Commissione Tributaria Regionale Abruzzo, sez. VI, sentenza 12/07/2022, n. 438

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Massime1

La nomina di un rappresentante fiscale non preclude al soggetto non residente la facoltà di chiedere il rimborso IVA mediante la procedura del portale elettronico, purché ne ricorrano le condizioni ed in assenza di cause ostative all'erogazione dello stesso come individuate dall'articolo 38- bis 2 del decreto IVA. Il rimborso IVA richiesto da un soggetto passivo residente in uno stato membro UE diverso dall'Italia spetta anche nel caso in cui tale soggetto abbia nel territorio italiano un rappresentante fiscale. Tale principio è stato ribadito di recente dalla Corte di Cassazione (Ordinanza n. 21684 dell'8 ottobre 2020) secondo la quale il diritto al rimborso IVA richiesto da soggetti domiciliati e residenti in uno Stato membro della UE, senza stabile organizzazione in Italia, non può essere negato qualora questi abbiano nominato un rappresentante fiscale, poiché la sua nomina non può essere equiparata ad un "centro di attività stabile" presso lo Stato ove sia avvenuta la nomina. La previsione di legge subordinando l'istanza di rimborso all'assenza di una stabile organizzazione o di un rappresentante fiscale, contrastava con la norma unionale, interpretata da ultimo dalla Corte di Giustizia (C-323/12) nel senso di non poter escludere, in capo ad un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro, che avesse effettuato cessioni a favore di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro, il suo diritto di presentare istanza di rimborso.

Sul provvedimento

Citazione :
Commissione Tributaria Regionale Abruzzo, sez. VI, sentenza 12/07/2022, n. 438
Giurisdizione : Comm. Trib. Reg. per l'Abruzzo
Numero : 438
Data del deposito : 12 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Con sentenza n. 12/02/2021, pronunciata in data 15/12/2020 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, sez. 2, depositata in data 22/01/2021, veniva respinto il ricorso presentato da T. BVBA, con sede in omissis, Belgio, P. IVA omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore, C. avverso il provvedimento di diniego parziale del richiesto rimborso chiesto ai sensi dell'art. 38 bis2 D.P.R. 633 del 1972, Atto n. 22071 del 12 settembre 2019, riferimento omissis, codice pratica omissis.

La società ha proposto appello ritenendo illegittima la sentenza emessa dalla CTP deducendo i seguenti motivi.

Erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 38 bis2, del D.P.R. 633 del 1972 e violazione e falsa applicazione derivata dell'art. 170, 171 e 171 bis della Direttiva 2006/112/CE nonché dell'art. 5 della Direttiva 2008/9/CE, dal momento che non è precluso ai soggetti esteri non stabiliti in Italia, identificati direttamente o con rappresentante fiscale in Italia o in altro stato 4 estero, disporre dell'istituto del c.d. rimborso IVA "diretto" ex dell'art. 38 bis2, del D.P.R. 633 del 1972, come confermato dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione in accordo con l'orientamento della Corte di Giustizia UE. Con la sentenza n. 12, depositata il 22 gennaio 2021, oggetto del presente giudizio di appello, la CTP di Pescara ha rigettato il ricorso dell'appellante, proposto avverso il Provvedimento di diniego parziale di rimborso - Atto n. omissis - del 12 settembre 2019. Il giudice a quo in particolare ha ritenuto erroneamente che, la fattispecie in oggetto si trovi in violazione del precetto di cui all'art. 38 bis2 del D.P.R. 633 del 1972, in conseguenza del fatto che la società T. belga, ha acquistato merce per poi rivenderla a soggetti residenti e, che pertanto in tali casi, si renda applicabile la diversa procedura di cui all'art. 35-ter del D.P.R. 633 del 1972. In tal senso il giudice di prime cure, nelle conclusioni delle motivazioni addotte nella sentenza, motiva che "l'aver utilizzato un numero di partita Iva rilasciato a società di diritto italiano o francese per soggetti non residenti di nazionalità belga rende inammissibile l'istanza di rimborso potendosi profilare la carenza di legittimazione in capo a quest'ultima." La sentenza impugnata, merita di essere riformata in senso favorevole alla ricorrente, con conseguente annullamento del sotteso provvedimento di diniego di rimborso, per violazione di quella stessa disposizione di cui la CTP di Pescara avrebbe dovuto fare applicazione. In primo luogo, in merito ai requisiti necessari al fine di poter richiedere il rimborso in parola, giova preliminarmente richiamare le disposizioni normative in materia di esecuzione dei rimborsi per i soggetti non residenti stabiliti in un altro Stato membro contenute nell'articolo 38 bis2, D.P.R. n. 633 del 1972, il quale dispone che il rimborso: "(…) non può essere richiesto da soggetti che nel periodo di riferimento disponevano di una stabile organizzazione nel territorio della Stato ovvero dai soggetti che hanno ivi effettuato operazioni diverse da quelle per le quali debitore dell'imposta è il committente o cessionario, da quelle non imponibili di trasporto o accessorie ai trasporti e da quelle di servizi di telecomunicazione, tele radio diffusione ed elettronici rese ai sensi dell'articolo 74 septies." Come già ampiamente illustrato nel ricorso introduttivo, il chiaro dettato normativo sopra citato prevede espressamente le ipotesi in cui non è possibile attivare la procedura di rimborso prevista all'art. 38 bis2;
tali ipotesi possono essere così riepilogate schematicamente:



1. presenza in Italia di una stabile organizzazione del soggetto non residente;



2. effettuazione in Italia di operazioni attive, ad eccezione di: o prestazioni di trasporto e delle relative operazioni accessorie non imponibili;
o servizi di telecomunicazione, tele radio diffusione ed elettronici rese ai sensi dell'art. 74 septies;
o operazioni per le quali l'imposta è assolta dal cessionario committente con il meccanismo del reverse charge. Sembra dunque evidente che, escludendo in primis i casi in cui vi sia una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, il divieto posto dalla norma si riferisca ai soggetti esteri che effettuano operazioni soggette a fatturazione attiva in Italia, ossia operazioni non in reverse charge, o diverse dalle prestazioni di trasporto ed altre individuate espressamente. In altri termini, le limitazioni poste dalla disposizione in parola come cause ostative alla richiesta di rimborso IVA, risultano chiare e pertanto è necessario fare riferimento unicamente ai predetti casi. Al fine di meglio intendere la ratio delle norme in commento è possibile inoltre richiamare l'evoluzione normativa avuta dalle stesse nel nostro ordinamento;
il previgente art. 38 ter del D. P.R. 633 del 1972, in vigore sino al 2010 in materia di rimborso IVA per soggetti esteri, precludeva espressamente il diritto al rimborso IVA diretto oltre che nei casi di stabile organizzazione, ai soggetti non residenti identificati ai fini IVA (o con rappresentante fiscale) in Italia. A seguito delle modifiche introdotte in conseguenza alle novità intervenute a livello comunitario e della condanna subita dall'Italia all'esito di una procedura di infrazione1 aperta nei suoi confronti proprio in materia di rimborsi IVA per i soggetti non residenti, il mutato quadro normativo ha previsto l'introduzione per ciò che qui interessa, dell'articolo 38 bis2 D.P.R. 633 del 1972, come sopra richiamato, il quale non pone più il divieto espresso di rimborso diretto in caso di soggetti con identificazione diretta, ma lo esclude solo in presenza di una stabile organizzazione. Se quanto sopra esposto non bastasse inoltre, il fatto che la procedura di cui all'art. 38 bis2 dovrebbe poter essere legittimamente avviata dai soggetti non stabiliti in Italia anche se gli stessi siano identificati direttamente o abbiano nominato un rappresentante fiscale in Italia o in altro stato membro, può essere implicitamente ricavato da quanto previsto dagli articoli 170 e 171 delle Direttiva 2006/112/CE, ovvero dalla circostanze che il legislatore nazionale recependo la normativa in parola, non ha recepito la deroga facoltativamente prevista dal successivo art. 171 bis 2 , introdotto dalla Direttiva 2008/8/CE. D'altro lato, la giurisprudenza e la dottrina sono ad oggi unanimi nell'affermare che non possa essere negato il diritto al rimborso dell'IVA assolta in Italia a soggetti esteri che abbiano in Italia una identificazione ai fini IVA o un rappresentante fiscale. Come rilevato dalla recente dottrina, un'interpretazione restrittiva della procedura di rimborso IVA diretto, prevista dall'art. 38bis2, non sarebbe in linea con il dettato normativo alla luce delle più recenti interpretazioni date dalla Corte di Giustizia e dalla stessa Cassazione"



3. Difatti, la Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 21684 del 2020 ha finalmente accolto gli orientamenti dottrinali in materia e, contrariamente alla errata lettura che ne ha dato la CTP di Pescara, ha giustamente interpretato le disposizioni dell'art. 38 bis2, in accordo con gli orientamenti della Corte di Giustizia Europea, affermando che "il diritto al rimborso IVA in favore di soggetti domiciliati e residenti negli stati membri della Comunità Economica Europea senza stabile organizzazione in Italia, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 ter, nel testo ratione temporis applicabile, non può essere negato qualora i suddetti soggetti abbiano nominato un rappresentante fiscale, non potendo equipararsi la nomina del rappresentante fiscale ad un "centro di attività stabile" presso lo Stato ove sia avvenuta la nomina" (cfr. Cass. Sez. 5^, 08 ottobre 2020, n. 21684;). La Suprema Corte di Cassazione in tale pronuncia cita la sentenza del 6 febbraio 2014, causa C-323/12, della Corte di Giustizia Europea la quale in materia di interpretazione delle disposizioni dell'ottava direttiva in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri, aveva ritenuto che tali norme debbano essere interpretate nel senso che un soggetto passivo che abbia effettuato cessioni di energia elettrica a soggetti passivi-rivenditori stabiliti in un altro Stato membro, ha diritto di avvalersi dell'ottava direttiva in tale secondo Stato al fine di ottenere il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto pagata a monte. In particolare per quanto qui di rilevanza, la Corte di Giustizia ha ritenuto che "tale diritto non è escluso per il semplice fatto di aver nominato un rappresentante fiscale identificato ai fini IVA in quest'ultimo Stato"



4. In sintesi, la giurisprudenza nazionale e sovranazionale, oltre che la dottrina, sono concordi nel ritenere che, il rimborso dell'imposta assolta da un soggetto estero in uno Stato membro dell'Unione Europea non può essere precluso se non in base al dettato normativo interpretato alla luce dei principi eurounionali. Tale impostazione è del resto stata fatta propria dalla stessa Amministrazione finanziaria la quale, con la recente risposta ad interpello dell'11 settembre 2020, n. 339, è tornata a pronunciarsi sul riconoscimento del rimborso IVA diretto, ai sensi dell'art. 38 bis2 del D.P.R. 633 del 1972 ai soggetti esteri. La risposta fornita dall'Agenzia delle Entrate si discosta dal precedente filone interpretativo restrittivo della norma nazionale. L'Agenzia rispondendo al quesito sottopostole da una società non residente nel territorio dello Stato, senza stabile organizzazione, ma identificata direttamente ex art. 35 ter del D.P.R. 633 del 1972, in merito alla corretta procedura da adottare per richiedere il rimborso dell'IVA assolta nello Stato, ha negato la possibilità di avvalersi della procedura di cui all'art. 38 bis2, in quanto il soggetto aveva già presentato la dichiarazione IVA con la partita IVA italiana, andando così ad operare egli

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