Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-01-20, n. 202100632

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-01-20, n. 202100632
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100632
Data del deposito : 20 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/01/2021

N. 00632/2021REG.PROV.COLL.

N. 04384/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 4384 del 2020, proposto da
F P s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati S R e F L, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Pvincia di Potenza, non costituita in giudizio;

nei confronti

Pmeteo Plus Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato S M, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
A Cruzioni s.r.l., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata (Sezione prima) n. 301/2020, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Pmeteo Plus Soc. Coop.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84 del d.-l. 17 marzo 2020, n. 18 ( Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 ), convertito dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, che, tra altro, stabilisce ai commi 5 e 6, rispettivamente, che “ Successivamente al 15 aprile 2020 e fino al 31 luglio 2020, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso ”, e che “ Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Il luogo da cui si collegano i magistrati e il personale addetto è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge ”;

Visto l’art. 4 del d.-l. 30 aprile 2020, n. 28 ( Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19 ), convertito dalla l. 25 giugno 2020, n. 70, che dispone al comma 1, tra altro, che “ A decorrere dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale con istanza depositata entro il termine per il deposito delle memorie di replica ovvero, per gli affari cautelari, fino a cinque giorni liberi prima dell’udienza in qualunque rito, mediante collegamento da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori all’udienza, assicurando in ogni caso la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della giustizia amministrativa e dei relativi apparati e comunque nei limiti delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici […] In alternativa alla discussione possono essere depositate note di udienza fino alle ore 12 del giorno antecedente a quello dell’udienza stessa o richiesta di passaggio in decisione e il difensore che deposita tali note o tale richiesta è considerato presente a ogni effetto in udienza […]”;

Visto l’art. 25 del d.-l. 28 ottobre 2020, n. 137 ( Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 ), che recita “ 1. Le disposizioni dei periodi quarto e seguenti del comma 1 dell’articolo 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 25 giugno 2020, n. 70, si applicano altresì alle udienze pubbliche e alle camere di consiglio del Consiglio di Stato, del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e dei tribunali amministrativi regionali che si svolgono dal 9 novembre 2020 al 31 gennaio 2021 e, fino a tale ultima data, il decreto di cui al comma 1 dell’articolo 13 dell’allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, prescinde dai pareri previsti dallo stesso articolo 13. 2. Durante tale periodo, salvo quanto previsto dal comma 1, gli affari in trattazione passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso. Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Restano fermi i poteri presidenziali di rinvio degli affari e di modifica della composizione del collegio.

3. Per le udienze pubbliche e le camere di consiglio che si svolgono tra il 9 e il 20 novembre 2020, l’istanza di discussione orale, di cui al quarto periodo dell’articolo 4 del decreto-legge n. 28 del 2020, può essere presentata fino a cinque giorni liberi prima dell’udienza pubblica o camerale
”;

Relatore nell’udienza del 12 novembre 2020 il Cons. A B;
nessuno presente per le parti;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

La Pvincia di Potenza, in esito all’emersione a carico di F P s.r.l. di una annotazione sul casellario informatico Anac non dichiarata dalla società in sede di partecipazione alla procedura negoziata telematica di cui alla lettera di invito del 9 dicembre 2019, volta all’individuazione dell’operatore unico con cui stipulare un accordo quadro relativo all’anno 2020 per l’esecuzione di lavori di manutenzione per le strade provinciali dell’area nord, provvedeva con separati provvedimenti all’annullamento della proposta di aggiudicazione già adottata in favore della società, all’esclusione della medesima dalla gara e all’aggiudicazione della procedura all’associazione temporanea di imprese tra Pmeteo Plus Soc. Coop., mandataria, e A Cruzioni s.r.l..

F P impugnava tutti i predetti provvedimenti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sostenendone l’illegittimità sotto vari profili, tutti correlati alla inesistenza dell’obbligo dichiarativo dell’annotazione in parola, perché risalente al 25 agosto 2009, e quindi a oltre dieci anni prima della gara. Domandava l’annullamento degli atti gravati e il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.

L’adito Tribunale, nella resistenza della Pmeteo Plus, con sentenza breve della Sezione prima n. 301/2000, respingeva il ricorso e condannava la ricorrente alle spese del giudizio.

F P ha impugnato la predetta sentenza, deducendo: 1) Error in iudicando ;
difetto di motivazione;
contraddittorietà;
omessa pronuncia su un motivo espressamente dedotto in ricorso;
violazione e falsa applicazione dell’art. 80, comma 5, lettere c), f- bis ) ed f- ter ) e commi 10 e 12 del d.lgs. 50/2016;
violazione dell’art. 57, par. 7, direttiva 2014/24/UE;
violazione dell’art. 38 del regolamento Anac 6 giugno 2018 (gestione del casellario informatico);
violazione delle linee guida Anac n. 6 e della deliberazione Anac n. 1008/2017 in relazione all’art. 97 Cost.;
travisamento ed erronea valutazione dei fatti;
violazione del principio di proporzionalità;
ingiustizia manifesta;
perplessità;
illogicità;
in via gradata, sull’impugnativa del bando di gara, violazione dell’art. 83, comma 8, Codice contratti;
2) Error in iudicando e in procedendo per ultrapetizione;
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 Cod. proc. civ.;
difetto di motivazione;
travisamento;
illogicità;
presupposto erroneo;
vizio del contraddittorio;
violazione dell’art. 60 Cod. proc. amm.. Ha quindi reiterato tutte le domande formulate in primo grado, in particolare concludendo in via principale per l’annullamento degli atti impugnati e per il risarcimento in forma specifica, mediante l’aggiudicazione della gara in suo favore e subentro nel contratto eventualmente stipulato con la

contro

-interessata nelle more del giudizio, e, in via subordinata, per la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno cagionato alla società dagli atti illegittimi, anche parziale, in relazione al momento dell’invocato subentro.

Pmeteo Plus si è costituita in giudizio. Nell’illustrare l’infondatezza dell’appello e domandare la sua reiezione, ha rappresentato di aver stipulato con la Pvincia di Potenza il 28 maggio 2020, dopo la sentenza di primo grado, il contratto per cui è causa, scadente il 31 dicembre 2020.

Con ordinanza 3 luglio 2020, n. 3935, la Sezione, considerate la necessità di approfondire nel merito le questioni dibattute in giudizio e la prevalenza dell’interesse pubblico all’esecuzione del contratto, e tenuto ulteriormente conto della domanda di risarcimento per equivalente formulata dall’appellante, ha respinto la domanda cautelare contenuta nell’atto di appello.

Nel prosieguo, le parti costituite hanno affidato al deposito di memorie e documenti lo sviluppo delle proprie tesi difensive. In particolare, Pmeteo Plus ha dato prova del pieno corso dei lavori oggetto di appalto e F P ha depositato una perizia tecnica giurata finalizzata alla quantificazione della domanda risarcitoria per equivalente.

La causa è stata indi trattenuta in decisione all’udienza del 12 novembre 2020, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25, comma 1, del d.-l. n. 137 del 2020, di cui meglio in epigrafe.

DIRITTO

1. Ai fini della disamina dell’appello è necessario ricostruire puntualmente la vicenda procedimentale sottoposta a giudizio.

2. La stazione appaltante Pvincia di Potenza, dopo aver formulato proposta di aggiudicazione della procedura negoziata di cui in fatto in favore di F P s.r.l., avviava con atto del 20 febbraio 2020 il procedimento di revoca della stessa, in quanto “ a seguito delle verifiche eseguite da questo Ufficio sui requisiti dichiarati in sede di gara è emerso che non è stata dichiarata l’annotazione riportata sul Casellario Informatico dei Contratti Pubblici, che ad ogni buon fine si allega in copia ”. Esponeva che l’omessa dichiarazione costituiva una “ falsa dichiarazione autonomamente idonea a fondare l’esclusione della concorrente dalla gara, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettere f-bis ed f-ter del decreto legislativo 50/2016 ”.

Ancorchè la comunicazione facesse riferimento a una sola annotazione, l’allegato documento Anac ne riportava due, datate 25 agosto 2009 e 12 aprile 2017.

La società, con atto del 25 febbraio 2020, formulava articolate difese procedimentali, che riguardavano entrambe le predette annotazioni. Rappresentava in estrema sintesi che:

- l’annotazione non ostativa, non interdittiva e non sanzionatoria del 25 agosto 2009, riguardante l’esclusione della società da una gara avvenuta nell’aprile 2009 per situazioni di collegamento sostanziale con altra impresa, non avrebbe potuto giustificare la revoca della proposta di aggiudicazione, essendo spirato il termine decennale della sua durata di cui all’art. 38, comma 2, del regolamento Anac 6 giugno 2018 avente a oggetto la gestione del casellario informatico dei contratti pubblici. La società non aveva quindi l’obbligo di dichiararne la sussistenza tenuto conto dell’orientamento espresso al riguardo dalla stessa Anac in fattispecie simili e della più recente giurisprudenza, secondo cui l’omessa indicazione di una annotazione risalente non costituisce una “falsa dichiarazione”, nemmeno in termini di mendacio omissivo;

- la società, nel dichiarare in sede di gara quanto richiesto dalla lex specialis , ovvero di non essersi resa colpevole dei gravi illeciti professionali di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, di non essere soggetta ad alcuna sanzione interdittiva e di non essere iscritta nel casellario informatico tenuto dall’Anac per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione ai fini del rilascio dell’attestazione di qualificazione, aveva dichiarato il vero;

- l’annotazione del 12 aprile 2017 era scaturita dalla comunicazione dell’organismo di certificazione Asacert di aver revocato nei confronti della società un certificato di qualità in conseguenza del recesso anticipato di questa dal contratto sottoscritto con l’organismo: la società si era infatti rivolta ad altro organismo di certificazione, che aveva poi rilasciato alla medesima una nuova attestazione di qualità sostituiva della precedente senza soluzione di continuità. L’annotazione non rappresentava quindi altro che la conseguenza dell’assolvimento dell’obbligo di Asacert, di cui all’art. 2 della convenzione a suo tempo stipulata con l’allora operante AVCP, di trasmettere all’Autorità di sistema tutte le informazioni in merito all’emissione e alla revoca delle attestazioni di qualità ai fini della pubblicità sul sistema informativo.

La stazione appaltante non reputava efficaci tali difese. In particolare:

- con provvedimento del 25 marzo 2020: ribadiva che “ dalle verifiche effettuate sul predetto concorrente è emersa la presenza di un’annotazione sul Casellario Informatico non dichiarata in sede di gara ”;
riportava, in sintesi, le difese procedimentali della società;
esponeva al riguardo di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016 non contiene alcuna espressa previsione sulla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali ”, con la conseguenza che la mancata dichiarazione dell’esistenza a carico del concorrente di una annotazione presso il Casellario informatico dell’Autorità costituiva un falso dichiarativo;
concludeva indi per la revoca della proposta di aggiudicazione “ per la mancata indicazione, in sede di gara, della presenza di una annotazione presso il casellario informatico dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, circostanza quest’ultima che non ha consentito a questa Stazione Appaltante di esercitare il proprio potere di apprezzamento discrezionale in ordine alla sussistenza dei requisiti di ‘integrità o affidabilità’ dei concorrenti, ai fini della valutazione di cui all’art. 80 comma 5 lett. c del Codice dei Contratti ”;

- con verbale del 31 marzo 2020, dato atto che “ con la Determinazione Dirigenziale n. 562 del 25/03/2020 è stata revocata la proposta di aggiudicazione dell’Accordo Quadro oggetto della presente procedura in favore del concorrente ”, disponeva l’esclusione dalla procedura della società;

- con determinazione del 1° aprile 2020 aggiudicava la gara ad altro concorrente (associazione temporanea di imprese capeggiata da Pmeteo Plus Soc. Coop.).

F P impugnava tutti i provvedimenti a lei sfavorevoli.

3. Può ora rilevarsi che con la gravata sentenza breve il Tar Basilicata ha ritenuto la legittimità degli atti impugnati dalla società sulla scorta del seguente percorso argomentativo:

a) in linea generale, l’omessa dichiarazione da parte dell’operatore economico partecipante a una gara pubblica di una pregressa annotazione sul casellario informatico Anac priva la stazione appaltante del potere discrezionale di apprezzare la gravità o meno del sottostante illecito ai fini della valutazione della integrità e dell’affidabilità del concorrente e giustifica pertanto la sua espulsione dalla procedura ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016;

b) nello specifico, la lettera d’invito alla procedura aveva espressamente stabilito che le annotazioni rinvenibili nel casellario informatico delle imprese qualificate sarebbero state valutate dalla stazione appaltante per accertare se esse potessero costituire gravi illeciti professionali ai sensi di cui alla norma sopra citata, e l’art. 80, comma 5, lett. c- bis ), d.lgs. n. 50 del 2016, prevede l’esclusione dalla gara nell’ipotesi di omissione di “informazioni dovute”;

c) il termine massimo di 10 anni di rilevanza delle annotazioni nel casellario informatico, di cui all’art. 38 del regolamento Anac 6 giugno 2018, non era stato superato, in quanto a carico della società risultava iscritta non solo l’annotazione del 2009 ma anche l’ulteriore annotazione del 2017;

d) non era pertinente il richiamo della società all’art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016 e all’art. 57, comma 7, della Direttiva n. 24/2014/UE, recepito dal comma 10- bis dello stesso art. 80, perché tali norme “ disciplinano rispettivamente la diversa fattispecie della durata dell’esclusione obbligatoria e/o automatica dalle gare per 2 anni dall’iscrizione nel Casellario informatico dell’ANAC in caso di falsa dichiarazione o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto e per 3 anni per l’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione nel caso di gravi illeciti professionali, decorrenti dal loro accertamento definitivo ”.

4. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato.

5. Il primo giudice non può innanzitutto essere seguito laddove, con la predetta motivazione sub c), ha posto a base della legittimità degli atti gravati non solo l’annotazione del 2009 ma anche l’annotazione del 2017.

Infatti, come correttamente fatto constare da F P nel secondo motivo di appello, i provvedimenti negativi adottati nei confronti della società hanno tenuto di una sola annotazione. E questa, ancorchè non esattamente identificata per il tramite della data, alla luce delle motivazioni del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione provvisoria del 25 marzo 2020 (il provvedimento di esclusione dalla gara si limita a una motivazione “a cascata”), corrisponde con ogni evidenza a quella del 2009.

In particolare, è vero che entrambe le annotazioni emergono dall’estratto Anac allegato alla comunicazione 20 febbraio 2020 di avvio del procedimento di revoca della proposta di aggiudicazione;
tuttavia tale allegazione non si è tradotta nella effettiva considerazione dell’annotazione del 2017, in quanto, come visto, la stazione appaltante ha fatto sempre espressamente riferimento a una sola annotazione, e ulteriormente il provvedimento di revoca della proposta di aggiudicazione ha confutato le tesi difensive procedimentali della società esponendo che “ l’art. 80 comma 5 [del d.lgs. n. 50 del 2016, n.d.r.] non contiene alcuna espressa previsione sulla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali ”. E poiché tale argomentazione non può che attenere alla sola annotazione del 2009, l’annotazione del 2017 è stata evidentemente ritenuta irrilevante.

Ne deriva che il primo giudice, ponendo in difformità di quanto univocamente emergente dagli atti di causa anche l’annotazione del 2017 a fondamento degli atti sfavorevoli alla società, e assorbendo per l’effetto la principale questione posta dal ricorso (se l’annotazione del 2009 potesse ancora essere opposta alla società medesima), è effettivamente incorso nei due vizi denunziati con il secondo mezzo, e cioè:

- ha integrato le ragioni poste a base dei provvedimenti sottoposti al suo giudizio, rendendo una pronunzia ultra o extra petita , che ricorre anche laddove il giudice ponga a fondamento della decisione fatti o situazione estranei alla materia del contendere (tra altre, Cons. Stato, V, 19 ottobre 2020, n. 6308;
11 aprile 2016, n. 1419);

- ha vieppiù considerato il solo titolo nominale dell’annotazione del 2017 (revoca di un certificato di qualità), in tal modo conferendo alla stessa una valenza che va ben al di là della sua portata effettiva, che, come visto, è estranea a qualsiasi valutazione incidente sui profili di affidabilità morale o professionale del concorrente, cui per costante giurisprudenza l’obbligo dichiarativo nella specie ritenuto violato è strumentale (tra tante, Cons. Stato, V, 6 luglio 2020, n. 4314;
22 luglio 2019, n. 5171;
4 febbraio 2019, n. 827;
16 novembre 2018, n. 6461;
3 settembre 2018, n. 5142;
17 luglio 2017, n. 3493;
5 luglio 2017, n. 3288).

6. Chiarito, per quanto sopra, che l’annotazione del 2017, non avendo assunto rilievo nelle impugnate determinazioni, è irrilevante anche nell’odierno giudizio, occorre verificare se l’omessa dichiarazione dell’annotazione Anac del 2009 poteva legittimare i provvedimenti impugnati nonostante la sua risalenza.

La società nega una tale possibilità con il primo motivo di appello, che si rivela parimenti fondato.

7. Conviene innanzitutto chiarire che, come illustrato dall’interessata, l’annotazione in parola è stata apposta nell’agosto 2009 e ha avuto a oggetto l’esclusione della società da una gara disposta nell’aprile 2009 ex art. 34, comma 2, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, previgente Codice dei contratti pubblici, per situazioni di collegamento sostanziale con altra impresa. L’annotazione non è stata preceduta da alcun procedimento valutativo da parte dell’allora operante AVCP, in quanto effettuata automaticamente, non conseguendo a ipotesi di false dichiarazioni o falsa documentazione, e non ha assunto valenza ostativa, interdittiva e sanzionatoria. Vi figura infatti l’espressa dicitura che essa è stata iscritta nel casellario informatico ai sensi dell’art. 27, lett. t), del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 (concernente “ tutte le altre notizie riguardanti le imprese che, anche indipendentemente dall’esecuzione dei lavori, sono dall’Osservatorio ritenute utili ai fini della tenuta del casellario ”) e “ non può costituire motivo di automatica esclusione dalle successive gare a cui l’impresa annotata intenda partecipare ”, avendo invece la finalità di consentire alla stazione appaltante, nell’ipotesi di contemporanea partecipazione a una gara delle due imprese “ la verifica - con riferimento alla specifica situazione concreta - della presenza di elementi riconducibili ad alterazione della par condicio dei concorrenti ”.

8. Va poi osservato che l’art. 38, comma 3, del regolamento Anac 6 giugno 2018 per la gestione del Casellario informatico dei contratti pubblici dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, adottato ai sensi dell’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che il termine di durata della pubblicità delle annotazioni prive di carattere interdittivo è pari a dieci anni dalla data di prima pubblicazione.

9. Va infine dato atto, in una prospettiva ricostruttiva delle questioni qui di interesse, degli approdi cui è pervenuta la recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, partendo dal rilievo che un obbligo dichiarativo privo della individuazione di un generale limite di operatività temporale “ potrebbe rilevarsi eccessivamente onerosa per gli operatori economici imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa ” (Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171;
3 settembre 2018, n. 5142).

La necessità di un limite generale di operatività degli obblighi dichiarativi è stata correlata all’art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE, che ha fissato in tre anni dalla data del fatto la rilevanza del grave illecito professionale, seguita dalle linee guida ANAC n. 6/2016, precedute dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2286 del 26 ottobre 2016, che ha affermato, tra altro, la diretta applicazione nell’ordinamento nazionale della previsione di cui al predetto paragrafo. L’efficacia diretta c.d. “verticale” della disposizione comunitaria nell’ordinamento interno è stata riconosciuta da questa Sezione del Consiglio di Stato anche al di là di ogni questione inerente il non completo recepimento della predetta direttiva nel comma 10 dell’art. 80 [che, nella versione originaria, prevedeva la moratoria quinquennale solo con riferimento alla condanna definitiva in sede penale alla pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione, nulla disponendo per le cause di esclusione di cui ai commi 4, relative alle violazione fiscali e contributive, e 5, con particolare riferimento alla lett. c), relativa ai gravi illeciti professionali, reputandosi così inidonee ai fini dell’esclusione dell’operatore economico dalla gara le risoluzioni ante triennio (Cons. Stato, V, 21 novembre 2018, n. 6576)]. Tanto in conformità alla sentenza CGUE, Sezione IV, 24 ottobre 2018, C-124/17, secondo cui “ ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24, gli Stati membri determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l’operatore economico non adotti nessuna misura di cui all’articolo 57, paragrafo 6, di tale direttiva per dimostrare la propria affidabilità;
detto periodo non può, se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, nei casi di esclusione di cui all’articolo 57, paragrafo 4, di tale direttiva, superare i tre anni dalla data del fatto in questione
”. Per tale via, si è ritenuta l’illegittimità, per sproporzionalità, di un’esclusione fondata su una risoluzione ante triennio “ con conseguente impossibilità di rilevare nei confronti della società l’inadempimento a un obbligo [dichiarativo] che, come pure osservato dalla Sezione, laddove diversamente inteso, per un verso sarebbe eccessivamente oneroso per l’operatore economico, per altro verso non apporterebbe significativi elementi di conoscenza alla stazione appaltante, trattandosi di vicende professionali ampiamente datate o, comunque, ormai del tutto insignificanti ” (Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1605, che richiama anche V, 6 maggio 2019, n. 2895).

La problematica in esame è stata poi affrontata nell’ordinanza di questa Sezione aprile 2020, n. 2332, che ha rimesso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato varie questioni inerenti gli obblighi dichiarativi degli operatori economici partecipanti a gare pubbliche, dubitando dell’idoneità delle omissioni e delle reticenze dichiarative (a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità) a legittimare l’automatica esclusione dalla gara.

Sul tema, la decisione n. 16 del 2020 dell’Adunanza Plenaria, richiamato tra altro l’orientamento giurisprudenziale volto a limitare la portata generalizzata degli obblighi dichiarativi a carico degli operatori economici, anche dal punto di vista temporale (sentenze nn. 1605/2020, 5171/2019 e 5142/2018, cit.), e a distinguere tra falsità e omissione, con automatismo espulsivo limitato alla sola prima ipotesi (Cons. Stato, V, n. 5142/2018 e 12 aprile 2019, n. 2407), ha enunciato i seguenti principi di diritto:

- la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c- bis )] dell’art. 80, comma 5, del Codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

- in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della stessa disposizione, senza alcun automatismo espulsivo;

- alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico;

- la lettera f- bis ) dell’art. 80, comma 5, del Codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c- bis )] della stessa norma.

10. A questo punto può darsi risposta al quesito di cui al precedente capo 6.

L’Adunanza plenaria n. 16 del 2020 ha stabilito che le informazioni che sono dovute dall’operatore economico in sede di gara, perché incidenti sulla valutazione della sua integrità e affidabilità, sono quelle che presuppongono “ obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara ”.

Nel caso di specie non sussiste alcuna delle due predette ipotesi.

10.1. In primo luogo, l’obbligo della società di dichiarare in sede di partecipazione alla gara de qua l’annotazione del 2009 non può essere ricondotto all’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016, come affermato dal primo giudice con la motivazione riportata al precedente capo 3 sub a).

Rileva che l’obbligo dichiarativo predeterminato dalla legge non può che avere a oggetto, per definizione, la rappresentazione di fatti o atti che alla data di assolvimento dell’obbligo siano rilevanti per l’ordinamento giuridico.

Tale non è l’annotazione in parola, che, risalendo all’agosto 2009 e avendo a oggetto un fatto del precedente mese di aprile, per effetto del decorso del termine decennale di cui al sopra citato art. 38, comma 3, del regolamento Anac 6 giugno 2018, sia all’atto della lettera di invito alla procedura (9 dicembre 2019) che all’atto della partecipazione alla gara della società (16 dicembre 2019), era divenuta ormai irrilevante: la scadenza del prefissato periodo temporale di validità dell’annotazione attesta infatti la sua perdita di significatività per l’ordinamento giuridico di settore, e, indi, la sua insuscettibilità a costituire oggetto di un obbligo dichiarativo.

Diversamente opinando, si verificherebbe quella condizione che la citata giurisprudenza, anche alla luce delle norme eurounitarie, ha inteso scongiurare (che il contenuto dell’obbligo dichiarativo possa refluire nella narrazione di tutte vicende professionali dell’impresa a prescindere dal tempo in cui esse si sono verificate), perchè al contempo eccessivamente onerosa per gli operatori economici e di dubbia utilità per la stazione appaltante.

Può solo aggiungersi che questa Sezione del Consiglio di Stato, in una fattispecie, riguardante una sanzione interdittiva di cui era decorso il termine di iscrizione nel casellario informatico, ha evidenziato come la tesi secondo cui l’obbligo dichiarativo permarrebbe a prescindere dalla validità temporale della sanzione, stante il suo carattere strumentale alle valutazioni di competenza della stazione appaltante di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, si converte nella ultrattività della sanzione non più efficace e nella surrettizia protrazione del suo effetto impeditivo. E ciò contro la lett. f- ter ) del comma 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, che correla l’impedimento solo “ fino a quando opera l’iscrizione nel casellario informatico ”. Si è anche rilevato come tale ultima proposizione normativa è stata intesa dalla giurisprudenza della Sezione (Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142) in senso condizionale, ovvero “a condizione che perduri l’iscrizione”: sicchè se il periodo di iscrizione è concluso, il fatto che in precedenza l’operatore sia stato iscritto non è causa di esclusione dalla procedura (Cons. Stato, V, 6 luglio 2020, n. 4314).

10.2. L’obbligo della società di dichiarare in sede di partecipazione alla gara de qua l’annotazione del 2009 non può essere ricondotto neanche alla legge di gara, come pure affermato dal primo giudice con la motivazione riportata al precedente capo 3 sub b) e come sostiene, peraltro genericamente, l’appellata Pmeteo Plus.

Sul punto – e anche senza considerare che, alla luce dei principi sanciti dall’Adunanza plenaria n. 16 del 2020 (e come per l’effetto ribadito di recente da Cons. Stato, III, 15 settembre 2020, n. 5465), la mera omissione di informazioni dovute non potrebbe comunque condurre all’automatismo espulsivo evocato dall’appellata e posto in essere dalla stazione appaltante, stante la necessità in ogni caso di una valutazione in concreto sull’informazione omessa – si rileva che la lettera di invito prevedeva l’acquisizione di informazioni inerenti l’eventualità che il concorrente avesse commesso gravi illeciti professionali o fosse incorso nella presentazione di false dichiarazione o falsa documentazione, qui non ricorrenti, e non la dichiarazione di fatti e circostanze fuoriuscenti dal perimetro di quelle rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016.

Sicchè non può essere accolta la tesi dell’appellata Pmeteo Plus secondo cui F P, ai fini dell’utile proposizione dell’odierna azione giudiziaria, avrebbe dovuto estendere l’impugnativa alle prescrizioni della lex specialis di gara.

10.3. Infine, per tutto quanto sopra, l’erroneità della motivazione della sentenza appellata emerge anche in riferimento alle considerazioni riportate al precedente capo 3 sub d), con cui il primo giudice ha sbrigativamente liquidato la questione sostanziale posta dalla società quanto alla contrarietà al diritto comunitario di un obbligo dichiarativo sine die .

11. La sentenza appellata va pertanto riformata, con conseguente accoglimento della domanda demolitoria dei provvedimenti impugnati in primo grado.

12. Resta da valutare la domanda risarcitoria, formulata in primo grado e qui riproposta dalla società appellante.

13. La domanda di risarcimento in forma specifica non può essere accolta.

La procedura per cui è causa era volta all’individuazione dell’operatore unico con cui stipulare un accordo quadro relativo all’anno 2020 per l’esecuzione di lavori di manutenzione per le strade provinciali dell’area nord della Pvincia di Potenza;
questo è stato stipulato il 28 maggio 2020, dopo la sentenza di primo grado, con l’odierna appellata, che ha depositato in appello documentazione comprovante l’avanzato stato di esecuzione dell’accordo per mezzo dei contratti applicativi da questo previsti.

Ciò posto, alla luce dell’imminente scadenza dell’accordo quadro (21 dicembre 2020) e del suo stato di attuazione siccome testimoniato dall’appellata, non sussistono i presupposti che ai sensi dell’art. 122 Cod. proc. amm. consentono al giudice di dichiarare (fuori dai casi in cui la dichiarazione è obbligatoria) l’inefficacia del contratto e disporre il subentro nello stesso della società che agisce in giudizio a tale fine: la norma infatti impone di considerare lo stato di esecuzione del contratto e la concreta possibilità di subentrarvi.

14. Va, di contro, accolta la domanda di risarcimento per equivalente.

Come anche di recente ribadito dalla Sezione (Cons. Stato, V, 26 maggio 2020, n. 3342), l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con decisione n. 2 del 2017 in materia di gare pubbliche ha infatti ritenuto che:

- quando il giudicato amministrativo riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di discrezionalità nel successivo esercizio del potere in capo all’amministrazione appaltante, sorge l’obbligazione di concedere “in natura” il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza (l’aggiudicazione della gara e la stipula e l’esecuzione del contratto);

- la sopravvenuta impossibilità di esecuzione in forma specifica dell’obbligazione nascente dal giudicato non estingue tale obbligazione, bensì la converte, ex lege , nella diversa obbligazione di natura risarcitoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato in sostituzione della esecuzione in forma specifica, che trova fondamento nell’art. 112, comma 3, Cod. proc. amm., nella versione risultante per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 1, lett. cc), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195;

- la responsabilità risarcitoria è posta in capo alla stazione appaltante e presenta “ i caratteri della responsabilità oggettiva, perché non è ammessa alcuna prova liberatoria fondata sulla carenza dell'elemento soggettivo (dolo o colpa), che, invece, necessariamente connota le ipotesi di violazione o elusione del giudicato;
potendo la responsabilità essere esclusa solo per la insussistenza (originaria) o il venir meno del nesso di causalità, il cui onere probatorio grava sul debitore medesimo
”.

Nella fattispecie, sussistono le condizione positive richiamate dalla decisione dell’Adunanza plenaria, non essendo dubbio che F P avrebbe avuto titolo per conseguire l’aggiudicazione dell’accordo quadro di cui trattasi;
non sussistono invece le condizioni negative, atteso che la stazione appaltante, non costituita in giudizio, non ha sollevato alcuna questione idonea a escludere la sua responsabilità risarcitoria. Non vi sono pertanto ragioni per escludere l’antigiuridicità della condotta ascrivibile alla Pvincia di Potenza, in qualità di stazione appaltante, e la sua responsabilità risarcitoria per equivalente.

15. Passando quindi alla conseguente questione della liquidazione del quantum debeatur , si rileva che la lex specialis della gara, in quanto finalizzata alla stipula di un accordo quadro, e com’è proprio di tale tipologia di procedura, definite le prestazioni oggetto di affidamento e il loro importo complessivo (€ 892.000,00, oltre oneri per la sicurezza, di cui € 867.000,00 per lavori e € 25.000,00 per servizi di pronto intervento), ha rimesso l’individuazione delle specifiche esigenze pubbliche da soddisfarsi a successivi contratti applicativi.

Manca, pertanto, una stima effettiva del valore dell’affidamento, che costituisce il parametro sul quale calcolare il risarcimento del danno per equivalente, costituito dalle mancate utilità che F P avrebbe potuto trarre dalla esecuzione di quanto oggetto di affidamento.

Ciò posto, F P, nella perizia tecnica depositata in corso di causa, propone di ragguagliare il valore dell’affidamento all’importo dei lavori e dei servizi considerato nell’accordo quadro nel predetto totale di € 892.000,00: ma tale via non può essere seguita, perché detto importo costituisce solo il tetto massimo dei lavori che la stazione appaltante può (e non deve) affidare mediante i contratti applicativi dell’accordo.

D’altra parte, non può farsi riferimento neanche ai contratti applicativi intervenuti tra la stazione appaltante e Pmeteo Plus dopo la stipula dell’accordo quadro, individuati nella stessa perizia sulla base degli estratti dall’albo pretorio della Pvincia di Potenza: essi si arrestano infatti alla data dell’8 settembre 2020, mentre la validità dell’accordo perdura oltre tale termine, e cioè sino al 31 dicembre 2020.

Per la liquidazione del risarcimento non resta, pertanto, che far ricorso alla tecnica, propria del danno da illegittimità provvedimentale, della c.d. “condanna sui criteri” prevista dall’art. 34, comma 4, Cod. proc. amm., che stabilisce che “ In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti ”.

Per l’effetto, va ordinato alla Pvincia di Potenza di proporre a F P s.r.l., nel termine di 90 giorni dalla comunicazione, o se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, il pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione della procedura di cui trattasi.

16. A tale fine si dettano i seguenti criteri:

a) è risarcibile la voce di pregiudizio relativa alla perdita dell’utile, ovvero della lesione connessa, in via immediata e diretta, ai sensi dell’art. 1223 Cod. civ., alla mancata esecuzione dei lavori per cui è causa, la cui entità si presume correlata all’offerta presentata in gara, ovvero al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta.

Tale utile non può essere sic et simpliciter rapportato, come fa la società nel suo atto di appello, al 10% del valore del contratto: tale percentuale corrisponde infatti a un criterio forfettario e presuntivo, previsto dal previgente Codice dei contratti pubblici per il caso di recesso dell’amministrazione dal contratto di appalto (art. 134, comma 1, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), ormai abbandonato dalla giurisprudenza, sia sulla scorta dell’art. 124, comma 1, Cod. proc. amm, secondo cui il danno da mancata aggiudicazione deve essere “provato” (tra tante, Cons. Stato, III, 5 marzo 2020, n. 1607), sia in considerazione del suo carattere automatico e indifferenziato (Cons. Stato, V, 23 agosto 2019, n. 5803).

Può quindi essere considerato l’utile diretto effettivo di impresa, che la stessa società, nella già citata perizia, indica nella percentuale pari al 5% del valore complessivo dell’affidamento.

Quest’ultimo va dapprima desunto sulla scorta della sommatoria dell’importo di tutti i contratti applicativi stipulati dalla Pvincia in esito all’accordo quadro e poi parametrato al ribasso offerto in gara dalla società.

Per evitare ingiuste locupletazioni, l’importo che ne deriva dovrà essere decurtato, in via forfettaria, dell’eventuale aliunde perceptum conseguito dalla società nell’esecuzione di altri lavori durante il periodo di validità dell’accordo quadro (il tema è stato approfondito, da ultimo, da Cons. Stato, V, 23 agosto 2019, n. 5803): a tal fine, la società è tenuta a fornire all’Amministrazione provinciale i dati relativi ai lavori assunti nello stesso periodo.

La somma così individuata dovrà essere maggiorata di rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza il danno al momento della sua liquidazione monetaria, e degli interessi fino alla data del soddisfo, nella misura del tasso legale;

b) non possono essere considerati gli ulteriori utili, di carattere indiretto, pure percentualmente evidenziati dalla società nella perizia depositata, in quanto essi afferiscono a voci di costo che la medesima comunque sostiene a prescindere dall’esecuzione di commesse pubbliche, e per cui difetta quindi il rapporto di diretta causalità con l’illegittima aggiudicazione del servizio ad altra concorrente (Cons. Stato, V, 26 luglio 2019, n. 5283);

c) non possono essere riconosciute le spese di partecipazione alla gara invocate nell’atto di appello. La giurisprudenza ne esclude infatti la risarcibilità in sede di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, sulla scorta del rilievo che esse restano a carico dell’impresa anche quando essa consegue il contratto all’esito della procedura di affidamento (Cons. Stato, VI, 17 febbraio 2017, n. 731;
V, 28 luglio 2015, n. 3716;
III, 10 aprile 2015, n. 1839);

d) non può essere riconosciuto neanche il danno curriculare rapportato sia nell’atto di appello che nella ridetta perizia al 3% del valore del contratto. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è ormai attestata nel ritenere necessaria la comprova specifica e circostanziata di tale profilo di danno (Cons. Stato, III, n. 1607 del 2020, cit.;
V, n. 5803 del 2019, cit.;
n. 5283 del 2019, cit.;
III, 15 aprile 2019, n. 2435;
V, 2 gennaio 2019, n. 14;
26 aprile 2018, n. 2527;
28 dicembre 2017, n.6135;
16 dicembre 2016, n. 5322), mentre la società non ha provato che la mancata aggiudicazione dell’accordo quadro e la mancata esecuzione dei contratti applicativi le abbiano precluso l’acquisizione di ulteriori commesse;

e) infine, non può essere riconosciuto l’utile che la società ha correlato al mancato incremento della “classifica SOA”, senza peraltro dare alcuna dimostrazione di come l’esecuzione dei lavori in parola avrebbe determinato la spettanza dell’incremento.

17. In definitiva, l’appello deve essere accolto nei sensi di cui sopra, disponendosi, per l’effetto, la riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento degli atti ivi gravati, nonché l’ordine alla Pvincia di Potenza di proporre alla società appellante, ai sensi dell’art. 34, comma 4, Cod. proc. amm., il pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno per equivalente secondo i criteri e le modalità pure sopra indicati.

Si ravvisano giusti motivi, in considerazione della mancata resistenza in giudizio dell’Amministrazione provinciale e del complessivo andamento della controversia, per disporre la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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