mai formalmente dichiarato interrotto.

13. Vanno respinte, inoltre, le ulteriori eccezioni di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi e per carenza di interesse alla decisione.

Nel dettaglio, la prima eccezione è infondata de plano perché le Amministrazioni appellanti hanno censurato specificamente i capi della pronuncia di primo grado ad esse sfavorevoli, non avendo interesse a contestare gli altri capi ad esse, invece, favorevoli.

La seconda eccezione è anch’essa infondata, perché il supposto effetto automatico della devoluzione ex lege delle opere costruite su bene demaniale al patrimonio dello Stato è un fatto controverso e costituisce, esso stesso, la materia del contendere sul quale il Collegio deve pronunciarsi. In altri termini, le parti appellate non possono ‘paralizzare’ l’esame del merito dell’appello adducendo che lo Stato non ha più interesse a contestare l’acquisizione di beni che sarebbero – secondo la loro tesi – già stati automaticamente acquisiti al suo patrimonio, posto che la materia del contendere è proprio questa, e cioè se, in quali limiti e a quali condizioni operi il supporto acquisto automatico.

14. Nel merito dell’appello.

15. Il primo motivo, che ha censurato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 49 cod. nav., nonché l’illogicità della decisione di primo grado nella parte in cui ha rilevato il difetto di istruttoria, è fondato.

Ad avviso della Sezione, il giudice di primo ha correttamente interpretato il disposto di cui all’art. 49 cod. nav..

Il Consiglio di Stato si è già espresso sull’interpretazione della norma in parola, statuendo che "Ai sensi dell'art. 49 c. nav. le opere non amovibili realizzate dal concessionario su area rientrante nel demanio restano acquisite dello Stato alla cessazione della concessione, con la conseguenza che l'atto di incameramento (redazione testimoniale e del verbale di contestazione) delle opere valutate come inamovibili assume carattere puramente ricognitivo di un effetto "ope legis" prodottosi

indipendentemente della determinazione in parole, al venire in rilievo dei descritti presupposti fattuali" (Consiglio Stato, sez. VI, 6 giugno 2003, n. 3187).

La norma disciplina il rapporto giuridico che si instaura tra l’Ente concedente e il soggetto concessionario nel momento susseguente la cessazione degli effetti del titolo concessorio demaniale.

La norma non distingue le fattispecie che possono dare luogo alla cessazione del rapporto sorto dal titolo concessorio. Nell’alveo della previsione, pertanto, anche ad avviso della Sezione vanno ricomprese sia l’ipotesi (fisiologica) della cessazione degli effetti del titolo alla naturale scadenza del titolo medesimo, sia quella (patologica) della cessazione anticipata, per atto dell’Amministrazione (la revoca o l’annullamento d’ufficio in autotutela sono le ipotesi più usuali) o per decisione dell’Autorità giurisdizionale.

Nel caso di specie, tale ultima evenienza è quella che in concreto si è verificata, essendo stati annullati con una sentenza del Consiglio di Stato il titolo concessorio e tutti i titoli (compresi quelli edilizi) rilasciati a valle per la realizzazione dell’intervento.

Ad avviso della Sezione, tuttavia, il primo giudice non ha tratto da queste condivise premesse, una conclusione corretta in punto di valutazione della congruità e della razionalità della motivazione posta dall’Amministrazione a supporto dell’atto impugnato.

Dagli atti processuali e dai documenti versati al giudizio, è emerso anzi che il parere emesso dalla Commissione istituita ai sensi dell’art. 49 cod. nav. si è particolarmente diffuso sulle ragioni ostative all’acquisizione, e cioè sui motivi che rendevano non conveniente e non utile l’acquisizione di opere non ultimate, non collaudate, in stato di degrado, prive dei titoli edilizi annullati in via derivata in uno con l’annullamento in via principale della concessione demaniale.

La motivazione è particolarmente dettagliata nella descrizione.

È espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa.

Si sottrae a censure di manifesta illogicità, irrazionalità e incongruità del parere espresso.

16. Anche il secondo motivo di appello è fondato.

La Commissione ha espresso un parere nei limiti - e cioè entro e non oltre - stabiliti dalla legge.

L’art. 49 cod. nav. attribuisce alla Commissione appositamente istituita, il potere tecnico discrezionale di valutare la convenienza per la collettività di acquisire le opere realizzate dai concessionari sulle aree demaniali, quando il relativo titolo è scaduto.

L’effetto devolutivo è previsto ex lege nell’interesse pubblico generale al mantenimento di ciò che, presumibilmente, può produrre ancora utilità. Ciò che non è automatico, invece, è l’effetto acquisitivo, perché il bene entra nel patrimonio dello Stato solo previo positivo vaglio della effettiva utilità e convenienza delle opere.

La presunzione di utilità di convenienza va, in altre parole, verificata alla prova dei fatti, ed è per questo che è stata istituita la Commissione.

Ad avviso della Sezione, pertanto, il primo giudice ha errato nell’estendere la norma (in via puramente esegetica e al di fuori del suo tenore letterale e sistematico) alla ulteriore e diversa valutazione (in positivo) delle ragioni a sostegno della demolizione delle opere e della convenienza per il privato ex concessionario, nel contrapposto bilanciamento di interessi.

Il bilanciamento in parola rientra nel giudizio discrezionale dell’Ente pubblico territoriale (la Regione o, se vi è stata delega di funzioni, il Comune), mentre la competenza della Commissione è istituita solo per rendere il presupposto parere tecnico discrezionale, e dunque per rendere ‘causa cognita’ possibile la valutazione dell’Ente.

17. Alla luce delle suesposte considerazioni, sono fondati anche:

17.1. il terzo motivo di appello: la sentenza travisa il concetto di ‘proficuità’ delle opere di cui all’art. 49 cod. nav. ed esprime un giudizio di merito che esonda dai limiti del sindacato del giudice amministrativo;

17.2. il quarto motivo: la sentenza trascura di considerare che la comunicazione della Regione Liguria datata 11 aprile 2013 è stata portata a conoscenza della Commissione solo successivamente alla data in cui è stato espresso il parere negativo e che, in ogni caso, tale comunicazione non avrebbe sostanzialmente inciso sul parere tecnico espresso, legato a elemento oggettivi, positivamente riscontrati e qualificati come insuperabili, quali la mancata ultimazione delle opere, la loro difformità edilizio urbanistica, il mancato collaudo, lo stato di degrado, la necessità di portarle a compimento con notevole dispendio di risorse pubbliche.

17.3. il quinto motivo: il giudizio di scienza espresso dalla Commissione si è mantenuto nei limiti del potere conferito dalla legge, e cioè entro l’aspetto tecnico discrezionale dell’apprezzamento dell’utilità e della convenienza dell’acquisizione nell’interesse pubblico generale, non potendo la stessa esprimersi su valutazioni che rientrano nella sfera di competenza di altre Amministrazioni pubbliche.

18. Vanno ora scrutinati i motivi assorbiti dal Tar e riproposti espressamente nel presente grado dalla società appellata.

19. Ad avviso della Sezione, si tratta di censure che non hanno fondamento.

a) Il parere negativo espresso dalla Commissione non contrasta con la concessione demaniale.

In primo luogo, perché la concessione - nella parte in cui ha previsto l’incameramento a favore dello Stato delle opere realizzate in area demaniale – ha inteso solo attuare la previsione di cui all’art. 49 cod. nav, non certo creare un vincolo assoluto preordinato all’acquisizione.

In secondo luogo, al tempo in cui il parere è stato espresso, la concessione nemmeno vigeva più, essendo stata in precedenza annullata in sede giurisdizionale.

b) La Commissione, nell’esprimere il parere, non doveva tenere conto delle ragioni che hanno cagionato il mancato completamento delle opere, il loro mancato collaudo, la loro attuale difformità edilizio-urbanistica. Il giudizio della Commissione è finalizzato ad appurare se le opere sono utili o convenienti per lo Stato, non ad appianare le eventuali controversie che sono sorte o che dovessero sorgere tra l’Ente concedente e l’ex concessionario sulle rispettive responsabilità.

c) La Commissione ha espresso un parere di tipo tecnico discrezionale sulla base degli accertamenti espletati. Gli eventuali apporti conoscitivi forniti o fornibili da altri soggetti (ad esempio, il Comune) rappresentano un ulteriore elemento di valutazione dei fatti, non la precondizione per l’esercizio di un potere che è attribuito e disciplinato per legge.

d) Non è censurabile per illogicità o irrazionalità l’atto comunale che ha recepito il parere tecnico, avendo il Comune condiviso le ragioni tecnico-giuridiche che hanno convinto la Commissione che le opere in questione non fossero di alcuna utilità e convenienza per la collettività.

Per inciso, si rileva che tali opere non sono state reputate convenienti nemmeno per la formazione della massa fallimentare, tali e tante sono le problematiche fattuali e giuridiche alle stesse sottese, le quali non possono essere poste a carico della collettività. Il Comune di Ospedaletti, pertanto, ha espresso un convincimento logico e condivisibile e, secondo l’id quod plerumque accidit, anche prevedibile.

e) L’utilità delle opere è stata correttamente scrutinata sulla base delle oggettive circostanze di fatto, e non avrebbe potuto essere fatta dipendere dalla natura pubblica dell’iniziativa del piano di recupero e di riqualificazione, non essendovi immediata corrispondenza tra la natura dell’iniziativa e la convenienza dell’acquisizione al patrimonio dello Stato.

f) Al termine della concessione, l’onere di rimessione in pristino grava sul concessionario, non sull’Amministrazione. L’art. 49 cod. nav. interviene appositamente per regolare i rapporti tra concedente e concessionario, quando l’opera presenta caratteristiche di utilità tale da meritare di essere mantenuta. Diversamente, il concessionario è tenuto alla rimessione in pristino e le eventuali responsabilità verranno valutate nelle naturali sedi.

g) Come sopra già chiarito, l’effetto di incameramento è previsto ex lege, ma non è automatico e soprattutto non è sganciato da un serio giudizio di utilità per la collettività.

h) Le conseguenze manutentive che derivano dalla mancata acquisizione delle opere da parte dello Stato gravano interamente sull’ex concessionario. La onerosità, la gravosità e la difficoltà di porre in essere determinate attività poste a presidio della pubblica incolumità non possono essere addotte dalla società come esimente. Piuttosto, l’ex concessionario valuterà se è più conveniente per i proprio interessi eliminare in radice le opere divenute inservibili per tutti (pure per la massa dei creditori nel fallimento, non solo per l’ente pubblico), oppure porre in essere le necessarie manutenzioni a protezione della collettività dai pericoli.

i) Le censure riproposte avverso l’ordinanza sindacale erano state già esaminate e accolte dal Tar, tanto è vero che il relativo capo di annullamento è anche passato in cosa giudicata non essendo stato fatto oggetto di gravame incidentale. La società appellata le ha dunque erroneamente riproposte nel presente grado d’appello.

20. In definitiva, per le suesposte considerazioni, ogni altra diversa istanza o censura disattesa, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

21. Le spese di lite per il doppio grado sono liquidate come in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e s.m.i. e sono poste a carico della società appellata in favore delle Amministrazioni appellanti e del Comune di Ospedaletti. Le spese sono compensate rispetto alle altre parti intervenute.

Il pagamento del contributo unificato del primo grado resta a carico della società ricorrente, mentre quello pagato dalle Amministrazioni appellanti per l’instaurazione del presente grado va ad esse rifuso da parte della società stessa.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi