Commissione Tributaria Regionale Abruzzo, sez. VII, sentenza 28/07/2022, n. 492
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L'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione della parte contribuente e non è modificabile dall'Ufficio trattandosi sostanzialmente di un accordo che mette fine alla controversia vincolando le parti allo stare decisis, parti che raggiungono il loro scopo consistente specularmente nell'esonero dalle sanzioni e nell'incameramento immediato delle somme. Se ne deve desumere che versandosi sostanzialmente nell'ambito dell'autonomia contrattuale le suddette preclusioni ricadono esclusivamente sui soggetti che hanno partecipato all'accordo senza pertanto alcun riverbero su soggetti terzi che non sono intervenuti nel sinallagma. Detta modalità di definizione della controversia e di estinzione del debito è una di quelle concesse dall'ordinamento alla sostituta ma è del tutto indifferente per la sostituita atteso che in ogni caso gli effetti fiscali concreti ricadevano sul relativo patrimonio. Ciò detto, non può che concludersi sul punto nel senso che la definizione con adesione da parte della sostituta, che rimane intangibile, non preclude i diritti in capo alla sostituita che, a prescindere dalle scelte della prima, era la destinataria ultima e la vera incisa della pretesa stante la effettuata rivalsa a suo carico, naturalmente escluse le sanzioni punitive dell'omissione del sostituto.
Sul provvedimento
Testo completo
Il primo grado: Una volta premesso che il 18.9.2017 aveva presentato all'Agenzia di Pescara istanza di rimborso fiscale per 152.329,69 euro, relativamente all'annualità 2012, e per 34.788,73 euro, relativamente all'annualità 2013, ma che il 5.6.2018 le era stato notificato provvedimento di diniego, con ricorso ritualmente notificato e depositato, la ricorrente convenne in giudizio il suddetto ente. Premise che la società T. PLC, di diritto inglese e con sede a Londra, è capogruppo del Gruppo T. leader mondiale nella produzione di moduli cellulari per la trasmissione dati dedicati, con controllo anche della spa T. con la quale il 1°.1.2020 era stato stipulato contratto di concessione in licenza del marchio "T." con la corresponsione di canoni periodici commisurati al fatturato dei prodotti venduti a terzi maturando il percepimento di 1.345.305,08 euro per il 2011, di 1.729.849,15 euro per il 2012 e di 3.781.843,27 euro per il 2013. Aggiunse che la spa aveva corrisposto 1.523.324,41 euro (di cui 736.174,00 euro di competenza dell'anno 2011), 1.904.121,08 euro (di cui 609.131,08 euro di competenza dell'anno 2011 e 1.294.990,00 di competenza dell'anno 2012);1.989.290.66 euro (di cui 434.859,15 euro di competenza dell'anno 2012) senza effettuare alcuna ritenuta alla fonte ritenendo applicabile l'art. 26-quater del Dpr n. 600/1973, emanato in attuazione della Direttiva n. 2003/49/CE (cd. "Direttiva Interessi &Royalties"). Precisò che il 25.2.2015, l'Agenzia del Friuli Venezia Giulia aveva avviato un controllo nei confronti della spa per accertare il corretto adempimento degli di obblighi di sostituto d'imposta per il periodo 2012, controllo sfociato nella contestazione di omessa effettuazione di ritenute alla fonte su royalties corrisposte a soggetti non residenti, ai sensi dell'art. 25 del Dpr. n. 600/1973 essendosi ritenuto in capo alla T. nell'anno 2012, dei requisiti previsti dalla Direttiva 2003/49/CE (i.e., "Direttiva Interessi &Royalties"), recepita in Italia dall'art. 26-quater del Dpr n. 600/1973, per essere esonerata da ritenuta d'imposta alla fonte sui canoni pagati da T. SPA specificando che il requisito del possesso diretto della partecipazione per un periodo ininterrotto di almeno un anno (cd. "holding period") e per una quota non inferiore al 25% dei diritti di voto poteva considerarsi soddisfatto solo a far data dal 24.4.2013, vale a dire 12 mesi successivamente alla trascrizione sul libro soci di T. SPA del trasferimento del controllo della partecipazione a T. PLC. Puntualizzò che l'Agenzia friulana aveva concluso che i canoni corrisposti a T. PLC nel 2012 fossero da assoggettare a ritenuta di imposta del 30% ai sensi dell'art. 25 del Dpr n. 600/1973 (per un ammontare di 571.236, euro corrispondente al 30% dell'intera somma pagata nell'anno, pari ad Euro 1.904.121) e che la spa aveva deciso di prestare adesione alle suddette pretese fiscali pagando le relative somme. Fece presente che il 30.4.2017 la T. spa aveva esercitato la rivalsa delle ritenute alla fonte pagate addebitando gli importi alla T. PLC che aveva presentato all'Agenzia di Pescara istanza di rimborso ex art. 38 del Dpr. 29.9.1973, n. 602 delle ritenute alla fonte pagate sui canoni percepiti ricevendone il diniego per definitività della pretesa tributaria e per carenza dei requisiti previsti dall'art. 26 quater del Dpr 29.9.1973 n. 600: in particolare fu opposta la mancanza della documentazione bancaria attestante il trasferimento dei flussi finanziari, del certificato dell'Amministrazione fiscale competente circa la residenza nel Regno Unito, l'assoggettamento nel Regno Unito dei canoni corrisposti dalla spa alla T. ad una delle imposte di cui alla lett. a) iii) della Direttiva 2003/49/CE. Dedusse l'illegittimità del provvedimento di diniego per violazione degli artt. 3 della L. n. 241/1990 e 7 della L. n. 212/2000 poiché, da un lato, la motivazione addotta dall'Ufficio era del tutto insufficiente e generica nonché contraddittoria nella parte in cui era stata sostenuta l'inammissibilità del rimborso per definitività della pretesa seguita dall'implicito riconoscimento della spettanza nel caso che la documentazione fosse stata sufficiente. In ordine alla contestazione circa l'assenza dei requisiti, precisò che questi erano presenti in base al predetto art. 26 quater, implementato in Italia dalla Direttiva n. 2003/49/CE. Chiese pertanto l'accoglimento del ricorso a spese vinte. Si costituì in giudizio l'Agenzia resistendo puntualmente alle specifiche argomentazioni prospettate della controparte e chiese pertanto il respingimento dell'avverso ricorso. Premise che il provvedimento era dettagliatamente motivato e che non sussistevano i presupposti del rimborso poiché, tra l'altro, l'stanza era inammissibile alla luce dell'art. 2 del D.Lgs. n. 218/1997 atteso che la spa aveva prestato adesione all'avviso per le annualità 2012 e 2013 con conseguente cristallizzazione di tutti i rapporti tra le parti e quindi con esclusione di qualsivoglia successiva variazione. Specificò che ex art. 2, comma 3, " l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio " sicché il ricorso risultava inammissibile stante anche il consolidato orientamento ribadito dalla Corte di cassazione che con la sentenza n. 18962/2005 aveva deciso che: " Al riguardo è da ritenersi che, una volta comunque rideterminato, in via di adesione, il reddito imponibile ed assolto dalla società a quanto dovuto sul reddito così rideterminato non possono essere prese più in considerazione delle istanze di rimborso afferenti l'annualità definita ". Chiese pertanto il rigetto del ricorso con vittoria delle spese e degli onorari di giudizio. Con la sentenza n. 638 pronunciata il 12.11.2019 la Ctp di rigettò il ricorso motivando la decisione come segue. Una volta respinte le doglianze formali, osservò che le ritenute di cui la ricorrente aveva chiesto il rimborso erano state versate dalla consociata italiana in qualità di sostituto d'imposta a definizione dell'accertamento fiscale ai sensi dell'art. 15, comma 2 bis, del D.Lgs. n. 218/1997, dopo che la Dre del Friuli aveva contestato alla stessa l'omesso versamento delle medesime sulle royalties pagate a favore della società inglese. Ritenne pacifico che tra le due società vi fosse un rapporto di sostituzione che in base all'art. 64, co. 1, del Dpr n. 600/1973 ricorre ogni qual volta un soggetto in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento del tributo in luogo di altri indipendentemente dalla sua relazione con i presupposti del pagamento dello stesso. Ritenne che tra la società italiana, sostituto d'imposta, e quella inglese, sostituita, poteva ravvedersi la solidarietà passiva a mente dell'art. 35 del Dpr n. 602/1973 che si ha nel momento in cui non sono state effettuate le ritenute a titolo d' imposta e non sono stati fatti i versamenti. Precisò che la Dre del Friuli aveva infatti contestato alla società italiana proprio la mancata effettuazione veste di sostituito la responsabilità solidale ai sensi di detto art. 35 tanto è vero che nell'accertamento con adesione applicò l'aliquota del 8% sulla base della Convenzione contro le doppie imposizioni Italo-Inglese a fronte di quella interna del 30%. Ne fece conseguire che, stante la predetta solidarietà passiva ai sensi del detto art 35, l'accertamento del tributo definito e perfezionato con accertamento con adesione dal sostituto d'imposta precludeva la richiesta del rimborso al sostituito proprio a causa della responsabilità solidale tra i due soggetti. Precisò che ciò era stato ribadito di recente dalla Corte di cassazione con l'Ordinanza n. 13129/18 :" ai sensi dell'art. 2, comma 3 e art. 3, comma 4 del D.Lgs. n. 218/1997, l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'Uffìcio " sicché il fatto che sia preclusa l'impugnazione non poteva che comportare l'ovvia conseguenza della improponibilità di istanze di rimborso di quanto versato a perfezionamento dell'accordo che deve ritenersi intangibile in conformità della ratio dell'istituto, connotata, a fronte della premialità per il contribuente, dall' interesse pubblico alla immediata acquisizione delle somme. Quanto al fatto che la società inglese avesse diritto al rimborso essendo in possesso dei requisiti di cui all'art 26 quatcr del Dpr n. 600/1972, osservò che tale aspetto rimaneva assorbito dall'improponibilità dell'istanza di rimborso. In ordine all'invocato affidamento, ritenne che esso non poteva essere stato ingenerato dal contenuto degli atti stipulati tra la Dre del Friuli e la consociata italiana, poiché dagli stessi non emergeva alcuna affermazione che potesse far sorgere nella ricorrente l'errato presupposto del rimborso delle somme pagate dalla consociata italiana in adesione. Le spese di lite furono dichiarate interamente compensate tra le parti. L'appello: Ha interposto appello la società in ordine ai seguenti punti di devoluzione: 1-Violazione dell'art. 2 del D.Lgs n. 218/1997 e dell'art. 26 quater del Dpr n. 600/1973. Ha premesso che la normativa citata dai giudici di prime cure era l'art. 2, co. 3, del D.Lgs. n. 218/1997 che dispone " L'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è' integrabile o modificabile da parte dell'ufficio " ma ha contestato la pertinenza della giurisprudenza richiamata dai giudici di prime cure avente ad oggetto situazioni diverse in quanto, in quel caso, si trattava di rimborso richiesto dallo stesso contribuente che aveva definito la propria posizione mentre nel caso odierno si controverte della spettanza a favore di un soggetto diverso godente dell'esenzione prevista dalla Direttiva: la T. PLC è risultata gravata di un'imposta che, a prescindere dalla modalità del versamento all'Erario italiano da parte della T. spa, può essere richiesta in restituzione secondo i requisiti di cui all'art. 38 del Dpr n. 602/1973 ossia l'errore materiale e la duplicazione o l'inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento. Circa il rapporto tra sostituto d'imposta e sostituito, ha ammesso che la giurisprudenza di legittimità è nel senso di considerarlo come coobbligazione solidale passiva nei confronti dell'Erario (cfr., ex multis, sent. n. 19034 del 10.9.2014), con il relativo effetto sul piano processuale in quanto, in caso di definizione da parte di un coobbligato, si determina l'estinzione del giudizio ma ha obbiettato che ciò non può spiegare efficacia sul piano sostanziale negando il rimborso al sostituito inciso che, ex art. 38 del Dpr. n. 602/1973, può presentare istanza di rimborso, oltreché in caso di errore materiale, anche in quello di inesistenza totale o parziale dell'obbligo. Ha precisato che la definizione in adesione ex art. 2 del D.Lgs. n. 218/1997 ha valore unicamente a beneficio del sostituto non precludendo i diritti del sostituito destinatario ultimo della pretesa tributaria tanto più che il tributo non era da questo dovuto stanti i requisiti necessari per beneficiare dell'esenzione previsti dall'art. 26 quater del Dpr n. 600/1973. Per quanto attiene al secondo punto della violazione dell'art. 26 quater del Dpr. n. 600/1973, ha aggiunto che ricorrono tutti i requisiti per il rimborso poiché detto articolo, in attuazione della Direttiva 3.6.2003, n. 2003/49/CE relativa al " Regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi ", stabilisce, tra l'altro, che i canoni pagati da società italiane a società residenti in altro Stato UE sono esentati da imposta in Italia sempreché la società pagante risieda nel territorio dello Stato con assoggettamento all'Ires, la società pagante e quella ricevente appartengano allo stesso gruppo, la società ricevente risieda fiscalmente in altro Stato UE dove sia assoggettata ad una delle imposte elencate nell'allegato B senza fruire di regimi di esonero. Ha riportato la contestazione opposta dall'Ufficio circa l'esaustività della documentazione bancaria attestante il trasferimento in favore della T., del certificato dell'Amministrazione fiscale estera attestante la residenza nel Regno Unito e il relativo l'assoggettamento ad una delle imposte indicate nell'allegato B al Dpr n. 600/1973 ed il concreto assoggettamento dei canoni ad una delle imposte di cui alla lett. a), iii) della Direttiva 2003/49/CE. Ha puntualizzato però che tutti detti requisiti sono presenti. Infatti la documentazione bancaria era già presente in atti fin dalla verifica fiscale e comunque fu versata insieme al ricorso (Fattura n. 284 del 30.9.2011, emessa nei confronti della Spa per il terzo trimestre 2011 per euro 336.157,91 pagati per 56.026,32 il 20.4.2011 ed i restanti euro 280.131,59 pagati il 31.5.2012 (All. 16 al ricorso introduttivo);Fattura n. 316 del 31.12.2011 emessa nei confronti confronti della Spa per il quarto trimestre 2011 per euro 328.999,49, corrisposto in data 31.5.2012 (All. 17 al ricorso introduttivo);Fattura n. 9815000018 del 31.3.2012, emessa nei confronti della Spa per il primo trimestre 2012 per euro 301.654,00, corrisposto il 31.8.2012 (All. 18 al ricorso introduttivo);Fattura n. 9815000050 del 30.6.2012, emessa nei confronti della Spa per il secondo trimestre 2012 per euro 498.420,00, corrisposto in data 12.12.2012 (All. 19 al ricorso introduttivo);Fattura n. 9815000140 del 30.9.2012 emessa nei confronti di Spa per il terzo trimestre 2012 di per euro 494.916,00, corrisposto il 12.12.2012 (All. 20 al ricorso introduttivo);Fattura n. 9815000432 del 31.12.2012, emessa nei confronti della Spa per il quarto trimestre 2012 per euro 434.859,15, corrisposto il 24.1.2013 (All. 21 al ricorso introduttivo), fatture seguite dalla documentazione contabile e bancaria attestante l'avvenuto trasferimento, in favore di T. dei flussi finanziari relativi ai canoni di fonte italiana. Ha puntualizzato che la T. risiedeva nel Regno Unito ai fini fiscali, come comprovato dai certificati di residenza fiscale rilasciati dalle autorità fiscali inglesi, relativi, rispettivamente, alle annualità 2012 e 2013 e che in detto Stato era soggetto alla Corporation Tax di cui all'allegato B al Dpr n. 600/1973, come da dichiarazioni dei redditi presentate per dette annualità e conseguente assoggettamento alla relativa tassazione. Ha comunque rammentato il principio pacifico in giurisprudenza in base al quale il contribuente debba dimostrare unicamente di essere soggetto ad imposizione nel proprio Stato a nulla rilevando l'effettivo pagamento delle imposte che, nel caso di specie, si è comunque verificato. Già con l'ordinanza n. 27590 del 20.12.2011, la Corte di cassazione aveva affermato, infatti, che " la minore imposta ivi prevista è applicabile per il solo fatto della soggezione del dividendo alla potestà impositiva principale dell'altro Stato, indipendentemente dall'effettivo pagamento dell'imposta. La sufficienza del solo fattore in sé dell'esistenza del potere impositivo principale dell'altro Stato, deve ritenersi infatti coerente con le finalità delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, le quali hanno la funzione di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti all'estero ed agevolare l'attività economica e d'investimento internazionale " indirizzo confermato con numerose successive sentenze.