Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-08-16, n. 202105893

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-08-16, n. 202105893
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202105893
Data del deposito : 16 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/08/2021

N. 05893/2021REG.PROV.COLL.

N. 08310/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8310 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato A F T, presso il quale è elettivamente domiciliato in -OMISSIS-, Viale delle Medaglie d’Oro, n. 266

contro

- Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore;
- Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante Generale pro tempore;
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in -OMISSIS-, alla Via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per -OMISSIS-resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;

Nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data 23 febbraio 2011 veniva avviato procedimento disciplinare nei confronti dell’odierno appellante, dopo che questi era stato arrestato sulla base di ordine di custodia cautelare emesso, in quanto indagato per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione, riciclaggio, simulazione di reato, furto di scritture private, frodi assicurative, falso in atto pubblico per induzione e contrabbando in esportazione, nonché delitti in materia di armi.

Il relativo giudizio si era concluso con sentenza della Corte di Cassazione in data 22 settembre 2010, con la quale veniva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso la sentenza della Corte d’Appello di -OMISSIS-, recante conferma della sentenza di primo grado (di condanna alla pena di anni due e mesi di due di reclusione per detenzione di arma da guerra e ricettazione, con assoluzione dai rimanenti capi di imputazione).

Con determinazione in data 22 agosto 2011, il Ministero della Difesa, su conforme indicazione della Commissione di disciplina, riteneva l’appellante non meritevole del mantenimento del grado, disponendone la rimozione.

2. Con ricorso N.R.G. -OMISSIS-, proposto innanzi al T.A.R. -OMISSIS-, il -OMISSIS- ha chiesto l’annullamento del provvedimento anzidetto.

3. Avverso la sentenza con la quale l’adito Tribunale ha respinto il ricorso, è stato proposto il presente appello, con il quale viene lamentato quanto di seguito sintetizzato:

3.1) Erroneità e difetto di motivazione dell’impugnata sentenza. Illegittimità per violazione dell’art. 1392 del D.Lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) e dell’art. 1034, comma 1, del D.P.R. n. 90 del 2010. Violazione dell’art. 648 c.p.p., violazione dell’art. 21-bis della legge n. 241 del 1990, perenzione dell’azione disciplinare. Eccesso di potere per errore sul presupposto, incongruità, illogicità, irragionevolezza

Assume parte appellante la violazione del termine per la conclusione del procedimento disciplinare, dall’articolo 1392 del Codice dell’ordinamento militare fissato in 270 giorni, decorrenti dalla “ conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili ”.

A fonte della comunicazione del dispositivo della sentenza della Corte di Cassazione (avvenuta il 1° ottobre 2010), la conclusione del procedimento disciplinare (intervenuta con determinazione del 22 agosto 2011) si porrebbe con collocazione temporale largamente successiva allo spirare del termine anzidetto;
sottolineandosi, peraltro, come la relativa decorrenza andrebbe ascritta alla conoscenza della sentenza di appello (confermativa di quella resa in primo grado).

Sarebbe, inoltre, stato superato anche il termine (pari a giorni 90) previsto dal comma 4 dell’articolo 1392 suindicato, nell’ambito del procedimento disciplinare, quale intervallo temporale massimo fra l’adozione di un atto e l’emanazione del successivo (nella fattispecie, alla contestazione di addebiti in data 23 febbraio 2011, ha fatto seguito il giudizio della Commissione di disciplina, di non meritevolezza ai fini della conservazione del grado, reso il successivo 14 giugno).

3.2) Erroneità dell’appellata sentenza. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, omessa autonoma valutazione dei fatti. Illegittimità e/o eccesso di potere per violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Carenza e/o insufficienza ed apoditticità della motivazione. Eccesso di potere, irragionevolezza, sproporzione, irrazionalità, illogicità, iniquità, violazione del principio di gradualità delle sanzioni

Lamenta parte appellante che la determinazione in prime cure gravata sia priva di adeguata motivazione, dimostrandosi inoltre priva di alcun riferimento ai lusinghieri precedenti di carriera, alla non gravità della condanna e alla concessione della sospensione condizionata della pena.

Nel ritenere che il giudice di prime cure abbia errato nell’assumere, quale idoneo fondamento giustificativo ai fini dell’irrogazione della gravata sanzione, la (sola) gravità della condanna penale inflitta, parte appellante lamenta la sproporzione della misura nella fattispecie irrogata rispetto alla contestata condotta (peraltro, risalente ad oltre dieci anni prima), con riveniente violazione del principio di gradualità.

Evidenziato come la condanna penale sia stata resa per due soli capi di imputazione, rispetto agli undici originariamente contestati, l’appellante rappresenta che l’episodicità della condotta presa in considerazione ai fini disciplinari avrebbe dovuto essere adeguatamente comparata con i precedenti di servizio.

3.3) Eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà nelle scelte e nelle valutazioni, nonché nell’azione amministrativa. Erroneità ed illogicità dell’impugnata sentenza

L’irrogata sanzione espulsiva rivelerebbe, inoltre, profili di contraddittorietà, con riferimento alla positive valutazioni caratteristiche che hanno accompagnato il percorso di carriera dell’appellato sia anteriormente, che successivamente al verificarsi dei fatti oggetto di sanzione in sede penale.

Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello;
e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

4. Il Ministero della Difesa ed il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri si sono costituiti in giudizio con memoria di mero stile.

5. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 4 maggio 2021.

DIRITTO

1. L’appello è fondato, per le ragioni di cui infra , e va conseguentemente accolto.

1.1. Con la prima della articolate censure, parte appellante, riproducendo argomentazioni già dedotte in prime cure (e dal T.A.R. adito respinte), ha sostenuto la violazione, da parte della procedente Amministrazione, dei termini previsti per lo svolgimento e la conclusione del procedimento disciplinare.

2. Va osservato, al riguardo, che l’articolo 1392 del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, recante Codice dell’ordinamento militare, prevede – per quanto rileva ai fini della presente decisione, ossia in relazione ai motivi proposti – due distinti termini coordinati all’esercizio della potestà disciplinare, disciplinati:

- al comma 3, ove si precisa che “il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione”;

- ed al successivo comma 4, il quale prevede che “in ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall’ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta”.

3. Nel rilevare il carattere evidentemente perentorio del termine di cui al comma 3 dell’articolo 1392 citato, ritiene il Collegio condivisibile quanto dalla parte appellante sostenuto circa l’individuazione della relativa decorrenza – allorché il ricorso in Cassazione sia stato dichiarato inammissibile (e non già respinto) – nel momento in cui l’Amministrazione ha avuto cognizione, per effetto di comunicazione alla stessa inoltrata il 1° ottobre 2010 dal legale del sig. C, del dispositivo della sentenza con la quale la Corte di Cassazione, a definizione del giudizio penale instaurato nei confronti dell’interessato, ha dichiarato inammissibile il ricorso innanzi ad essa proposto dall’appellato, con l’effetto del passaggio in giudicato della sentenza resa dalla Corte d’Appello di-OMISSIS-

In punto di fatto risulta dal fascicolo di parte appellata che detta sentenza d’appello è stata rilasciata in copia conforme alla stessa parte il 26 aprile 2010;
sicché la sentenza era integralmente conosciuta dall’Amministrazione sin da data anteriore a quella del suo passaggio in giudicato, poi sopravvenuto il 22 settembre 2010 e di cui l’Amministrazione ricevette comunicazione il 1° ottobre 2010.

Consolidata giurisprudenza di questo Consiglio – in piena conformità, del resto, al chiaro disposto del comma 3 del cit. articolo 1393 – ha specificato (cfr., ex multis, Sez. IV, 6 novembre 2020, n. 6828 e 13 ottobre 2020, n. 6153), che il termine di 270 giorni di che trattasi decorre dalla conoscenza integrale della sentenza irrevocabile di condanna.

In fatti l’articolo 1392, comma 3, del D.Lgs. n. 66/2010, laddove indica – quale dies a quo del termine per il radicamento e la definizione del procedimento disciplinare di stato – “la data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono”, fa evidentemente riferimento a una conoscenza giuridicamente certa, che può derivare solo dall’acquisizione di copia conforme della sentenza, completa dell’attestazione di irrevocabilità;
mentre la norma stessa non individua un termine entro il quale l’Amministrazione debba provvedere all'acquisizione documentale, oltretutto dipendente dai tempi necessari alle cancellerie degli uffici giudiziari per evadere le richieste (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1° ottobre 2019, n. 6562 e 17 luglio 2018, n. 4349).

Dal tenore della disposizione, deve quindi ritenersi che il termine d’inizio dell’azione disciplinare coincida con il momento in cui l’Amministrazione ha avuto a disposizione il testo integrale della sentenza penale, completa della parte motiva (cfr., ulteriormente, Cons. Stato, Sez. IV, 1° ottobre 2019, n. 6562, 26 febbraio 2019, n. 1344, 4 ottobre 2018, n. 5700 e 17 luglio 2018, n. 4349).

La condivisione di tale orientamento, impone tuttavia di indagarne la ratio ispirativa.

La formulazione della disposizione, vigente ratione temporis , che “congelava” il procedimento disciplinare fino alla definizione di quello penale (articolo 1393, comma 1, del Codice dell’Ordinamento Militare, di cui al D.Lgs. n. 66 del 2010, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla legge n. 124 del 2015 e dal D.Lgs. n. 91 del 2016) non è esattamente coincidente con quella relativa alla disciplina dei termini di avvio e conclusione del procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale (articolo 1392, comma 1, del medesimo Codice).

Mentre la prima stabilisce che “ se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale, ovvero è stata disposta dall'autorità giudiziaria una delle misure previste dall'articolo 915, comma 1, il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale o di prevenzione e, se già iniziato, deve essere sospeso ”, la seconda fa esplicito riferimento, al fine della contestazione degli addebiti, alla conoscenza integrale del provvedimento che conclude il procedimento penale (“ il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale, salvo il caso in cui l’amministrazione abbia già proceduto disciplinarmente ai sensi dell'articolo 1393, comma 1, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione”).

La conoscenza integrale della sentenza, da parte dell’Amministrazione, segna l’inizio della decorrenza del termine, di natura perentoria, per la promozione o il promovimento dell’azione disciplinare;
ed è stabilito:

- da un lato, per consentire all’Amministrazione di avere un’esatta cognizione dei fatti accertati in sede penale,

- dall’altro, per garantire all’incolpato che la contestazione avvenga senza ritardo rispetto a tale conoscenza.

Se è, quindi, vero che, ai fini della contestazione degli addebiti, il termine non inizia a decorrere prima che siano esauriti tutti gli incombenti della fase o del grado del procedimento penale (che si realizza con il deposito della sentenza completa di motivazione), l’eventuale “contestazione” all’atto della conoscenza del solo dispositivo della sentenza irrevocabile non incorre in alcuna preclusione, poiché il principio di pregiudizialità presuppone soltanto l’esistenza di un procedimento penale non ancora definito (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 20 febbraio 2020, n. 1273).

Deve, conseguentemente, ritenersi che l’avvio del procedimento disciplinare non soltanto possa, ma debba avvenire nel momento in cui l’Amministrazione abbia acquisito la certezza della definitività della condanna: la finalità della disposizione anzidetta, con ogni evidenza risiedendo nell’esigenza che l’esercizio del potere disciplinare, fin dalla sua fase genetica, sia assistito dalla piena cognizione (della consistenza e qualità) dei fatti in sede penale ascritti al dipendente, nonché del complesso di circostanze acquisite al giudizio, conclusosi con sentenza di condanna (ossia, dal momento in cui l’Amministrazione ha avuto esatta cognizione dei fatti accertati in quella sede, al fine di poter essere in grado di valutare, in maniera adeguata, tutti gli elementi utili per condurre la successiva azione amministrativa: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2853).

4. Nondimeno, laddove, come nella fattispecie all’esame, il giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione si concluda (non già con una sentenza di reiezione del gravame, bensì) con una sentenza dichiarativa dell’inammissibilità (per qualunque ragione) del ricorso, con accessiva statuizione del già avvenuto passaggio in giudicato, in toto , della pronunzia resa dalla Corte di Appello – tanto che, in tali casi, la Corte di Cassazione nemmeno ritiene di poter dichiarare la prescrizione del reato che sia intervenuta nelle more del giudizio di legittimità: e ciò proprio in quanto, con la declaratoria di inammissibilità del ricorso, il c. d. “ diritto vivente ” del giudice penale di legittimità è ormai granitico nell’affermazione che il giudicato penale si è (già) formato sulla sentenza di appello – l’esigenza conoscitiva di che trattasi va ricondotta necessariamente, per una suprema e inderogabile esigenza di intrinseca coerenza dell’ordinamento giuridico, alla pronunzia di secondo grado: rispetto alla quale la sentenza in rito della Cassazione, per sua stessa definizione, non può introdurre alcun profilo modificativo, con riferimento agli elementi suscettibili di valutazione in sede disciplinare (ovvero: la sussistenza del fatto, l’illiceità penale e l’affermazione che l’imputato lo ha commesso;
ma neppure alcuna ulteriore qualificazione o contestualizzazione del fatto medesimo).

Se, dunque, l’Amministrazione è tenuta ad avviare il procedimento disciplinare dal momento in cui la commissione del fatto e la sua qualificazione come reato siano divenuti incontrovertibili per effetto del formarsi del giudicato, ne deriva che, a fronte della comunicazione del dispositivo della sentenza della Cassazione (nella specie avvenuta, come già detto, il 1° ottobre 2010), il termine per l’avvio del procedimento andava, nella fattispecie all’esame, a coincidere con tale data;
senza che potesse, in alcun modo, assumere rilevanza la successiva acquisizione cognitiva della motivazione della pronunzia di inammissibilità di che trattasi.

4. Quanto sopra rilevato esprime, ad avviso del Collegio, profili di evidente coerenza con il consolidato insegnamento di questo Consiglio – del quale si è dato precedentemente conto – relativo alla individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di esercizio dell’azione disciplinare, a far tempo dalla integrale conoscenza della sentenza che abbia definito il giudizio penale.

Se tale momento va, con sicurezza, individuato nel momento della percezione cognitiva del testo integrale della sentenza resa dalla Corte di Cassazione, laddove quest’ultima abbia accolto (ovvero, anche solo parzialmente accolto) o respinto (anche in parte) il ricorso innanzi ad essa proposto, conclusioni necessariamente non sovrapponibili presidiano la collocazione del termine di che trattasi laddove – come, appunto, relativamente alla vicenda che ne occupa – il ricorso in Cassazione si sia concluso con sentenza di inammissibilità.

In tale evenienza, infatti, difetta in nuce in capo alla Corte – anche per una sorta di autolimitazione, specie in quei casi in cui la Corte (talora per esimersi dal rilievo, altrimenti doveroso, della sopravvenuta prescrizione del reato) riconduce, secondo il c.d. diritto vivente , alla declaratoria di inammissibilità pure i ricorsi che essa reputi “ manifestamente infondati ” – qualsivoglia possibilità di percezione cognitiva in ordine alla sentenza d’appello. In tali casi, per definizione e per coerenza esegetica, non si configura (neanche astrattamente) la possibilità stessa di addure intervento alcuno di carattere anche soltanto parzialmente modificativo, rispetto al decisum del giudice di appello (così come, analogamente, di rilevare l’eventuale prescrizione del reato, medio tempore occorsa).

La ritenuta non ammissibilità del ricorso in Cassazione esclude, infatti, che la conseguente pronunzia in rito – lungi dal limitarsi ad esaminare, esclusivamente, il contenuto del proposto ricorso – altrimenti attinga al contenuto della sentenza di appello (la quale, infatti e conseguentemente, viene ad essere integralmente coperta dal giudicato per effetto della suindicata definizione, dichiaratamente in rito, del ricorso per Cassazione).

Con il corollario che, in tali casi, ove per avventura la successiva motivazione della sentenza di inammissibilità – quand’anche per argomentare sulla qualificazione (invero concettualmente spuria, ma ormai del tutto consolidata nel c.d. diritto vivente , della Cassazione penale) del ricorso in termini di “manifesta infondatezza”, onde fondarvi la prefata declaratoria in rito invece che un (dogmaticamente forse più corretto) rigetto nel merito – dovesse indulgere a qualsivoglia considerazione circa i fatti oggetto della (già definitiva) condanna penale, ciò non potrebbe che considerarsi in termini di obiter dicta , ossia di valutazione di natura non giudiziaria, proprio perché successiva alla già verificatasi formazione del giudicato (riferito alla sentenza d’appello) e come tale non passibile di considerazione alcuna (giuridicamente rilevante) nel successivo procedimento disciplinare.

Ne deriva che la sentenza, la cui (integrale) conoscenza integra il necessario presupposto per l’avvio dell’azione disciplinare, è quella di appello (che, come si è detto, passa ex se in giudicato per effetto della pronunziata inammissibilità del ricorso per Cassazione), con riferimento alla cognizione della quale ( rectius: del passaggio in giudicato della quale) viene ad integrarsi il presupposto di legge per l’esercizio dell’azione disciplinare.

Le condizioni per l’inizio del decorso del termine di che trattasi sono, infatti, due;
rappresentate:

- l’una, dalla “ conoscenza integrale ”, in capo all’Amministrazione, della sentenza penale (come testualmente predicato dal comma 2 dell’articolo 1392 C.O.M., il quale, al riguardo, individua la “data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili ”): evento che nella specie si è verificato, al netto del passaggio in giudicato, il 26 aprile 2010;

- l’altra, dalla certezza in ordine alla irrevocabilità della pronunzia definitoria del giudizio penale evento, integrativo della fattispecie di cui al cit. articolo 1392 C.O.M., che nella specie si è verificato il 1° ottobre 2010.

Per effetto della comunicazione del dispositivo della sentenza di inammissibilità del ricorso per Cassazione (avverso una sentenza di merito già integralmente conosciuta dall’Amministrazione) vengono dunque a realizzarsi entrambe le suindicate condizioni, dovendo, in proposito, rammentarsi come, ai fini della definizione del giudizio, esclusivamente rilevi la pubblicazione del dispositivo (e non anche la pubblicazione successiva della motivazione, come indicato dal comma 1 dell’articolo 545 c.p.p.: “ La sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante la lettura del dispositivo”).

Se, ai fini dell’esercizio del potere disciplinare (mediante avvio del relativo procedimento) rileva (esclusivamente) la sentenza di condanna passata in giudicato, allora quest’ultima – si ribadisce, nella sola evenienza in cui il ricorso per Cassazione si sia concluso con sentenza in rito, dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso – non può essere individuata, se non nella sentenza resa dalla Corte d’appello, che passa in giudicato quando viene pubblicato il dispositivo della Cassazione che dichiara l’inammissibilità del ricorso di terzo grado.

L’acquisita cognizione della sentenza d’appello, beninteso unitamente a quella del dispositivo della sentenza di Cassazione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, appieno determinano, in capo alla competente Amministrazione, la completezza degli elementi necessari al fine di disporre l’avvio del procedimento disciplinare ( id est : il perfezionamento della fattispecie cui il cit. articolo 1392 riconnette il decorso dei termini per l’esercizio e la conclusione dell’azione disciplinare).

La ricostruzione interpretativa della fattispecie sottoposta all’esame del Collegio, va conclusivamente ribadito, dimostra coerenza:

- non soltanto con riferimento al letterale tenore dell’articolo 1392 C.O.M. (il quale, peraltro, non prevede che il termine de quo decorra dal momento in cui entri nella disponibilità dell’Amministrazione “la sentenza integrale,” ma da quando questa abbia acquisito “conoscenza integrale” della sentenza);

- ma anche con il (pure) richiamato orientamento ermeneutico di questo Consiglio, la cui ribadita condivisibilità trova elementi di conferma proprio nella individuazione del momento in cui siffatta “integrale conoscenza” venga ad attuarsi.

Momento che, come ampiamente illustrato in precedenza, viene a coincidere, per il caso di sentenza di inammissibilità del ricorso per Cassazione, con l’acquisita cognizione della sentenza di appello e del dispositivo di inammissibilità del ricorso per Cassazione (nella specie, rispettivamente, 26 aprile e il 1° ottobre 2010): cui, per indefettibile esigenza di coerenza intrinseca dell’ordinamento giuridico, deve necessariamente ancorarsi il dies a quo per l’esercizio del potere disciplinare, ai sensi del cit. articolo 1392.

5. Alle svolte considerazioni, accede – con carattere di inevitabile assorbenza, rispetto alle rimanenti doglianze articolate con l’atto introduttivo del presente giudizio – la fondatezza della censura con la quale parte appellante ha dedotto l’intervenuta decadenza dell’esercizio del potere disciplinare, conseguente al superamento del termine massimo di giorni 270, stabilito dal rammentato articolo 1392, comma 3, del Codice dell’Ordinamento Militare.

Infatti:

- il legale dell’odierno appellante ha comunicato all’Amministrazione, in data 1° ottobre 2010, la sentenza n.-OMISSIS-con la quale la Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso innanzi ad essa proposto dal sig. C, allegando alla predetta missiva il dispositivo della pronunzia;

- il procedimento disciplinare avviato nei confronti dello stesso -OMISSIS-si è concluso in data 22 agosto 2011, con l’adozione della determinazione recante perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

L’arco temporale segnato dalle due date, come sopra indicate, si ragguaglia a complessivi 325 giorni, con riveniente superamento del termine (massimo) che il comma 3 dell’articolo 1392 del D.Lgs. n. 66 del 2010 ragguaglia a complessivi giorni 270.

Alla estinzione del procedimento, riveniente dal superamento del termine decadenziale di cui sopra, accede l’illegittimità della sanzione conclusivamente irrogata a carico dell’odierno appellante: la quale, in accoglimento del relativo motivo di gravame, ed in riforma dell’impugnata sentenza del T.A.R. -OMISSIS-, deve pertanto essere annullata, con ogni relativa conseguenza.

Restano in ciò assorbiti tutti gli ulteriori motivi di appello: e, con essi, anche le perplessità (di ordine culturale, prima e più che giuridico) suscitate dall’orientamento che qualifica il provvedimento di destituzione come atto non recettizio.

Le spese di lite, a fronte della novità della quaestio juris come sopra esaminata, possono formare oggetto di compensazione fra le parti.

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